[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 78



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 78 del 19 marzo 2023

In questo numero:
1. Un appello di donne: Addio alle armi. Nel mondo con uno sguardo femminile amorevole e irriducibile
2. Una lettera per la liberazione di Leonard Peltier
3. Alcuni riferimenti utili
4. Francesca Mannocchi: Kabul, partire o morire
5. Francesca Luci: La rivolta si riaccende ballando intorno ai fuochi dell'Iran
6. Per tre donne senza nome assassinate a Roma or non e' guari
7. Debora Migliucci: Teresa Noce

1. REPETITA IUVANT. UN APPELLO DI DONNE: ADDIO ALLE ARMI. NEL MONDO CON UNO SGUARDO FEMMINILE AMOREVOLE E IRRIDUCIBILE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo e diffondiamo il seguente appello del 2 febbraio 2023]

Per un otto marzo memorabile facciamo parlare la lingua-ragione, la lingua madre, fonte della vita, contro le non-ragioni di tutte le guerre. Da anni scriviamo e ripetiamo che gli uomini "non sanno confliggere e fanno la guerra". Assistiamo in Ucraina a una guerra sanguinosa e temeraria. A farla non e' piu' il patriarcato come l'hanno conosciuto le nostre madri e le nostre nonne. Il mondo e' cambiato, grazie alle donne, ma non abbastanza: oggi il patriarcato non c'e' piu', ma gli e' subentrata la fratria, fatta di confraternite maschili che possono includere anche sorelle. La fratria fa la guerra e non ascolta la lingua-ragione, e popoli che parlano la stessa lingua si scannano col contributo delle armi di tutti i governi aderenti alla Nato. Diciamo basta all'invio di armi di qualsiasi tipo. Basta alla guerra per procura. Basta alla devastazione dell'Ucraina. Basta col nichilismo distruttivo che prende a bersaglio i corpi delle donne e dei loro figli in tutto il mondo. Basta coi vecchi potenti che mandano al macello giovani vite, in nome dell'identita', della "democrazia" e della sicurezza dei confini.
Noi non staremo nel coro degli uomini incolti e delle donne che li seguono e li imitano. E' tempo di dire addio alle armi, a tutte le armi e a tutte le guerre. In tempo di autentica pace si confligge con le armi della parola e l'intelligenza d'amore. E' tempo di gridare il nostro desiderio di vita e liberta'.
Liberta' dalla guerra, si', ma non solo: anche in luoghi apparentemente in pace, la fratria nella sua ricerca di nuovi orizzonti di profitto e nel suo disprezzo per la fonte della vita vuole cancellare tutte le differenze e rendere il mondo un deserto asessuato di surrogati e robot che sostituiscano la ricchezza delle relazioni di corpi sessuati. Noi che amiamo la vita diciamo no alla mercificazione dei corpi con le piu' sofisticate tecnologie. Poniamo fine alla pulsione mortifera dell'ultraliberismo.
Ci piace ricordare le parole che Rosa Luxemburg scrisse in una lettera dal carcere nel 1918:
C'e' ancora molto da vivere e tanto di grande da affrontare. Stiamo assistendo all'affondare del vecchio mondo, ogni giorno ne scompare un pezzo. E' un crollo gigantesco, e molti non se ne accorgono, pensano di essere ancora sulla terraferma.
Facciamo in modo che dal crollo del vecchio mondo, retto dai paradigmi della forza, del dominio, della violenza, nasca una nuova convivenza che abbia a fondamento l'attenzione, la cura, l'amore del vivente.
Diamo vita in questo 8 marzo 2023 a iniziative che vadano in questa direzione.
A Milano ne discutiamo sabato 11 marzo alle 11,00 in un'assemblea pubblica di donne alla Casa Rossa, v. Monte Lungo 2 (MM1 Turro).
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Per contatti: addioallearmi2023 at gmail.com
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Laura Minguzzi, Silvia Baratella, Cristina Gramolini, Stella Zaltieri Pirola, Lucia Giansiracusa, Daniela Dioguardi, Roberta Trucco, Daniela Danna, Paola Mammani, Flavia Franceschini, Marilena Zirotti, Danila Giardina, Rosi Castellese, Mariella Pasinati, Anna La Mattina, Agata Schiera, Fausta Ferruzza, Virginia Dessy, Daniela Musumeci, Anna De Filippi, Stefania Macaluso, Mimma Glorioso, Eliana Romano, Bice Grillo, Ida La Porta, Francesca Traina, Anna Marrone, Mimma Grillo, Luciana Tavernini, Pina Mandolfo, Nunziatina Spatafora, Maria Castiglioni, Giovanna Minardi, Rita Calabrese, Concetta Pizzurro, Giovanna Camertoni, Roberta Vannucci, Adele Longo, Katia Ricci, Anna Potito, Rosy Daniello, Isa Solimando, Franca Fortunato, Nadia Schavecher

