[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 90



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 90 del 31 marzo 2023

In questo numero:
1. Alla violenza onnidistruttiva dei governi impazziti si opponga la nonviolenza salvatrice dei popoli tutti
2. Annamaria Rivera: Nel circolo vizioso del razzismo
3. Andrea Mulas: Linda Bimbi
4. Vittoria Longoni: Anna Bravo
5. "Mitakuye Oyasin". Alcune parole contro la guerra dette a Viterbo e nel viterbese il 24, 25 e 26 febbraio 2022

1. L'ORA. ALLA VIOLENZA ONNIDISTRUTTIVA DEI GOVERNI IMPAZZITI SI OPPONGA LA NONVIOLENZA SALVATRICE DEI POPOLI TUTTI

Salvare le vite e' il primo dovere.
Abolire la guerra, gli eserciti, le armi.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e il mondo vivente dalla catastrofe in corso.

2. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: NEL CIRCOLO VIZIOSO DEL RAZZISMO
[Dal sito di Comune.info riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo del 28 marzo 2023]

Per cominciare, conviene proporre una definizione di razzismo, sia pure imperfetta. Quella che suggerisco e' la sintesi della voce che scrissi per il Grande Dizionario Enciclopedico UTET. Il razzismo - scrivevo - e' definibile come "un sistema di credenze, rappresentazioni, norme, discorsi, comportamenti, pratiche e atti politici e sociali, volti a stigmatizzare, discriminare, inferiorizzare, subordinare, segregare, perseguitare e/o sterminare categorie di persone alterizzate". A mio parere, il termine "razzismo", al singolare, e' preferibile a "razzismi" (molto in voga, anche a sinistra), se vogliamo definire il carattere unitario del concetto, al di la' delle variazioni empiriche del fenomeno.
Il razzismo (al singolare) e' anche un sistema, spesso subdolo, di disuguaglianze economiche e sociali, nonche' giuridiche e di status, che viene riprodotto, avvalorato, legittimato da norme, leggi, procedure e pratiche routinarie: cio' che in altre parole e' detto razzismo istituzionale. Il quale finisce per generare una stratificazione di disuguaglianze in termini di accesso a risorse economiche, sociali, materiali e simboliche (lavoro, status, servizi sociali, istruzione, conoscenza, informazione...). Occorre sottolineare, infatti, l'importanza dei dispositivi simbolici, comunicativi, lessicali che sono in grado di agire direttamente sul sociale, producendo e riproducendo discriminazioni e ineguaglianze.
Quanto alla nozione di "razza" - criticata e poi abbandonata da una buona parte delle stesse scienze sociali e biologiche che avevano contribuito a elaborarla - essa e' una categoria tanto infondata quanto paradossale, essendo basata sul postulato che istituisce un rapporto deterministico fra caratteri somatici, fisici, genetici e caratteri psicologici, intellettivi, culturali, sociali. "Razza" non e' altro che una metafora naturalistica, per dirla con la formula di Colette Guillaumin, sociologa femminista, autrice de L'ideologie raciste. Genese et langage actuel (1972): una delle opere migliori che siano state scritte sul mito della razza e sul razzismo, cio' nondimeno tradotta in Italia assai tardivamente, nel 2022. Tale metafora e' adoperata per naturalizzare non solo le persone alterizzate, ma anche lo stesso processo di svalorizzazione, stigmatizzazione, gerarchizzazione, discriminazione ai danni di taluni gruppi, minoranze, popolazioni.
Nel razzismo odierno, che si e' convenuto di definire "neo-razzismo", il determinismo biologico-genetico e' spesso sfumato, talvolta dissimulato. Al fine di giustificare ostilita', disprezzo o rifiuto degli altri e delle altre, di attuare e legittimare pratiche di discriminazione, segregazione ed esclusione, fino allo sterminio, perlopiu' si essenzializzano differenze o presunte differenze, sociali, culturali, religiose, cosi' da concepirle come a-storiche, assolute, immutabili.
Nondimeno, conviene ricordare che gia' l'antisemitismo moderno era solo in apparenza culturalista e differenzialista: ha ragione Etienne Balibar a sostenere che "il neo-razzismo puo' essere considerato, dal punto di vista formale, come antisemitismo generalizzato".
Di conseguenza, conviene non assolutizzare neppure l'assunto secondo il quale il razzismo dei nostri giorni sarebbe senza razze. In realta', gli slittamenti, il melange, i passaggi dal razzismo biologista a quello detto culturalista, ma anche viceversa, ci sono sempre stati, ci sono tuttora, sono sempre possibili: al momento opportuno puo' riemergere l'immaginario sedimentato della "razza".
Faccio due esempi. Pensate all'impiego corrente della nozione di etnia. Spesso, nell'uso che ne fanno i media, non e' altro che un mascheramento di "razza", per meglio dire un suo sostituto funzionale eufemistico. Altrimenti non si comprenderebbe perche' mai in certi lessici giornalistici italiani, anche mainstream o perfino decisamente di sinistra, possano ritrovarsi espressioni paradossali quali "individuo di etnia cinese" o "di etnia latino-americana".
Insomma, gli altri e le altre, non sono nominabili - simmetricamente al noi - secondo la nazionalita' e la loro singolarita', poiche' si pensa che appartengano a un'entita' collettiva diversa, primitiva o primigenia: l'"etnia", cioe' la "razza".
