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[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 123
- Subject: [Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 123
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 3 May 2023 05:48:24 +0200
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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 123 del 3 maggio 2023
In questo numero:
1. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
2. Bruna Bianchi: Gas serra e attivita' militari
3. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
4. Amnesty International: Urge clemency for native american activist
5. Annamaria Rivera: Il grande imbroglio della "sostituzione etnica"
6. "Poetry Foundation": Un profilo di James Welch
7. Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessino persecuzioni ed uccisioni
8. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
9. Alcuni riferimenti utili
10. Ripetiamo ancora una volta...
1. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?
Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
*
Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
*
E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
2. L'ORA. BRUNA BIANCHI: GAS SERRA E ATTIVITA' MILITARI
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo del 12 novembre 2022]
Un rapporto internazionale, malgrado i dati sulle emissioni derivate da attivita' militari siano frammentari, incompleti o nascosti in attivita' civili, dimostra che se le forze armate mondiali costituissero una (odiosa) nazione, questa sarebbe la quarta per emissioni di CO2. Un confronto? Le emissioni globali delle vetture per il trasporto passeggeri, giustamente messe ovunque in discussione (almeno in teoria), sono minori. Sara' per questo che nel governo italiano ora c'e' anche il presidente della Confindustria delle imprese militari.
*
I militari sono i vandali ambientali privilegiati. Le loro attivita' quotidiane sono al di sopra della legge civile e sono protette dall'esame pubblico e governativo, anche nelle "democrazie" (Joni Seager, Patriarcal Vandalism. Militarism and Enviroment 1999, p. 163). Il 10 novembre, in occasione del panel virtuale nell'ambito della COP 27, The Military Emission Gap. Annual Update 2022, e' apparso il rapporto Estimating the Military's Global Greenhouse Gas Emissions a cura di Stuart Parkinson, direttore di Scientists for Global Responsibility (SGR), e di Linsey Cottrell, responsabile delle politiche ambientali del Conflict and Environment Observatory (CEOBS). Il rapporto ha lo scopo di riaffermare la necessita' di inserire il settore militare globale - una voce importante della spesa dei governi e che consuma una enorme quantita' di combustibili fossili - nel conteggio delle fonti di produzione dell'inquinamento da gas climalteranti.
A partire dal protocollo di Kyoto del 1997 la volonta' dei governi di non incorrere in possibili restrizioni delle attivita' militari e' stata all'origine dell'esenzione accordata alle forze armate dei vari paesi dal segnalare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) un consuntivo delle proprie emissioni.
"Le linee guida dell'Intergovernmental Panel on Cimate Change (IPCC) - si legge nel rapporto - stabiliscono che i vari paesi debbano trasmettere le entita' delle emissioni dovute ad attivita' militari alla UNFCCC, ma l'accordo di Parigi del 2015 ha reso volontarie queste segnalazioni [...]. I problemi che ne derivano sono stati ampiamente trascurati dalla comunita' scientifica sul clima e l'ultimo rapporto dell'IPCC, il sesto, menziona solo di sfuggita il settore militare" che quindi non rientra nelle negoziazioni sugli obiettivi di riduzione delle emissioni nell'ambito della UNFCCC (p. 2).
I dati sulle emissioni derivate da attivita' militari, benche' frammentari, incompleti o inclusi (nascosti) all'interno di altre categorie di attivita' civili, come l'aviazione e la navigazione, possono comunque fornire una base per stimare l'impronta di carbonio del settore militare globale.
Un primo indicatore e' quello delle spese militari. Secondo il Climate Watch 2022, nel 2019 circa il 60 per cento delle emissioni globali provenivano da dieci paesi - Cina, Usa, India, Indonesia, Russia, Brasile, Giappone, Iran, Canada e Arabia Saudita - paesi che, ad eccezione dell'Indonesia, comparivano anche tra i primi venti che presentavano le spese militari piu' elevate (tabella A1a, p. 12).
Un altro indicatore e' l'entita' del personale delle forze armate. Dalle statistiche sul personale e da altre fonti militari o indipendenti, Parkinson e Cottrell hanno estrapolato alcuni dati relativi a Stati Uniti, Regno Unito e Germania per stimare la media delle emissioni di CO2 delle attivita' militari stazionarie pro capite: Regno Unito (dal 2017 al 2019): 5 tonnellate; Germania (2018-2019): 5,1 tonnellate e Stati Uniti (2018): 12,9 tonnellate (p. 4). Benche' questi dati si riferiscano solo a tre paesi, nell'insieme essi rappresentano il 45 per cento della spesa militare globale, il 14 per cento delle emissioni totali e il 9 per cento del personale militare attivo.
L'estrapolazione da altre fonti, sia militari che indipendenti, dei dati relativi alle attivita' mobili e di approvvigionamento, ha consentito una valutazione complessiva delle emissioni del settore militare globale in 1.600 - 3.500 milioni di tonnellate (valore medio: 2.750) che rappresentano il 3,3 per cento - 7 per cento delle emissioni globali (valore medio: 5,5 per cento).
Non mi soffermo sui criteri e sulle modalita' di calcolo adottate per l'elaborazione delle stime (per cui rimando alle pagine 3 e 4 del rapporto), ma solo sulle valutazioni complessive delle impronte di carbonio in milioni di tonnellate distinte per regioni geopolitiche (p. 8).
Regioni geopolitiche - Stime (valori piu' elevati) - Stime (valori piu' bassi)
Asia e Oceania 1.766 833
Medio Oriente e Nord Africa 480 226
Nord America 396 187
Russia ed Eurasia 392 185
Europa 206 97
America Latina 160 76
Africa Subsahariana 84 40
Totale 3.484 1.644
% sul totale delle emissioni globali 7,0% 3,3%
Come valutare le dimensioni delle emissioni derivanti da attivita' militari in base a queste stime? Le si possono confrontare, ad esempio, con quelle delle vetture per il trasporto passeggeri che nel 2019 sono state di 3.200 milioni di CO2 e rispetto alle quali le emissioni militari rappresenterebbero l'85 per cento. Nel complesso, se le forze armate mondiali costituissero una nazione, questa sarebbe la quarta per emissioni di CO2 dopo Cina, Usa e India e presenterebbe valori superiori alle emissioni della Russia (p. 10).
Questi dati, di per se' allarmanti, sono ampiamente sottostimati. Infatti, riferendosi a un periodo precedente al 2020, non includono i mutamenti avvenuti con la pandemia ne' quelli derivati dagli aumenti delle spese militari a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, ne' le emissioni causate dagli impatti della guerra guerreggiata: esplosioni, incendi e altri danneggiamenti alle infrastrutture e agli ecosistemi, ne' quelle derivate da attivita' di ricostruzione dopo i conflitti, e neppure quelle relative alle cure ai sopravvissuti. Stime parziali per alcune di queste attivita' sono state avanzate da Perspectives Climate Group. Tutti questi fattori, se presi in considerazione, innalzerebbero sensibilmente la percentuale del 5,5 per cento.
