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[Nonviolenza] Telegrammi. 4702
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4702
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Sun, 1 Jan 2023 16:51:04 +0100
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4702 del 2 gennaio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Salvare le vite e' il primo dovere
2. Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto
3. Una lettera all'ambasciata dell'Iran in Italia
4. L'Associazione "Respirare" di Viterbo aderisce all'appello recante "Sette proposte per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier"
5. Annamaria Rivera: La brava gente del cinema italiano
6. Annamaria Rivera: La riduzione dell'altro a natura
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. L'ORA. SALVARE LE VITE E' IL PRIMO DOVERE
E quindi: abolire le guerre, gli eserciti, le armi.
Solo la nonviolenza invera l'umanita' dell'umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
2. L'ORA. SOCCORRERE, ACCOGLIERE, ASSISTERE OGNI PERSONA BISOGNOSA DI AIUTO
Condividere fra tutte e tutti tutto il bene e tutti i beni.
Solo la nonviolenza invera l'umanita' dell'umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
3. REPETITA IUVANT. UNA LETTERA ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA
All'ambasciatore dell'Iran in Italia: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir,
Egregio ambasciatore,
le saremmo assai grati se volesse trasmettere al suo governo il seguente appello.
Tutte le tradizioni di pensiero dell'umanita', quali che siano le loro fonti, convengono su queste semplici verita':
- che ogni vita umana deve essere rispettata, onorata e protetta;
- che uccidere e' sempre e solo un male;
- che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta';
- che rispettare e salvare le vite e' il primo dovere.
Certi del fatto che condividiate queste semplici considerazioni siamo quindi a chiedervi di impegnarvi:
- affinche' nel vostro paese, come in ogni parte del mondo, cessino finalmente le uccisioni e le persecuzioni;
- affinche' nel vostro paese, come in ogni parte del mondo, siano finalmente rispettati la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Vi chiediamo quindi:
- di riconoscere la dignita' e i diritti delle donne, che sono gli stessi degli uomini;
- di non piu' perseguitare, ma piuttosto ascoltare ed onorare, le donne che da mesi nel vostro paese stanno chiedendo "vita e liberta'".
Queste donne che non commettono alcuna violenza, e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela e a loro volta non commettono alcuna violenza, sono amiche ed amici dell'umanita' e del bene comune.
E' un crimine ed una follia perseguitare ed uccidere queste donne che non commettono alcuna violenza, e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela e a loro volta non commettono alcuna violenza.
Vi chiediamo pertanto di adempiere al dovere proprio di ogni ordinamento ed istituto giuridico legittimo: rispettare e proteggere le vite, la dignita' e i diritti di tutte le persone.
Vi chiediamo pertanto di adempiere al dovere di far cessare persecuzioni ed uccisioni.
Sia pace, rispetto ed amicizia fra tutte le persone, i popoli, i paesi.
Distinti saluti dal
"Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 30 dicembre 2022
4. APPELLI. L'ASSOCIAZIONE "RESPIRARE" DI VITERBO ADERISCE ALL'APPELLO RECANTE "SETTE PROPOSTE PER ESTENDERE ED INTENSIFICARE LA MOBILITAZIONE PER LA GRAZIA CHE RESTITUISCA LA LIBERTA' A LEONARD PELTIER"
L'associazione "Respirare" di Viterbo aderisce all'appello recante "Sette proposte per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier".
Leonard Peltier e' l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente che da 47 anni e' detenuto innocente, condannato per crimini che non ha commesso in un processo-farsa basato su cosiddette "prove" e su cosiddette "testimonianze" dimostratesi false, come hanno successivamente riconosciuto gli stessi accusatori e giudici.
La sua liberazione e' stata chiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, il Dalai Lama, papa Francesco.
Milioni di persone ed autorevoli istituzioni di tutto il mondo chiedono al Presidente degli Stati Uniti d'America di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Alleghiamo in calce il testo integrale dell'appello.
L'associazione "Respirare" di Viterbo
Viterbo, 18 dicembre 2022
L'associazione e' stata promossa nel 2009 a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.
* * *
Allegato: testo integrale dell'appello "Sette proposte per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier"
Carissime e carissimi,
vi proponiamo sette iniziative per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Il momento e' questo: in questo torno di tempo infatti sia negli Stati Uniti che a livello internazionale sta crescendo la mobilitazione, ottenendo nuove, ampie e rilevanti adesioni che possono finalmente trovare ascolto alla Casa Bianca, nelle cui mani e' il potere di restituire la liberta' a Leonard Peltier attraverso la concessione della grazia presidenziale.
*
1. Scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America
La prima: scrivere a Biden e diffondere quanto piu' possibile la proposta di scrivere a Biden.
Di seguito una proposta di testo della lettera da inviare al Presidente degli Stati Uniti d'America recante la richiesta della grazia presidenziale per Leonard Peltier, e le istruzioni per inviarla attraverso il sito della Casa Bianca.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: copiare e incollare il messaggio seguente:
Mr. President,
Although I reside far from your country, I am aware of the injustice that has persisted for 47 years against Leonard Peltier, who was denied a review of his trial even after exculpatory evidence emerged for the events of June 26, 1975 on the Pine Ridge (SD) reservation where two federal agents and a Native American lost their lives.
I therefore appeal to your supreme authority to pardon this man, now elderly and ill, after nearly half a century of imprisonment.
I thank you in advance for your positive decision, with best regards.
Traduzione italiana del testo che precede:
Signor Presidente,
sebbene io risieda lontano dal Suo Paese, sono consapevole dell'ingiustizia che persiste da 47 anni nei confronti di Leonard Peltier, al quale e' stata negata la revisione del processo anche dopo che sono emerse prove a discarico per gli eventi del 26 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge (South Dakota) in cui persero la vita due agenti federali e un nativo americano.
Mi appello quindi alla Sua suprema autorita' affinche' conceda la grazia a questo uomo, ormai anziano e malato, dopo quasi mezzo secolo di detenzione.
La ringrazio fin d'ora per la Sua decisione positiva, con i migliori saluti.
*
2. Scrivere al sindaco di Roma
La seconda: scrivere al sindaco di Roma affinche' affinche' unisca la sua voce alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier. La voce del sindaco di una delle citta' piu' importanti del mondo puo' trovare favorevole ascolto sia presso la Casa Bianca che presso l'opinione pubblica non solo italiana ma internazionale.
Indirizzi di posta elettronica cui scrivere: segreteria_cg at comune.roma.it, donato.iannone at comune.roma.it, segreteriavcgv.debernardini at comune.roma.it, giorgio.piccarreta at comune.roma.it, pietropaolo.mileti at comune.roma.it, gianluca.viggiano at comune.roma.it, caterina.cordella at comune.roma.it, segreteria.direzionegac at comune.roma.it, accesso.semplice at comune.roma.it, ld.gabinetto at comune.roma.it, mariagrazia.tretola at comune.roma.it, seg.gen at comune.roma.it, laura.dimeglio at comune.roma.it, patrizia.bernardini at comune.roma.it, eufrasia.cogliandro at comune.roma.it, vicesindaco at comune.roma.it, assessorato.bilancio at comune.roma.it, assessorato.ambiente at comune.roma.it, assessorato.rifiuti at comune.roma.it, assessoratodecentramento at comune.roma.it, assessoratopersonale at comune.roma.it, assessorato.politichesociali at comune.roma.it, assessorato.cultura at comune.roma.it, assessorato.sviluppoeconomico at comune.roma.it, assessorato.pariopportunita at comune.roma.it, assessorato.sport at comune.roma.it, assessorato.turismo at comune.roma.it, assessorato.grandieventi at comune.roma.it, assessorato.mobilita at comune.roma.it, assessoratoallascuola at comune.roma.it, assessoratolavoroformazione at comune.roma.it, assessorato.infrastrutture at comune.roma.it, assessorato.urbanistica at comune.roma.it, tiziana.marrone at comune.roma.it, assessorato.patrimoniocasa at comune.roma.it, presidenza.assembleacapitolina at comune.roma.it,
Modello di lettera:
Egregio Sindaco di Roma,
sicuramente conoscera' gia' la vicenda di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni detenuto innocente.
E sicuramente sapra' anche che la sua liberazione nel corso di quasi mezzo secolo e' stata richiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Shirin Ebadi, papa Francesco, il Dalai Lama ed innumerevoli altre.
Ricordera' anche che il compianto Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa, aveva promosso un appello per la liberazione di Leonard Peltier. E del resto il Parlamento Europeo gia' negli anni Novanta del secolo scorso aveva ripetutamente richiesto la sua liberazione.
Negli ultimi mesi due nuovi autorevoli inviti sono stati rivolti al Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia che liberi l'illustre attivista nativo americano: alcuni mesi fa la commissione giuridica ad hoc dell'Onu; e lo scorso settembre con voto unanime il comitato nazionale del Partito Democratico statunitense (il partito politico cui appartiene lo stesso Presidente Biden).
Gia' lo scorso anno, su nostra sollecitazione, molti sindaci italiani (tra cui quelli di citta' importanti come Aosta, Bologna, Palermo, Pesaro...) espressero il loro sostegno alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier.
Sarebbe di grande importanza che anche il Sindaco del Comune di Roma volesse unire la sua voce all'appello promosso da prestigiosissime personalita', innumerevoli associazioni umanitarie (prima fra tutte Amnesty International), istituzioni di tutto il mondo, affinche' il Presidente statunitense conceda la grazia che restituisca la liberta' a un uomo innocente che e' ormai per l'umanita' intera testimone e simbolo della lotta per i diritti umani e dei popoli e per la difesa della Madre Terra.
Per tutto quanto precede siamo quindi a pregarla di voler anche lei richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
*
3. Scrivere alle ed ai parlamentari italiani
La terza: scrivere alle ed ai parlamentari italiani affinche' uniscano la loro voce alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier.
Gli indirizzi di posta elettronica delle e dei parlamentari sono disponibili nel sito del Senato e della Camera (www.senato.it e www.camera.it).
Modello di lettera:
Egregie senatrici, egregi senatori,
Egregie deputate, egregi deputati,
conoscete gia' la vicenda di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni detenuto innocente.