2. REPETITA IUVANT. UNA LETTERA PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Di seguito una proposta di testo della lettera da inviare al Presidente degli Stati Uniti d'America recante la richiesta della grazia presidenziale per Leonard Peltier, e le istruzioni per inviarla attraverso il sito della Casa Bianca.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: copiare e incollare il messaggio seguente:
Mr. President,
Although I reside far from your country, I am aware of the injustice that has persisted for 47 years against Leonard Peltier, who was denied a review of his trial even after exculpatory evidence emerged for the events of June 26, 1975 on the Pine Ridge (SD) reservation where two federal agents and a Native American lost their lives.
I therefore appeal to your supreme authority to pardon this man, now elderly and ill, after nearly half a century of imprisonment.
I thank you in advance for your positive decision, with best regards.
Traduzione italiana del testo che precede:
Signor Presidente,
sebbene io risieda lontano dal Suo Paese, sono consapevole dell'ingiustizia che persiste da 47 anni nei confronti di Leonard Peltier, al quale e' stata negata la revisione del processo anche dopo che sono emerse prove a discarico per gli eventi del 26 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge (South Dakota) in cui persero la vita due agenti federali e un nativo americano.
Mi appello quindi alla Sua suprema autorita' affinche' conceda la grazia a questo uomo, ormai anziano e malato, dopo quasi mezzo secolo di detenzione.
La ringrazio fin d'ora per la Sua decisione positiva, con i migliori saluti.
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Allegati:
1. una minima notizia biografica su Leonard Peltier;
2. una minima notizia bibliografica su Leonard Peltier.
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1. una minima notizia biografica su Leonard Peltier
Leonard Peltier nasce a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944.
Nell'infanzia, nell'adolescenza e nella prima giovinezza subisce pressoche' tutte le vessazioni, tutte le umiliazioni, tutti i traumi e l'emarginazione che il potere razzista bianco infligge ai nativi americani. Nella sua autobiografia questo processo di brutale alienazione ed inferiorizzazione e' descritto in pagine profonde e commoventi.
Nei primi anni Settanta incontra l'American Indian Movement (Aim), fondato nel 1968 proprio per difendere i diritti e restituire coscienza della propria dignita' ai nativi americani; e con l'impegno nell'Aim riscopre l'orgoglio di essere indiano - la propria identita', il valore della propria cultura, e quindi la lotta per la riconquista dei diritti del proprio popolo e di tutti i popoli oppressi.
Partecipa nel 1972 al "Sentiero dei trattati infranti", la carovana di migliaia di indiani che attraversa gli Stati Uniti e si conclude a Washington con la presentazione delle rivendicazioni contenute nel documento detto dei "Venti punti" che il governo Nixon non degna di considerazione, e con l'occupazione del Bureau of Indian Affairs.
Dopo l'occupazione nel 1973 da parte dell'Aim di Wounded Knee (il luogo del massacro del 1890 assurto a simbolo della memoria del genocidio delle popolazioni native commesso dal potere razzista e colonialista bianco)  nella riserva di Pine Ridge - in cui Wounded Knee si trova - si scatena la repressione: i nativi tradizionalisti ed i militanti dell'Aim unitisi a loro nel rivendicare l'identita', la dignita' e i diritti degli indiani, vengono perseguitati e massacrati dagli squadroni della morte del corrotto presidente del consiglio tribale Dick Wilson: uno stillicidio di assassinii in cui i sicari della polizia privata di Wilson (i famigerati "Goons") sono favoreggiati dall'Fbi che ha deciso di perseguitare l'Aim ed eliminarne i militanti con qualunque mezzo.
Nel 1975 per difendersi dalle continue aggressioni dei Goons di Wilson, alcuni residenti tradizionalisti chiedono l'aiuto dell'Aim, un cui gruppo di militanti viene ospitato nel ranch della famiglia Jumping Bull in cui organizza un campo di spiritualita'.
Proprio in quel lasso di tempo Dick Wilson sta anche trattando in segreto la cessione di una consistente parte del territorio della riserva alle compagnie minerarie.
Il 26 giugno 1975 avviene l'"incidente a Oglala", ovvero la sparatoria scatenata dall'Fbi che si conclude con la morte di due agenti dell'Fbi, Jack Coler e Ronald Williams, e di un giovane militante dell'Aim, Joe Stuntz, e la successiva fuga dei militanti dell'Aim superstiti guidati da Leonard Peltier che riescono ad eludere l'accerchiamento da parte dell'Fbi e degli squadroni della morte di Wilson.
Mentre nessuna inchiesta viene aperta sulla morte della giovane vittima indiana della sparatoria, cosi' come nessuna adeguata inchiesta era stata aperta sulle morti degli altri nativi assassinati nei mesi e negli anni precedenti da parte dei Goons, l'Fbi scatena una vasta e accanita caccia all'uomo per vendicare la morte dei suoi due agenti: in un primo momento vengono imputati dell'uccisione dei due agenti quattro persone: Jimmy Eagle, Dino Butler, Leonard Peltier e Bob Robideau.
Dino Butler e Bob Robideau vengono arrestati non molto tempo dopo, processati a Rapid City ed assolti perche' viene loro riconosciuta la legittima difesa.
A quel punto l'Fbi decide di rinunciare a perseguire Jimmy Eagle e di concentrare le accuse su Leonard Peltier, che nel frattempo e' riuscito a riparare in Canada; li' viene arrestato ed estradato negli Usa sulla base di due affidavit di una "testimone" che lo accusano menzogneramente del duplice omicidio; la cosiddetta "testimone" successivamente rivelera' di essere stata costretta dall'Fbi a dichiarare e sottoscrivere quelle flagranti falsita'.