Tuttavia, vi e' un caso recente che illustra come "etnia" sia usato esplicitamente, anche in rapporto al noi, come sinonimo di "razza". E' quello del leghista Attilio Fontana, attuale governatore della Regione Lombardia, che, da candidato, affermo', in perfetto stile Ku Klux Klan: "Non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca (...) devono continuare a esistere o devono essere cancellate".
In realta', in Italia come in Francia, soprattutto a partire dal 2013 e ora piu' che mai, si assiste a uno sconcertante ritorno della stessa "razza", evocata da immagini e rappresentazioni del tutto simili a quelle che potevano trovarsi nelle pubblicazioni popolari al servizio della propaganda fascista e colonialista: anzitutto il topos che assimila i "negri" a scimmie, col classico corollario di banane.
In Italia, dileggi e ingiurie di tal genere s'intensificarono in modo martellante e quotidiano, soprattutto al tempo del governo Letta prendendo a bersaglio, in particolare, la ex ministra per l'Integrazione, Cecile Kyenge, di origini congolesi: nel 2013 il leghista Roberto Calderoli oso' pubblicamente compararla a un "orango".
Non fosse altro che per questo, alquanto discutibile appare l'impegno profuso da taluni/e studiosi/e, soprattutto francesi e italiani/e, che si rifanno alla "Critica postcoloniale": una tendenza diretta a reintrodurre il termine e la nozione di razza nel lessico delle scienze sociali, in tal modo vanificando quasi un secolo di paziente lavoro critico volto a decostruirli. Per citare solo l'ambito dell'antropologia culturale, e' almeno a partire dagli anni '30 del Novecento che la "razza" inizia a essere confutata da illustri studiosi, soprattutto da antropologi culturali statunitensi, quali Franz Boas e Ashley Montagu, piu' tardi dal cubano Fernando Ortiz (El engano de las razas, 1946): quest'ultimo, purtroppo, mai tradotto, quasi sconosciuto, quindi raramente citato.
Incuranti del rischio di ri-legittimare la "razza" al livello del senso comune, i "post-coloniali" la hanno collocata al centro del loro apparato concettuale, sia pur intendendola come costruzione sociale e dispositivo d'inferiorizzazione, subordinazione, esclusione degli altri e delle altre.
Il ragionamento di alcuni di loro e' riassumibile nei termini di un sillogismo di questo genere: la retorica dei diritti umani ha fatto della "razza" un interdetto; ma, poiche' la discriminazione e il razzismo esistono, per renderli palesi, analizzarli, contrastarli, nominarne le vittime, conviene riesumare il termine di razza.
In verita', qualunque precauzione si prenda, il passato delle parole si sedimenta e persiste: per quanto si faccia lo sforzo di sociologizzarla, "razza" conservera' sempre il significato biologista-determinista che le e' stato attribuito nel XIX secolo.
Come insegna la lunga e tragica storia dell'antisemitismo, qualunque gruppo umano puo' essere razzizzato, indipendentemente dalla visibilita' fenotipica, dalle origini, perfino dalle peculiarita' culturali e sociali. Lo stigma applicato a certe categorie di persone puo' prescindere da qualsiasi differenza, essendo l'esito di un processo di costruzione sociale, simbolica, politica. Si pensi alla razzizzazione di cui furono oggetto in Italia i profughi albanesi nel corso degli anni '90 del Novecento.
Infatti, la stessa percezione dell'evidenza somatica dipende dalla storia, dalla societa', dalla cultura. Tant'e' vero che vi sono state e vi sono societa' per le quali quei caratteri fenotipici o morfologici (soprattutto il colore della pelle), che solitamente sono stati e sono assunti come criterio di distinzione fra le "razze", non avevano (e non hanno) alcun valore tassonomico ne' valevano/valgono a istituire differenze fra individui e gruppi.
Tutto cio' si manifesto' in Italia per la prima volta in forma esemplare nel 1991, a seguito del secondo grande sbarco nel porto di Bari di profughi/e albanesi, che saranno oggetto di un trattamento alla Pinochet (furono rinchiusi nello stadio di quella citta'). Da allora a variare saranno solo i capri espiatori, prescelti in base alle contingenze politiche.
Oggi, con il governo piu' a destra della storia della Repubblica, il quale non ha alcun pudore ad assumere il razzismo come parte del proprio programma e a praticare consapevolmente strategie migranticide su larga scala (si pensi allo sterminio del voluto naufragio di Steccato-Cutro), occorrerebbe che la sinistra, intesa in senso ampio, ponesse al primo posto l'antirazzismo e la lotta contro le discriminazioni.
Piu' volte e da molti anni scrivo del circolo vizioso del razzismo. Cosa intendo dire? Che il razzismo diventa sistemico quando e' direttamente o indirettamente incoraggiato o finanche praticato da istituzioni (oggi perfino dal governo in carica) e da mezzi di comunicazione, non ultimi i cosiddetti social. Cio' per non dire dell'incessante propaganda razzista condotta, in particolare, dall'attuale premier e dal suo ignobile ministro dell'Interno.
Oggi siamo nella fase in cui la formula "circolo vizioso del razzismo" si e' fatta terribilmente concreta.
Facciamo qualche esempio, a partire dalla delegittimazione istituzionale, se non criminalizzazione, non solo delle ONG che praticano ricerca e soccorso in mare, ma pure di chiunque, anche individualmente, compia gesti di solidarieta' verso i/le profughi/e o cerchi d'integrarli/e in un progetto condiviso di comunita' solidale: come nel caso di Riace e del suo ex sindaco, Mimmo Lucano.