E sapete anche che la sua liberazione nel corso di quasi mezzo secolo e' stata richiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Shirin Ebadi, papa Francesco, il Dalai Lama ed innumerevoli altre.
Ricorderete anche che il compianto Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa, aveva promosso un appello per la liberazione di Leonard Peltier. E del resto il Parlamento Europeo gia' negli anni Novanta del secolo scorso aveva ripetutamente richiesto la sua liberazione.
Negli ultimi mesi due nuovi autorevoli inviti sono stati rivolti al Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia che liberi l'illustre attivista nativo americano: alcuni mesi fa la commissione giuridica ad hoc dell'Onu; e lo scorso settembre con voto unanime il comitato nazionale del Partito Democratico statunitense (il partito politico cui appartiene lo stesso Presidente Biden).
Sarebbe di grande importanza che anche il Parlamento italiano volesse unire la sua voce all'appello promosso da prestigiosissime personalita', innumerevoli associazioni umanitarie (prima fra tutte Amnesty International), istituzioni di tutto il mondo, affinche' il Presidente statunitense conceda la grazia che restituisca la liberta' a un uomo innocente che e' ormai per l'umanita' intera testimone e simbolo della lotta per i diritti umani e dei popoli e per la difesa della Madre Terra.
Per tutto quanto precede siamo quindi a pregarvi di un vostro autorevole impegno a richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
*
4. Scrivere alle ed ai parlamentari italiani che siedono nel Parlamento Europeo
La quarta: scrivere alle ed ai parlamentari italiani che siedono nel Parlamento Europeo affinche' uniscano la loro voce alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier, proseguendo nell'impegno gia' espresso dal Parlamento Europeo nel 1994 e nel 1999 e rinnovato nel 2021 dal compianto Presidente David Sassoli.
Gli indirizzi di posta elettronica delle e dei parlamentari europei sono disponibili nel sito del Parlamento Europeo (www.europarl.europa.eu).
Modello di lettera:
Egregie ed egregi parlamentari europei,
conoscete gia' la vicenda di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni detenuto innocente.
E sapete anche che la sua liberazione nel corso di quasi mezzo secolo e' stata richiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Shirin Ebadi, papa Francesco, il Dalai Lama ed innumerevoli altre.
Ricorderete anche che il compianto Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa, aveva promosso un appello per la liberazione di Leonard Peltier. E del resto il Parlamento Europeo gia' negli anni Novanta del secolo scorso aveva ripetutamente richiesto la sua liberazione.
Negli ultimi mesi due nuovi autorevoli inviti sono stati rivolti al Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia che liberi l'illustre attivista nativo americano: alcuni mesi fa la commissione giuridica ad hoc dell'Onu; e lo scorso settembre con voto unanime il comitato nazionale del Partito Democratico statunitense (il partito politico cui appartiene lo stesso Presidente Biden).
Sarebbe di grande importanza che anche il Parlamento Europeo volesse ancora una volta unire la sua voce all'appello promosso da prestigiosissime personalita', innumerevoli associazioni umanitarie (prima fra tutte Amnesty International), istituzioni di tutto il mondo, affinche' il Presidente statunitense conceda la grazia che restituisca la liberta' a un uomo innocente che e' ormai per l'umanita' intera testimone e simbolo della lotta per i diritti umani e dei popoli e per la difesa della Madre Terra.
Per tutto quanto precede siamo quindi a pregarvi di un vostro autorevole impegno a richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
*
5. Scrivere all'"International Leonard Peltier Defense Committee"
La quinta: scrivere all'"International Leonard Peltier Defense Committee" per far sentire direttamente la nostra solidarieta' a chi e' piu' vicino a Leonard Peltier e coordina la mobilitazione per la sua liberazione
Per contatti diretti con l'"International Leonard Peltier Defense Committee": sito: wwww.whoisleonardpeltier.info, e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info, recapiti telefonici: Carol Gokee, International Leonard Peltier Defense Committee, 715-209-4453; Jean Roach, International Leonard Peltier Defense Committee, 605-415-3127; Kevin Sharp, former Federal District Court Judge & Peltier's lead attorney, 615-434-7001.
*
6. Scrivere direttamente a Leonard Peltier
La sesta: scrivere direttamente a Leonard Peltier.
L'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521.
Possono essere inviate solo lettere postali.
Ovviamente le lettere devono essere adeguate alla situazione. Possono bastare anche poche parole.
*
7. Costruire una rete italiana di solidarieta' con Leonard Peltier
La settima: costruire una rete italiana di solidarieta' con Leonard Peltier.
Ovviamente una rete senza gerarchie o primazie, policentrica e plurale, in cui possano impegnarsi insieme persone provenienti da tutte le culture, le esperienze e le tradizioni.
Una rete di persone e realta' che si prefigga ad esempio di:
a) partecipare a iniziative comuni;
b) promuovere iniziative proprie, locali e non solo;
c) premere nonviolentemente sui media, locali e non solo, affinche' diano notizia della vicenda di Leonard Peltier e delle iniziative per la sua liberazione;
d) premere nonviolentemente sulle rappresentanze democratiche (istituzioni, associazioni, forze politiche e sindacali, esperienze della cultura e della solidarieta'...), locali e non solo, affinche' si impegnino per la liberazione di Leonard Peltier.
*
E' ovvio che tutte le iniziative che proponiamo devono essere rigorosamente nonviolente, coerentemente con il fine dell'iniziativa: ottenere la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Se necessaria, varia documentazione utile, in inglese e in italiano, puo' essere richiesta scrivendo al nostro indirizzo di posta elettronica: centropacevt at gmail.com
Ringraziandovi fin d'ora per l'attenzione e l'impegno, un forte abbraccio dal
"Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 9 dicembre 2022
Mittente: "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Piu' specificamente: dal giugno 2021 il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" ha lavorato intensamente a qualificare ed estendere la solidarieta' con Leonard Peltier in Italia (ma anche in Europa e negli Stati Uniti d'America e in Canada).
Sul piano della qualificazione della solidarieta' ha promosso molti incontri di studio e ha fatto conoscere per la prima volta in Italia molti libri il cui studio e' fondamentale per chi vuole impegnarsi per sostenere Leonard Peltier e le lotte attuali dei nativi americani.
Sul piano dell'estensione della solidarieta' ha raggiunto ripetutamente decine di migliaia di interlocutori, e raccolto migliaia di adesioni: coinvolgendo figure di grande prestigio della riflessione morale e dell'impegno civile, della scienza e delle arti, dei movimenti e delle istituzioni.
Il criterio e' stato di coinvolgere persone, associazioni ed istituzioni in grado di esercitare un'azione persuasiva nei confronti del Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
In questa iniziativa, sul versante del coinvolgimento delle istituzioni, di particolare valore e' stata l'adesione del compianto Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, quelle di molti parlamentari e parlamentari emeriti, quelle dei sindaci di vari comuni d'Italia, da Aosta a Bologna, da Palermo a Pesaro.
5. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: LA BRAVA GENTE DEL CINEMA ITALIANO
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo il seguente intervento del 15 maggio 2021]
Che il tema sia una pagina della storia coloniale italiana o che sia quello dell'immigrazione e del razzismo attuali, non poche produzioni cinematografiche nostrane sono (o piuttosto sono state) accomunate da una cifra comune, che salta agli occhi o almeno a quelli di chi abbia dimestichezza con le rappresentazioni dell'alterita'. Intendo riferirmi all'esteriorita' dello sguardo rivolto alle persone dette altre, l'irriflessa tendenza a oggettivarle secondo i propri cliche' e categorie, in definitiva la difficolta' a immaginarle nonche' rappresentarle come complesse e degne di rispetto al pari del Noi.
E' doveroso aggiungere, tuttavia, che piu' recentemente si registra una certa inversione di tendenza, quantitativa ma per certi versi anche qualitativa. Da alcuni anni a questa parte, infatti, intorno al tema dell'immigrazione pure in Italia va delineandosi un genere, costituito tanto da film di finzione quanto da documentari. E' soprattutto in questo secondo ambito che si colloca, mi sembra, il maggior numero di prove mature, interessanti, non conformiste.
Per quel che riguarda il colonialismo, nonostante una tradizione, sia pur tardiva, di studi storici sul dominio coloniale italiano, assai debole e scarsa e' stata - per qualche verso e' tuttora - l'opera volta a decolonizzare la memoria pubblica, la quale continua a coltivare il cliche' di un colonialismo italiano straccione, bonario e di breve durata, nonche' il mito auto-assolutorio, a esso correlato, degli "italiani brava gente".
Quest'ultima espressione, divenuta assai comune, costituisce il titolo stesso del film del 1965 di Giuseppe De Santis, ove la ritirata dei soldati italiani, fino allora bloccati nelle steppe, e' rappresentata come una sorta di via crucis e i soldati stessi come rispettosi, indulgenti, bonari nei confronti dei russi: all'opposto dei loro camerati tedeschi, raffigurati tout court come barbari e sanguinari.
Una tale rimozione o cattiva coscienza si e' riflessa a lungo nella cinematografia italiana, in misura minore continua a riflettersi tutt'oggi. Uno dei pochi film ad aver affrontato il tema della memoria coloniale, non gia' brillantemente, ma almeno con un minimo di onesta', e' Tempo di uccidere (1989) di Giuliano Montaldo, tratto dal romanzo omonimo di Ennio Flaiano del 1947. Per quanto non sia affatto un capolavoro, per lo meno cerca di prendere le distanze dalla retorica degli "italiani, brava gente".
Allorche' e' stata la cinematografia altrui a narrare i crimini del colonialismo italiano, essa e' stata occultata o censurata. Si pensi alla vicenda del Leone del deserto, film del 1981, voluto fermamente da Gheddafi: diretto da Mustafa Akkad, e' incentrato su Omar el Muktar, il leader della resistenza libica contro il regio esercito italiano, il quale fu impiccato dopo un processo-farsa.