Peltier viene processato non a Rapid City come i suoi compagni gia' assolti per legittima difesa ma a Fargo, da una giuria di soli bianchi, in un contesto razzista fomentato dall'Fbi.
Viene condannato a due ergastoli nonostante sia ormai evidente che le testimonianze contro di lui erano false, estorte ai testimoni dall'Fbi con gravi minacce, e nonostante che le cosiddette prove contro di lui fossero altrettanto false.
Successivamente infatti, grazie al Freedom of Information Act, fu possibile accedere a documenti che l'Fbi aveva tenuto nascosti e scoprire che non era affatto il cosiddetto "fucile di Peltier" ad aver ucciso i due agenti.
In carcere, si organizza un tentativo di ucciderlo, che viene sventato in modo rocambolesco; ma anche se riesce a salvarsi la vita Leonard Peltier viene sottoposto a un regime particolarmente vessatorio e le sue condizioni di salute ben presto si aggravano.
Tuttavia anche dal carcere, anche in condizioni di particolare durezza, Leonard Peltier riesce a svolgere un'intensa attivita' di testimonianza, di sensibilizzazione, di militanza, finanche di beneficenza; un'attivita' non solo di riflessione e d'impegno morale, sociale e politico, ma anche artistica e letteraria; nel corso degli anni diventa sempre piu' un punto di riferimento in tutto il mondo, come lo fu Nelson Mandela negli anni di prigionia nelle carceri del regime dell'apartheid.
La sua liberazione viene chiesta da illustri personalita', ma e' costantemente negata da parte di chi ha il potere di concederla. Analogamente la richiesta di un nuovo pronunciamento giudiziario e' sempre respinta, cosi' come gli vengono negate tutte le altre guarentigie riconosciute a tutti i detenuti.
Nel 1983 e poi in seconda edizione nel 1991 viene pubblicato il libro di Peter Matthiessen che fa piena luce sulla persecuzione subita da Leonard Peltier.
Nel 1999 viene pubblicata l'autobiografia di Leonard Peltier (presto tradotta anche in francese, italiano, spagnolo e tedesco).
Ma nei primi anni Duemila il processo per la tragica morte di un'altra militante del'Aim, Anna Mae Aquash, viene strumentalizzato dall'Fbi per orchestrare una nuova squallida e grottesca campagna diffamatoria e persecutoria nei confronti di Leonard Peltier. E nel 2009 un agente speciale che aveva avuto un ruolo fondamentale nella "guerra sporca" dell'Fbi contro l'Aim, Joseph Trimbach, da' alle stampe un libro che e' una vera e propria "summa" delle accuse contro Leonard Peltier.
Tuttavia e' ormai chiarissimo che Peltier e' innocente, e la prova definitiva dell'innocenza la da' proprio il libro di Trimbach: in quest'opera il cui scopo dichiarato e' dimostrare che l'Aim e' nient'altro che un'organizzazione criminale e terroristica, e che Leonard Peltier e' nient'altro che un efferato assassino, l'autore non solo non presenta alcuna vera prova contro Peltier, ma di fatto conferma cosi' che prove contro Peltier non ci sono.
Ma gli anni continuano a passare e la solidarieta' con Leonard Peltier non riesce ad ottenerne la liberazione. Occlusa proditoriamente la via giudiziaria, resta solo la grazia presidenziale, ma quando alcuni presidenti statunitensi lasciano intendere di essere disposti a prendere in considerazione un atto di clemenza che restituirebbe la liberta' a Leonard Peltier la reazione dell'Fbi e' minacciosa. Clinton prima e Obama poi rinunciano. Pavidita' dinanzi alla capacita' di intimidazione anche nei confronti della Casa bianca da parte dell'Fbi?
E giungiamo ad oggi: Leonard Peltier, che e' gia' affetto da gravi patologie, alcuni mesi fa e' stato anche malato di covid: nuovamente chiediamo al presidente degli Stati Uniti che sia liberato e riceva cure adeguate. Non muoia in carcere un uomo innocente, non muoia in carcere un eroico lottatore per i diritti umani di tutti gli esseri umani e per la difesa del mondo vivente.
Leonard Peltier deve essere liberato non solo perche' e' anziano e malato, ma perche' e' innocente.
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2. una minima notizia bibliografica su Leonard Peltier
- Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996 (ora Roberto Massari Editore, Bolsena Vt).
- Peter Matthiessen, In the Spirit of Crazy Horse, 1980, Penguin Books, New York 1992 e successive ristampe; in edizione italiana: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, Milano 1994.
- Leonard Peltier (con la collaborazione di Harvey Arden), Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin's Griffin, New York 1999; in edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005.
- Jim Messerschmidt, The Trial of Leonard Peltier, South End Press, Cambridge, MA, 1983, 1989, 2002 (disponibile in edizione digitale nel sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info)-
- Bruce E. Johansen, Encyclopedia of the American Indian Movement, Greenwood, Santa Barbara - Denver - Oxford, 2013 e piu' volte ristampata.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, Agents of Repression: The FBI's Secret Wars Against the Black Panther Party and the American Indian Movement, South End Press, Boulder, Colorado, 1988, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, The COINTELPRO Papers: Documents from the FBI's Secret Wars Against Dissent in the United States, South End Press, Boulder, Colorado, 1990, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Joseph H. Trimbach e John M. Trimbach, American Indian Mafia. An FBI Agent's True Story About Wounded Knee, Leonard Peltier, and the American Indian Movement (AIM), Outskirts Press, Denver 2009.
- Roxanne Dunbar-Ortiz, An Indigenous Peoples' History of the United States, Beacon Press, Boston 2014.
- Dick Bancroft e Laura Waterman Wittstock, We Are Still Here. A photographic history of the American Indian Movement, Minnesota Historical Society Press, 2013.
- Michael Koch e Michael Schiffmann, Ein leben fur Freiheit. Leonard Peltier und der indianische Widerstand, TraumFaenger Verlag, Hohenthann 2016.

