[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 102



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 102 del 12 aprile 2023

In questo numero:
1. Mentre l'umanita' intera
2. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
3. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
4. Paola Ortensi: Agitu Ideo Gudeta, tenere vivi i suoi sogni e la sua memoria
5. Joy Harjo: Conflict Resolution for Holy Beings

1. L'ORA. MENTRE L'UMANITA' INTERA

Mentre l'umanita' intera dovrebbe concentrare tutti i suoi sforzi per salvare dalla fame l'umana famiglia e dalla catastrofe l'intero mondo vivente, i governi assassini ancora persistono nelle guerre che sempre e solo consistono di stragi e distruzioni.
Abolire le guerre, gli eserciti e le armi e' la prima necessita', la prima urgenza.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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Insorgere nonviolentemente occorre contro la guerra.
Insorgere nonviolentemente occorre per salvare tutte le vite.
Insorgere nonviolentemente occorre per salvare l'intero mondo vivente.
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Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.

2. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?

Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
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Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
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E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

3. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA

Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
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Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
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Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara

4. MEMORIA. PAOLA ORTENSI: AGITU IDEO GUDETA, TENERE VIVI I SUOI SOGNI E LA SUA MEMORIA
[Dal sito www.noidonne.org riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo dal titolo "Agitu Ideo Gudeta, tenere vivi i suoi sogni e la sua memoria" e il sommario "Racconto e sintesi della Tavola Rotonda on line organizzata dalla famiglia e dalla Comunita' etiopica in Italia in memoria di Agitu Ideo Gudeta affinche' non si disperda il messaggio di una imprenditrice agricola dall'energia magnetica"]