Come ho scritto altrove, rappresentati come oppressi anche allorche' sono oppressori, quei soldati risultano tanto "umani" quanto i libici sono imbalsamati e semplificati nel loro irriducibile esotismo. Sono tanto complessi, tormentati, compassionevoli, perfino spassosi, gli italiani, quanto i tedeschi sono inflessibili, crudeli, duri, disposti a eseguire gli ordini piu' criminali.
Nonostante il cast eccezionale (da Anthony Quinn a Oliver Reed, da Rod Steiger a Irene Papas, da Gastone Moschin a Raf Vallone), il film fu bandito dalle sale cinematografiche italiane in quanto reputato da Giulio Andreotti come "lesivo dell'onore dell'esercito italiano". Addirittura, nel 1987, la Digos ne blocco' la proiezione che si svolgeva in un cinema di Trento, nell'ambito di un meeting pacifista. Il film sara' trasmesso in televisione ben ventotto anni piu' tardi, nel 2009, e solo grazie a Sky, non gia' alla televisione pubblica.
Perfino Mario Monicelli ha concesso qualcosa a convenzionali cliché orientalisti: mi riferisco a Le rose del deserto, film del 2006, l'ultimo del grande e amato maestro.
In continuita' con l'iconografia orientalista e' Aisha, l'unico personaggio femminile di rilievo: sottomessa e segregata nella prigione del velo e della tribu', misteriosa e seducente, proibita e desiderabile, una volta ripudiata, non puo' che finire dietro le sbarre di un postribolo... L'estraneita' delle persone altre, se non la loro riduzione ad alterita' assoluta sono rivelati, fra l'altro, da numerosi dettagli. E non bastano i felici tocchi da Maestro, quale Monicelli era, i gustosi siparietti comici e i momenti di drammatica intensita', esaltati dall'ottima interpretazione di Michele Placido, ad attenuare l'impressione che neppure questo film sappia sottrarsi del tutto alla vetusta retorica di "italiani, brava gente".
E cosi' si rischia - forse involontariamente - di legittimare i vecchi miti del colonialismo italico dal volto umano, immune da razzismo e violenza, e dei poveri italiani trascinati in guerra da quel folle di Hitler. Si aggiunga che la retorica innocentista e' aggiornata alla luce di problematiche e luoghi comuni del presente: nel film risuona incongruamente l'eco dei topoi correnti sulle "missioni umanitarie", sull'islam misogino, sulla democrazia da imporre con la guerra.
Certo, il film di Monicelli s'ispira volutamente al Deserto della Libia di Mario Tobino e a un brano (Il soldato Sanna) de La guerra d'Albania di Giancarlo Fusco. Gli sceneggiatori, tuttavia, avrebbero potuto consultare qualcuna delle corpose e documentate opere storiografiche dedicate al colonialismo italiano in Libia. In tal modo avrebbero potuto almeno alludere, sullo sfondo della vicenda, ai crimini orrendi - le deportazioni, i lager, l'uso di gas letali, i massacri, il genocidio - di cui esso si e' macchiato, invece di annacquare le responsabilita' del regime mussoliniano attraverso il personaggio farsesco di un generale che ha preso sul serio la propaganda fascista.
Lo stesso Monicelli, presentando questo suo ultimo film, aveva affermato: "Noi siamo gente generosa, che non si perde mai d'animo (...). Riuniti in esercito gli italiani sono sempre gli stessi: positivi, felici, ottimisti e se devono morire muoiono senza farla tanto lunga. Non vogliono essere ne' eroi, ne' missionari".
In realta', il solo fatto d'avanzare dubbiosamente un tal genere di critiche o interrogativi ti espone all'accusa di settarismo e pedanteria: nel nostro paese il diritto all'esercizio della critica, soprattutto in campo cinematografico, e', mi sembra, o almeno era, un diritto alquanto limitato. Quando poi si tratta di opere partorite da milieu "progressisti" - come si sarebbe detto un tempo - e' ancora piu' arduo avanzarne: esiste anche, infatti, anche un conformismo di sinistra.
Quanto alla rappresentazione delle persone immigrate o rifugiate, mi sembra che, soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta, una parte del cinema italiano inizi a rivelare maggiore maturita' politica: forse piu' nei documentari che nei film di finzione. In ogni caso, si affaccia una nuova generazione di cineasti impegnati, anche politicamente, a rappresentare immigrazione, asilo e temi connessi in modo realistico, privo di cliche' e luoghi comuni. Si pensi, tra gli altri e le altre, ad Andrea Segre e ai suoi non pochi documentari, il primo dei quali e' stato Lo sterminio dei popoli zingari, del 1998; ma anche a Mohsen Melliti, autore di un film quale Io, l'altro, del 2007, nonche' di un romanzo sulla vicenda della "Pantanella" (Pantanella. Canto lungo la strada, Edizioni Lavoro, 1992).
In entrambi i casi (che non sono gli unici), essi compiono un'opera assai meritoria, tanto piu' per il fatto che, da qualche anno a questa parte, negli stessi ambienti antirazzisti i cliche' e i luoghi comuni vanno moltiplicandosi. Dovrebbero preoccupare, inoltre, la tendenza a ignorare la lunga dimensione diacronica del neo-razzismo italiano; nonche' il progressivo impoverimento o decadimento dell'analisi e della riflessione, quindi del linguaggio e del lessico. Ripeto: perfino in ambienti antirazzisti.
Come ho scritto altrove e piu' volte, per quanto dotto pretenda di essere, uno degli esempi piu' lampanti e' costituito dall'attuale tendenza a usare ossessivamente il lemma odio: ricordo che la formula hate speech si ritrova abitualmente anche in documenti e rapporti ufficiali. Ed e' adoperata quale presunto movente degli atti di razzismo, verbali e fattuali, ma anche, in fondo, per nominare il razzismo stesso, che invece - come non mi stanco di ripetere - e' un sistema assai complesso: anzitutto, istituzionale, ma anche ideologico, politico, sociale, simbolico, mediatico...
Ma lo stesso si puo' dire di paura, quale presunto movente del razzismo, a sua volta spesso ricondotto a "guerra tra poveri"; per non dire dello slogan "restiamo umani" e di altri luoghi comuni simili...
A proposito di "guerra tra poveri": spesso questa locuzione mendace (come se fra "nativi" e migranti vi fosse simmetria di potere) serve a denominare forme di razzismo, anche assai violente, che accadono in quartieri popolari. In realta' a istigarle e a guidare all'assalto il piu' delle volte sono gli appartenenti a formazioni di estrema destra quali CasaPound, Forza Nuova e altre affini.
Tutto cio' per non dire dell'abuso del lemma "integrazione", la quale, come dovrebbe essere ben noto, non basta affatto a proteggere dal razzismo.
A tal proposito, un caso esemplare e' quello del sedicenne Giacomo Valent. Il 9 luglio 1985, a Udine, egli fu ucciso con sessantatre' coltellate da due suoi compagni di un liceo assai elitario. I due, neonazisti, avevano rispettivamente quattordici e sedici anni. Figlio di un italiano, funzionario d'ambasciata, e di una principessa somala, quindi socialmente piu' che "integrato", Giacomo era deriso come "sporco negro", ma anche per le sue idee politiche di sinistra.
Per parlare dell'oggi, perfettamente integrato e' anche Mario Balotelli, un autentico mito calcistico, approdato nella nazionale di calcio. Eppure, e non solo per causa del colore della sua pelle, e' stato (ed e' tuttora) oggetto di ripetute aggressioni, verbali o peggio.
Rimarco il "non solo" per ricordare che chiunque puo' essere razzizzato, come ben dimostra il caso dei/delle migranti albanesi, arrivati/e in Italia a partire dai primi anni '90 del Novecento e presto divenuti/e capro espiatorio ideale e vittime di razzismo, anche estremo.
Insomma, e' come se non avesse lasciato alcuna traccia la gran mole di analisi e studi, alcuni assai pregevoli, prodotta nel corso dei decenni passati, soprattutto in Francia, ma anche in Italia, negli Stati Uniti e altrove. Infatti, perfino su giornali di sinistra puo' capitare d'imbattersi in articoli infarciti da lemmi quali razza e razziale (mai virgolettati). In uno di questi l'autore si diceva fermamente contrario al fatto che dalla Costituzione francese sia stata cancellata la parola "razza": cosa per la quale in Italia si battono non pochi gruppi antirazzisti e la stessa Siac, la Societa' italiana di antropologia culturale, della quale faccio parte.
Infine: ricordo en passant che gia' verso la fine degli anni Trenta del Novecento, Franz Boas, fondatore dell'antropologia culturale, del quale i nazisti avrebbero messo al rogo i libri ("oltre tutto", egli era d'origine ebraica), aveva criticato e decostruito lo pseudo-concetto di razza. E nel 1950 l'UNESCO, che si era costituita da poco, elaboro' una Dichiarazione sulla razza secondo la quale non esiste alcun determinante biologico fondativo che possa legittimarla.
*
Questo testo e' la trascrizione del mio intervento, pronunciato nel corso del XXVI Convegno Internazionale di Studi Cinematografici: "Migrazioni, cittadinanze, inclusivita'", 6-8 maggio 2021, Universita' di Roma Tre.
6. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: LA RIDUZIONE DELL'ALTRO A NATURA
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo il seguente intervento del 20 marzo 2021]
Il volume dell'antropologo Francesco Bachis, Sull'orlo del pregiudizio. Razzismo e islamofobia in una prospettiva antropologica (Master Aips Edizioni, 2018), sebbene pubblicato tre anni fa, e' di una attualita' notevole. Esso ha come obiettivo generale l'indagine intorno ad alcune forme di costruzione dell'alterita' nella societa' contemporanea.
Assai colto e ben documentato (come testimonia, tra l'altro, l'ampia bibliografia), esso si colloca lungo una linea di pensiero alquanto affine alla mia: quella che mira a decostruire non solo gli stereotipi, ma anche pseudo-concetti quali "razza", in primo luogo, nonche' "etnia", "identita'", "discendenza"... (a tal proposito, si veda: R. Gallissot, M. Kilani, A. Rivera, L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, che, pubblicato da Dedalo, ha conosciuto svariate edizioni).
