[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 309



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 309 del 29 dicembre 2021

In questo numero:
1. Scriviamo al Ministro degli Esteri, chiediamogli di adoperarsi per la liberazione di Leonard Peltier
2. Mao Valpiana: Lettera dal Movimento Nonviolento
3. Marica Tolomelli: Danilo Dolci

1. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CHIEDIAMOGLI DI ADOPERARSI PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Carissime e carissimi,
proponiamo a chi ci legge di inviare al Ministro degli Affari Esteri la seguente lettera (o un testo analogo):
Al Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana
e per opportuna conoscenza:
al Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana
al Presidente del Parlamento Europeo

"Tutti facciamo parte dell'unica famiglia dell'umanita'.
Noi condividiamo la responsabilita' per la nostra Madre Terra
e per tutti quelli che ci vivono e respirano.
Credo che il nostro compito non sara' terminato
fin quando anche un solo essere umano sara' affamato o maltrattato,
una sola persona sara' costretta a morire in guerra,
un solo innocente languira' in prigione
e un solo individuo sara' perseguitato per le sue opinioni.
Credo nel bene dell'umanita'.
Credo che il bene possa prevalere, ma soltanto se vi sara' un grande impegno.
Impegno da parte nostra, di ognuno di noi, tuo e mio"
(Leonard Peltier)