Tenere vivi i sogni e la memoria di Agitu, non solo un titolo, ma una scelta, un progetto messo in cantiere con la tavola rotonda on line, organizzata sabato 25 marzo, dalla comunita' etiope in Italia e dalla sua famiglia, che ad Agitu ha gia' dedicato una Fondazione con sede in Etiopia.
Un incontro significativo teso a segnare, direi a garantire, la decisione di non far svanire il ricordo e l'energia vitale di questa donna eccezionale, la cui vita e' stata stroncata da un femminicidio, di cui sembra impossibile farsi una ragione.
Non a caso, a confermare la scelta di farla vivere per cio' in cui credeva ed era impegnata, proprio una sintesi di intervista fatta da Slow Food anni prima, e' stata utilizzata quale inizio dell'incontro. Il che ha regalato la sua viva presenza e la sua stessa voce ha raccontato i suoi successi, la storia dell'impresa "La capra felice" in Trentino, suo vero regno nella sua casa italiana. Un'intervista dove, con quel sorriso che conquista, racconta il percorso del suo progetto e del successo raggiunto - ovviamente da implementare ulteriormente - e di come sia riuscita a contaminare i giovani che vivono nel territorio e che la considerano un esempio da emulare.
Per questo e' importante la sua eredita', ricca di risultati e soprattutto di quel suo modo di affrontare la vita.
Agitu aveva una forza incredibile, ricorda la sorella Beth collegandosi dagli Stati Uniti dove vive. Gli obiettivi che si proponeva erano sempre sostenuti dall'energia che le veniva da un credo indiscutibile: "se c'e' la volonta' c'e' sempre la strada", diceva. Una perseveranza, determinazione, speranza, una visione che - come sottolinea Beth - l'ha contraddistinta da bambina, unitamente alla capacita' di credere a se stessa e alla liberta' di osare per realizzare i suoi sogni. Doni che hanno dato una forza d'attrazione magnetica a chi l'ha conosciuta e frequentata. E' anche Emma Bonino a sottolinearlo, con convinzione, ricordando l'evento di un lontano 8 marzo, in cui la conobbe insieme ad altre donne che erano riuscite, tra mille difficolta', a rendere realta', per buona parte, i loro progetti. E tale, sottolinea Bonino prendendo la parola, fu l'impressione d'orgoglio con cui Agitu raccontava il suo cammino, che la rendeva un modello, un esempio che affascinava, da non avere avuto, lei, alcuna esitazione a confermare la sua partecipazione alla Tavola Rotonda e dare il suo contributo a un'occasione in cui si ripercorresse quell'eredita' di energia vitale che Agitu ha lasciato.
Chi l'ha conosciuta e amata, come la sua famiglia e non solo, vuole far vivere questa sua forza, contaminando di questo bene altre donne, altre persone in lotta con i loro sogni. Il desiderio di farne un riferimento ha coinvolto anche me, che ho partecipato all'incontro. Un onore e un privilegio che mi e' stato concesso per avere avuto, anche io quando fu uccisa, l'immediata sensazione di "non volerla lasciare andare", concretizzando tale sentimento in una proposta. Nei giorni successivi alla sua uccisione chiesi all'allora ministra dell'Agricoltura Teresa Bellanova di ripristinare il premio D.E.A. T.E.R.R.A (Donne E Agricoltura Territorio Risorse Rurali Agroambientali), dedicandolo ad Agitu e mettendo come condizioni di premialita' le sue caratteristiche vincenti di donna e imprenditrice agricola formidabile. Lei che con le sue capacita' di contaminare chi la frequentava era divenuta un motore d'energia positiva per l'agricoltura, l'ambiente e il territorio. Lei che delle sue capre aveva fatto un esempio concreto di recupero di biodiversita' e di compatibilita' ambientale.
Agitu che univa ad un'idea di agricoltura sapiente, colta e creativa, un'idea di rapporto tra tradizione e innovazione, d'ambientalismo, di ruralita' complessa, la forza della pervicacia, dell'autostima, dell'amore quale filo conduttore di ogni lavoro.
Un'idea della terra lavorata senza confini che mi fece pensare a lei come autentica cittadina del mondo. Il mio suggerimento, sostenuto dal divulgare la lettera di richiesta alla Ministra grazie al giornale Noidonne, non ebbe risposta. Scoprii piu' tardi che un'idea analoga, con un risultato concreto, l'ebbero fortunatamente alcune donne del suo amato Trentino, che le dedicarono un premio col titolo: "Premio per donne pioniere nell'agricoltura sostenibile in memoria di Agitu Ideo Gudeta".
Allora forse anche da li' si potrebbe ripartire e pensare di fare una delle azioni significative, in futuro. Allargare il premio oltre i confini del Trentino, puntando a renderlo nazionale o internazionale o immaginandolo quale occasione di confronto con esperienze di imprenditrici impegnate nello sviluppo del territorio. Dopo di me ha preso la parola la veterinaria Benedetta Capezzuoli, che su Agitu ha scritto un libro di reale interesse, in cui inquadra la storia di Agitu emigrante, con incredibile attitudine all'integrazione, dall'Etiopia all'Italia e le ragioni che dopo avere studiato sociologia a Trento ed essere tornata nella sua Etiopia che amava, ne e' dovuta fuggire per tornare in Italia, scegliendo il Trentino come casa. Anche Benedetta Capezzuoli ha iniziato il suo intervento con una considerazione che sottolinea la forza magnetica di Agitu : "buca lo sguardo di chi sta con lei" ed e' proprio "intorno a lei che stiamo oggi qui". Si e' soffermata poi a spiegare il fenomeno del land grabbing (accaparramento delle terre), contro cui si era battuta in Etiopia e proprio per questo aveva dovuto lasciare la sua terra, arrivando a conquistare un posto tanto significativo in Italia conquistando tanta gente con il suo entusiasmo, professionalita' ma anche la sua "profondissima spiritualita'", come sottolinea Benedetta.
Ed e' per dare seguito a tutto questo che la famiglia ha voluto dare vita alla Fondazione in suo nome, fondazione voluta dalla famiglia e dalle sorelle e presentata da Jabessa Bayssa,  vicepresidente, che dall'Etiopia racconta le ragioni della costituzione. Un obiettivo, uno strumento che si vuole far crescere, implementare perche' svolga la funzione di promotore, contenitore delle iniziative rivolte a "tenere di Agitu vivi i sogni e la sua memoria. Fra gli obiettivi prioritari: incoraggiare le donne a misurarsi per promuovere le loro imprese utilizzando la tecnologia, scambiandosi le migliori pratiche rispettose del territorio, promuovere l'ambente, aiutare l'integrazione di emigranti nelle comunita', facilitarne, se desiderato, il ritorno nei loro paesi, per citare alcune finalita' ineludibili. Questo rafforzando la volonta' di supportare, affermare, divulgare sempre di piu' la visione" di Agitu in Etiopia, perche' sia imitata e replicata nei suoi orizzonti progettuali; lei ancora cosi' "fresca" nella mente della gente.
Un'idea, per la Fondazione e' gia' nei sogni: "A book project, learning Agitu", lavorare per e con le donne. Il dibattito, continua e si arricchisce ancora della voce di Yemi, un'altra delle sorelle di Agitu che, come Beth, si collega dagli Stati Uniti, dove vivono. Ricorda Agitu con enorme emozione, ringrazia per la partecipazione attiva che circonda e implementa la possibilita' di tenere alta la sua memoria, sottolineando come quella sorella piu' grande, che per lei e' stata una madre, "ha scalato una montagna per i suoi sogni, interrotti violentemente e che dobbiamo portare avanti per quel che possiamo". Yemi ricorda poi, per ben due volte, come Agitu rifiuto' di trasferirsi in America, presso la sua famiglia, garantendosi una vita comoda, a testimonianza di quanto fosse importante il Trentino e l'Italia nella sua scelta di futuro. Sottolinea inoltre l'importanza della Fondazione, che spera possa essere rafforzata e, magari, come era stato detto, riuscendo ad aprire anche uno "sportello" italiano.
Dopo Yemi e' la voce coinvolgente di Roba Jila - amico pastore etiope di Agitu, che con lei ha scambiato sogni e progetti e che ricorda come sorella, amica, mentore - a portare sempre piu' intensa la commozione, riconfermando la volonta' di non smarrire la memoria e le idee di una donna che puo' davvero continuare per la sua capacita' aggregante ad essere un esempio da replicare.
La Tavola Rotonda arricchita in tutto il suo svolgimento dalle voci, dai commenti e considerazioni, che hanno accompagnato il coordinamento di Dagmawi Yimer, il contributo di Carmelo Giordano, di Kiya Negash e del Dr. Zeleke Eresso Goffe - che ha curato la traduzione simultanea dall'italiano all'amarico, lingua nazionale d'Etiopia - si chiude sottolineando che si e' trattato di un primo appuntamento a cui ne seguiranno altri per dare corpo ulteriore alle idee ai progetti a cui si e' accennato.
Una volonta', una promessa che se sara' caratterizzata dalla stessa caparbieta' creativa, con lo stesso coraggio di Agitu, sicuramente identifichera' un percorso segnato da progetti originali e realizzabili che, come la terra insegna a chi vuole guardare e vedere la verita', vanno affrontati senza confini e steccati pregiudiziali.