Bachis lo dichiara piu' volte apertamente, scrivendo, per esempio, di processi di naturalizzazione delle differenze (una formula che mi e' molto familiare), i quali talvolta giungono fino all'utilizzo di "razza". Questa, paradossalmente, non solo e' adoperata in ambienti di destra e/o tornata in auge fra gente comune, ma e' presente perfino in alcuni ambiti di studi: in quelli detti postcoloniali, in specie.
A tal proposito, Bachis precisa opportunamente che al pari di quel che "avviene con la merce, anche la 'razza' e' prodotto e non la genesi dei rapporti sociali di dominio" (p. 19). E aggiunge che, si usi o no apertamente questo lemma, "la naturalizzazione delle differenze perdura anche nella prospettiva dell'attuale fondamentalismo culturale" (p. 21).
Inoltre, l'autore afferma a ragion veduta che "Mentre il 'noi' opera nel campo propriamente umano della 'cultura', l''altro' sarebbe preda di forze irrazionali, spesso sfocianti in una 'natura' che lo riduce a destino segnato. In questo quadro gioca un ruolo fondamentale l'immaginario esotico, orientalista e coloniale" (p. 25).
Eppure l'assoluta infondatezza scientifica di razza "sembrava un'acquisizione ormai consolidata", scrive Bachis (p. 21), citando l'importante genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza. In realta' converrebbe ricordare che il processo di decostruzione della "razza" parte perlomeno da Franz Boas, fondatore dell'antropologia culturale. Il quale, gia' dal 1911, con The mind of primitive man, inizio' a demolire progressivamente l'innatismo e il biologismo deterministico: in definitiva, la "razza", per l'appunto, introducendo come primario il concetto di cultura e, di conseguenza, il relativismo culturale.
Va detto, inoltre, che alcuni capitoli di questo volume quale il primo, dedicato in particolare alla Lega (un tempo detta "Nord") sono guidati da un'analisi assai accurata dell'ideologia e del lessico che caratterizzano quel discorso razzista, talvolta estremo. Interessante e ben documentato e' anche il secondo capitolo, Esotismo e follia: stampa e migranti, corredato com'e' dall'analisi critica di un'intera annata de La Repubblica, quella del 1997, onde esaminare, in particolare, l'incidenza e la legittimazione del lemma "clandestino".
Ricordiamo che quello preso in esame e' un anno cruciale, che si caratterizza, fra le altre cose, per aver partorito, nell'ambito di un governo di centro-sinistra (il Prodi-uno), il disegno di legge governativo sull'immigrazione (19 febbraio 1997), che poi sarebbe stato convertito nella legge del 6 marzo 1998, n. 40, detta Turco-Napolitano: quella che, fra le altre ignominie, inauguro' lo scandalo della detenzione amministrativa, istituendo i CPTA, Centri di permanenza temporanea e assistenza, come furono detti con un grottesco eufemismo ossimorico, mentre, in realta', erano dei lager per migranti irregolari da espellere.
E' l'anno nel quale ancora perdura il razzismo anti-albanesi, discriminati e rappresentati in blocco al pari di una razza diversa. E' altresi' quello in cui il ministro dell'interno, Giorgio Napolitano, istituisce un blocco navale per impedire gli arrivi dall'Albania.
Fu a causa di tale blocco se, la notte fra il 28 e il 29 marzo del 1997, nel canale d'Otranto, una "carretta del mare", stracarica di profughi, la Kater i Rades, fu speronata dalla Sibilla, una corvetta della Marina militare italiana. La collisione provoco' l'affondamento della motovedetta albanese e la morte per annegamento di un centinaio di passeggeri (solo di cinquantadue di loro furono subito recuperati i cadaveri). I sopravvissuti e le vittime (in maggioranza donne e bambini) furono tutt* definit* quali clandestini. Il governo Prodi non fu particolarmente scosso da una tale tragedia...
Una tale vicenda funesta comprova cio' che scrive l'autore: "Il termine 'clandestino' ha una sfera di applicazione molto larga, e viene impiegato anche per denotare individui che si trovano in acque internazionali su imbarcazioni dirette verso i porti italiani" (p. 74).
Questo e altri casi riportati confermano, com'egli scrive, quanta importanza abbiano le pratiche discorsive, soprattutto quelle veicolate dai mass-media. La parola clandestino, stigmatizzante per eccellenza, sempre piu' spesso e' associata a fatti di cronaca nera, egli aggiunge. E questo, a sua volta, non fa che incrementare politiche sempre piu' restrittive e razziste.
E ancora a proposito di linguaggio, Bachis sottolinea a giusta ragione come sia parte dell'ideologia razzista l'invenzione (o la reinvenzione) di parole quali buonisti e radical-chic, adoperate per stigmatizzare chi solidarizza con persone immigrate. Com'egli scrive e come io stessa ho scritto piu' volte, l'antecedente storico e' quello di pietismo, usato dopo le leggi razziali del 1938 verso chiunque difendesse gli ebrei o simpatizzasse con loro.
Ho trovato assai interessante anche il terzo capitolo, su islamofobia e antisemitismo, e non solo perche' per molti anni mi sono occupata di un tale tema: per es. ne La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita' (Dedalo, 2005), il quale prende le mosse da un'ampia analisi critica della controversia pubblica sul cosiddetto velo islamico. Un tema ancora assai attuale, purtroppo, se e' vero che il 6 marzo scorso, in Svizzera, tramite un referendum promosso dalla destra, ha vinto la proibizione nei luoghi pubblici dell'uso del burqa e del niqab.
"Nel discorso islamofobico, scrive Bachis, il musulmano viene concepito come doppiamente altro: in quanto immigrato nonche' seguace di una religione incompatibile" (p. 99). La parte piu' stimolante di questo capitolo mi e' sembrata quella della comparazione con l'antisemitismo: "L'islamofobia sembra vivere in una relazione di mimesi e conflitto, continuita' e scarto con l'antisemitismo" (p. 91).
Nondimeno non sono poche le analogie tra l'una e l'altro. Per es., scrive l'autore, una delle tante risiede nel tema dello sradicamento: come l'ebreo era considerato cosmopolita per eccellenza e anche per questo pericoloso, cosi' il migrante di oggi, se musulmano, oltre tutto, e' rappresentato come un soggetto sradicato e instabile, dunque anch'egli pericoloso. Al pari dell'antisemitismo "classico", che invento' la razza ebraica, dotata di un'essenza comune, così nel caso dell'islamofobia si cancella la pluralita' per inventare un homo islamicus: l'uno e l'altro rappresentati come contraltari del "noi".
Tra l'antisemitismo attuale e l'islamofobia vi sono, tuttavia, non poche differenze. Come precisa Bachis, "se nessuno mette piu' in discussione concretamente il diritto degli ebrei a vivere in Europa, lo stesso diritto per i musulmani e' costantemente oggetto di contesa e negoziazione politica" (p.108).
Il tema dell'islamofobia ritorna nell'ultimo capitolo, in particolare nella forma di un'attenta analisi di un breve video in lingua inglese: il suo oggetto principale e' la denuncia del calo di natalita' presso le popolazioni europee e americane in favore della crescita contemporanea della fecondita' dei musulmani. Anche questo tema presenta alcuni elementi di continuita' con l'antisemitismo piu' classico.
Infine, una mia notazione critica, sia pur secondaria, relativa all'uso di lemmi quali odio e paura, oggi dilaganti, oltre tutto intesi come moventi del razzismo. Non e' per caso che ormai anche organismi internazionali, preposti, tra l'altro, a produrre rapporti sul razzismo, usino la formula di hate speech ("discorsi di odio"), riducendo cosi' il razzismo stesso a semplice intolleranza o a questione di scorrettezza verbale.
In realta' - ma non e' certo il caso di Bachis - riducendo il razzismo a odio, si finisce per ignorarne la dimensione storica e sociale, ma anche il carattere peculiare e sistemico. Il razzismo, infatti, e' un sistema d'idee, parole, discorsi, atti, norme giuridiche, pratiche sociali e istituzionali. Un sistema che attribuisce a gruppi umani e agli individui che ne fanno parte differenze essenziali, generalizzate, definitive, naturali o quasi-naturali, al fine di giustificare e/o legittimare stigmatizzazione, discriminazione, subordinazione, inferiorizzazione, segregazione, esclusione, violenza, perfino sterminio (si veda il mio Razzismo. Gli atti, le parole, la propaganda, Dedalo 2020, pp. 7-8).
Oltre allo stereotipo di odio, un altro, oggi assai diffuso, e' quello secondo cui, in particolare tra la "gente comune", sarebbe soprattutto la paura degli altri/e a istigare atti di razzismo verbale o fattuale. A tal proposito faccio un esempio concreto. Quale paura pensate possa suscitare una mamma immigrata che piange la perdita della sua bambina di cinque mesi? Eppure il 18 dicembre 2019, nella corsia dell'ospedale di Sondrio, accadde che quella madre, una giovane nigeriana che piangeva disperatamente, avendo appena appreso che la sua creatura era morta, fosse insultata da persone comuni, anche da donne, con frasi raccapriccianti quali: "Non e' cosi' grave: gli africani fanno un figlio all'anno", "Ma perche' urla? Sara' un rito tribale...", "Mettetela a tacere quella scimmia!" (Rivera, op. cit., p. 8).
Anche "Restiamo umani" e' uno slogan assai diffuso, soprattutto in ambienti antirazzisti. Forse, al contrario, ci si dovrebbe impegnare a trascendere lo stato attuale dell'umanita' cercando di apprendere da quei non-umani che mai tratterebbero in tal modo una madre della loro stessa "specie", la quale si disperasse per aver appena perso il suo cucciolo (ibidem).
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- AA. VV., L'intelligenza non e' artificiale, volume monografico di "Limes. Rivista italiana di geopolitica", n. 12, dicembre 2022, Gedi, Torino 2022, pp. 248 (+ 12 pp. di tavole fuori testo), euro 15.