Oggetto: Proposta di un passo del governo italiano per la concessione della grazia a Leonard Peltier
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
sara' forse gia' al corrente della recente, rilevante iniziativa del Presidente del Parlamento Europeo che alcuni mesi fa ha annunciato pubblicamente - con una conferenza stampa, un video e un tweet - la richiesta al Presidente degli Stati Uniti d'America di concedere la grazia presidenziale che restituisca finalmente la liberta' a Leonard Peltier, l'illustre attivista per i diritti umani e la difesa della Madre Terra nativo americano da 45 anni detenuto innocente, condannato per crimini che non ha mai commesso.
Nel suo tweet del 23 agosto 2021 il Presidente del Parlamento Europeo ha scritto, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
A sostegno dell'iniziativa del Presidente del Parlamento Europeo si sono espresse innumerevoli personalita', associazioni, istituzioni. Tra esse prestigiosissime personalita' dell'impegno religioso ed istituzionale, morale e civile, culturale ed artistico, come Alessandra Algostino, Laura Boella, don Luigi Ciotti, Giancarla Codrignani, Marinella Correggia, Nando dalla Chiesa, Gregorio de Falco, Paolo Ferrero, Francuccio Gesualdi, Raniero La Valle, Gad Lerner, Sara Michieletto, Luisa Morgantini, Riccardo Orioles, Moni Ovadia, Daniela Padoan, Bianca Pitzorno, Graziella Proto, Anna Puglisi, Annamaria Rivera, Antonia Sani, Mao Valpiana, Guido Viale, padre Alex Zanotelli, e le Sindache ed i Sindaci di vari Comuni d'Italia come Abbadia San Salvatore, Aosta, Baveno, Bologna, Carrara, Chieri, Cuneo, Gorizia, Livorno, Monte San Pietro, Palermo, Pesaro, Pienza, Reggio Calabria, Soriano nel Cimino, Verbania, Vitorchiano.
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
forse ricordera' che la liberazione di Leonard Peltier e' stata richiesta piu' volte gia' nel corso degli scorsi decenni non solo da prestigiose organizzazioni umanitarie come Amnesty International e Human Rights Watch, ma anche da autorevolissume personalita' - benemerite dell'umanita' intera - come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Shirin Ebadi, Rigoberta Menchu', Desmond Tutu, ed altri illustri Premi Nobel per la Pace.
Un appello di Nelson Mandela, un appello di madre Teresa di Calcutta, dovrebbe essere ascoltato da ogni persona di volonta' buona come da ogni istituzione preposta al bene comune.
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
forse sapra' anche che la medesima richiesta di liberazione di Leonard Peltier e' stata espressa gia' da decenni dal Parlamento Europeo con due risoluzioni del 1994 e del 1999.
Trascriviamo qui di seguito integralmente la Risoluzione del Parlamento Europeo dell'11 febbraio 1999 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. C 150 del 28/05/1999 pag. 0384, B4-0169, 0175, 0179 e 0199/99):
"Risoluzione sul caso di Leonard Peltier
Il Parlamento europeo,
- vista la sua risoluzione del 15 dicembre 1994 sulla grazia per Leonard Peltier (GU C 18 del 23.1.1995, pag. 183),
A. considerando il ruolo svolto da Leonard Peltier nella difesa dei diritti dei popoli indigeni,
B. considerando che Leonard Peltier e' stato condannato nel 1977 a due ergastoli dopo essere stato estradato dal Canada, benche' non vi fosse alcuna prova della sua colpevolezza,
C. considerando che Amnesty International ha ripetutamente espresso le proprie preoccupazioni circa l'equita' del processo che ha condotto alla condanna di Leonard Peltier,
D. considerando che il governo degli Stati Uniti ha ormai ammesso che gli affidavit utilizzati per arrestare e estradare Leonard Peltier dal Canada erano falsi e che il Pubblico ministero statunitense Lynn Crooks ha affermato che il governo degli Stati Uniti non aveva alcuna prova di chi aveva ucciso gli agenti,
E. considerando che dopo 23 anni trascorsi nei penitenziari federali, le condizioni di salute di Leonard Peltier si sono seriamente aggravate e che secondo il giudizio di specialisti la sua vita potrebbe essere in pericolo se non ricevera' adeguate cure mediche,
F. considerando che le autorita' penitenziarie continuano a negargli adeguate cure mediche in violazione del diritto umanitario internazionale e i suoi diritti costituzionali,
G. rilevando che Leonard Peltier ha esaurito tutte le possibilita' di appello concessegli dal diritto statunitense,
1. insiste ancora una volta affinche' venga concessa a Leonard Peltier la grazia presidenziale;
2. insiste affinche' Leonard Peltier sia trasferito in una clinica dove possa ricevere le cure mediche del caso;
3. ribadisce la sua richiesta di un'indagine sulle irregolarita' giudiziarie che hanno portato alla reclusione di Leonard Peltier;
4. incarica la sua delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti di sollevare il caso di Leonard Peltier iscrivendolo all'ordine del giorno del prossimo incontro con i parlamentari americani;
5. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Congresso statunitense e al Presidente degli Stati Uniti d'America".
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