3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

4. L'ORA. FRANCESCA MANNOCCHI: KABUL, PARTIRE O MORIRE
[Dal quotidiano "La stampa" riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo del 15 marzo 2023]

Cinquantasette delle settantanove vittime del naufragio di Cutro arrivavano dall'Afghanistan. Avevano lasciato il Paese con le loro famiglie. Erano uomini, donne e bambini che continuano a essere offese e oltraggiate anche da morte. Salme che dovrebbero essere riportate in un Afghanistan che pero' non ha relazioni diplomatiche dirette con l'Italia ne' con altri Paesi occidentali.
E' solo l'ultima, dolorosa evidenza della distanza che c'e' tra gli slogan, le frasi a favore di telecamera e i dati di realta', cioe' i numeri.
Il primo: l'Afghanistan e' uno dei cinque Paesi che genera piu' rifugiati al mondo. Sette rifugiati su dieci, nel 2022, provenivano da Siria, Venezuela, Ucraina, Sud Sudan e, appunto, Afghanistan.
Il secondo: le Nazioni Unite stimano che due terzi della popolazione, ovvero 28 milioni di persone, avranno bisogno di assistenza nel 2023, quattro milioni in piu' rispetto allo scorso anno. Di questi 28 milioni, 19 milioni soffrono di insicurezza alimentare, sei sono a rischio di carestia.
Il terzo: con 4,6 miliardi di dollari, l'appello umanitario delle Nazioni Unite per l'Afghanistan del 2023 e' il piu' alto al mondo. Fondi necessari ma che non arrivano, perche' sanzionati e isolati dal resto del mondo, i talebani hanno allontanato i donatori che hanno smesso di fornire prima gli aiuti allo sviluppo e oggi anche quelli d'emergenza. L'appello dello scorso anno per 4,4 miliardi di dollari e' stato finanziato solo al 58%, poco piu' della meta'.
Per le famiglie afghane significa non avere da mangiare, scegliere quale figlio sfamare. Per chi puo', e ha ancora i mezzi, le possibilita' sono due: aspettare aiuti che non arrivano o scegliere la fuga, sperando di arrivare in un luogo che possa garantire loro l'asilo, la protezione internazionale. Un diritto che hanno, o meglio che avrebbero se riuscissero a raggiungere in sicurezza un altro Paese. Cioe' quello che provano a fare illegalmente, in assenza di canali legali.
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Le punizioni esemplari, gli omicidi mirati
Una delle vittime del naufragio di Cutro era Torpekai Amrkhel. Aveva 42 anni, era una giornalista e stava provando a raggiungere l'Europa con il marito e i figli, prima di morire annegata. I corpi di due dei loro bambini sono stati recuperati, mentre uno dei figli, di sette anni, risulta ancora disperso. Torpekai Amrkhel era stata una voce della radio nazionale afghana, un lavoro con cui aveva cercato di prestare ascolto alle donne del suo Paese e raccontarle, nei loro desideri, nelle loro frustrazioni, nelle contraddizioni che animavano il Paese. Provava a dare visibilita', la stessa che era al centro del suo ultimo progetto prima della fuga, un viaggio fotografico nei mondi femminili afghani. Pensava di riuscire a portarlo a termine, nonostante i talebani. Ma non ce l'ha fatta. Per quelle come lei, che avevano lavorato con le istituzioni occidentali, vivere significava essere ogni giorno esposti al rischio di una punizione esemplare. E Torpekai Amrkhel aveva lavorato per l'Unama, la Missione delle Nazioni Unite per l'Afghanistan. Particolare che rende ancor piu' tragica la sua morte nelle acque europee. La fuga di Torpekai Amrkhel e della sua famiglia era una fuga dalla paura, dalla poverta' ma anche dalle esecuzioni mirate che i talebani hanno messo in atto da quando hanno preso il potere.
Punizioni contro chi ha fatto parte delle forze di sicurezza afghane, chi e' stato membro del precedente governo. Colpiscono chi manifesta il dissenso, chi mette in discussione la loro gestione del potere. Persino chi, come Mursal Nabizada, era stata severa e lucida anche nel criticare la gestione del potere di Ashraf Ghani e del parlamento di cui aveva fatto parte.
Mursal Nabizada, originaria di Nangharar, aveva solo 26 anni quando vinse le elezioni. Aveva prestato giuramento in Parlamento nel 2019, era lo specchio di un pezzo di societa' afgana che si sentiva proiettato a un futuro di costruzione dei diritti, era cresciuta in una stagione in cui - nonostante la guerra, le vittime, gli attentati quotidiani - una generazione tentava di stabilire una cultura dell'emancipazione da opporre a quella dell'oscurantismo. Aveva visto tornare migliaia di ragazzine sui banchi di scuola. C'era tanta strada da fare, ancora. Lo sapeva bene. Ma essere una delle 69 donne in un Parlamento di 250 seggi le dava speranza che passo dopo passo i diritti si sarebbero fatti strada anche in una societa' cosi' tradizionalista come quella afghana.
Dopo la presa del potere da parte dei talebani era una delle poche donne parlamentari rimaste nel Paese, mentre tutti gli altri cercavano di scappare temendo per la loro incolumita', Nabizada, pur rispettando e comprendendo le scelte delle sue colleghe, aveva scelto di restare. Sia perche' abbandonare Kabul senza poter garantire anche ai suoi parenti di andare via le sembrava intollerabile, sia perche' era determinata nel trovare una strada per continuare ad aiutare la sua gente.
Nabizada era giovane e piena di speranze, ma non cieca. Conosceva il Paese in cui viveva, sapeva che Kabul non e' l'Afghanistan, conosceva le ragioni del consenso dei talebani nelle aree rurali e in parte condivideva le critiche e le insofferenze dei suoi concittadini verso l'inefficienza dei governi precedenti. Le condivideva al punto che, dopo il crollo del governo di Ashraf Ghani, Mursal Nabizada era stata netta. Parlando alla televisione nazionale aveva detto: "Nel precedente governo tutti amavano la propria posizione di potere, nessuno voleva perdere posizione e stipendio e tutti usavano i propri poteri e la propria autorita' per favorire se' stessi e non per aiutare la povera gente".
Erano state la corruzione e le lotte intestine a favorire l'ascesa talebana. Non solo ne era consapevole, ma aveva avuto il coraggio di denunciarlo.