*
Riletture
- M. H. Watkins and H. M. Grant, Canadian Economic History. Classic and Contemporary Approaches, Carleton University Press, Ottawa 1993, pp. XVI + 276.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4702 del 2 gennaio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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Numero 4702 del 2 gennaio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Salvare le vite e' il primo dovere
2. Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto
3. Una lettera all'ambasciata dell'Iran in Italia
4. L'Associazione "Respirare" di Viterbo aderisce all'appello recante "Sette proposte per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier"
5. Annamaria Rivera: La brava gente del cinema italiano
6. Annamaria Rivera: La riduzione dell'altro a natura
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. L'ORA. SALVARE LE VITE E' IL PRIMO DOVERE
E quindi: abolire le guerre, gli eserciti, le armi.
Solo la nonviolenza invera l'umanita' dell'umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
2. L'ORA. SOCCORRERE, ACCOGLIERE, ASSISTERE OGNI PERSONA BISOGNOSA DI AIUTO
Condividere fra tutte e tutti tutto il bene e tutti i beni.
Solo la nonviolenza invera l'umanita' dell'umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
3. REPETITA IUVANT. UNA LETTERA ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA
All'ambasciatore dell'Iran in Italia: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir,
Egregio ambasciatore,
le saremmo assai grati se volesse trasmettere al suo governo il seguente appello.
Tutte le tradizioni di pensiero dell'umanita', quali che siano le loro fonti, convengono su queste semplici verita':
- che ogni vita umana deve essere rispettata, onorata e protetta;
- che uccidere e' sempre e solo un male;
- che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta';
- che rispettare e salvare le vite e' il primo dovere.
Certi del fatto che condividiate queste semplici considerazioni siamo quindi a chiedervi di impegnarvi:
- affinche' nel vostro paese, come in ogni parte del mondo, cessino finalmente le uccisioni e le persecuzioni;
- affinche' nel vostro paese, come in ogni parte del mondo, siano finalmente rispettati la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Vi chiediamo quindi:
- di riconoscere la dignita' e i diritti delle donne, che sono gli stessi degli uomini;
- di non piu' perseguitare, ma piuttosto ascoltare ed onorare, le donne che da mesi nel vostro paese stanno chiedendo "vita e liberta'".
Queste donne che non commettono alcuna violenza, e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela e a loro volta non commettono alcuna violenza, sono amiche ed amici dell'umanita' e del bene comune.
E' un crimine ed una follia perseguitare ed uccidere queste donne che non commettono alcuna violenza, e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela e a loro volta non commettono alcuna violenza.
Vi chiediamo pertanto di adempiere al dovere proprio di ogni ordinamento ed istituto giuridico legittimo: rispettare e proteggere le vite, la dignita' e i diritti di tutte le persone.
Vi chiediamo pertanto di adempiere al dovere di far cessare persecuzioni ed uccisioni.
Sia pace, rispetto ed amicizia fra tutte le persone, i popoli, i paesi.
Distinti saluti dal
"Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 30 dicembre 2022
4. APPELLI. L'ASSOCIAZIONE "RESPIRARE" DI VITERBO ADERISCE ALL'APPELLO RECANTE "SETTE PROPOSTE PER ESTENDERE ED INTENSIFICARE LA MOBILITAZIONE PER LA GRAZIA CHE RESTITUISCA LA LIBERTA' A LEONARD PELTIER"
L'associazione "Respirare" di Viterbo aderisce all'appello recante "Sette proposte per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier".
Leonard Peltier e' l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente che da 47 anni e' detenuto innocente, condannato per crimini che non ha commesso in un processo-farsa basato su cosiddette "prove" e su cosiddette "testimonianze" dimostratesi false, come hanno successivamente riconosciuto gli stessi accusatori e giudici.
La sua liberazione e' stata chiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, il Dalai Lama, papa Francesco.
Milioni di persone ed autorevoli istituzioni di tutto il mondo chiedono al Presidente degli Stati Uniti d'America di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Alleghiamo in calce il testo integrale dell'appello.
L'associazione "Respirare" di Viterbo
Viterbo, 18 dicembre 2022
L'associazione e' stata promossa nel 2009 a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.
* * *
Allegato: testo integrale dell'appello "Sette proposte per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier"
Carissime e carissimi,
vi proponiamo sette iniziative per estendere ed intensificare la mobilitazione per la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Il momento e' questo: in questo torno di tempo infatti sia negli Stati Uniti che a livello internazionale sta crescendo la mobilitazione, ottenendo nuove, ampie e rilevanti adesioni che possono finalmente trovare ascolto alla Casa Bianca, nelle cui mani e' il potere di restituire la liberta' a Leonard Peltier attraverso la concessione della grazia presidenziale.
*
1. Scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America
La prima: scrivere a Biden e diffondere quanto piu' possibile la proposta di scrivere a Biden.
Di seguito una proposta di testo della lettera da inviare al Presidente degli Stati Uniti d'America recante la richiesta della grazia presidenziale per Leonard Peltier, e le istruzioni per inviarla attraverso il sito della Casa Bianca.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: copiare e incollare il messaggio seguente:
Mr. President,
Although I reside far from your country, I am aware of the injustice that has persisted for 47 years against Leonard Peltier, who was denied a review of his trial even after exculpatory evidence emerged for the events of June 26, 1975 on the Pine Ridge (SD) reservation where two federal agents and a Native American lost their lives.
I therefore appeal to your supreme authority to pardon this man, now elderly and ill, after nearly half a century of imprisonment.
I thank you in advance for your positive decision, with best regards.
Traduzione italiana del testo che precede:
Signor Presidente,
sebbene io risieda lontano dal Suo Paese, sono consapevole dell'ingiustizia che persiste da 47 anni nei confronti di Leonard Peltier, al quale e' stata negata la revisione del processo anche dopo che sono emerse prove a discarico per gli eventi del 26 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge (South Dakota) in cui persero la vita due agenti federali e un nativo americano.
Mi appello quindi alla Sua suprema autorita' affinche' conceda la grazia a questo uomo, ormai anziano e malato, dopo quasi mezzo secolo di detenzione.
La ringrazio fin d'ora per la Sua decisione positiva, con i migliori saluti.
*
2. Scrivere al sindaco di Roma
La seconda: scrivere al sindaco di Roma affinche' affinche' unisca la sua voce alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier. La voce del sindaco di una delle citta' piu' importanti del mondo puo' trovare favorevole ascolto sia presso la Casa Bianca che presso l'opinione pubblica non solo italiana ma internazionale.
Indirizzi di posta elettronica cui scrivere: segreteria_cg at comune.roma.it, donato.iannone at comune.roma.it, segreteriavcgv.debernardini at comune.roma.it, giorgio.piccarreta at comune.roma.it, pietropaolo.mileti at comune.roma.it, gianluca.viggiano at comune.roma.it, caterina.cordella at comune.roma.it, segreteria.direzionegac at comune.roma.it, accesso.semplice at comune.roma.it, ld.gabinetto at comune.roma.it, mariagrazia.tretola at comune.roma.it, seg.gen at comune.roma.it, laura.dimeglio at comune.roma.it, patrizia.bernardini at comune.roma.it, eufrasia.cogliandro at comune.roma.it, vicesindaco at comune.roma.it, assessorato.bilancio at comune.roma.it, assessorato.ambiente at comune.roma.it, assessorato.rifiuti at comune.roma.it, assessoratodecentramento at comune.roma.it, assessoratopersonale at comune.roma.it, assessorato.politichesociali at comune.roma.it, assessorato.cultura at comune.roma.it, assessorato.sviluppoeconomico at comune.roma.it, assessorato.pariopportunita at comune.roma.it, assessorato.sport at comune.roma.it, assessorato.turismo at comune.roma.it, assessorato.grandieventi at comune.roma.it, assessorato.mobilita at comune.roma.it, assessoratoallascuola at comune.roma.it, assessoratolavoroformazione at comune.roma.it, assessorato.infrastrutture at comune.roma.it, assessorato.urbanistica at comune.roma.it, tiziana.marrone at comune.roma.it, assessorato.patrimoniocasa at comune.roma.it, presidenza.assembleacapitolina at comune.roma.it,
Modello di lettera:
Egregio Sindaco di Roma,
sicuramente conoscera' gia' la vicenda di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni detenuto innocente.
E sicuramente sapra' anche che la sua liberazione nel corso di quasi mezzo secolo e' stata richiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Shirin Ebadi, papa Francesco, il Dalai Lama ed innumerevoli altre.
Ricordera' anche che il compianto Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa, aveva promosso un appello per la liberazione di Leonard Peltier. E del resto il Parlamento Europeo gia' negli anni Novanta del secolo scorso aveva ripetutamente richiesto la sua liberazione.
Negli ultimi mesi due nuovi autorevoli inviti sono stati rivolti al Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia che liberi l'illustre attivista nativo americano: alcuni mesi fa la commissione giuridica ad hoc dell'Onu; e lo scorso settembre con voto unanime il comitato nazionale del Partito Democratico statunitense (il partito politico cui appartiene lo stesso Presidente Biden).
Gia' lo scorso anno, su nostra sollecitazione, molti sindaci italiani (tra cui quelli di citta' importanti come Aosta, Bologna, Palermo, Pesaro...) espressero il loro sostegno alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier.
Sarebbe di grande importanza che anche il Sindaco del Comune di Roma volesse unire la sua voce all'appello promosso da prestigiosissime personalita', innumerevoli associazioni umanitarie (prima fra tutte Amnesty International), istituzioni di tutto il mondo, affinche' il Presidente statunitense conceda la grazia che restituisca la liberta' a un uomo innocente che e' ormai per l'umanita' intera testimone e simbolo della lotta per i diritti umani e dei popoli e per la difesa della Madre Terra.
Per tutto quanto precede siamo quindi a pregarla di voler anche lei richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
*
3. Scrivere alle ed ai parlamentari italiani
La terza: scrivere alle ed ai parlamentari italiani affinche' uniscano la loro voce alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier.
Gli indirizzi di posta elettronica delle e dei parlamentari sono disponibili nel sito del Senato e della Camera (www.senato.it e www.camera.it).
Modello di lettera:
Egregie senatrici, egregi senatori,
Egregie deputate, egregi deputati,
conoscete gia' la vicenda di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni detenuto innocente.