5. POESIA E VERITA'. JOY HARJO: CONFLICT RESOLUTION FOR HOLY BEINGS
[Dal sito www.poetryfoundation.org riprendiamo la seguente poesia di Joy Harjo, "Conflict Resolution for Holy Beings", poesia che da' il titolo al volume di Eadem, Conflict Resolution for Holy Beings, W. W. Norton & Company, New York - London 2015. Il libro e' stato tradotto egregiamente in italiano dalla benemerita studiosa Laura Coltelli: Joy Harjo, La memoria della terra, Passigli, Bagno a Ripoli (Fi) 2021; li' questa poesia, nel testo originale e nella traduzione italiana, e' alle pp. 160-173. Mette conto avvertire che nel testo originale alcune lasse sono in tondo, altre in corsivo, altre sottolineate; in questa nostra riproduzione non ci e' stato possibile riprodurre tali differenziazioni grafiche.
Dal medesimo sito riprendiamo la seguente notizia sull'autrice:
Joy Harjo (b. 1951) www.joyharjo.com
Joy Harjo was born in Tulsa, Oklahoma, and is a member of the Muscogee (Creek) Nation. She earned her BA from the University of New Mexico and MFA from the Iowa Writers' Workshop. Harjo draws on First Nation storytelling and histories, as well as feminist and social justice poetic traditions, and frequently incorporates indigenous myths, symbols, and values into her writing. Her poetry inhabits landscapes—the Southwest, Southeast, but also Alaska and Hawaii - and centers around the need for remembrance and transcendence. She once commented, "I feel strongly that I have a responsibility to all the sources that I am: to all past and future ancestors, to my home country, to all places that I touch down on and that are myself, to all voices, all women, all of my tribe, all people, all earth, and beyond that to all beginnings and endings. In a strange kind of sense [writing] frees me to believe in myself, to be able to speak, to have voice, because I have to; it is my survival." Her work is often autobiographical, informed by the natural world, and above all preoccupied with survival and the limitations of language. She was named U.S. poet laureate in June 2019.
A critically-acclaimed poet, Harjo's many honors include the Lifetime Achievement Award from the Native Writers Circle of the Americas, the Josephine Miles Poetry Award, the Wallace Stevens Award from the Academy of American Poets, the William Carlos Williams Award from the Poetry Society of America, and the American Indian Distinguished Achievement in the Arts Award. She has received fellowships from the Arizona Commission on the Arts, the National Endowment for the Arts, the Rasmuson Foundation, and the Witter Bynner Foundation. In 2017 she was awarded the Ruth Lilly Prize in Poetry.
In addition to writing poetry, Harjo is a noted teacher, saxophonist, and vocalist. She performed for many years with her band, Poetic Justice, and currently tours with Arrow Dynamics. She has released four albums of original music, including Red Dreams, A Trail Beyond Tears (2010), and won a Native American Music Award for Best Female Artist of the Year in 2009. She has been performing her one-woman show, Wings of Night Sky, Wings of Morning Light, since 2009 and is currently at work on a musical play, We Were There When Jazz Was Invented. She has taught creative writing at the University of New Mexico and the University of Illinois at Urbana-Champaign, Urbana and is currently Professor and Chair of Excellence in Creative Writing at the University of Tennessee, Knoxville. Harjo is a founding board member of the Native Arts and Cultures Foundation.
Harjo's first volume of poetry was published in 1975 as a nine-poem chapbook titled The Last Song. These early compositions, set in Oklahoma and New Mexico, reveal Harjo's remarkable power and insight into the fragmented history of indigenous peoples. Commenting on the poem "3 AM" in World Literature Today, John Scarry wrote that it "is a work filled with ghosts from the Native American past, figures seen operating in an alien culture that is itself a victim of fragmentation... Here the Albuquerque airport is both modern America's technology and moral nature - and both clearly have failed." What Moon Drove Me to This? (1980), Harjo's first full-length volume of poetry, appeared four years later and includes the entirety of The Last Song. The book continues to blend everyday experiences with deep spiritual truths. In an interview with Laura Coltelli in Winged Words: American Indian Writers Speak, Harjo shared the creative process behind her poetry: "I begin with the seed of an emotion, a place, and then move from there... I no longer see the poem as an ending point, perhaps more the end of a journey, an often long journey that can begin years earlier, say with the blur of the memory of the sun on someone's cheek, a certain smell, an ache, and will culminate years later in a poem, sifted through a point, a lake in my heart through which language must come."