E' indubbio che tali esempi di razzismo dall'alto non facciano che incoraggiare e legittimare intolleranza e razzismo "dal basso" (per cosi' dire). Per limitarmi all'Italia, alludo ai numerosi episodi di barricate (reali o simboliche) contro l'arrivo di richiedenti-asilo; ma anche alle numerose rivolte in quartieri popolari contro l'assegnazione di case a famiglie povere, ma non perfettamente "bianche".
Si consideri che la crisi economica, l'impoverimento crescente di strati popolari, lo smantellamento dello stato sociale, la flessibilita' e la precarizzazione del lavoro, l'indebolimento della socialita', la mediocrita' di una politica sempre meno interessata al bene pubblico, producono senso d'incertezza e d'insicurezza, frustrazione e risentimento, che si traducono in ricerca del capro espiatorio.
E' percio' che il razzismo "dal basso" potrebbe essere definito come effetto della socializzazione del rancore, per citare Hans Magnus Enzensberger; e non gia' in termini di sentimenti come paura od odio (quest'ultima parola e' entrata perfino nel lessico d'istituzioni internazionali e di Ong: hate speech, hate crimes).
In questi casi l'ingannevole formula della "guerra tra poveri" non potrebbe essere piu' assurda, visto che spesso, a istigare e guidare tali rivolte, sono militanti di estrema destra. Qui il circolo vizioso arriva fino al rafforzamento e legittimazione, pur implicita, della destra neofascista.
Questa formula si fonda, in sostanza, sull'idea che aggressori e aggrediti sarebbero vittime simmetriche. E' un luogo comune purtroppo condiviso anche da una parte della sinistra, effetto della vulgata di un sociologismo di bassa lega. E' da un buon numero di anni che cerco di smontarla, questa retorica, e di mostrarne l'infondatezza, la superficialita', la fallacia: ma con risultati alquanto scarsi.
Tutto cio' per non dire delle attuali ideologia e strategia migranticide adottate dall'attuale governo italiano e di fatto approvate, se non incoraggiate, dalle istituzioni dell'UE. E' una strategia che da' la priorita' all'esternalizzazione delle frontiere, al blocco delle partenze dalla Libia, alla pretesa di sigillare anche il sud libico stringendo accordi con le peggiori milizie e bande di trafficanti, all'opera di denigrazione e di ostacolo verso le Ong che praticano la ricerca e il soccorso in mare.
E a proposito di trafficanti e scafisti. Spesso nel linguaggio pubblico i passeurs sono definiti "negrieri". E' un'allegoria del tutto impropria, poiche' i/le migranti/e e rifugiati/e li pagano perche' vogliono raggiungere l'Europa, cioe' per ricevere un servizio. Che questo possa essere di qualita' pessima, fino a causare la morte dei migranti, e' colpa soprattutto delle leggi europee sull'immigrazione e delle pratiche conseguenti.
Il termine "schiavi", usato dai razzisti, finisce per negare alle persone migranti ogni soggettivita', ogni autonomia di scelta. Anche in questo caso agisce il processo di naturalizzazione delle persone alterizzate: chi compie quei viaggi e' rappresentato come mero corpo passivo.
Un'altra cattiva parola, per concludere davvero, e' quella di integrazione, che presuppone un processo unidirezionale (meglio sarebbe dire "inserimento sociale"). E non solo: dietro quella parola v'e' l'idea, falsa, che basti assimilarsi all'italiano-medio per essere al sicuro da discriminazioni e razzismo. Noi preferiamo parlare di "transculturazione" e "cittadinizzazione": due termini che denotano processi dinamici e reciproci.

3. MAESTRE, ANDREA MULAS: LINDA  BIMBI
[Dal sito dell'Enciclopedia delle donne (www.enciclopediadelledonne.it) riproponiamo la seguente voce]

Linda Bimbi (Lucca 1925 - Roma 2016)
Missionaria, pedagoga, traduttrice, segretaria generale della Fondazione Internazionale Lelio Basso e' stata impegnata quotidianamente sui fronti piu' caldi dell'emisfero dalla scrivania di via della Dogana Vecchia, perseguendo sempre la ricerca della saldatura tra la coscienza e l'agire, cioe' il "nesso ineludibile tra la trasformazione delle strutture e la liberazione dell'uomo".
Le battaglie a favore dei diritti dei popoli a partire dagli anni Settanta la portarono a incrociare importanti figure che hanno segnato il secondo Novecento come Ernesto Balducci, Davide Maria Turoldo, Lelio Basso, Adolfo Perez Esquivel, Frei Betto, Helder Câmara, Gustavo Gutierrez, Rigoberta Menchu', Luiz Inacio Lula da Silva, Maria Eletta Martini, Luigi Ciotti, Giancarla Codrignani, Estela Barnes de Carlotto, Julio Cortazar, Gabriel García Marquez, Manuel Scorza, Ettore Masina, Eduardo Galeano, Noam Chomsky e tanti altri.
Linda Bimbi nasce a Lucca il 4 luglio 1925, il padre era un commerciante di mobili e la madre una maestrina di campagna. Frequenta il liceo classico Machiavelli dove segue le lezioni del professore Giorgio Colli attorno al quale si forma un gruppo di studenti che in diversi campi incideranno nella storia culturale dell'Italia. Mi riferisco a Mazzino Montinari, storico della filosofia a cui dobbiamo, insieme a Giorgio Colli, la cura dell'ormai leggendaria edizione italiana delle opere di Friedrich Nietzsche, Angelo Pasquinelli, studioso della filosofia presocratica, Gigliola Gianfrancesco, storica della filosofia, Clara Valenziano, giornalista archeologa, Fausto Codino, filologo classico, Luigi Imbasciati, insegnante di storia e filosofia.