Con lo stesso coraggio era rimasta a vivere nell'Afghanistan dei talebani lavorando per un ente di beneficienza. Con lo stesso coraggio ha sfidato l'amministrazione talebana dicendo che anche la loro gestione del potere subiva l'influenza di Paesi esterni, osteggiando la chiusura delle scuole femminili: "Ora le donne sono imprigionate, vivono come sepolte vive in una tomba". Un rimprovero pubblico che non le e' stato perdonato.
A meta' gennaio e' stata uccisa a colpi d'arma da fuoco davanti casa, insieme alla sua guardia del corpo.
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Il ritiro del 2021, le sanzioni e il collasso
La sopravvivenza degli afghani ha a che fare con l'oscurantismo dell'Emirato Islamico ma ha anche a che fare con gli effetti devastanti delle sanzioni economiche che hanno seguito la presa del potere da parte talebana. In piu', per negare loro l'accesso ai fondi, l'amministrazione Biden ha poi congelato piu' di 7 miliardi di dollari di riserve del governo afghano detenute nella Federal Reserve Bank di New York.
Prima dell'agosto del 2021, l'economia afghana dipendeva per il 75% dall'assistenza straniera. Significa che con i fondi internazionali venivano pagati non solo progetti di sviluppo ma anche gli stipendi dei dipendenti. Nei primi mesi di dominio talebano le sanzioni occidentali e le restrizioni bancarie hanno portato rapidamente l'Afghanistan all'isolamento economico. La Banca Centrale Afghana non puo' piu' interagire con il sistema bancario internazionale e le istituzioni finanziarie internazionali. I governi donatori, guidati dagli Stati Uniti, hanno incaricato la Banca mondiale di tagliare circa 2 miliardi di dollari di assistenza internazionale esterna che la banca gestiva attraverso l'Afghanistan Reconstructive Trust Fund (ARTF) per pagare gli stipendi di milioni di insegnanti, operatori sanitari e altri lavoratori essenziali, e attraverso progetti finanziati dall'Associazione Internazionale per lo Sviluppo (IDA). Anche il Fondo monetario internazionale, USAID, e la Banca asiatica di sviluppo (ADB) hanno tagliato i finanziamenti, con la conseguenza che milioni di famiglie dalla sera alla mattina sono state private delle fonti primarie di reddito che avevano garantito loro la sopravvivenza per anni. Nei dodici mesi successivi al ritorno al potere dei talebani, secondo i dati del Programma Alimentare Mondiale, quasi nessuna famiglia, in Afghanistan ha riportato forme di reddito. Milioni di persone senza entrate. Ecco perche' la contraddizione della poverta' del Paese e' tutta nell'immagine dei suoi mercati e delle sue botteghe. Piene di cibo che nessuno puo' comprare. Spinti dal rapido peggioramento delle condizioni di vita nel Paese, a dicembre 2021 e febbraio 2022, gli Stati Uniti hanno rilasciato alcune "licenze" che consentono alle organizzazioni internazionali di fornire cibo e prodotti agricoli, sostenere gli ospedali pubblici e pagare gli stipendi di insegnanti e operatori sanitari. Autorizzano inoltre le banche a elaborare transazioni relative a queste attivita' senza essere punite.
Ma la Banca Centrale afghana resta tagliata fuori dal sistema bancario internazionale, non puo' accedere alle sue attivita' in conti esteri, perche' le banche centrali degli Stati Uniti e di altri Paesi, e la Banca Mondiale, ancora non riconoscono le credenziali di nessun attuale funzionario bancario. E, secondo i funzionari delle Ong, molti gruppi umanitari, organizzazioni umanitarie e istituti bancari rimangono cauti nel violare le sanzioni statunitensi.
L'effetto e' una crisi permanente, un tentativo continuo di tamponare un'emergenza che non diminuisce e non lascia spazio alla ripresa economica del Paese, cioe' l'unica possibilita' per gli afgani di fuggire dalla poverta' che minaccia le loro vite e le destina all'attesa di aiuti esterni che sono sempre di natura emergenziale.
Tradizionalmente, infatti, gli aiuti sono classificati come umanitari o per lo sviluppo. I primi si concentrano sulla risposta alle crisi e sugli sforzi salvavita, mentre i secondi sono progetti a lungo termine e dovrebbero essere orientati a sviluppare l'economia di un Paese per prevenire crisi future.
All'Afghanistan, oggi, sono indirizzati solo aiuti salvavita che oltre a essere largamente insufficienti, servono solo a tamponare una crisi che peggiora di giorno in giorno e non prevedono alcun progetto che possa ripristinare un settore pubblico funzionante, emancipare milioni di persone da una vita condizionata dall'aiuto umanitario.
Sono un palliativo. Necessario, ma pur sempre un palliativo.
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L'eredita' occidentale
Il mese scorso un'inchiesta del Wall Street Journal ha svelato che piu' di 7 miliardi di dollari in attrezzature militari fornite dagli Stati Uniti e dagli alleati sarebbero oggi in mano talebana.
Secondo il rapporto, il ritiro improvviso e non coordinato dall'Afghanistan, i problemi di pianificazione e la mancata supervisione dell'assistenza militare hanno non solo contribuito al crollo del governo sostenuto dall'Occidente, ma hanno lasciato nelle mani dei talebani un arsenale che include aerei, missili, dispositivi di comunicazione e dispositivi biometrici. E' un pezzo della rovinosa ritirata occidentale.
Oggi i talebani sono un fatto. E' un fatto la loro amministrazione. E' un fatto il mancato rispetto dei diritti umani. Cosi' come e' un fatto che i corridoi umanitari, su cui pure il nostro Paese e' impegnato, non siano sufficienti a salvare la vita dei tanti che non resistono piu' sotto l'Emirato Islamico. I tanti che, sfiniti dalla poverta' e dall'oscurantismo, preferiscono rischiare la vita dei loro figli in viaggi lunghi e pericolosi che farli morire di fame in Afghanistan.
La crisi umanitaria afghana riguarda tutto l'Occidente che per vent'anni ha investito miliardi in spese militari e che oggi assiste alle morti in mare di chi non e' riuscito a salvare.
I morti in mare di Cutro ci impongono non solo uno sguardo lucido su cosa accada li', ma soprattutto ci impongono un dilemma. Inghiottire la pillola di collaborare con l'amministrazione talebana per assicurare i servizi minimi a milioni di persone o perseguire la politica delle sanzioni che hanno dimostrato di non piegare la rigidita' talebana e, forse, non piegare il consenso di un pezzo di Paese che l'Occidente non ha mai voluto conoscere.