Harjo's collections of poetry and prose record that search for freedom and self-actualization. In books such as She Had Some Horses (1983; reissued 2008), Harjo incorporates prayer-chants and animal imagery, achieving spiritually resonant effects. One of Harjo's most frequently anthologized poems, "She Had Some Horses," describes the "horses" within a woman who struggles to reconcile contradictory personal feelings and experiences to achieve a sense of oneness. The poem concludes: "She had some horses she loved. / She had some horses she hated. / These were the same horse." As Scarry noted, "Harjo is clearly a highly political and feminist Native American, but she is even more the poet of myth and the subconscious; her images and landscapes owe as much to the vast stretches of our hidden mind as they do to her native Southwest." Indeed nature is central to Harjo's work. The prose poetry collection Secrets from the Center of the World (1989) features color photographs of the Southwest landscape accompanying Harjo's poems. Praising the volume in the Village Voice, Dan Bellm wrote, "As Harjo notes, the pictures 'emphasize the "not-separate" that is within and that moves harmoniously upon the landscape.'" Bellm added, "The book's best poems enhance this play of scale and perspective, suggesting in very few words the relationship between a human life and millennial history."
Harjo's work is also deeply concerned with politics, tradition, remembrance, and the transformational aspects of poetry. In Mad Love and War (1990) relates various acts of violence, including the murder of an Indian leader and attempts to deny Harjo her heritage, explores the difficulties indigenous peoples face in modern American society. The second half of the book frequently emphasizes personal relationships and change. Leslie Ullman noted in the Kenyon Review, that "like a magician, Harjo draws power from overwhelming circumstance and emotion by submitting to them, celebrating them, letting her voice and vision move in harmony with the ultimate laws of paradox and continual change." Highly praised, the book won an American Book Award and the Delmore Schwartz Memorial Award. In her next books such as The Woman Who Fell from the Sky (1994), based on an Iroquois myth about the descent of a female creator, A Map to the Next World: Poetry and Tales (2000), and How We Became Human: New and Selected Poems (2002), Harjo continues to draw on mythology and folklore to reclaim the experiences of native peoples as various, multi-phonic, and distinct. Using myth, old tales and autobiography, Harjo both explores and creates cultural memory through her illuminating looks into different worlds. As poet Adrienne Rich said, "I turn and return to Harjo's poetry for her breathtaking complex witness and for her world-remaking language: precise, unsentimental, miraculous." In recent collections of poetry and prose Harjo has continued to "expand our American language, culture, and soul," in the words of Academy of American Poets Chancellor Alicia Ostriker; in her judge's citation for the Wallace Stevens Award, which Harjo won in 2015, Ostriker went on to note that Harjo's "visionary justice-seeking art transforms personal and collective bitterness to beauty, fragmentation to wholeness, and trauma to healing."
Harjo's memoir Crazy Brave (2012) won the American Book Award and the 2013 PEN Center USA prize for creative nonfiction. In an interview with Jane Ciabattari, Harjo discussed the meaning of her last name ("so brave you're crazy") and her work's attempt to confront colonization. "Who are we before and after the encounter" of colonization, Harjo asked. "And how do we imagine ourselves with an integrity and freshness outside the sludge and despair of destruction? I am seven generations from Monahwee, who, with the rest of the Red Stick contingent, fought Andrew Jackson at The Battle of Horseshoe Bend in what is now known as Alabama. Our tribe was removed unlawfully from our homelands. Seven generations can live under one roof. That sense of time brings history close, within breathing distance. I call it ancestor time. Everything is a living being, even time, even words." Harjo's other recent books include the children and young adult's book, For a Girl Becoming (2009), the prose and essay collection Soul Talk, Song Language (2011), and the poetry collection Conflict Resolution for Holy Beings (2015), which was shortlisted for the International Griffin Poetry Prize.
Consistently praised for the depth and thematic concerns in her writings, Harjo has emerged as a major figure in contemporary American poetry. While Harjo's work is often set in the Southwest, emphasizes the plight of the individual, and reflects Creek values, myths, and beliefs, her oeuvre has universal relevance. Bellm asserted: "Harjo's work draws from the river of Native tradition, but it also swims freely in the currents of Anglo-American verse - feminist poetry of personal/political resistance, deep-image poetry of the unconscious, 'new-narrative' explorations of story and rhythm in prose-poem form." According to Field, "To read the poetry of Joy Harjo is to hear the voice of the earth, to see the landscape of time and timelessness, and, most important, to get a glimpse of people who struggle to understand, to know themselves, and to survive."
Harjo told Contemporary Authors: "I agree with Gide that most of what is created is beyond us, is from that source of utter creation, the Creator, or God. We are technicians here on Earth, but also co-creators. I'm still amazed. And I still say, after writing poetry for all this time, and now music, that ultimately humans have a small hand in it. We serve it. We have to put ourselves in the way of it, and get out of the way of ourselves. And we have to hone our craft so that the form in which we hold our poems, our songs in attracts the best."]