Conseguita la laurea in glottologia alla Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' degli Studi di Pisa (1949), invece di proseguire la carriera accademica al fianco dell'insigne professore Tristano Bolelli, sceglie di iniziare il noviziato nell'ordine delle Suore oblate dello Spirito Santo di Lucca che la condurra' all'esperienza di missionaria in diverse citta' del Brasile sin dal 1952. Ma sara' a Belo Horizonte che, insieme alle consorelle e superando numerosi ostacoli, dara' vita al collegio scolastico Helena Guerra che arrivera' a contare circa mille alunne di ogni ordine e grado. Nel 1968 decide di lasciare i voti per scegliere la riduzione allo stato laicale, ma – come ha scritto padre Balducci – consacrando "interamente, senza ritorni indietro, la sua vita alla causa del Vangelo".
Anni dopo dalle pagine del volume Lettere a un amico. Cronache di liberazione al femminile plurale, tornera' su questo periodo particolare e intenso della sua esistenza: "E' difficile comunque capire il fervore innovativo del nostro gruppo di allora se non si tiene presente il clima che si respiro' in Brasile tra il Concilio [Vaticano II] e Medellin", oltre al fatto che Bimbi e' convinta che "la chiesa doveva essere un fermento dentro al mondo", e anche per questo motivo sceglie l'"opcion por los pobres", ovvero la causa dei poveri, la loro lotta, la loro dignita': "Il Vangelo e' riletto a partire dal povero, che non ne e' solo il destinatario, ma il portatore privilegiato, colui che annuncia. Quindi solo in alleanza col povero si puo' elaborare una riflessione teologica. Rileggere il Vangelo significa fare una nuova lettura della storia, che e' stata scritta 'da mano bianca'".
Sia a causa dei metodi educativi adottati nel suo Collegio che si richiamavano agli insegnamenti del pedagogo brasiliano Paulo Freire ritenuti rivoluzionari dalla giunta militare, che per il sostegno a un gruppo di giovani democratici universitari, e' costretta a fuggire repentinamente dal Brasile il 13 maggio 1969 poiche' era stato spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti. Le sue alunne ancora oggi la ricordano come una persona che ha sparso semi durante tutto l'arco della sua vita.
Giunta a Roma, nel 1971, Bimbi inizia la collaborazione con il Centro di documentazione internazionale Idoc (International documentation on the contemporary church) che produce la rivista quindicinale "Idoc Internazionale" (edita dall'Editrice Queriniana di Brescia) e che rappresenta la prima pubblicazione interconfessionale in Italia, come avanguardia intellettuale europea all'interno del dibattito sulle prospettive del mondo cattolico, e non solo, nel fermento della teologia della liberazione.
A partire dal 1972 inizia a lavorare, insieme al senatore Lelio Basso, all'organizzazione del Tribunale Russell II sull'America latina, raccogliendo in tutta Europa centinaia di storie: "Qui a Colonia l'esperienza e' stata agghiacciante, come del resto quasi tutto questo solitario viaggio attraverso l'Europa alla ricerca dei testimoni per la prima sessione del Tribunale Russell II. Gli ex-torturati vivono come bestie acquattate nelle loro tane".
Le tre sessioni del Tribunale Russell II sui crimini commessi dai regimi militari e dalle multinazionali (Roma 1974, Bruxelles 1975, Roma 1976) rappresentano la prima denuncia a livello internazionale che scuote le coscienze popolari in tutto il mondo e via della Dogana Vecchia 5 diventa un punto di riferimento per gran parte degli esuli latino-americani e i loro familiari.
"Basta rovesciare l'ordito della tela che appare il disegno del diritto dei popoli, che sposta dai governi ai popoli il diritto di essere soggetti della propria storia", suggerisce la segretaria della Fondazione Internazionale Lelio Basso, secondo la quale i "nuovi soggetti" sono i movimenti di liberazione nazionale, i gruppi di pressione per i diritti umani, le Comunidades de base do Brasil, le Madres de Plaza de Mayo e cosi' via: "i popoli devono essere soggetti di storia e non oggetto di cronaca", ripete spesso.
Ed e' nel perseguimento di questo obiettivo che Bimbi conosce la giovane avvocata Marianella García Villas, presidente della Comision de Derechos Humanos de El Salvador e collaboratrice dell'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero (assassinato sull'altare nel corso dell'omelia da paramilitari il 24 marzo 1980), che era impegnata da anni a denunciare a livello internazionale le violazioni dei diritti umani commesse nel suo paese (1). Il 14 marzo 1983, ha rammentato Bimbi, "il telefono squillo' di buon mattino alla Fondazione Lelio Basso: la voce femminile, lontana, si identifico'. Poi il messaggio: 'la compagna Marianella e' caduta ieri'" (2).