5. L'ORA. FRANCESCA LUCI: LA RIVOLTA SI RIACCENDE BALLANDO INTORNO AI FUOCHI IN IRAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo del 16 marzo 2023]

Sono passati sei mesi dalla morte di Mahsa Amini che in Iran ha provocato l'ondata di proteste che ha posto una delle piu' grandi sfide mai affrontate dal regime clericale nei suoi 44 anni. Nell'ultimo mese la forte repressione, le migliaia di arresti e le esecuzioni sommate alla forte crisi economica hanno costretto i manifestanti a un passo indietro.
Ma ormai e' evidente che gli iraniani, sotto la calma apparente, covano il fuoco delle loro rivendicazioni sintetizzate nello slogan "Donna, Vita, Liberta'". L'avversita' popolare verso il governo si manifesta in ogni occasione e diventa un rompicapo per chi governa.
Martedi' sera gli iraniani hanno celebrato Chahar-shanbe Souri. Nella notte prima dell'ultimo mercoledi' dell'anno, vanno ad accogliere Nowruz, il capodanno persiano del 21 marzo, accendendo fuochi, saltandoci sopra, sparando fuochi d'artificio per scongiurare il male, le calamita' e esprimere i propri desideri.
La cerimonia ha le sue radici negli antichi rituali persiani. Il fuoco e' un elemento essenziale della festa. Agli occhi degli iraniani, e' l'unico tra i quattro elementi della natura che non viene inquinato, simbolo di luce, purezza, freschezza, creativita', vita, salute; e' il segno piu' importante di Dio sulla terra.
Quest'anno la festa si e' trasformata in protesta anti-regime in molte citta' tra cui Teheran, Sanandaj, Gorgan, Rasht, Baneh, Saqqez, Mashhad, Zanjan. Malgrado le intimidazioni e le minacce delle autorita', donne e uomini si sono radunati attorno al fuoco, ballando e gridando slogan contro il potere. Alcuni giovani hanno lanciando fuochi d'artificio contro le forze di sicurezza.
Purtroppo la festa ha lasciato sul terreno 11 morti e oltre 3.500 feriti a causa di incidenti in varie citta'. La festa e' una usanza pre-islamica e non ha niente a che vedere con la religione. Dopo la rivoluzione islamica del 1979 il potere clericale ha tentato di eliminare le tradizioni popolari considerate non islamiche e persino anti-islamiche. Invece molti iraniani hanno cercato di rafforzare tali rituali legati alla Persia pre-islamica. Oggigiorno la festa e' diventata un simbolo nazionale per contrastare il pensiero dell'islam politico.
Le proteste hanno cambiato forma negli ultimi due mesi, gli iraniani hanno trovato molti modi meno pericolosi di manifestare e far sentire la loro voce. Le ragazze e le donne occupano un posto importante in questa lotta e ne simboleggiano la punta di diamante.
L'8 marzo, Giornata internazionale della donna, un gruppo di cinque ragazze adolescenti di un quartiere di Teheran, Ekbatan, hanno registrato una clip mentre ballano su una canzone di Selena Gomez e della cantante nigeriana Rema. La clip e' diventata rapidamente virale sulla rete, milioni di visualizzazioni in breve tempo.
Con il loro gesto hanno infranto il divieto per le donne di ballare in pubblico e indossare il velo obbligatorio. Una sfida che il regime non ha tollerato. Le autorita' hanno identificato e arrestato le ragazze. Sono state detenute per circa 48 ore e costrette a tornare nel punto in cui avevano registrato il loro primo video per registrarne un secondo in cui si pentivano, con la testa coperta.
Anche la seconda clip e' diventata virale e in risposta sono state sversati nella rete centinaia di video con ragazze che ballano in solidarieta' con le cinque adolescenti. Il regime sembra che sia terrorizzato dalle ragazze e dalle donne. Martedi', il parlamento ha rilasciato nuove regole per affrontare le donne senza velo.
Verranno identificate attraverso videosorveglianza istallata nei luoghi turistici, ricreativi e commerciali, farmacie, treni, aerei e anche negli spazi virtuali e punite secondo la legge. I proprietari e gli operatori di questi centri sono responsabili dell'osservanza dell'hijab e in caso contrario verranno puniti anche loro.
Recentemente le autorita' hanno sigillato Palazzo Ameri, un'importante attrazione turistica a Kashan, e una fattoria biologica tra le 18 migliori pratiche nel turismo ecologico, Matin Abad Eco-Resort, per mancata osservanza del velo da parte di visitatrici e clienti.