E sapete anche che la sua liberazione nel corso di quasi mezzo secolo e' stata richiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Shirin Ebadi, papa Francesco, il Dalai Lama ed innumerevoli altre.
Ricorderete anche che il compianto Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa, aveva promosso un appello per la liberazione di Leonard Peltier. E del resto il Parlamento Europeo gia' negli anni Novanta del secolo scorso aveva ripetutamente richiesto la sua liberazione.
Negli ultimi mesi due nuovi autorevoli inviti sono stati rivolti al Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia che liberi l'illustre attivista nativo americano: alcuni mesi fa la commissione giuridica ad hoc dell'Onu; e lo scorso settembre con voto unanime il comitato nazionale del Partito Democratico statunitense (il partito politico cui appartiene lo stesso Presidente Biden).
Sarebbe di grande importanza che anche il Parlamento italiano volesse unire la sua voce all'appello promosso da prestigiosissime personalita', innumerevoli associazioni umanitarie (prima fra tutte Amnesty International), istituzioni di tutto il mondo, affinche' il Presidente statunitense conceda la grazia che restituisca la liberta' a un uomo innocente che e' ormai per l'umanita' intera testimone e simbolo della lotta per i diritti umani e dei popoli e per la difesa della Madre Terra.
Per tutto quanto precede siamo quindi a pregarvi di un vostro autorevole impegno a richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
*
4. Scrivere alle ed ai parlamentari italiani che siedono nel Parlamento Europeo
La quarta: scrivere alle ed ai parlamentari italiani che siedono nel Parlamento Europeo affinche' uniscano la loro voce alla richiesta della liberazione di Leonard Peltier, proseguendo nell'impegno gia' espresso dal Parlamento Europeo nel 1994 e nel 1999 e rinnovato nel 2021 dal compianto Presidente David Sassoli.
Gli indirizzi di posta elettronica delle e dei parlamentari europei sono disponibili nel sito del Parlamento Europeo (www.europarl.europa.eu).
Modello di lettera:
Egregie ed egregi parlamentari europei,
conoscete gia' la vicenda di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni detenuto innocente.
E sapete anche che la sua liberazione nel corso di quasi mezzo secolo e' stata richiesta da personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Shirin Ebadi, papa Francesco, il Dalai Lama ed innumerevoli altre.
Ricorderete anche che il compianto Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa, aveva promosso un appello per la liberazione di Leonard Peltier. E del resto il Parlamento Europeo gia' negli anni Novanta del secolo scorso aveva ripetutamente richiesto la sua liberazione.
Negli ultimi mesi due nuovi autorevoli inviti sono stati rivolti al Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia che liberi l'illustre attivista nativo americano: alcuni mesi fa la commissione giuridica ad hoc dell'Onu; e lo scorso settembre con voto unanime il comitato nazionale del Partito Democratico statunitense (il partito politico cui appartiene lo stesso Presidente Biden).
Sarebbe di grande importanza che anche il Parlamento Europeo volesse ancora una volta unire la sua voce all'appello promosso da prestigiosissime personalita', innumerevoli associazioni umanitarie (prima fra tutte Amnesty International), istituzioni di tutto il mondo, affinche' il Presidente statunitense conceda la grazia che restituisca la liberta' a un uomo innocente che e' ormai per l'umanita' intera testimone e simbolo della lotta per i diritti umani e dei popoli e per la difesa della Madre Terra.
Per tutto quanto precede siamo quindi a pregarvi di un vostro autorevole impegno a richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
*
5. Scrivere all'"International Leonard Peltier Defense Committee"
La quinta: scrivere all'"International Leonard Peltier Defense Committee" per far sentire direttamente la nostra solidarieta' a chi e' piu' vicino a Leonard Peltier e coordina la mobilitazione per la sua liberazione
Per contatti diretti con l'"International Leonard Peltier Defense Committee": sito: wwww.whoisleonardpeltier.info, e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info, recapiti telefonici: Carol Gokee, International Leonard Peltier Defense Committee, 715-209-4453; Jean Roach, International Leonard Peltier Defense Committee, 605-415-3127; Kevin Sharp, former Federal District Court Judge & Peltier's lead attorney, 615-434-7001.
*
6. Scrivere direttamente a Leonard Peltier
La sesta: scrivere direttamente a Leonard Peltier.
L'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521.
Possono essere inviate solo lettere postali.
Ovviamente le lettere devono essere adeguate alla situazione. Possono bastare anche poche parole.
*
7. Costruire una rete italiana di solidarieta' con Leonard Peltier
La settima: costruire una rete italiana di solidarieta' con Leonard Peltier.
Ovviamente una rete senza gerarchie o primazie, policentrica e plurale, in cui possano impegnarsi insieme persone provenienti da tutte le culture, le esperienze e le tradizioni.
Una rete di persone e realta' che si prefigga ad esempio di:
a) partecipare a iniziative comuni;
b) promuovere iniziative proprie, locali e non solo;
c) premere nonviolentemente sui media, locali e non solo, affinche' diano notizia della vicenda di Leonard Peltier e delle iniziative per la sua liberazione;
d) premere nonviolentemente sulle rappresentanze democratiche (istituzioni, associazioni, forze politiche e sindacali, esperienze della cultura e della solidarieta'...), locali e non solo, affinche' si impegnino per la liberazione di Leonard Peltier.
*
E' ovvio che tutte le iniziative che proponiamo devono essere rigorosamente nonviolente, coerentemente con il fine dell'iniziativa: ottenere la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Se necessaria, varia documentazione utile, in inglese e in italiano, puo' essere richiesta scrivendo al nostro indirizzo di posta elettronica: centropacevt at gmail.com
Ringraziandovi fin d'ora per l'attenzione e l'impegno, un forte abbraccio dal
"Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 9 dicembre 2022
Mittente: "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Piu' specificamente: dal giugno 2021 il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" ha lavorato intensamente a qualificare ed estendere la solidarieta' con Leonard Peltier in Italia (ma anche in Europa e negli Stati Uniti d'America e in Canada).
Sul piano della qualificazione della solidarieta' ha promosso molti incontri di studio e ha fatto conoscere per la prima volta in Italia molti libri il cui studio e' fondamentale per chi vuole impegnarsi per sostenere Leonard Peltier e le lotte attuali dei nativi americani.
Sul piano dell'estensione della solidarieta' ha raggiunto ripetutamente decine di migliaia di interlocutori, e raccolto migliaia di adesioni: coinvolgendo figure di grande prestigio della riflessione morale e dell'impegno civile, della scienza e delle arti, dei movimenti e delle istituzioni.
Il criterio e' stato di coinvolgere persone, associazioni ed istituzioni in grado di esercitare un'azione persuasiva nei confronti del Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' conceda la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
In questa iniziativa, sul versante del coinvolgimento delle istituzioni, di particolare valore e' stata l'adesione del compianto Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, quelle di molti parlamentari e parlamentari emeriti, quelle dei sindaci di vari comuni d'Italia, da Aosta a Bologna, da Palermo a Pesaro.
5. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: LA BRAVA GENTE DEL CINEMA ITALIANO
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo il seguente intervento del 15 maggio 2021]
Che il tema sia una pagina della storia coloniale italiana o che sia quello dell'immigrazione e del razzismo attuali, non poche produzioni cinematografiche nostrane sono (o piuttosto sono state) accomunate da una cifra comune, che salta agli occhi o almeno a quelli di chi abbia dimestichezza con le rappresentazioni dell'alterita'. Intendo riferirmi all'esteriorita' dello sguardo rivolto alle persone dette altre, l'irriflessa tendenza a oggettivarle secondo i propri cliche' e categorie, in definitiva la difficolta' a immaginarle nonche' rappresentarle come complesse e degne di rispetto al pari del Noi.
E' doveroso aggiungere, tuttavia, che piu' recentemente si registra una certa inversione di tendenza, quantitativa ma per certi versi anche qualitativa. Da alcuni anni a questa parte, infatti, intorno al tema dell'immigrazione pure in Italia va delineandosi un genere, costituito tanto da film di finzione quanto da documentari. E' soprattutto in questo secondo ambito che si colloca, mi sembra, il maggior numero di prove mature, interessanti, non conformiste.
Per quel che riguarda il colonialismo, nonostante una tradizione, sia pur tardiva, di studi storici sul dominio coloniale italiano, assai debole e scarsa e' stata - per qualche verso e' tuttora - l'opera volta a decolonizzare la memoria pubblica, la quale continua a coltivare il cliche' di un colonialismo italiano straccione, bonario e di breve durata, nonche' il mito auto-assolutorio, a esso correlato, degli "italiani brava gente".
Quest'ultima espressione, divenuta assai comune, costituisce il titolo stesso del film del 1965 di Giuseppe De Santis, ove la ritirata dei soldati italiani, fino allora bloccati nelle steppe, e' rappresentata come una sorta di via crucis e i soldati stessi come rispettosi, indulgenti, bonari nei confronti dei russi: all'opposto dei loro camerati tedeschi, raffigurati tout court come barbari e sanguinari.
Una tale rimozione o cattiva coscienza si e' riflessa a lungo nella cinematografia italiana, in misura minore continua a riflettersi tutt'oggi. Uno dei pochi film ad aver affrontato il tema della memoria coloniale, non gia' brillantemente, ma almeno con un minimo di onesta', e' Tempo di uccidere (1989) di Giuliano Montaldo, tratto dal romanzo omonimo di Ennio Flaiano del 1947. Per quanto non sia affatto un capolavoro, per lo meno cerca di prendere le distanze dalla retorica degli "italiani, brava gente".
Allorche' e' stata la cinematografia altrui a narrare i crimini del colonialismo italiano, essa e' stata occultata o censurata. Si pensi alla vicenda del Leone del deserto, film del 1981, voluto fermamente da Gheddafi: diretto da Mustafa Akkad, e' incentrato su Omar el Muktar, il leader della resistenza libica contro il regio esercito italiano, il quale fu impiccato dopo un processo-farsa.