"I am the holy being of my mother's prayer and my father's song"
(Norman Patrick Brown, Dineh Poet and Speaker)

1. SET CONFLICT RESOLUTION GROUND RULES:

Recognize whose lands these are on which we stand.
Ask the deer, turtle, and the crane.
Make sure the spirits of these lands are respected and treated with goodwill.
The land is a being who remembers everything.
You will have to answer to your children, and their children, and theirs -
The red shimmer of remembering will compel you up the night to walk the perimeter of truth for understanding.
As I brushed my hair over the hotel sink to get ready I heard:
By listening we will understand who we are in this holy realm of words.
Do not parade, pleased with yourself.
You must speak in the language of justice.

2. USE EFFECTIVE COMMUNICATION SKILLS THAT DISPLAY AND ENHANCE MUTUAL TRUST AND RESPECT:

If you sign this paper we will become brothers. We will no longer fight. We will give you this land and these waters "as long as the grass shall grow and the rivers run."

The lands and waters they gave us did not belong to them to give. Under false pretenses we signed. After drugging by drink, we signed. With a mass of gunpower pointed at us, we signed. With a flotilla of war ships at our shores, we signed. We are still signing. We have found no peace in this act of signing.

A casino was raised up over the gravesite of our ancestors. Our own distant cousins pulled up the bones of grandparents, parents, and grandchildren from their last sleeping place. They had forgotten how to be human beings. Restless winds emerged from the earth when the graves were open and the winds went looking for justice.

If you raise this white flag of peace, we will honor it.