6. REPETITA IUVANT. PER TRE DONNE SENZA NOME ASSASSINATE A ROMA OR NON E' GUARI

I.

Tre donne assassinate in uno stesso giorno da uno stesso uccisore seriale
nella capitale dell'impero del mondo costrutto a guerre e schiavitu'
nel gigantesco colosseo del mondo in cui le vittime
non dai leoni ma dagli uomini vengono sbranate tra i ruggiti

Dell'uccisore seriale il nome le immagini le gesta tutti i mass-media replicano
delle tre donne neppure i volti neppure i nomi
erano solo merce che respirava

Dell'uccisore seriale la societa' dello spettacolo fa un eroe del nostro tempo
e di tutti i tempi
guerriero e selvaggio come i personaggi
che i divi del cinema offrono ogni sera alle famiglie riunite
dagli schermi televisivi veleno versando
in ogni casa all'ora della mensa stanca prima del sonno

Nell'uccisore seriale la societa' industriale
la societa' del capitale si rispecchia
produttore e distruttore insieme
automatico nei gesti sempre piu' esperti sempre piu' letali
accumulatore e massimizzatore nell'arte della morte
che nuovi mercati schiude profittevoli al profitto
ed all'investimento che non puzza

Nell'uccisore seriale si rispecchiano i signori della guerra
sola igiene del mondo
la grande scacchiera
dove annientare e' mestieri
dove il sesso l'artiglio il becco lo sguardo rapace
sono un unico strumento
di vittoria e godimento

Delle vittime sacrificate soltanto resta
un generico ricordo e sprezzante
erano carne da consumo per maschi
erano merce che si compra e si rompe
erano articoli di modico prezzo
erano donne straniere e migranti
e nel mondo fascista dei maschi ogni donna lo e'

Delle vittime sacrificate non c'e' niente da dire
si sa che chi e' debole muore
e si sa che chi muore era debole
e che questo e' il mondo dei forti che uccidere sanno
si sa che il mondo brama gli olocausti
si sa che un milione un miliardo di donne
sono niente dinanzi a un solo uomo
che tutte le concupisce che tutte le divora
ne' mai si sazia o trova la sua ora

II.

Non so perche' io scrivo queste righe
forse per non sentire piu' le urla dello strazio
forse per non vedere piu' il macello delle membra
forse per dire che deve finire
questa storia d'infamia e di orrore
e possa venire il tempo della pace
della giustizia della misericordia
in cui nessuna persona sia piu' uccisa
in cui ogni persona sia di aiuto ad ogni altra persona
e so che per questo giorno e notte
occorre lottare
per contrastare il fascismo dei maschi
per inverare infine per inverare adesso
l'umanita' dell'umanita'

O forse so perche' le scrivo queste righe
per dire che so alcune cose semplici
alcune cose chiare e impegnative

so che la violenza maschile e' la prima radice
e il primo paradigma di ogni violenza

so che solo la vittoria del movimento
di liberazione delle donne
liberera' e salvera' l'umanita' intera

so che solo la lotta delle donne contro il fascismo dei maschi
abolisce il fascismo e la guerra e ogni violenza e oppressione
si prende cura dell'umanita' intera e dell'intero mondo vivente
ed e' l'unica speranza che resta

so che la lotta del movimento di liberazione delle donne
e' la nonviolenza in cammino

III.

E so che sono un uomo e quindi devo
combattere anche contro il fascista che e' in me
per cessare di essere un mostro
per cominciare a guarire dal male
per essere quello che da sempre
essere vorrei un antifascista
uno che condivide il pane
un amico dell'umanita'
un militante della nonviolenza