Linda Bimbi e' stata impegnata a dare una prospettiva e una capacita' interpretativa alla Fondazione Internazionale Lelio Basso nel comprendere i nuovi paradigmi economici, sociali e politici pur preservando il filo conduttore della continuita', che a giudizio della segretaria generale si esprimeva "nella priorita' che da sempre cerchiamo di dare al vero soggetto della storia, che e' il popolo, cosi' difficile da definire in sede teorica, ma sempre emergente, attraverso connotazioni diverse, nella dialettica onnipresente tra movimenti e istituzioni, tra etnie e nazioni, tra minoranze e Stato" (3).
Nel 1976, per il decennale della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli (nota come Carta di Algeri), in un intervento ad Assisi, torna ancora una volta sulla prospettiva "rivoluzionaria" della piena affermazione dei diritti umani a livello internazionale: "Oggi e' rivoluzionario sostenere che le comunita' degli uomini, cioe' i popoli e le minoranze sono i veri soggetti della storia. [...] Percio' oggi, se vogliamo aggiornare la comprensione della battaglia per i diritti umani, non e' sufficiente denunciare i fatti: bisogna indagare sulle cause delle violazioni. E la causa e' l'impossibilita' storica, obiettiva dei popoli, cioe' della gente comune, di gestire il proprio destino" (4).
Tra i numerosi collaboratori e amici che l'hanno conosciuta, e' significativa la testimonianza di Luciana Castellina: "sebbene coetanea di Linda, Linda e' stata per me quasi una maestra. Da lei ho imparato moltissimo. Provenivamo da una diversa cultura ed esperienza politica – lei dal cattolicesimo impegnato, poi fortemente segnata dalla Teologia della Liberazione; io dal Partito comunista italiano – e pero' il nostro dialogo e' stato subito facile, direi anzi naturale, e di li' e' nata una collaborazione stretta e anche un'amicizia. Fra le tante cose che mi ha insegnato c'e' naturalmente il Brasile, la sua vera patria, ma anche molto di quanto mi era sconosciuto della fede".
Per rammentare il suo impegno, il 13 maggio dello scorso anno il Municipio VIII di Roma ha apposto nel cortile dell'Istituto romano San Michele, dove ha sede la Comunita' di consorelle, una targa sulla quale e' scolpita la seguente frase: "Qui visse con le sorelle Linda Bimbi. Educatrice dei poveri, compagna dei desaparecidos, sorella dei perseguitati, voce dei popoli oppressi", e a settembre l'Instituto Federal de Educaçao, Ciencia e Tecnologia – Campus Avare' dell'Universidad de Sao Paulo le ha dedicato la sua nuova biblioteca.
In Fondazione tutti la chiamavamo Linda, era sempre attenta e curiosa dei punti di vista delle giovani generazioni, e per questo motivo insieme a un gruppo di giornalisti nel 2005 fonda la Scuola di Giornalismo Lelio Basso, che amava definire una "palestra di idee" con l'obiettivo di addestrare i giovani aspiranti giornalisti al senso critico.
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Fonti, risorse bibliografiche, siti
Linda Bimbi, Lettere a un amico. Cronache di liberazione al femminile plurale, Ernesto Balducci (introduzione di), Marietti, Genova 1990.
Mario Mirri, Renzo Sabbatini, et al. (a cura di), L'impegno di una generazione. Il gruppo di Lucca dal Liceo Machiavelli alla Normale nel clima del Dopoguerra, Franco Angeli, Milano 2014.
Andrea Mulas, Linda Bimbi. Tanti piccoli fuochi inestinguibili. Scritti sull'America latina e i diritti dei popoli, Adolfo Perez Esquível (prefazione di), Nova Delphi, Roma 2018.
Raniero La Valle, Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli: una storia latinoamericana, Feltrinelli, Milano 1983.
Linda Bimbi (a cura di), Religione, oppio o strumento di liberazione?, Arnoldo Mondadori Editore, Verona 1972.
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Note
1. R. La Valle, L. Bimbi, Marianella e i suoi fratelli: una storia latinoamericana, Feltrinelli, Milano 1983.
2. Intervento a Ravenna (luglio 1987), dattiloscritto. Fondo Linda Bimbi.
3. L. Bimbi, La Fondazione come laboratorio collettivo, "I diritti dei popoli", novembre 1985, dattiloscritto. Fondo Linda Bimbi.
4. L. Bimbi, Ma dove abita la speranza?, cit. Fondo Linda Bimbi.

4. MAESTRE. VITTORIA LONGONI: ANNA BRAVO
[Dal sito dell'Enciclopedia delle donne (www.enciclopediadelledonne.it) riproponiamo la seguente voce]

Anna Bravo, Torino 1938 - 2019

"E' resistenza civile quando si tenta di impedire la distruzione di cose e beni ritenuti essenziali per il dopo, o ci si sforza di contenere la violenza intercedendo presso i tedeschi, ammonendo i resistenti perche' "non bisogna ridursi come loro"; quando si da' assistenza in varie forme a partigiani, militanti in clandestinita', popolazioni, o si agisce per isolare moralmente il nemico; quando ci si fa carico del destino di estranei e sconosciuti, sfamando, proteggendo, nascondendo qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra"
(In guerra senza armi, 2015)

Anna Bravo si faceva subito riconoscere da amiche, conoscenti e interlocutori per ampiezza culturale, gentilezza, indipendenza di giudizio, coerenza coi suoi valori di fondo, orientati al femminismo, alla pace e alla nonviolenza.
Nata nel 1938, antifascista da sempre, negli anni Settanta aveva gia' alle spalle significative esperienze di lotta e di militanza nel Pci e nei movimenti sociali e politici della sinistra e delle donne, ma anche studi approfonditi nel campo della storia (soprattutto orale) e contatti col mondo intellettuale e accademico di Torino.