sapra' forse anche che in occasione del recente incontro del G20 a Roma alcuni movimenti democratici, e con essi molte cittadine e molti cittadini, hanno sollecitato il Presidente del Consiglio dei Ministri del nostro paese a rappresentare personalmente al Presidente statunitense l'opportunita' di concedere la grazia a Leonard Peltier.
Ignoriamo ovviamente se nei colloqui riservati intercorsi tra il capo di governo italiano ed il presidente americano tale tema sia stato posto, ma ragione e sentimento ci inducono a ritenere che cosi' possa essere stato e che comunque nella sua pur breve permanenza in Italia il Presidente Biden sia stato informato dalla stessa rappresentanza diplomatica del suo paese del vasto e crescente movimento di solidarieta' che nel nostro paese si e' espresso per la concessione della grazia a Leonard Peltier.
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
la vicenda di Leonard Peltier puo' essere riassunta brevemente: nato a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944, attivista dell'American Indian Movement per i diritti umani dei nativi americani e in difesa della Madre Terra, nel 1977 fu condannato a due ergastoli in un processo-farsa sulla base di presunte prove e presunte testimonianze dimostratesi false; da allora e' ancora detenuto, sebbene la sua innocenza sia ormai universalmente riconosciuta (gli stessi suoi accusatori e giudici responsabili della sua scandalosa ed assurda condanna hanno in prosieguo di tempo ammesso che le cosiddette "prove" e le cosiddette "testimonianze" erano false). Anche dal carcere ha continuato ad impegnarsi per i diritti umani di tutti gli esseri umani e in difesa della Madre Terra, sostenendo e promuovendo molte iniziative educative ed umanitarie, a cui ha affiancato un'apprezzata attivita' di pittore, poeta, scrittore.
Per ulteriori informazioni si veda di Leonard Peltier, Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin's Griffin, New York 1999 (in edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005); e tra le opere su Leonard Peltier: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, Milano 1994; Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano, Erre Emme, Pomezia 1996; Michael Koch, Michael Schiffmann, Ein leben fur Freiheit. Leonard Peltier und der indianische Widerstand, TraumFaenger Verlag, Hohenthann 2016.
Si puo' utilmente consultare anche il sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
il dettato della Costituzione della Repubblica Italiana, corroborato dagli impegni assunti con la partecipazione all'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) e all'Unione Europea (Ue), impegna il nostro paese alla difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani: orbene, non vi e' dubbio che una detenzione di 45 anni imposta a un uomo innocente, a un difensore dei diritti umani e del mondo vivente, sia una flagrante violazione dei diritti umani.
Ergo: la stessa legge fondamentale del nostro paese ci chiede di adoperarci per la sua liberazione, cosi' come per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
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Egregio Ministro degli Affari Esteri,
vorremmo pertanto sollecitare una sua iniziativa, un passo del governo italiano per la concessione della grazia a Leonard Peltier.
Come ha scritto il Presidente del Parlamento Europeo, "Human rights must be defended always, everywhere", "I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
Confidando nella sua attenzione e nel suo impegno, augurandole ogni bene,
firma, luogo e data
Recapiti postale, telefonico ed email del mittente
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Gli indirizzi cui inviare la lettera sono i seguenti:
- al Ministro degli Esteri: gabinetto at esteri.it, sg.segreteria at esteri.it, SGUDC at esteri.it,
- al Presidente del Consiglio dei Ministri: presidente at pec.governo.it, segrcd at governo.it, chigicomunicazione at governo.it, uscm at palazzochigi.it, segrgen at governo.it,
- al Presidente del Parlamento Europeo: president at ep.europa.eu, lorenzo.mannelli at ep.europa.eu, armelle.douaud at ep.europa.eu, barbara.assi at ep.europa.eu, helene.aubeneau at ep.europa.eu, marco.canaparo at ep.europa.eu, fabrizia.panzetti at ep.europa.eu, michael.weiss at ep.europa.eu, luca.nitiffi at ep.europa.eu, matea.juretic at ep.europa.eu, francesco.miatto at ep.europa.eu, barbara.hostens at ep.europa.eu, monica.rawlinson at ep.europa.eu, beate.rambow at ep.europa.eu, laetitia.paquet at ep.europa.eu, nicola.censini at ep.europa.eu, arnaud.rehm at europarl.europa.eu, julien.rohaert at europarl.europa.eu, jose.roza at ep.europa.eu, roberto.cuillo at ep.europa.eu, silvia.cagnazzo at ep.europa.eu, eulalia.martinezdealosmoner at ep.europa.eu, iva.palmieri at europarl.europa.eu, tim.allan at ep.europa.eu, andrea.maceirascastro at ep.europa.eu, angelika.pentsi at ep.europa.eu,
- per conoscenza al Comitato internazionale di difesa di Leonard Peltier: contact at whoisleonardpeltier.info,
- per conoscenza alle associazioni democratiche promotrici di questa iniziativa: bigoni.gastone at gmail.com, nepi1.anpi at gmail.com, centropacevt at gmail.com,
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Grazie per quanto vorrete fare.