7. REPETITA IUVANT. DEBORA MIGLIUCCI: TERESA NOCE
[Dal sito www.biografiesindacali.it]

Teresa Noce (1900–1980), comunista, antifascista, costituente, Segretaria generale Fiot, Presidente dell'Unione internazionale sindacati tessili e dell'abbigliamento.
Teresa Noce nacque a Torino da Pietro e Rosa Biletta. Trascorse l'infanzia in poverta' con la madre e il fratello. Costretta ad abbandonare precocemente gli studi per contribuire al bilancio familiare, si formo' da autodidatta attraverso la lettura dei quotidiani torinesi, soprattutto "La Stampa" - soprannominata "la busiarda" - e dei romanzi del realismo socialista.
Lavoro', inizialmente, come stiratrice in una sartoria e, in seguito, come tornitrice alla Fiat Brevetti. A contatto con le lavoratrici e gli operai apprese i primi rudimenti sindacali e grazie all'influenza del fratello sviluppo' una spiccata coscienza politica. A 15 anni partecipo' alle manifestazioni contro l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale e, poco dopo, prese parte alle occupazioni delle fabbriche durante il "biennio rosso".
Nel 1921 si iscrisse al neocostituito Partito comunista d'Italia e la sua vita politica si intreccio' con quella sentimentale; durante una riunione di partito, conobbe il futuro marito Luigi Longo.
I due si sposarono contro la volonta' della famiglia di Longo, che non accettava Teresa Noce perche' "brutta, povera e comunista". Ebbero tre figli: Luigi Libero, detto Gigi, Pier Giuseppe, morto ancora in fasce, e Giuseppe, soprannominato Poutiche.
Con l'avvento del fascismo la vita di Teresa Noce prese una piega avventurosa e clandestina; costretta a nascondersi per via delle sue idee politiche, fu arrestata una prima volta mentre era incinta del suo primogenito, che chiamera' Luigi "Libero" per distinguerlo dal marito che era in quel momento rinchiuso nelle carceri fasciste.
Nel 1926, quando il regime aveva gia' mostrato la sua faccia piu' autoritaria, inizio' a peregrinare per l'Europa: prima in Unione sovietica, la patria della rivoluzione socialista, dove Teresa Noce frequento' la scuola leninista "Zapada" e condusse un'inchiesta sulla salute delle lavoratrici; poi in Francia, dove il PCd'I aveva costituito il suo Centro Estero. In quasi vent'anni di clandestinita' (1926-1943) Teresa Noce, sotto lo pseudonimo di Estella, visito' piu' volte la Francia, la Svizzera e l'Italia per organizzare la lotta antifascista. Da Parigi dirigeva con Giuseppe Di Vittorio l'azione della Confederazione generale del Lavoro clandestina, scriveva su giornali di propaganda comunista e organizzava politicamente le donne, spesso mogli e sorelle dei lavoratori, ponendo le basi per la creazione dell'Unione Donne Italiane.
Allo scoppio della guerra di Spagna, Teresa Noce si arruolo' nelle Brigate internazionali con compiti nel settore della stampa e della propaganda e curo' i periodici delle brigate internazionali "Il Volontario della Liberta'" e "Il Garibaldino". Fu inoltre la rappresentante del PCd'I presso il Partito comunista spagnolo. A quegli stessi anni risale la stesura del suo primo romanzo Gioventu' Senza Sole.
Arrestata a Parigi, dopo la vittoria del franchismo in Spagna, fu internata nel campo di Rieucros dove rimase fino al 1941. Si arruolo' quindi nella Resistenza francese; arrestata nuovamente fu internata a Ravensbruek, fino alla fine della guerra.
Il 2 giugno 1946 Teresa Noce fu tra le 21 donne elette all'Assemblea Costituente e come componente della commissione dei 75 contribui' alla redazione degli articoli della Costituzione italiana sui diritti e i doveri economico-sociali.
Dal 1948 al 1958 fu eletta alla Camera dei deputati e si segnalo' quale prima firmataria del progetto di legge a tutela delle lavoratrici madri (n. 860 del 1950). Teresa Noce affianco' sempre all'attivita' istituzionale quella sindacale e dal 1947 al 1955 diresse il Sindacato tessile della Cgil (Fiot) che aveva la sua sede nazionale alla Camera del Lavoro di Milano, diventando una delle pioniere della rivendicazione della parita' salariale. Si dimise dalla Fiot durante il IV Congresso nazionale nel dicembre 1955 per motivi di salute, tuttavia sulla decisione pesava anche la contrarieta' all'ormai deciso trasferimento a Roma della categoria.
Negli stessi anni Luigi Longo, legato ormai a un'altra donna, chiese e ottenne l'annullamento a San Marino del matrimonio e Teresa Noce lo apprese dalle pagine del Corriere della Sera. A causa dei dissapori con la direzione del Pci, dovuti anche alla sua decisione di denunciare alla Commissione centrale di controllo del Pci la scelta di Luigi Longo di sciogliere il loro matrimonio, fu esclusa dalla Direzione del Partito e progressivamente isolata. Dal 1949 al 1958 ricopri' incarichi sindacali a livello soprannazionale in qualita' di presidente dell'Unione internazionale dei sindacati tessili e dell'abbigliamento (Uista) che aveva sede a Milano.
Dal 1959 fece parte del Consiglio nazionale economia e lavoro (Cnel) in rappresentanza della Cgil per poi ritirarsi dalla scena pubblica.
Nel 1974 diede alle stampe la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale, che verra' tradotta in diverse lingue.
Mori' a Bologna il 22 gennaio 1980.
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Alcuni scritti di Teresa Noce
Gioventu' senza sole, 1950; ... ma domani fara' giorno, 1952; Le avventure di Laika, cagnetta spaziale, 1960; Rivoluzionaria professionale, 1974; Vivere in piedi, 1978.
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Bibliografia essenziale
R. Martinelli, Noce Teresa, in F. Andreucci, T. Detti, a cura di, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, III, Roma, 1977, pp. 687-689; E. Scroppo, a cura di, Donna, privato e politico: storie personali di 21 donne del Pci, Milano 1979, pp. 38-56; G. Gerosa, Le compagne, Milano 1979, pp. 15-33; S. Misiani, P. Neglie, A. Osti, D. Vascellaro, Il Filo d'Arianna. Una federazione sindacale nella storia d'Italia: il tessile - abbigliamento nel Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1996; S. Lunadei, L. Motti, a cura di, E' brava, ma... Donne nella Cgil 1944-1962, Ediesse, Roma 1999; L. Motti, a cura di, Donne nella Cgil. Una storia lunga un secolo. 100 anni di lotte per la dignita', i diritti e la libertà femminile, Ediesse, Roma, 2006.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 78 del 19 marzo 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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