Come ho scritto altrove, rappresentati come oppressi anche allorche' sono oppressori, quei soldati risultano tanto "umani" quanto i libici sono imbalsamati e semplificati nel loro irriducibile esotismo. Sono tanto complessi, tormentati, compassionevoli, perfino spassosi, gli italiani, quanto i tedeschi sono inflessibili, crudeli, duri, disposti a eseguire gli ordini piu' criminali.
Nonostante il cast eccezionale (da Anthony Quinn a Oliver Reed, da Rod Steiger a Irene Papas, da Gastone Moschin a Raf Vallone), il film fu bandito dalle sale cinematografiche italiane in quanto reputato da Giulio Andreotti come "lesivo dell'onore dell'esercito italiano". Addirittura, nel 1987, la Digos ne blocco' la proiezione che si svolgeva in un cinema di Trento, nell'ambito di un meeting pacifista. Il film sara' trasmesso in televisione ben ventotto anni piu' tardi, nel 2009, e solo grazie a Sky, non gia' alla televisione pubblica.
Perfino Mario Monicelli ha concesso qualcosa a convenzionali cliché orientalisti: mi riferisco a Le rose del deserto, film del 2006, l'ultimo del grande e amato maestro.
In continuita' con l'iconografia orientalista e' Aisha, l'unico personaggio femminile di rilievo: sottomessa e segregata nella prigione del velo e della tribu', misteriosa e seducente, proibita e desiderabile, una volta ripudiata, non puo' che finire dietro le sbarre di un postribolo... L'estraneita' delle persone altre, se non la loro riduzione ad alterita' assoluta sono rivelati, fra l'altro, da numerosi dettagli. E non bastano i felici tocchi da Maestro, quale Monicelli era, i gustosi siparietti comici e i momenti di drammatica intensita', esaltati dall'ottima interpretazione di Michele Placido, ad attenuare l'impressione che neppure questo film sappia sottrarsi del tutto alla vetusta retorica di "italiani, brava gente".
E cosi' si rischia - forse involontariamente - di legittimare i vecchi miti del colonialismo italico dal volto umano, immune da razzismo e violenza, e dei poveri italiani trascinati in guerra da quel folle di Hitler. Si aggiunga che la retorica innocentista e' aggiornata alla luce di problematiche e luoghi comuni del presente: nel film risuona incongruamente l'eco dei topoi correnti sulle "missioni umanitarie", sull'islam misogino, sulla democrazia da imporre con la guerra.
Certo, il film di Monicelli s'ispira volutamente al Deserto della Libia di Mario Tobino e a un brano (Il soldato Sanna) de La guerra d'Albania di Giancarlo Fusco. Gli sceneggiatori, tuttavia, avrebbero potuto consultare qualcuna delle corpose e documentate opere storiografiche dedicate al colonialismo italiano in Libia. In tal modo avrebbero potuto almeno alludere, sullo sfondo della vicenda, ai crimini orrendi - le deportazioni, i lager, l'uso di gas letali, i massacri, il genocidio - di cui esso si e' macchiato, invece di annacquare le responsabilita' del regime mussoliniano attraverso il personaggio farsesco di un generale che ha preso sul serio la propaganda fascista.
Lo stesso Monicelli, presentando questo suo ultimo film, aveva affermato: "Noi siamo gente generosa, che non si perde mai d'animo (...). Riuniti in esercito gli italiani sono sempre gli stessi: positivi, felici, ottimisti e se devono morire muoiono senza farla tanto lunga. Non vogliono essere ne' eroi, ne' missionari".
In realta', il solo fatto d'avanzare dubbiosamente un tal genere di critiche o interrogativi ti espone all'accusa di settarismo e pedanteria: nel nostro paese il diritto all'esercizio della critica, soprattutto in campo cinematografico, e', mi sembra, o almeno era, un diritto alquanto limitato. Quando poi si tratta di opere partorite da milieu "progressisti" - come si sarebbe detto un tempo - e' ancora piu' arduo avanzarne: esiste anche, infatti, anche un conformismo di sinistra.
Quanto alla rappresentazione delle persone immigrate o rifugiate, mi sembra che, soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta, una parte del cinema italiano inizi a rivelare maggiore maturita' politica: forse piu' nei documentari che nei film di finzione. In ogni caso, si affaccia una nuova generazione di cineasti impegnati, anche politicamente, a rappresentare immigrazione, asilo e temi connessi in modo realistico, privo di cliche' e luoghi comuni. Si pensi, tra gli altri e le altre, ad Andrea Segre e ai suoi non pochi documentari, il primo dei quali e' stato Lo sterminio dei popoli zingari, del 1998; ma anche a Mohsen Melliti, autore di un film quale Io, l'altro, del 2007, nonche' di un romanzo sulla vicenda della "Pantanella" (Pantanella. Canto lungo la strada, Edizioni Lavoro, 1992).
In entrambi i casi (che non sono gli unici), essi compiono un'opera assai meritoria, tanto piu' per il fatto che, da qualche anno a questa parte, negli stessi ambienti antirazzisti i cliche' e i luoghi comuni vanno moltiplicandosi. Dovrebbero preoccupare, inoltre, la tendenza a ignorare la lunga dimensione diacronica del neo-razzismo italiano; nonche' il progressivo impoverimento o decadimento dell'analisi e della riflessione, quindi del linguaggio e del lessico. Ripeto: perfino in ambienti antirazzisti.
Come ho scritto altrove e piu' volte, per quanto dotto pretenda di essere, uno degli esempi piu' lampanti e' costituito dall'attuale tendenza a usare ossessivamente il lemma odio: ricordo che la formula hate speech si ritrova abitualmente anche in documenti e rapporti ufficiali. Ed e' adoperata quale presunto movente degli atti di razzismo, verbali e fattuali, ma anche, in fondo, per nominare il razzismo stesso, che invece - come non mi stanco di ripetere - e' un sistema assai complesso: anzitutto, istituzionale, ma anche ideologico, politico, sociale, simbolico, mediatico...
Ma lo stesso si puo' dire di paura, quale presunto movente del razzismo, a sua volta spesso ricondotto a "guerra tra poveri"; per non dire dello slogan "restiamo umani" e di altri luoghi comuni simili...
A proposito di "guerra tra poveri": spesso questa locuzione mendace (come se fra "nativi" e migranti vi fosse simmetria di potere) serve a denominare forme di razzismo, anche assai violente, che accadono in quartieri popolari. In realta' a istigarle e a guidare all'assalto il piu' delle volte sono gli appartenenti a formazioni di estrema destra quali CasaPound, Forza Nuova e altre affini.
Tutto cio' per non dire dell'abuso del lemma "integrazione", la quale, come dovrebbe essere ben noto, non basta affatto a proteggere dal razzismo.
A tal proposito, un caso esemplare e' quello del sedicenne Giacomo Valent. Il 9 luglio 1985, a Udine, egli fu ucciso con sessantatre' coltellate da due suoi compagni di un liceo assai elitario. I due, neonazisti, avevano rispettivamente quattordici e sedici anni. Figlio di un italiano, funzionario d'ambasciata, e di una principessa somala, quindi socialmente piu' che "integrato", Giacomo era deriso come "sporco negro", ma anche per le sue idee politiche di sinistra.
Per parlare dell'oggi, perfettamente integrato e' anche Mario Balotelli, un autentico mito calcistico, approdato nella nazionale di calcio. Eppure, e non solo per causa del colore della sua pelle, e' stato (ed e' tuttora) oggetto di ripetute aggressioni, verbali o peggio.
Rimarco il "non solo" per ricordare che chiunque puo' essere razzizzato, come ben dimostra il caso dei/delle migranti albanesi, arrivati/e in Italia a partire dai primi anni '90 del Novecento e presto divenuti/e capro espiatorio ideale e vittime di razzismo, anche estremo.
Insomma, e' come se non avesse lasciato alcuna traccia la gran mole di analisi e studi, alcuni assai pregevoli, prodotta nel corso dei decenni passati, soprattutto in Francia, ma anche in Italia, negli Stati Uniti e altrove. Infatti, perfino su giornali di sinistra puo' capitare d'imbattersi in articoli infarciti da lemmi quali razza e razziale (mai virgolettati). In uno di questi l'autore si diceva fermamente contrario al fatto che dalla Costituzione francese sia stata cancellata la parola "razza": cosa per la quale in Italia si battono non pochi gruppi antirazzisti e la stessa Siac, la Societa' italiana di antropologia culturale, della quale faccio parte.
Infine: ricordo en passant che gia' verso la fine degli anni Trenta del Novecento, Franz Boas, fondatore dell'antropologia culturale, del quale i nazisti avrebbero messo al rogo i libri ("oltre tutto", egli era d'origine ebraica), aveva criticato e decostruito lo pseudo-concetto di razza. E nel 1950 l'UNESCO, che si era costituita da poco, elaboro' una Dichiarazione sulla razza secondo la quale non esiste alcun determinante biologico fondativo che possa legittimarla.
*
Questo testo e' la trascrizione del mio intervento, pronunciato nel corso del XXVI Convegno Internazionale di Studi Cinematografici: "Migrazioni, cittadinanze, inclusivita'", 6-8 maggio 2021, Universita' di Roma Tre.
6. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: LA RIDUZIONE DELL'ALTRO A NATURA
[Dal sito di "Comune-info" riprendiamo e diffondiamo il seguente intervento del 20 marzo 2021]
Il volume dell'antropologo Francesco Bachis, Sull'orlo del pregiudizio. Razzismo e islamofobia in una prospettiva antropologica (Master Aips Edizioni, 2018), sebbene pubblicato tre anni fa, e' di una attualita' notevole. Esso ha come obiettivo generale l'indagine intorno ad alcune forme di costruzione dell'alterita' nella societa' contemporanea.
Assai colto e ben documentato (come testimonia, tra l'altro, l'ampia bibliografia), esso si colloca lungo una linea di pensiero alquanto affine alla mia: quella che mira a decostruire non solo gli stereotipi, ma anche pseudo-concetti quali "razza", in primo luogo, nonche' "etnia", "identita'", "discendenza"... (a tal proposito, si veda: R. Gallissot, M. Kilani, A. Rivera, L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, che, pubblicato da Dedalo, ha conosciuto svariate edizioni).