2. REPETITA IUVANT. MAO VALPIANA: LETTERA DAL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: sede nazionale via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax 0458009803, e-mail: mao at sis.it, azionenonviolenta at sis.it, siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it) riceviamo e diffondiamo]

Natale 2021 – Capodanno 2022
Cara amica e caro amico,
inviamo questa mail a tutti coloro che nel corso dell'anno sono entrati in contatto con il Movimento Nonviolento. Vogliamo innanzitutto rinnovare la nostra amicizia e nell'occasione porgere gli auguri per le prossime festivita', il Natale e l'inizio d'anno nuovo.
Il Movimento Nonviolento vive solo grazie a chi decide di assumersi la responsabilita', iscrivendosi, di renderlo strumento utile alla crescita della nonviolenza organizzata.
La pandemia ancora in corso ha molto penalizzato negli ultimi due anni le entrate legate alle attivita' pubbliche del Movimento. Per la prima volta il nostro bilancio e' in sofferenza.
Per questo ti proponiamo di fare una scelta, sottoscrivendo l'adesione al Movimento, con una quota che comprende anche l'abbonamento alla rivista "Azione nonviolenta".
Sappiamo bene che sono crescenti, per tutti, le difficolta' economiche, ma sappiamo anche che ognuno di noi paga, per le spese militari, piu' di 1 euro al giorno (400 euro all'anno, la cifra annuale di 25 miliardi, divisa per i cittadini italiani). La nonviolenza costa molto meno delle armi, ma ci sono comunque dei costi da sostenere. Le attivita' ordinarie del Movimento, pur considerando l'enorme impegno su base volontaria e gratuita, hanno dei costi fissi cui dobbiamo quotidianamente fare fronte: gestione della sede nazionale (tasse, bollette, telefono, ecc.), lavoro di segreteria, mantenimento straordinario delle sedi, contributi alle attivita' delle reti nazionali ed internazionali (Rete Pace e Disarmo, Beoc, War Resisters International, ecc.), sostegno a campagne e iniziative, spese di viaggi per riunioni e lavori di segreteria, costi per la comunicazione, siti e social, e soprattutto le uscite per la redazione della rivista cartacea (spese tipografia, spedizioni, ecc.).
Contiamo quindi su uno sforzo straordinario di ciascuno, la collaborazione e il contributo di tutti, a partire dalla quota di adesione per il 2022 da 50,00 euro, con Iban IT 35 U 07601 11700 000018745455 intestato al Movimento Nonviolento, o tramite il nostro e-shop, a cui si puo' aggiungere l'abbonamento alla rivista "Azione nonviolenta", in formato cartaceo a 32,00 euro, o digitale a 20,00 euro.
Per i liberi contributi (fiscalmente detraibili) oltre che l'Iban e' possibile utilizzare anche paypal
Ricordiamo anche l'importanza di destinare il 5x1000 al nostro Movimento, e di consigliarlo agli amici. Basta una firma e il nostro codice fiscale 93100500235.
Se desideri ricevere regolarmente le nostre comunicazioni, mandaci la tua mail per l'indirizzario informatico. Invia a: amministrazione at nonviolenti.org , con oggetto "per lista iscritti MN".
Grazie e auguri di pace per te e i tuoi cari.
Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento

3. REPETITA IUVANT. MARICA TOLOMELLI: DANILO DOLCI
[Dal sito www.treccani.it riproponiamo la seguente voce estratta dal Dizionario biografico degli italiani (2017)]
 