Per comprendere la reale entita' dell'impronta di carbonio del settore militare globale, si legge nelle conclusioni, sono necessarie nuove modalita' di rilevazione e di elaborazione dei dati. Utili strumenti a questo scopo sono i criteri messi a punto da CEOBS nella recente pubblicazione Framework for Military Greenhouse Gas Emission Reporting rivolta alle forze armate, ai governi e alle organizzazioni della societa' civile.
Le stime avanzate da SGR e CEOBS offrono a coloro (studiosi e studiose, scienziati e scienziate, organizzazioni pacifiste e della societa' civile) che da anni affermano l'urgenza di disporre di informazioni dettagliate e trasparenti sulla reale entita' delle emissioni di CO2 derivate da tutte le attivita' militari, dati concreti, solide argomentazioni e indicazioni precise su cui basare la ricerca e l'attivismo.
Tuttavia, le emissioni di CO2 non sono l'unico indicatore dell'impatto delle attivita' militari sul clima. Attivita' estremamente distruttive sono quelle legate alla geoingegneria volte a stravolgere il clima per usarlo come arma di guerra, concepite e condotte in segretezza.
L'impegno per l'inclusione delle emissioni di CO2 derivanti dalle attivita' militari potrebbe essere un primo passo non solo verso la loro riduzione, ma soprattutto verso l'abbattimento del velo di silenzio, privilegio e segretezza che avvolge l'operato militare e la sua distruttivita', lo protegge dalla responsabilita' pubblica, infonde nelle organizzazioni militari il senso di uno scopo superiore e di invulnerabilita'.
3. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA
Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
*
Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
*
Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara
4. INIZIATIVE. AMNESTY INTERNATIONAL: URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
[Dal sito www.amnesty.org riprendiamo e diffondiamo questo appello del 3 aprile 2023]
3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
*
ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE UNTIL: 29 May 2023
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/
5. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: IL GRANDE IMBROGLIO DELLA "SOSTITUZIONE ETNICA"
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo questo intervento del 27 aprile 2023]
Un lemma che andrebbe decisamente abbandonato, al pari di "razza", e' quello di etnia, che, invece, pur avendo, in realta', una valenza discriminatoria, continua a ottenere una straordinaria fortuna, perfino in ambienti intellettuali, oltre che di destra.
Eppure, a decostruire questo pseudo-concetto e a mostrarne la valenza e il significato discriminatori sono comparsi, nel corso del tempo, alcuni volumi scientifici. Il piu' noto, L'imbroglio etnico (Dedalo, Bari 2012), strutturato per parole-chiave, del quale sono ispiratrice e co-autrice insieme con lo storico Rene' Gallissot e l'antropologo Mondher Kilani, ha conosciuto ben tre edizioni: la prima, in francese e in dieci parole-chiave, fu pubblicata nel 2000; la seconda, comparsa nel 2001 in italiano e in una versione piu' ampia (in quattordici parole-chiave), ha conosciuto ben tre ristampe, l'ultima delle quali nel 2012.
Cio' malgrado, un tale lavorio intellettuale sembra non aver suscitato alcun dubbio circa i significati e l'opportunita' dell'utilizzo di "etnia". E' per questa ragione che propongo qui la sintesi di una delle quattordici parti che compongono il volume, tutte introdotte da parole-chiave: e' quella, per l'appunto, su Etnia-etnicita'.
Nel parlare comune, nel linguaggio mediatico e talvolta perfino in quello scientifico, "etnia" ed "etnico" sono adoperati per designare sinteticamente, con un'unica parola, gruppi di popolazione immigrata e minoranze che si distinguerebbero dalle maggioranze per diversita' di costumi e/o di lingua, nonche' per la loro provenienza, per le loro culture, modi e stili di vita. In realta', chi abusa del vocabolario etnico intende alludere a qualche forma di differenza fondamentale e irriducibile: che sia quella data dai caratteri somatici, oppure da una "essenza" culturale premoderna o addirittura da qualche fondamento ancestrale. V'e' anche chi ritiene che "etnia" sia il termine piu' appropriato per nominare le differenze senza ricorrere al vocabolario detto razziale; v'e' chi lo reputa o lo "sente" piu' specifico e pertinente di quello di cultura, meno svalutativo e dunque politicamente piu' corretto di "tribu'".
Vi sono poi perfino alcuni studiosi pronti a sostenere che il lemma "etnia" avrebbe addirittura inaugurato una valutazione delle diverse parti costitutive dell'umanita' piu' razionale e giusta, piu' neutra e a-valutativa di altri. In realta', il vocabolo cela sovente la convinzione o il pregiudizio che le differenze fra culture e modi di vita si fondino su qualche principio ancestrale, su qualche identita' originaria; spesso, in realta', viene adoperato come sinonimo eufemistico di "razza".
In ogni caso, l'uso del termine e della nozione riflette la divisione netta istituita fra la societa' cui appartiene l'osservatore (ritenuta normale, generale e universale) e altri gruppi e culture. Quasi sempre "etnici" sono gli altri/le altre, che, discostandosi dalla norma della societa' dominante e della cultura maggioritaria, sono percepiti/e come differenti, particolari, marginali, periferici, arcaici, attardati, in via d'estinzione o "soltanto" non conformi alla norma nazionale.
Un impiego del tutto particolare del termine, per auto-attribuzione ("etnici siamo noi") da parte di settori della societa' dominante, e' quello del Front National in Francia e, in Italia, della Lega Nord e di altre formazioni di destra, le quali parlano rispettivamente di "etnia francese" e di "etnia padana".
L'etnicizzazione e' un processo non solo di riconoscimento o d'invenzione di differenze culturali, ma anche di classificazione surrettizia, potremmo dire, di gerarchie sociali, economiche, politiche. Etnicizzando dei gruppi sociali, infatti, si tende a mascherare la loro posizione di subordinazione o emarginazione rispetto alla societa' globale.
La cronaca della guerra fratricida nella ex Jugoslavia ha rappresentato il trionfo del modello e delle designazioni etniche, che in tal modo si sono affermati come un indiscutibile dato di fatto e si sono definitivamente consolidati nel linguaggio corrente.
Il che ha concorso non poco alla costruzione delle ideologie che hanno sorretto e mascherato le ragioni della sanguinosa guerra civile col suo orrendo corredo di reciproche "pulizie etniche" (nonche' dell'ideologia che e' servita a dissimulare gli scopi della guerra "umanitaria" della Nato nei Balcani); e ha condotto all'artificiosa separazione di popolazioni che avevano per lungo tempo convissuto e condiviso territorio, lingua, costumi, abitudini, progetto e istituzioni politiche.