Bachis lo dichiara piu' volte apertamente, scrivendo, per esempio, di processi di naturalizzazione delle differenze (una formula che mi e' molto familiare), i quali talvolta giungono fino all'utilizzo di "razza". Questa, paradossalmente, non solo e' adoperata in ambienti di destra e/o tornata in auge fra gente comune, ma e' presente perfino in alcuni ambiti di studi: in quelli detti postcoloniali, in specie.
A tal proposito, Bachis precisa opportunamente che al pari di quel che "avviene con la merce, anche la 'razza' e' prodotto e non la genesi dei rapporti sociali di dominio" (p. 19). E aggiunge che, si usi o no apertamente questo lemma, "la naturalizzazione delle differenze perdura anche nella prospettiva dell'attuale fondamentalismo culturale" (p. 21).
Inoltre, l'autore afferma a ragion veduta che "Mentre il 'noi' opera nel campo propriamente umano della 'cultura', l''altro' sarebbe preda di forze irrazionali, spesso sfocianti in una 'natura' che lo riduce a destino segnato. In questo quadro gioca un ruolo fondamentale l'immaginario esotico, orientalista e coloniale" (p. 25).
Eppure l'assoluta infondatezza scientifica di razza "sembrava un'acquisizione ormai consolidata", scrive Bachis (p. 21), citando l'importante genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza. In realta' converrebbe ricordare che il processo di decostruzione della "razza" parte perlomeno da Franz Boas, fondatore dell'antropologia culturale. Il quale, gia' dal 1911, con The mind of primitive man, inizio' a demolire progressivamente l'innatismo e il biologismo deterministico: in definitiva, la "razza", per l'appunto, introducendo come primario il concetto di cultura e, di conseguenza, il relativismo culturale.
Va detto, inoltre, che alcuni capitoli di questo volume quale il primo, dedicato in particolare alla Lega (un tempo detta "Nord") sono guidati da un'analisi assai accurata dell'ideologia e del lessico che caratterizzano quel discorso razzista, talvolta estremo. Interessante e ben documentato e' anche il secondo capitolo, Esotismo e follia: stampa e migranti, corredato com'e' dall'analisi critica di un'intera annata de La Repubblica, quella del 1997, onde esaminare, in particolare, l'incidenza e la legittimazione del lemma "clandestino".
Ricordiamo che quello preso in esame e' un anno cruciale, che si caratterizza, fra le altre cose, per aver partorito, nell'ambito di un governo di centro-sinistra (il Prodi-uno), il disegno di legge governativo sull'immigrazione (19 febbraio 1997), che poi sarebbe stato convertito nella legge del 6 marzo 1998, n. 40, detta Turco-Napolitano: quella che, fra le altre ignominie, inauguro' lo scandalo della detenzione amministrativa, istituendo i CPTA, Centri di permanenza temporanea e assistenza, come furono detti con un grottesco eufemismo ossimorico, mentre, in realta', erano dei lager per migranti irregolari da espellere.
E' l'anno nel quale ancora perdura il razzismo anti-albanesi, discriminati e rappresentati in blocco al pari di una razza diversa. E' altresi' quello in cui il ministro dell'interno, Giorgio Napolitano, istituisce un blocco navale per impedire gli arrivi dall'Albania.
Fu a causa di tale blocco se, la notte fra il 28 e il 29 marzo del 1997, nel canale d'Otranto, una "carretta del mare", stracarica di profughi, la Kater i Rades, fu speronata dalla Sibilla, una corvetta della Marina militare italiana. La collisione provoco' l'affondamento della motovedetta albanese e la morte per annegamento di un centinaio di passeggeri (solo di cinquantadue di loro furono subito recuperati i cadaveri). I sopravvissuti e le vittime (in maggioranza donne e bambini) furono tutt* definit* quali clandestini. Il governo Prodi non fu particolarmente scosso da una tale tragedia...
Una tale vicenda funesta comprova cio' che scrive l'autore: "Il termine 'clandestino' ha una sfera di applicazione molto larga, e viene impiegato anche per denotare individui che si trovano in acque internazionali su imbarcazioni dirette verso i porti italiani" (p. 74).
Questo e altri casi riportati confermano, com'egli scrive, quanta importanza abbiano le pratiche discorsive, soprattutto quelle veicolate dai mass-media. La parola clandestino, stigmatizzante per eccellenza, sempre piu' spesso e' associata a fatti di cronaca nera, egli aggiunge. E questo, a sua volta, non fa che incrementare politiche sempre piu' restrittive e razziste.
E ancora a proposito di linguaggio, Bachis sottolinea a giusta ragione come sia parte dell'ideologia razzista l'invenzione (o la reinvenzione) di parole quali buonisti e radical-chic, adoperate per stigmatizzare chi solidarizza con persone immigrate. Com'egli scrive e come io stessa ho scritto piu' volte, l'antecedente storico e' quello di pietismo, usato dopo le leggi razziali del 1938 verso chiunque difendesse gli ebrei o simpatizzasse con loro.
Ho trovato assai interessante anche il terzo capitolo, su islamofobia e antisemitismo, e non solo perche' per molti anni mi sono occupata di un tale tema: per es. ne La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita' (Dedalo, 2005), il quale prende le mosse da un'ampia analisi critica della controversia pubblica sul cosiddetto velo islamico. Un tema ancora assai attuale, purtroppo, se e' vero che il 6 marzo scorso, in Svizzera, tramite un referendum promosso dalla destra, ha vinto la proibizione nei luoghi pubblici dell'uso del burqa e del niqab.
"Nel discorso islamofobico, scrive Bachis, il musulmano viene concepito come doppiamente altro: in quanto immigrato nonche' seguace di una religione incompatibile" (p. 99). La parte piu' stimolante di questo capitolo mi e' sembrata quella della comparazione con l'antisemitismo: "L'islamofobia sembra vivere in una relazione di mimesi e conflitto, continuita' e scarto con l'antisemitismo" (p. 91).
Nondimeno non sono poche le analogie tra l'una e l'altro. Per es., scrive l'autore, una delle tante risiede nel tema dello sradicamento: come l'ebreo era considerato cosmopolita per eccellenza e anche per questo pericoloso, cosi' il migrante di oggi, se musulmano, oltre tutto, e' rappresentato come un soggetto sradicato e instabile, dunque anch'egli pericoloso. Al pari dell'antisemitismo "classico", che invento' la razza ebraica, dotata di un'essenza comune, così nel caso dell'islamofobia si cancella la pluralita' per inventare un homo islamicus: l'uno e l'altro rappresentati come contraltari del "noi".
Tra l'antisemitismo attuale e l'islamofobia vi sono, tuttavia, non poche differenze. Come precisa Bachis, "se nessuno mette piu' in discussione concretamente il diritto degli ebrei a vivere in Europa, lo stesso diritto per i musulmani e' costantemente oggetto di contesa e negoziazione politica" (p.108).
Il tema dell'islamofobia ritorna nell'ultimo capitolo, in particolare nella forma di un'attenta analisi di un breve video in lingua inglese: il suo oggetto principale e' la denuncia del calo di natalita' presso le popolazioni europee e americane in favore della crescita contemporanea della fecondita' dei musulmani. Anche questo tema presenta alcuni elementi di continuita' con l'antisemitismo piu' classico.
Infine, una mia notazione critica, sia pur secondaria, relativa all'uso di lemmi quali odio e paura, oggi dilaganti, oltre tutto intesi come moventi del razzismo. Non e' per caso che ormai anche organismi internazionali, preposti, tra l'altro, a produrre rapporti sul razzismo, usino la formula di hate speech ("discorsi di odio"), riducendo cosi' il razzismo stesso a semplice intolleranza o a questione di scorrettezza verbale.
In realta' - ma non e' certo il caso di Bachis - riducendo il razzismo a odio, si finisce per ignorarne la dimensione storica e sociale, ma anche il carattere peculiare e sistemico. Il razzismo, infatti, e' un sistema d'idee, parole, discorsi, atti, norme giuridiche, pratiche sociali e istituzionali. Un sistema che attribuisce a gruppi umani e agli individui che ne fanno parte differenze essenziali, generalizzate, definitive, naturali o quasi-naturali, al fine di giustificare e/o legittimare stigmatizzazione, discriminazione, subordinazione, inferiorizzazione, segregazione, esclusione, violenza, perfino sterminio (si veda il mio Razzismo. Gli atti, le parole, la propaganda, Dedalo 2020, pp. 7-8).
Oltre allo stereotipo di odio, un altro, oggi assai diffuso, e' quello secondo cui, in particolare tra la "gente comune", sarebbe soprattutto la paura degli altri/e a istigare atti di razzismo verbale o fattuale. A tal proposito faccio un esempio concreto. Quale paura pensate possa suscitare una mamma immigrata che piange la perdita della sua bambina di cinque mesi? Eppure il 18 dicembre 2019, nella corsia dell'ospedale di Sondrio, accadde che quella madre, una giovane nigeriana che piangeva disperatamente, avendo appena appreso che la sua creatura era morta, fosse insultata da persone comuni, anche da donne, con frasi raccapriccianti quali: "Non e' cosi' grave: gli africani fanno un figlio all'anno", "Ma perche' urla? Sara' un rito tribale...", "Mettetela a tacere quella scimmia!" (Rivera, op. cit., p. 8).
Anche "Restiamo umani" e' uno slogan assai diffuso, soprattutto in ambienti antirazzisti. Forse, al contrario, ci si dovrebbe impegnare a trascendere lo stato attuale dell'umanita' cercando di apprendere da quei non-umani che mai tratterebbero in tal modo una madre della loro stessa "specie", la quale si disperasse per aver appena perso il suo cucciolo (ibidem).
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- AA. VV., L'intelligenza non e' artificiale, volume monografico di "Limes. Rivista italiana di geopolitica", n. 12, dicembre 2022, Gedi, Torino 2022, pp. 248 (+ 12 pp. di tavole fuori testo), euro 15.
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Riletture
- M. H. Watkins and H. M. Grant, Canadian Economic History. Classic and Contemporary Approaches, Carleton University Press, Ottawa 1993, pp. XVI + 276.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4702 del 2 gennaio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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