Le sue prime pubblicazioni infatti risalgono agli anni Sessanta, in particolare ricordiamo La Repubblica partigiana dell'Alto Monferrato, Torino, 1964.
In quegli anni si esprimeva come una persona di cultura profonda e raffinata, ma capace di rapporti cordiali e simpatetici con donne e uomini di ogni eta' e condizione sociale, partecipe del clima gioioso e libertario delle lotte della nuova sinistra.
Il suo impegno e' ulteriormente cresciuto nel dibattito degli anni Settanta, soprattutto nell'ambito di Lotta Continua; in particolare ha condiviso con parecchie altre militanti il tentativo (molto combattuto) di portare anche in quell'organizzazione il punto di vista e la presenza delle donne. Istanze femministe e pacifiste (in battaglie interne e spesso di minoranza), si sono espresse e intrecciate negli anni in cui l'esperienza di Lotta Continua ha fatto i conti col proprio esaurimento e con la presenza di contrasti non piu' mediabili, fino allo scioglimento, avvenuto nel 1976.
L'impegno femminista di Anna e' proseguito in sintonia con le esperienze dei collettivi dell'area torinese, rivolti soprattutto alla dimensione sociale (Intercategoriale sindacale, lotte all'Ospedale S. Anna, contrasto alla violenza sulle donne, costruzione di Archivi), ma accogliendo anche gli apporti del femminismo dell'autocoscienza; e ha innervato il proseguimento del suo lavoro di docente presso l'Universita' di Torino. Questo impegno su piu' livelli e' sfociato nei suoi importantissimi saggi dedicati alla storia delle donne, soprattutto mediante l'uso di fonti orali.
Docente di storia sociale all'Universita' di Torino, ha pubblicato anche testi rivolti all'insegnamento nelle scuole superiori: ha curato Donne e uomini nelle guerre mondiali (Laterza, 1991), ha pubblicato con Anna Maria Bruzzone In guerra senza armi (Laterza, 1995) e con Lucetta Scaraffia Storia sociale delle donne (Laterza, 2001) e poi I Nuovi fili della memoria. Uomini e donne nella storia, (Laterza, 2003: manuale per le scuole superiori, curato con Anna Foa e Lucetta Scaraffia). Tra i suoi scritti dedicati al pacifismo e alla riflessione sulle lotte degli anni Settanta ricordiamo La vita offesa (Franco Angeli, 2004); Sopravvissuti (Alinari, 2004, con Liliana Picciotto Fargion); A colpi di cuore. Il Sessantotto (Laterza, 2008); Intervista a Primo Levi, ex deportato (Einaudi, 2010, a quattro mani con Federico Cereja); La conta dei salvati, (Laterza, 2013); Raccontare per la storia, Einaudi, 2014.
L'attenzione che da sempre ha dedicato al tema della resistenza antifascista e' proseguita per tutti questi decenni, in particolare mediante la valorizzazione dell'esperienza della resistenza civile.
Anna Bravo ha assunto l'importante impegno di componente attiva del Comitato Scientifico della Fondazione Alex Langer, che da molti anni promuove settimane di studi e riconoscimenti a donne e uomini che nel mondo operano per la pace, la convivenza, il superamento delle barriere etniche e linguistiche, per la costruzione di "ponti" tra le differenze.
Negli anni Novanta ha lavorato nel campo del pacifismo in molti modi, sia attraverso i suoi scritti sia collaborando con gruppi di studio e interventi nelle scuole. Un impegno che ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il conferimento nel 2018 del Premio Nazionale "Nonviolenza" da parte dell'Associazione Cultura della Pace e del Comune di Sansepolcro. La motivazione del conferimento del Premio le riconosce questi meriti: "per i suoi studi sulle donne, sull'impegno sociale da loro profuso, sulla resistenza armata e su quella nonviolenta, che hanno contribuito alla comprensione, progettazione, costruzione ed edificazione di una societa' solidale, nonviolenta e pacifica".
Anna Bravo e' stata una voce attiva nel dibattito interno alle varie forme di femminismo e ha tenuto sempre viva l'attenzione al contrasto alla sofferenza e alla violenza, e al rispetto dei diritti umani.
La ricordiamo come un'amica preziosa, una persona di cultura profonda, coerente nei suoi valori, portatrice di un pensiero complesso, lucido e autonomo. E' mancata improvvisamente nel novembre del 2019, ha ancora molto da dirci mediante i suoi testi e la sua vita.

5. REPETITA IUVANT. "MITAKUYE OYASIN". ALCUNE PAROLE CONTRO LA GUERRA DETTE A VITERBO E NEL VITERBESE IL 24, 25 E 26 FEBBRAIO 2022

Ricostruite a memoria queste sono alcune delle parole contro la guerra dette dal responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", Peppe Sini, nel corso di due incontri svoltisi presso la struttura nonviolenta viterbese giovedi' 24 febbraio, in un incontro di testimonianza svoltosi a Cura di Vetralla (Vt) la sera di venerdi' 25 febbraio, e durante la manifestazione in piazza della Repubblica a Viterbo nel pomeriggio di sabato 26 febbraio 2022.
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1. La guerra e' un crimine contro l'umanita'
La guerra scatenata dall'autocrate russo contro la popolazione ucraina e' un crimine mostruoso e un'abissale follia.