Proprio perche' cio' che e' rappresentato come l'Altro/a assoluto/a spesso si rivela assai simile al Noi, e' percepito come una minaccia: e' questo uno dei meccanismi che conducono alle "pulizie etniche".
In definitiva, la nefasta etnicizzazione di un tale conflitto, il ricorso a una strategia che infine condurra' alla secessione, incoraggiata e avallata dalle potenze europee, avevano come principale posta in gioco la redistribuzione del potere.
Anche il conflitto in Ruanda, culminato nei mutui genocidi fra hutu e tutsi, e' stato sottoposto a una lettura in chiave rigidamente etnicista, identitaria, tribalista, che ha lasciato completamente in ombra altre logiche, ben piu' determinanti, trascurando il carattere di conflitto economico, sociale e politico, anzitutto. In realta', nonostante si sia espresso in forme di sanguinosa barbarie, quel conflitto e' stato per molti versi di una "terrificante modernita'", per dirla con lo storico Alessandro Triulzi. La politica di annientamento e' stata, infatti, concepita, pianificata, portata a termine non gia' dai capi tribali dell'interno, ma dalle elite intellettuali urbane.
Pochi ricordano che a etnicizzare la classe aristocratica dei tutsi e quella degli agricoltori hutu furono i colonizzatori, tedeschi prima e belgi poi: gli individui maschi furono classificati e trattati come tutsi o hutu a seconda che possedessero piu' o meno di dieci capi di bestiame. L'interpretazione in chiave etnicista e il linguaggio che ne discende si sono generalizzati e affermati come un'ovvieta', che invece e' opportuno indagare e sottoporre a critica.
A introdurre il termine e la nozione di etnia nella lingua francese fu Georges Vacher de Lapouge, ideologo razzista e sostenitore di programmi eugenetici volti a impedire la "mescolanza razziale".
Dunque, sin dall'inizio l'"etnia" e' connotata da un significato difettivo: e' intesa come un raggruppamento di popolazione cui manca qualcosa di decisivo in rapporto alla societa' cui appartiene l'osservatore, cioe' colui che ha il potere di nominare e definire gli altri e le altre. Insomma, questo lemma viene spesso inteso come somma di tratti negativi o comunque derivanti da incivilta' o arretratezza.
Il colonialismo, in particolare, ha prodotto classificazioni "etniche" basate sull'invenzione di etnonimi spesso del tutto arbitrari: sovente questi erano il risultato della trasposizione semantica, compiuta da etnologi e funzionari coloniali, di toponimi, di nomi che identificavano unita' politiche, di appellativi che indicavano questo o quel gruppo di mestiere oppure di stereotipi con i quali un certo gruppo o popolazione era designato, spesso spregiativamente, dai gruppi vicini o dalle classi dominanti.
Quando, piu' di vent'anni addietro, scrivemmo L'imbroglio etnico fummo si' assai previdenti, ma non fino al punto da immaginare che il futuro ci avrebbe riservato un governo di estrema destra, tale da tirare in ballo la pseudo-teoria del rischio della "sostituzione etnica", dovuta alle persone immigrate e rifugiate.
Infatti, il 18 aprile scorso, Francesco Lollobrigida, cognato della Meloni, nonché Ministro dell'Agricoltura, ha tirato in ballo "il rischio della sostituzione etnica", teoria del complotto tipicamente di estrema destra. Del resto la stessa Meloni, a partire da alcuni anni fa, aveva piu' volte sostenuto tale teoria complottista, sostenendo che la sinistra, a livello mondiale, avrebbe pianificato "un'invasione d'immigrati", quindi "una sostituzione di popoli".
Com'e' ovvio, la teoria (si fa per dire) della "sostituzione etnica" e' giustificata, fra l'altro, da congetture riguardanti i dati relativi alla demografia, in particolare agli andamenti delle nascite.
Tutto cio' ha una lunga storia che risale al dopo la Seconda guerra mondiale, allorche' in ambienti neonazisti si invitava a combattere insieme contro la presunta invasione dell'Europa da parte di "mongoli" e "negri".
La retorica della "sostituzione etnica" e' estremamente pericolosa, nonche', in tal caso, espressione di un governo fascistoide, sicche' sinistra e democratici avrebbero il dovere di aggregarsi e opporsi strenuamente al governo piu' a destra della storia della Repubblica.
6. TESTIMONI. "POETRY FOUNDATION": UN PROFILO DI JAMES WELCH
[Dal sito www.poetryfoundation.org riprendiamo e diffondiamo]
James Welch (1940–2003)
James Welch was a prominent author of novels and poetry featuring the American West. He was born in Browning, Montana, and he attended school on the Blackfeet and Fort Belknap reservations. He studied with Richard Hugo at the University of Montana. Welch received honorary doctorates from Rocky Mountain College and the University of Montana. In 1997 he was honored with a Lifetime Achievement Award from the Native Writers' Circle of the Americas.
In a review of Welch's first book of poetry, Riding the Earthboy Forty, a Saturday Review critic made this prediction: "His poems are alert, sorrowful, and true. For a young man he is very strong... If Welch stays put in his own life, I think his strengths should develop; his voice is clear, laconic, and it projects a depth in experience of landscape, people, and history that conveys a rich complexity. You realize his is not looking at a thing, but seeing into it—which is vision."
Welch's promise was realized in his first novel, Winter in the Blood (1974), the story of a young Native American living on a reservation in Montana. The unnamed narrator is, like Welch, part Blackfoot and part Gros Ventre. He describes himself as a "servant to a memory of death." Both his father and brother are dead; in the course of the novel, his beloved grandmother dies as well. In the New York Times Book Review, Reynolds Price described the narrator's life as a "black sack tied firmly shut." But just as the story "threatens to die in its crowded sack," Price wrote, "it opens onto light - and through natural, carefully prepared, but beautifully surprising narrative means; a recovery of the past; a venerable, maybe lovable, maybe usable past."
Welch's next work, The Death of Jim Loney (1979), about an alienated alcoholic of white and Native American parentage, continues the themes of identity and purpose set down in Winter in the Blood. Fools Crow (1986), Welch's acclaimed third novel, marks a change in direction for the author, telling the story of a band of Blackfoot Native Americans in the Montana Territory in the 1870s. The book follows the life of Fools Crow, who grows from a reckless young warrior to become the tribe's medicine man. A vision Fools Crow has of his tribe's bleak future foreshadows the end of the entire Native American prairie culture - a culture already threatened by disease, the extinction of the buffalo herds, and the encroachment of white settlers.