At Sand Creek several hundred women, children, and men were slaughtered in an unspeakable massacre, after a white flag was raised. The American soldiers trampled the white flag in the blood of the peacemakers.

There is a suicide epidemic among native children. It is triple the rate of the rest of America. "It feels like wartime," said a child welfare worker in South Dakota.

If you send your children to our schools we will train them to get along in this changing world. We will educate them.

We had no choice. They took our children. Some ran away and froze to death. If they were found they were dragged back to the school and punished. They cut their hair, took away their language, until they became as strangers to themselves even as they became strangers to us.

If you sign this paper we will become brothers. We will no longer fight. We will give you this land and these waters in exchange "as long as the grass shall grow and the rivers run."

Put your hand on this bible, this blade, this pen, this oil derrick, this gun and you will gain trust and respect with us. Now we can speak together as one.

We say, put down your papers, your tools of coercion, your false promises, your posture of superiority and sit with us before the fire. We will share food, songs, and stories. We will gather beneath starlight and dance, and rise together at sunrise.

The sun rose over the Potomac this morning, over the city surrounding the white house.
It blazed scarlet, a fire opening truth.
White House, or Chogo Hvtke, means the house of the peacekeeper, the keepers of justice.
We have crossed this river to speak to the white leader for peace many times
Since these settlers first arrived in our territory and made this their place of governance.
These streets are our old trails, curved to fit around trees.

3. GIVE CONSTRUCTIVE FEEDBACK:

We speak together with this trade language of English. This trade language enables us to speak across many language boundaries. These languages have given us the poets:

Ortiz, Silko, Momaday, Alexie, Diaz, Bird, Woody, Kane, Bitsui, Long Soldier, White, Erdrich, Tapahonso, Howe, Louis, Brings Plenty, okpik, Hill, Wood, Maracle, Cisneros, Trask, Hogan, Dunn, Welch, Gould...

The 1957 Chevy is unbeatable in style. My broken-down one-eyed Ford will have to do. It holds everyone: Grandma and grandpa, aunties and uncles, the children and the babies, and all my boyfriends. That's what she said, anyway, as she drove off for the Forty-Nine with all of us in that shimmying wreck.

This would be no place to be without blues, jazz—Thank you/mvto to the Africans, the Europeans sitting in, especially Adolphe Sax with his saxophones... Don't forget that at the center is the Mvskoke ceremonial circles. We know how to swing. We keep the heartbeat of the earth in our stomp dance feet.

You might try dancing theory with a bustle, or a jingle dress, or with turtles strapped around your legs. You might try wearing colonization like a heavy gold chain around a pimp's neck.

4. REDUCE DEFENSIVENESS AND BREAK THE DEFENSIVENESS CHAIN:

I could hear the light beings as they entered every cell. Every cell is a house of the god of light, they said. I could hear the spirits who love us stomp dancing. They were dancing as if they were here, and then another level of here, and then another, until the whole earth and sky was dancing.

We are here dancing, they said. There was no there.

There was no "I" or "you."

There was us; there was "we."

There we were as if we were the music.

You cannot legislate music to lockstep nor can you legislate the spirit of the music to stop at political boundaries -

- Or poetry, or art, or anything that is of value or matters in this world, and the next worlds.

This is about getting to know each other.

We will wind up back at the blues standing on the edge of the flatted fifth about to jump into a fierce understanding together.

5. ELIMINATE NEGATIVE ATTITUDES DURING CONFLICT:

A panther poised in the cypress tree about to jump is a panther poised in a cypress tree about to jump.

The panther is a poem of fire green eyes and a heart charged by four winds of four directions.

The panther hears everything in the dark: the unspoken tears of a few hundred human years, storms that will break what has broken his world, a bluebird swaying on a branch a few miles away.

He hears the death song of his approaching prey:

I will always love you, sunrise.
I belong to the black cat with fire green eyes.
There, in the cypress tree near the morning star.

6. AND, USE WHAT YOU LEARN TO RESOLVE YOUR OWN CONFLICTS AND TO MEDIATE OTHERS' CONFLICTS:

When we made it back home, back over those curved roads
that wind through the city of peace, we stopped at the
doorway of dusk as it opened to our homelands.
We gave thanks for the story, for all parts of the story
because it was by the light of those challenges we knew
ourselves -
We asked for forgiveness.
We laid down our burdens next to each other.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 102 del 12 aprile 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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