La guerra e' sempre e solo un crimine contro l'umanita', poiche' essa sempre e solo consiste dell'uccisione di esseri umani.
Tutte le vittime sono nostre sorelle e nostri fratelli perche' siamo un'unica umana famiglia in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Occorre opporsi a tutte le guerre, a tutte le stragi, a tutte le uccisioni.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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2. Cessate il fuoco
Da tutto il mondo deve farsi sentire la voce dell'umanita': cessate il fuoco, cessate di uccidere, si aprano immediatamente negoziati di pace, l'esercito invasore si ritiri dai territori occupati.
"Cessate il fuoco" e' la prima richiesta dell'umanita' intera.
"Cessate il fuoco" e' il primo bisogno e il primo dovere.
Fermare le stragi e le devastazioni.
Soccorrere immediatamente tutte le vittime.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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3. Contro tutte le guerre, contro tutti i fascismi
Ci opponiamo a questa guerra cosi' come ci siamo opposti alle tante altre guerre che nel corso della nostra vita si sono verificate.
Ci opponiamo a questa invasione armata cosi' come ci siamo opposti alle tante altre invasioni armate che nel corso della nostra vita si sono verificate.
Ci opponiamo a questa aggressione terrorista e stragista come ci siamo opposti alle tante altre aggressioni terroriste e stragiste che nel corso della nostra vita si sono verificate.
Ci opponiamo alla violenza fascista sempre: la violenza e' sempre fascista, la guerra e' sempre totalitaria.
Ci opponiamo alla violenza militarista e imperialista, maschilista e razzista, schiavista e rapinatrice, devastatrice e distruttrice: la violenza e' sempre fascista, la guerra e' sempre totalitaria.
Ci opponiamo alla violenza nell'unico modo concreto e coerente, nitido e intransigente: con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.
Ci opponiamo alla violenza che sta minacciando di distruzione l'umanita' intera e l'intero mondo vivente.
Dopo Auschwitz e dopo Hiroshima l'umanita' sa la verita': che la guerra e' nemica assoluta dell'umanita' tutta; che o l'umanita' abolira' la guerra o la guerra annientera' l'umanita'.
Dopo Auschwitz e dopo Hiroshima l'umanita' sa la verita': che occorre soccorrere, accogliere, assistere ogni essere umano bisognoso di aiuto, che siamo una sola umanita' di persone tutte diverse l'una dall'altra ma insieme tutte uguali in dignita' e diritti, e che per ogni essere umano deve valere il diritto alla liberta', alla giustizia, alla fraternita', alla misericordia, alla convivenza e alla condivisione fra tutte e tutti di tutto il bene e di tutti i beni.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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4. Abolire la guerra, costruire la pace
La guerra non si puo' contrastare con i mezzi della guerra, che invece l'alimentano in una spirale di inabissamento dell'umanita' intera verso l'autodistruzione.
La pace si puo' costruire solo con mezzi di pace.
Se una cosa la storia dell'umanita' ci insegna e' che la violenza sempre e solo genera altra violenza.
Se una cosa la storia dell'umanita' ci insegna e' che la regola aurea che deve presiedere a tutte le relazioni tra gli esseri umani e tra gli esseri umani e l'intero mondo vivente e' "agisci nei confronti degli altri cosi' come vorresti che gli altri agissero verso di te".
Tutte le grandi tradizioni culturali dell'umanita' ci chiamano a un primo, fondamentale, ineludibile dovere: non uccidere.
Tutte le grandi tradizioni culturali dell'umanita' ci chiamano a un primo, fondamentale, ineludibile dovere: salvare le vite.
Tacciano le armi, che sono sempre assassine. Si aboliscano le armi, che sono sempre assassine.
Si fermino gli eserciti, che sono sempre assassini. Si aboliscano gli eserciti, che sono sempre assassini.
Si insorga nonviolentemente contro tutte le guerre, contro tutte le armi, contro tutti gli eserciti.
Si insorga nonviolentemente contro tutti i poteri fascisti, che sono sempre assassini.
Pace, disarmo, smilitarizzazione; giustizia e liberta', democrazia e solidarieta'; riconoscimento e riconoscenza per l'umanita' intera; convivenza dell'umanita' intera, nonviolenza come scelta vitale dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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5. Fermare la follia assassina, in tutte le piazze del mondo si manifesti la volonta' di pace dell'umanita' intera
Fermare la follia assassina dell'autocrazia russa, fermare la follia assassina dell'imperialismo americano, fermare la follia assassina del razzismo e dello schiavismo europei, fermare la follia assassina dei fanatismi pseudoreligiosi, fermare la follia assassina delle dittature locali e globali, fermare la follia assassina del modo di produzione e del sistema di potere che sta distruggendo il mondo vivente e riducendo l'umanita' a condizioni subumane, che sta portando l'intera civilta' umana, l'intero consorzio umano, alla catastrofe; fermare la follia assassina del maschilismo che e' la prima radice e il primo paradigma di tutte le violenze.
In tutte le piazze del mondo si manifesti la volonta' di pace, di giustizia e liberta', di solidarieta' e di nonviolenza, la volonta' di vivere dell'umanita' intera.
Siamo una sola umanita'.
Solo la pace salva le vite.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno comune per la comune liberazione e per la salvezza dell'umanita' intera e dell'intero mondo vivente.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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6. E quindi ripetiamo ancora una volta...
E quindi ripetiamo ancora una volta cio' che in questi giorni di angoscia andiamo ripetendo.