Welch's ability to recapture the Blackfoot way of life, especially its spiritual aspects, was cited by critics as one of the strengths of the novel. As reviewer Dennis Drabelle commented in Washington Post Book World, "If Fools Crow succeeds... it does so because Welch, himself part Blackfoot, manages to convey a sense of his people's world view." Peter Wild of the New York Times Book Review noted similarly that "the book becomes a series of dreams acted out, a chronicle of the Indians' visions as applied to daily life." Lewis D. Owens, writing in the Los Angeles Times Book Review, stated: "In this novel, Welch is remembering the world of his ancestors, putting that world together again in a way that will tell both author and reader what has been lost and what saved."
Owens argued that Welch's work was significant for other reasons as well. "Perhaps the most profound implication of this novel," Owens suggested, "is that the culture, the world-view brought so completely to life in Fools Crow, is alive and accessible in the self-imagining of contemporary Blackfeet and other American Indians. In recovering the world found in this novel, Welch serves as storyteller, bearer of oral tradition and definer of what it means to be Indian today."
After Fools Crow, Welch returned to a contemporary setting for his next novel, The Indian Lawyer (1990), a tale of corruption involving prominent Native American attorney Sylvester Yellow Calf. Yellow Calf, a leading congressional candidate who also serves on the Montana prison parole board, falls victim to a blackmail scheme after he is seduced by the wife of a prison inmate whose case is under study by the parole board. Afraid that he has compromised his personal ethics as well as his political standing, Yellow Calf drops out of the congressional race and begins a law practice on the reservation where he was born.
Some critics thought The Indian Lawyer accurately reflects the conflicts that exist between white and native cultures. In Washington Post Book World, reviewer Walter Walker remarked, "The concept of a man caught between two worlds is fresh and alive when it comes to American Indians, and Welch handles that beautifully, as he does his physical descriptions of virtually every location in the book." Walker also believed, however, that the novel's weak storyline undermined the author's message, stating, "Like many a human being, The Indian Lawyer starts off with great promise and ends marred by the scars of what might have been." He continued, "James Welch clearly had a very serious idea in mind that is all but lost in the banality of his plot."
After The Indian Lawyer, Welch collaborated with filmmaker Paul Stekler on the PBS documentary Last Stand at Little Bighorn (1992), about the famous 1876 battle in which Native American warriors overwhelmed the forces of U.S. General George Custer. Welch used this documentary experience to produce his first nonfiction work, Killing Custer: The Battle of the Little Bighorn and the Fate of the Plains Indians (1994). The book is not a straightforward historical account but rather a mix of history, narrative, and Welch's ruminations on "how various people—Indian and white—portray the event, remember it, commemorate it and attach meaning to it," explained New York Times Book Review contributor Richard White. Although White criticized Welch for his "heavy-handedness" in dealing with some nuances of the historical event, he praised Welch for creating "both an evocative work of rediscovery and a multilayered examination of how we tell contested stories." Helen Carr, writing in New Statesman & Society, also commended Welch, noting that "The book is evocatively and compellingly written. Welch turns such figures as Sitting Bull and Crazy Horse - and Custer - from exotic icons into understandable men."
The Heartsong of Charging Elk (2000), based loosely on real-life happenings, has as its protagonist a young Oglala Sioux man who witnessed the Battle of the Little Bighorn as a child. Disdaining reservation life after his people surrender to the US Army, in his early 20s he joins Buffalo Bill's Wild West Show. While touring Europe with the show, Charging Elk tries to perform while sick with the flu, but falls from his horse and is injured. He is hospitalized in Marseilles, France, while the rest of the troupe members continue their tour, having made no arrangements for him to join them. US government representatives are unable to have him sent him home, so Charging Elk is left alone in a land where he does not speak the natives' language, nor they his. Eventually he finds work and friends in Marseilles, but his love affair with a prostitute sets in motion a chain of events that culminate with Charging Elk killing a man. He is tried, convicted, and imprisoned, but several years into his sentence he receives a pardon, after which he begins to rebuild his life and think of France as his home.
"Charging Elk is a metaphor for those without a country, or ones who have lost their country in an invasion of force and culture," related Brad Knickerbocker in Christian Science Monitor. The narrative, told partly in flashbacks and dreams, "is sometimes sorrowful, as it would have to be given the way things have turned out for native Americans," Knickerbocker commented. "But in the end, the book is healing and redemptive, a revelation of the human heart and spirit." A Publishers Weekly reviewer remarked that "this story has the potential of melodrama, but Welch tells it quietly, in clear, lucid prose suitable to the restraint of his hero... This is a stirring tale of a man's triumph over circumstances." New York Times Book Review contributor Brigitte Frase, who called the novel "the coming-of-age story in the key of tragedy," noted that "Welch, who began as a poet, has devised a strong plain style for Charging Elk that suggests the rhythms and concepts of the Lakota language. Readers share the constant shocks of strangeness that Charging Elk absorbs as he tries to make sense of an alien civilization." Library Journal reviewer Debbie Bogenschutz described The Heartsong of Charging Elk as "a moving story of cultural alienation and assimilation," while Booklist's Kathleen Hughes deemed it "beautifully written" and "both poignant and enjoyable."
Welch remains best known for his novels. He told Will Nixon in Publishers Weekly, "I think Indians tend toward poetry instead [of fiction]. A lot of people have said that poetry more closely approximates the rhythms of their own traditions, such as songs. And Indians prefer to write poetry because they have something to say about their culture and society and it's harder to be political and polemical in fiction." Welch, though, seems committed to using the novel as a showcase for what Nixon called the author's "real subject... the American Indian's search for identity in his native land."
He died in Missoula, Montana, on August 4, 2003.
7. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA PER CHIEDERE CHE CESSINO PERSECUZIONI ED UCCISIONI
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo di scrivere all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere al governo di quel paese che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare le lettere sono i seguenti: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir
*
Vi proponiamo un possibile testo essenziale:
Egregio ambasciatore,
le chiediamo di trasmettere al governo del suo Paese questa nostra richiesta che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
E' dovere di ogni persona, di ogni societa', di ogni ordinamento giuridico rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutte le donne e di tutti gli uomini.
Tutti gli esseri umani sono eguali in dignita' e diritti, tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla liberta'.
Siamo solidali con le donne iraniane - e con gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Nome e cognome, luogo e data, recapito di chi scrive.
*
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo anche di far circolare questa proposta.
Adoperiamoci affinche' tante persone, tante associazioni, tante istituzioni di tutto il mondo chiedano al governo iraniano che cessino persecuzioni e uccisioni.
Sosteniamo le donne iraniane - e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Grazie di cuore per quanto vorrete fare.
8. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE
Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it
9. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
10. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 123 del 3 maggio 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 123 del 3 maggio 2023
In questo numero:
1. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
2. Bruna Bianchi: Gas serra e attivita' militari
3. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
4. Amnesty International: Urge clemency for native american activist
5. Annamaria Rivera: Il grande imbroglio della "sostituzione etnica"
6. "Poetry Foundation": Un profilo di James Welch
7. Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessino persecuzioni ed uccisioni
8. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
9. Alcuni riferimenti utili
10. Ripetiamo ancora una volta...
1. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?
Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
*
Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
*
E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
2. L'ORA. BRUNA BIANCHI: GAS SERRA E ATTIVITA' MILITARI
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo del 12 novembre 2022]
Un rapporto internazionale, malgrado i dati sulle emissioni derivate da attivita' militari siano frammentari, incompleti o nascosti in attivita' civili, dimostra che se le forze armate mondiali costituissero una (odiosa) nazione, questa sarebbe la quarta per emissioni di CO2. Un confronto? Le emissioni globali delle vetture per il trasporto passeggeri, giustamente messe ovunque in discussione (almeno in teoria), sono minori. Sara' per questo che nel governo italiano ora c'e' anche il presidente della Confindustria delle imprese militari.
*
I militari sono i vandali ambientali privilegiati. Le loro attivita' quotidiane sono al di sopra della legge civile e sono protette dall'esame pubblico e governativo, anche nelle "democrazie" (Joni Seager, Patriarcal Vandalism. Militarism and Enviroment 1999, p. 163). Il 10 novembre, in occasione del panel virtuale nell'ambito della COP 27, The Military Emission Gap. Annual Update 2022, e' apparso il rapporto Estimating the Military's Global Greenhouse Gas Emissions a cura di Stuart Parkinson, direttore di Scientists for Global Responsibility (SGR), e di Linsey Cottrell, responsabile delle politiche ambientali del Conflict and Environment Observatory (CEOBS). Il rapporto ha lo scopo di riaffermare la necessita' di inserire il settore militare globale - una voce importante della spesa dei governi e che consuma una enorme quantita' di combustibili fossili - nel conteggio delle fonti di produzione dell'inquinamento da gas climalteranti.
A partire dal protocollo di Kyoto del 1997 la volonta' dei governi di non incorrere in possibili restrizioni delle attivita' militari e' stata all'origine dell'esenzione accordata alle forze armate dei vari paesi dal segnalare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) un consuntivo delle proprie emissioni.
"Le linee guida dell'Intergovernmental Panel on Cimate Change (IPCC) - si legge nel rapporto - stabiliscono che i vari paesi debbano trasmettere le entita' delle emissioni dovute ad attivita' militari alla UNFCCC, ma l'accordo di Parigi del 2015 ha reso volontarie queste segnalazioni [...]. I problemi che ne derivano sono stati ampiamente trascurati dalla comunita' scientifica sul clima e l'ultimo rapporto dell'IPCC, il sesto, menziona solo di sfuggita il settore militare" che quindi non rientra nelle negoziazioni sugli obiettivi di riduzione delle emissioni nell'ambito della UNFCCC (p. 2).
I dati sulle emissioni derivate da attivita' militari, benche' frammentari, incompleti o inclusi (nascosti) all'interno di altre categorie di attivita' civili, come l'aviazione e la navigazione, possono comunque fornire una base per stimare l'impronta di carbonio del settore militare globale.
Un primo indicatore e' quello delle spese militari. Secondo il Climate Watch 2022, nel 2019 circa il 60 per cento delle emissioni globali provenivano da dieci paesi - Cina, Usa, India, Indonesia, Russia, Brasile, Giappone, Iran, Canada e Arabia Saudita - paesi che, ad eccezione dell'Indonesia, comparivano anche tra i primi venti che presentavano le spese militari piu' elevate (tabella A1a, p. 12).
Un altro indicatore e' l'entita' del personale delle forze armate. Dalle statistiche sul personale e da altre fonti militari o indipendenti, Parkinson e Cottrell hanno estrapolato alcuni dati relativi a Stati Uniti, Regno Unito e Germania per stimare la media delle emissioni di CO2 delle attivita' militari stazionarie pro capite: Regno Unito (dal 2017 al 2019): 5 tonnellate; Germania (2018-2019): 5,1 tonnellate e Stati Uniti (2018): 12,9 tonnellate (p. 4). Benche' questi dati si riferiscano solo a tre paesi, nell'insieme essi rappresentano il 45 per cento della spesa militare globale, il 14 per cento delle emissioni totali e il 9 per cento del personale militare attivo.
L'estrapolazione da altre fonti, sia militari che indipendenti, dei dati relativi alle attivita' mobili e di approvvigionamento, ha consentito una valutazione complessiva delle emissioni del settore militare globale in 1.600 - 3.500 milioni di tonnellate (valore medio: 2.750) che rappresentano il 3,3 per cento - 7 per cento delle emissioni globali (valore medio: 5,5 per cento).
Non mi soffermo sui criteri e sulle modalita' di calcolo adottate per l'elaborazione delle stime (per cui rimando alle pagine 3 e 4 del rapporto), ma solo sulle valutazioni complessive delle impronte di carbonio in milioni di tonnellate distinte per regioni geopolitiche (p. 8).
Regioni geopolitiche - Stime (valori piu' elevati) - Stime (valori piu' bassi)
Asia e Oceania 1.766 833
Medio Oriente e Nord Africa 480 226
Nord America 396 187
Russia ed Eurasia 392 185
Europa 206 97
America Latina 160 76
Africa Subsahariana 84 40
Totale 3.484 1.644
% sul totale delle emissioni globali 7,0% 3,3%
Come valutare le dimensioni delle emissioni derivanti da attivita' militari in base a queste stime? Le si possono confrontare, ad esempio, con quelle delle vetture per il trasporto passeggeri che nel 2019 sono state di 3.200 milioni di CO2 e rispetto alle quali le emissioni militari rappresenterebbero l'85 per cento. Nel complesso, se le forze armate mondiali costituissero una nazione, questa sarebbe la quarta per emissioni di CO2 dopo Cina, Usa e India e presenterebbe valori superiori alle emissioni della Russia (p. 10).
Questi dati, di per se' allarmanti, sono ampiamente sottostimati. Infatti, riferendosi a un periodo precedente al 2020, non includono i mutamenti avvenuti con la pandemia ne' quelli derivati dagli aumenti delle spese militari a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, ne' le emissioni causate dagli impatti della guerra guerreggiata: esplosioni, incendi e altri danneggiamenti alle infrastrutture e agli ecosistemi, ne' quelle derivate da attivita' di ricostruzione dopo i conflitti, e neppure quelle relative alle cure ai sopravvissuti. Stime parziali per alcune di queste attivita' sono state avanzate da Perspectives Climate Group. Tutti questi fattori, se presi in considerazione, innalzerebbero sensibilmente la percentuale del 5,5 per cento.
Per comprendere la reale entita' dell'impronta di carbonio del settore militare globale, si legge nelle conclusioni, sono necessarie nuove modalita' di rilevazione e di elaborazione dei dati. Utili strumenti a questo scopo sono i criteri messi a punto da CEOBS nella recente pubblicazione Framework for Military Greenhouse Gas Emission Reporting rivolta alle forze armate, ai governi e alle organizzazioni della societa' civile.
Le stime avanzate da SGR e CEOBS offrono a coloro (studiosi e studiose, scienziati e scienziate, organizzazioni pacifiste e della societa' civile) che da anni affermano l'urgenza di disporre di informazioni dettagliate e trasparenti sulla reale entita' delle emissioni di CO2 derivate da tutte le attivita' militari, dati concreti, solide argomentazioni e indicazioni precise su cui basare la ricerca e l'attivismo.
Tuttavia, le emissioni di CO2 non sono l'unico indicatore dell'impatto delle attivita' militari sul clima. Attivita' estremamente distruttive sono quelle legate alla geoingegneria volte a stravolgere il clima per usarlo come arma di guerra, concepite e condotte in segretezza.
L'impegno per l'inclusione delle emissioni di CO2 derivanti dalle attivita' militari potrebbe essere un primo passo non solo verso la loro riduzione, ma soprattutto verso l'abbattimento del velo di silenzio, privilegio e segretezza che avvolge l'operato militare e la sua distruttivita', lo protegge dalla responsabilita' pubblica, infonde nelle organizzazioni militari il senso di uno scopo superiore e di invulnerabilita'.
3. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA
Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
*
Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
*
Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara
4. INIZIATIVE. AMNESTY INTERNATIONAL: URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
[Dal sito www.amnesty.org riprendiamo e diffondiamo questo appello del 3 aprile 2023]
3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
*
ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE UNTIL: 29 May 2023
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/
5. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: IL GRANDE IMBROGLIO DELLA "SOSTITUZIONE ETNICA"
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo questo intervento del 27 aprile 2023]
Un lemma che andrebbe decisamente abbandonato, al pari di "razza", e' quello di etnia, che, invece, pur avendo, in realta', una valenza discriminatoria, continua a ottenere una straordinaria fortuna, perfino in ambienti intellettuali, oltre che di destra.
Eppure, a decostruire questo pseudo-concetto e a mostrarne la valenza e il significato discriminatori sono comparsi, nel corso del tempo, alcuni volumi scientifici. Il piu' noto, L'imbroglio etnico (Dedalo, Bari 2012), strutturato per parole-chiave, del quale sono ispiratrice e co-autrice insieme con lo storico Rene' Gallissot e l'antropologo Mondher Kilani, ha conosciuto ben tre edizioni: la prima, in francese e in dieci parole-chiave, fu pubblicata nel 2000; la seconda, comparsa nel 2001 in italiano e in una versione piu' ampia (in quattordici parole-chiave), ha conosciuto ben tre ristampe, l'ultima delle quali nel 2012.
Cio' malgrado, un tale lavorio intellettuale sembra non aver suscitato alcun dubbio circa i significati e l'opportunita' dell'utilizzo di "etnia". E' per questa ragione che propongo qui la sintesi di una delle quattordici parti che compongono il volume, tutte introdotte da parole-chiave: e' quella, per l'appunto, su Etnia-etnicita'.
Nel parlare comune, nel linguaggio mediatico e talvolta perfino in quello scientifico, "etnia" ed "etnico" sono adoperati per designare sinteticamente, con un'unica parola, gruppi di popolazione immigrata e minoranze che si distinguerebbero dalle maggioranze per diversita' di costumi e/o di lingua, nonche' per la loro provenienza, per le loro culture, modi e stili di vita. In realta', chi abusa del vocabolario etnico intende alludere a qualche forma di differenza fondamentale e irriducibile: che sia quella data dai caratteri somatici, oppure da una "essenza" culturale premoderna o addirittura da qualche fondamento ancestrale. V'e' anche chi ritiene che "etnia" sia il termine piu' appropriato per nominare le differenze senza ricorrere al vocabolario detto razziale; v'e' chi lo reputa o lo "sente" piu' specifico e pertinente di quello di cultura, meno svalutativo e dunque politicamente piu' corretto di "tribu'".
Vi sono poi perfino alcuni studiosi pronti a sostenere che il lemma "etnia" avrebbe addirittura inaugurato una valutazione delle diverse parti costitutive dell'umanita' piu' razionale e giusta, piu' neutra e a-valutativa di altri. In realta', il vocabolo cela sovente la convinzione o il pregiudizio che le differenze fra culture e modi di vita si fondino su qualche principio ancestrale, su qualche identita' originaria; spesso, in realta', viene adoperato come sinonimo eufemistico di "razza".
In ogni caso, l'uso del termine e della nozione riflette la divisione netta istituita fra la societa' cui appartiene l'osservatore (ritenuta normale, generale e universale) e altri gruppi e culture. Quasi sempre "etnici" sono gli altri/le altre, che, discostandosi dalla norma della societa' dominante e della cultura maggioritaria, sono percepiti/e come differenti, particolari, marginali, periferici, arcaici, attardati, in via d'estinzione o "soltanto" non conformi alla norma nazionale.
Un impiego del tutto particolare del termine, per auto-attribuzione ("etnici siamo noi") da parte di settori della societa' dominante, e' quello del Front National in Francia e, in Italia, della Lega Nord e di altre formazioni di destra, le quali parlano rispettivamente di "etnia francese" e di "etnia padana".
L'etnicizzazione e' un processo non solo di riconoscimento o d'invenzione di differenze culturali, ma anche di classificazione surrettizia, potremmo dire, di gerarchie sociali, economiche, politiche. Etnicizzando dei gruppi sociali, infatti, si tende a mascherare la loro posizione di subordinazione o emarginazione rispetto alla societa' globale.
La cronaca della guerra fratricida nella ex Jugoslavia ha rappresentato il trionfo del modello e delle designazioni etniche, che in tal modo si sono affermati come un indiscutibile dato di fatto e si sono definitivamente consolidati nel linguaggio corrente.
Il che ha concorso non poco alla costruzione delle ideologie che hanno sorretto e mascherato le ragioni della sanguinosa guerra civile col suo orrendo corredo di reciproche "pulizie etniche" (nonche' dell'ideologia che e' servita a dissimulare gli scopi della guerra "umanitaria" della Nato nei Balcani); e ha condotto all'artificiosa separazione di popolazioni che avevano per lungo tempo convissuto e condiviso territorio, lingua, costumi, abitudini, progetto e istituzioni politiche.