La prima cosa da fare contro la guerra e' chiedere l'immediato "cessate il fuoco", chiedere che si cessi immediatamente di uccidere. Salvare le vite e' il primo dovere.
E per chiedere il "cessate il fuoco" occorre manifestare nelle piazze di tutto il mondo, poiche' siamo una sola umana famiglia in quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita', ed ogni vittima di ogni guerra, ogni vittima di ogni strage, ogni vittima di ogni uccisione e' un nostro fratello, una nostra sorella.
Ma e' evidente che fare questa richiesta, preliminare e indispensabile, non basta.
La seconda cosa da fare contro la guerra e' iniziare noi qui a contrastare la guerra nell'unico modo in cui e' possibile contrastare veramente la guerra: con il disarmo, con la smilitarizzazione, con la scelta concreta e coerente della nonviolenza.
E poiche' non si puo' chiedere il disarmo altrui se non si comincia col proprio, non si puo' chiedere la smilitarizzazione altrui se non si comincia con la propria, non si puo' chiedere ad altri di scegliere la nonviolenza se non si comincia noi stessi ad agire contro la violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza, allora occorre che cominciamo noi a disarmare, cominciamo noi a smilitarizzare, cominciamo noi ad abbracciare la nonviolenza che nella situazione presente del mondo e' l'unica - l'unica - risorsa che resta all'umanita' per salvare se' stessa ed il mondo vivente dalla catastrofe.
E per essere chiari ed espliciti.
I. Occorre sciogliere immediatamente la Nato che e' un'organizzazione terrorista e stragista che minaccia l'umanita' intera e sta portando il mondo al disastro; sciogliere la Nato e processarne i vertici per crimini contro l'umanita' e' il primo indispensabile passo per fermare le guerre in corso - non solo in Europa ma ovunque nel mondo - e costruire la pace.
La Nato impedisce una politica di pace, di sicurezza e di solidarieta' europea, essendo asservita agli interessi statunitensi che confliggono flagrantemente con quelli europei (ed en passant: la Russia e' parte dell'Europa, gli Usa no).
La Nato e' in contrasto con l'impegno di pace sancito da tutte le Costituzioni democratiche (in primis quella italiana).
L'esistenza e l'azione della Nato in questi ultimi trent'anni e' stata una costante spinta alla guerra, al riarmo, alla promozione della sopraffazione e della violenza.
II. Occorre dare seguito all'impegno sancito dall'Onu di proibire tutte le armi nucleari.
L'Italia ospita armi nucleari americane? Deve imporne lo smantellamento e la distruzione.
L'Italia fa parte dell'Unione Europea e nell'Unione Europea vi sono paesi con armamento nucleare? L'Italia deve battersi per il loro smantellamento e la loro distruzione.
Le armi nucleari minacciano la distruzione dell'umanita' intera, chiunque lo sa. E' diritto e dovere di ogni essere umano, di ogni umano consorzio ed ordinamento giuridico sostenere l'impegno deliberato dall'Onu di proibire tutte le armi nucleari. Si smantellino tutti gli arsenali atomici, si garantisca un futuro all'umanita'.
III. Sono oltre trent'anni che l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana viene sistematicamente violato da governi e parlamenti proni alla guerra, alla sua logica, ai suoi strumenti, ai suoi apparati; e tanti esseri umani - e tra essi tanti soldati italiani - sono morti in tante parti del mondo per questo. E' semplicemente mostruoso.
L'Italia torni finalmente all'integrale rispetto dell'articolo 11 della sua carta costituzionale, della sua legge fondamentale, che testualmente, esplicitamente, inequivocabilmente "ripudia la guerra".
IV. Si sperperano risorse ingentissime per le spese militari, mentre la popolazione si impoverisce, mentre sarebbe necessario usare delle risorse del pubblico erario per aiutare chi e' piu' in difficolta'.
Si inizi dunque una drastica e progressiva riduzione delle spese militari del nostro paese; e' infame spendere tanti pubblici denari per strutture e pratiche finalizzate alla guerra e quindi all'uccidere gli esseri umani; e' infame spendere tanti pubblici denari per le armi in cui scopo e' uccidere gli esseri umani; e' infame far prevalere la volonta' di uccidere sulla volonta' di vivere. Salvare le vite e' il primo dovere.
V. Nonostante il nostro ordinamento abbia da tempo riconosciuta de jure la "difesa civile non armata e nonviolenta", de facto ancora non e' iniziata la necessaria e urgentissima transizione dalla difesa armata alla difesa civile non armata e nonviolenta, quella "difesa popolare nonviolenta" che tutti gli studiosi seri ed onesti - e tutte le esperienze storiche fondamentali dell'ultimo secolo - indicano come necessita' assoluta ed improcrastinabile per la salvezza dell'umanita'.
E' l'ora di avviare la difesa popolare nonviolenta se vogliamo impedire la distruzione dell'umanita' e l'irreversibile devastazione del mondo vivente.
Cessare di uccidere.
Salvare le vite.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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7. E quindi ripetiamo ancora una volta...
E quindi ripetiamo ancora una volta cio' che andiamo ripetendo ormai da anni ed anni.
Ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza dell'umanita' intera.
Siamo una sola famiglia umana in un unico mondo vivente di cui siamo insieme parte e custodi. Mitakuye Oyasin.
Datta. Dayadhvam. Damyata. Shanti shanti shanti.
Salvare le vite e' il primo dovere.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 90 del 31 marzo 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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