Proprio perche' cio' che e' rappresentato come l'Altro/a assoluto/a spesso si rivela assai simile al Noi, e' percepito come una minaccia: e' questo uno dei meccanismi che conducono alle "pulizie etniche".
In definitiva, la nefasta etnicizzazione di un tale conflitto, il ricorso a una strategia che infine condurra' alla secessione, incoraggiata e avallata dalle potenze europee, avevano come principale posta in gioco la redistribuzione del potere.
Anche il conflitto in Ruanda, culminato nei mutui genocidi fra hutu e tutsi, e' stato sottoposto a una lettura in chiave rigidamente etnicista, identitaria, tribalista, che ha lasciato completamente in ombra altre logiche, ben piu' determinanti, trascurando il carattere di conflitto economico, sociale e politico, anzitutto. In realta', nonostante si sia espresso in forme di sanguinosa barbarie, quel conflitto e' stato per molti versi di una "terrificante modernita'", per dirla con lo storico Alessandro Triulzi. La politica di annientamento e' stata, infatti, concepita, pianificata, portata a termine non gia' dai capi tribali dell'interno, ma dalle elite intellettuali urbane.
Pochi ricordano che a etnicizzare la classe aristocratica dei tutsi e quella degli agricoltori hutu furono i colonizzatori, tedeschi prima e belgi poi: gli individui maschi furono classificati e trattati come tutsi o hutu a seconda che possedessero piu' o meno di dieci capi di bestiame. L'interpretazione in chiave etnicista e il linguaggio che ne discende si sono generalizzati e affermati come un'ovvieta', che invece e' opportuno indagare e sottoporre a critica.
A introdurre il termine e la nozione di etnia nella lingua francese fu Georges Vacher de Lapouge, ideologo razzista e sostenitore di programmi eugenetici volti a impedire la "mescolanza razziale".
Dunque, sin dall'inizio l'"etnia" e' connotata da un significato difettivo: e' intesa come un raggruppamento di popolazione cui manca qualcosa di decisivo in rapporto alla societa' cui appartiene l'osservatore, cioe' colui che ha il potere di nominare e definire gli altri e le altre. Insomma, questo lemma viene spesso inteso come somma di tratti negativi o comunque derivanti da incivilta' o arretratezza.
Il colonialismo, in particolare, ha prodotto classificazioni "etniche" basate sull'invenzione di etnonimi spesso del tutto arbitrari: sovente questi erano il risultato della trasposizione semantica, compiuta da etnologi e funzionari coloniali, di toponimi, di nomi che identificavano unita' politiche, di appellativi che indicavano questo o quel gruppo di mestiere oppure di stereotipi con i quali un certo gruppo o popolazione era designato, spesso spregiativamente, dai gruppi vicini o dalle classi dominanti.
Quando, piu' di vent'anni addietro, scrivemmo L'imbroglio etnico fummo si' assai previdenti, ma non fino al punto da immaginare che il futuro ci avrebbe riservato un governo di estrema destra, tale da tirare in ballo la pseudo-teoria del rischio della "sostituzione etnica", dovuta alle persone immigrate e rifugiate.
Infatti, il 18 aprile scorso, Francesco Lollobrigida, cognato della Meloni, nonché Ministro dell'Agricoltura, ha tirato in ballo "il rischio della sostituzione etnica", teoria del complotto tipicamente di estrema destra. Del resto la stessa Meloni, a partire da alcuni anni fa, aveva piu' volte sostenuto tale teoria complottista, sostenendo che la sinistra, a livello mondiale, avrebbe pianificato "un'invasione d'immigrati", quindi "una sostituzione di popoli".
Com'e' ovvio, la teoria (si fa per dire) della "sostituzione etnica" e' giustificata, fra l'altro, da congetture riguardanti i dati relativi alla demografia, in particolare agli andamenti delle nascite.
Tutto cio' ha una lunga storia che risale al dopo la Seconda guerra mondiale, allorche' in ambienti neonazisti si invitava a combattere insieme contro la presunta invasione dell'Europa da parte di "mongoli" e "negri".
La retorica della "sostituzione etnica" e' estremamente pericolosa, nonche', in tal caso, espressione di un governo fascistoide, sicche' sinistra e democratici avrebbero il dovere di aggregarsi e opporsi strenuamente al governo piu' a destra della storia della Repubblica.
6. TESTIMONI. "POETRY FOUNDATION": UN PROFILO DI JAMES WELCH
[Dal sito www.poetryfoundation.org riprendiamo e diffondiamo]
James Welch (1940–2003)
James Welch was a prominent author of novels and poetry featuring the American West. He was born in Browning, Montana, and he attended school on the Blackfeet and Fort Belknap reservations. He studied with Richard Hugo at the University of Montana. Welch received honorary doctorates from Rocky Mountain College and the University of Montana. In 1997 he was honored with a Lifetime Achievement Award from the Native Writers' Circle of the Americas.
In a review of Welch's first book of poetry, Riding the Earthboy Forty, a Saturday Review critic made this prediction: "His poems are alert, sorrowful, and true. For a young man he is very strong... If Welch stays put in his own life, I think his strengths should develop; his voice is clear, laconic, and it projects a depth in experience of landscape, people, and history that conveys a rich complexity. You realize his is not looking at a thing, but seeing into it—which is vision."
Welch's promise was realized in his first novel, Winter in the Blood (1974), the story of a young Native American living on a reservation in Montana. The unnamed narrator is, like Welch, part Blackfoot and part Gros Ventre. He describes himself as a "servant to a memory of death." Both his father and brother are dead; in the course of the novel, his beloved grandmother dies as well. In the New York Times Book Review, Reynolds Price described the narrator's life as a "black sack tied firmly shut." But just as the story "threatens to die in its crowded sack," Price wrote, "it opens onto light - and through natural, carefully prepared, but beautifully surprising narrative means; a recovery of the past; a venerable, maybe lovable, maybe usable past."
Welch's next work, The Death of Jim Loney (1979), about an alienated alcoholic of white and Native American parentage, continues the themes of identity and purpose set down in Winter in the Blood. Fools Crow (1986), Welch's acclaimed third novel, marks a change in direction for the author, telling the story of a band of Blackfoot Native Americans in the Montana Territory in the 1870s. The book follows the life of Fools Crow, who grows from a reckless young warrior to become the tribe's medicine man. A vision Fools Crow has of his tribe's bleak future foreshadows the end of the entire Native American prairie culture - a culture already threatened by disease, the extinction of the buffalo herds, and the encroachment of white settlers.
Welch's ability to recapture the Blackfoot way of life, especially its spiritual aspects, was cited by critics as one of the strengths of the novel. As reviewer Dennis Drabelle commented in Washington Post Book World, "If Fools Crow succeeds... it does so because Welch, himself part Blackfoot, manages to convey a sense of his people's world view." Peter Wild of the New York Times Book Review noted similarly that "the book becomes a series of dreams acted out, a chronicle of the Indians' visions as applied to daily life." Lewis D. Owens, writing in the Los Angeles Times Book Review, stated: "In this novel, Welch is remembering the world of his ancestors, putting that world together again in a way that will tell both author and reader what has been lost and what saved."
Owens argued that Welch's work was significant for other reasons as well. "Perhaps the most profound implication of this novel," Owens suggested, "is that the culture, the world-view brought so completely to life in Fools Crow, is alive and accessible in the self-imagining of contemporary Blackfeet and other American Indians. In recovering the world found in this novel, Welch serves as storyteller, bearer of oral tradition and definer of what it means to be Indian today."
After Fools Crow, Welch returned to a contemporary setting for his next novel, The Indian Lawyer (1990), a tale of corruption involving prominent Native American attorney Sylvester Yellow Calf. Yellow Calf, a leading congressional candidate who also serves on the Montana prison parole board, falls victim to a blackmail scheme after he is seduced by the wife of a prison inmate whose case is under study by the parole board. Afraid that he has compromised his personal ethics as well as his political standing, Yellow Calf drops out of the congressional race and begins a law practice on the reservation where he was born.
Some critics thought The Indian Lawyer accurately reflects the conflicts that exist between white and native cultures. In Washington Post Book World, reviewer Walter Walker remarked, "The concept of a man caught between two worlds is fresh and alive when it comes to American Indians, and Welch handles that beautifully, as he does his physical descriptions of virtually every location in the book." Walker also believed, however, that the novel's weak storyline undermined the author's message, stating, "Like many a human being, The Indian Lawyer starts off with great promise and ends marred by the scars of what might have been." He continued, "James Welch clearly had a very serious idea in mind that is all but lost in the banality of his plot."
After The Indian Lawyer, Welch collaborated with filmmaker Paul Stekler on the PBS documentary Last Stand at Little Bighorn (1992), about the famous 1876 battle in which Native American warriors overwhelmed the forces of U.S. General George Custer. Welch used this documentary experience to produce his first nonfiction work, Killing Custer: The Battle of the Little Bighorn and the Fate of the Plains Indians (1994). The book is not a straightforward historical account but rather a mix of history, narrative, and Welch's ruminations on "how various people—Indian and white—portray the event, remember it, commemorate it and attach meaning to it," explained New York Times Book Review contributor Richard White. Although White criticized Welch for his "heavy-handedness" in dealing with some nuances of the historical event, he praised Welch for creating "both an evocative work of rediscovery and a multilayered examination of how we tell contested stories." Helen Carr, writing in New Statesman & Society, also commended Welch, noting that "The book is evocatively and compellingly written. Welch turns such figures as Sitting Bull and Crazy Horse - and Custer - from exotic icons into understandable men."
The Heartsong of Charging Elk (2000), based loosely on real-life happenings, has as its protagonist a young Oglala Sioux man who witnessed the Battle of the Little Bighorn as a child. Disdaining reservation life after his people surrender to the US Army, in his early 20s he joins Buffalo Bill's Wild West Show. While touring Europe with the show, Charging Elk tries to perform while sick with the flu, but falls from his horse and is injured. He is hospitalized in Marseilles, France, while the rest of the troupe members continue their tour, having made no arrangements for him to join them. US government representatives are unable to have him sent him home, so Charging Elk is left alone in a land where he does not speak the natives' language, nor they his. Eventually he finds work and friends in Marseilles, but his love affair with a prostitute sets in motion a chain of events that culminate with Charging Elk killing a man. He is tried, convicted, and imprisoned, but several years into his sentence he receives a pardon, after which he begins to rebuild his life and think of France as his home.
"Charging Elk is a metaphor for those without a country, or ones who have lost their country in an invasion of force and culture," related Brad Knickerbocker in Christian Science Monitor. The narrative, told partly in flashbacks and dreams, "is sometimes sorrowful, as it would have to be given the way things have turned out for native Americans," Knickerbocker commented. "But in the end, the book is healing and redemptive, a revelation of the human heart and spirit." A Publishers Weekly reviewer remarked that "this story has the potential of melodrama, but Welch tells it quietly, in clear, lucid prose suitable to the restraint of his hero... This is a stirring tale of a man's triumph over circumstances." New York Times Book Review contributor Brigitte Frase, who called the novel "the coming-of-age story in the key of tragedy," noted that "Welch, who began as a poet, has devised a strong plain style for Charging Elk that suggests the rhythms and concepts of the Lakota language. Readers share the constant shocks of strangeness that Charging Elk absorbs as he tries to make sense of an alien civilization." Library Journal reviewer Debbie Bogenschutz described The Heartsong of Charging Elk as "a moving story of cultural alienation and assimilation," while Booklist's Kathleen Hughes deemed it "beautifully written" and "both poignant and enjoyable."
Welch remains best known for his novels. He told Will Nixon in Publishers Weekly, "I think Indians tend toward poetry instead [of fiction]. A lot of people have said that poetry more closely approximates the rhythms of their own traditions, such as songs. And Indians prefer to write poetry because they have something to say about their culture and society and it's harder to be political and polemical in fiction." Welch, though, seems committed to using the novel as a showcase for what Nixon called the author's "real subject... the American Indian's search for identity in his native land."
He died in Missoula, Montana, on August 4, 2003.
7. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA PER CHIEDERE CHE CESSINO PERSECUZIONI ED UCCISIONI
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo di scrivere all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere al governo di quel paese che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare le lettere sono i seguenti: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir
*
Vi proponiamo un possibile testo essenziale:
Egregio ambasciatore,
le chiediamo di trasmettere al governo del suo Paese questa nostra richiesta che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
E' dovere di ogni persona, di ogni societa', di ogni ordinamento giuridico rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutte le donne e di tutti gli uomini.
Tutti gli esseri umani sono eguali in dignita' e diritti, tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla liberta'.
Siamo solidali con le donne iraniane - e con gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Nome e cognome, luogo e data, recapito di chi scrive.
*
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo anche di far circolare questa proposta.
Adoperiamoci affinche' tante persone, tante associazioni, tante istituzioni di tutto il mondo chiedano al governo iraniano che cessino persecuzioni e uccisioni.
Sosteniamo le donne iraniane - e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Grazie di cuore per quanto vorrete fare.
8. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE
Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it
9. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
10. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 123 del 3 maggio 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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