Danilo Dolci, poeta e intellettuale-attivista, impegnato su diversi fronti, nacque a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924. Da alcune biografie (Capitini, 1958; Fontanelli, 1976; Barone, 2000) si ricava l'immagine di un'infanzia e una gioventu' sostanzialmente ordinarie per un ragazzo di estrazione sociale medio-borghese, nato sul confine orientale da una madre slovena, Meli Kondely, donna relativamente colta, amante della musica e animata da una profonda fede religiosa, e un padre italiano (Enrico, per la verita' italo-tedesco), ferroviere. Ebbe una sorella minore, Miriam Lippolis, scrittrice, impegnata ancora in tempi recenti a mantenere viva la memoria del fratello (Bisconti, 2013). A causa del lavoro del padre la famiglia dovette presto trasferirsi in Lombardia, dove Danilo frequento' la scuola fino al conseguimento del diploma tecnico (geometra) a Pavia e poi della maturita' artistica a Milano.
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Gli anni della formazione
Tra gli spostamenti lavorativi del padre occorre ricordare quello, breve ma decisivo, a Trappeto, in provincia di Palermo, nei primi anni Quaranta. Per il ragazzo le visite al seguito del padre furono occasione di un primo incontro con mondi molto lontani da quello in cui viveva, compresa una poverta' a lui sconosciuta.
Le esperienze maggiormente incisive per la biografia del giovane furono due: il rifiuto di arruolarsi nell'esercito della Repubblica sociale italiana (RSI), ragione per cui nel 1943 fuggi' in Abruzzo maturando una profonda avversione per la violenza e il militarismo; l'incontro con la comunita' cattolica di Nomadelfia (presso l'ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena) e il suo animatore, don Zeno Saltini. Quest'ultimo avvenimento segno' una svolta nella vita di Dolci: nel 1950, all'eta' di 26 anni, abbandono' gli studi in architettura quasi completati a Milano, la fidanzata e il lavoro come insegnante presso una scuola serale di Sesto S. Giovanni (dove aveva conosciuto Franco Alasia, suo futuro strettissimo collaboratore) per prendere parte alla vita comunitaria di Nomadelfia. L'esperienza fu profondamente formativa, Dolci visse con grande fervore quel periodo e partecipo' anche alla fondazione di un secondo centro comunitario nella provincia di Grosseto. Li' si era "come ripulito ed essenzializzato", poi pero' se ne distacco', sentiva il bisogno di uscire da una comunita' che era "come un'isola, un nido caldo", per entrare in contatto con "il resto del mondo" (Dolci, 1968, p. 15). Trappeto, "il paese piu' misero che ave[esse] mai visto", gli parve pertanto la destinazione ideale.
Nonostante la centralita' del rapporto con don Saltini, questo passaggio segno' una ormai definitiva presa di distanza dalle forme di dedizione umanitaria e sociale tipiche dell'impegno cattolico, per approdare a una prassi piu' apertamente laica e dettata dalla necessita' di intervenire su realta' inaccettabili per modificarle. Questo atteggiamento avvicinava Dolci ad altre figure animate da una profonda spiritualita' 'metaconfessionale', mentre lo allontanava, necessariamente, dal cattolicesimo istituzionale.
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La Sicilia, punto di incontro tra Nord e Sud e "il bisogno di collaborare alla vita"
L'arrivo in Sicilia, nel gennaio 1952, segno' la fase piu' intensa della sua vita. Nei primi anni Cinquanta la Sicilia era una sorta di metafora della condizione di indigenza, arretratezza e noncuranza che ampi strati di popolazione dell'ex Regno delle due Sicilie erano ancora costretti a sopportare senza che le classi dirigenti italiane - in sostanziale continuita' tra il periodo liberale, quello fascista e quello repubblicano - fossero riuscite o si fossero preoccupate di affrontare in maniera risolutiva. Trappeto e Partinico erano luoghi al contempo concreti, caratterizzati da una miseria indicibile e da un bisogno improrogabile di intervento, ma anche simboli del malessere profondo che attraversava diffusamente l'intero Mezzogiorno. L'esistenza di gravissime condizioni di arretratezza e deprivazione - connesse al problema della squilibrata distribuzione fondiaria - non era ignota alla classe dirigente italiana. Nello stesso periodo in cui Dolci decise di recarsi presso i piu' poveri e di denunciare, attraverso la pubblicazione dei suoi studi - tra i primi e più noti Fare presto (e bene) perche' si muore (Torino 1954); Banditi a Partinico (Bari 1955); Inchiesta a Palermo (Torino 1956) -, una Commissione parlamentare incaricata di condurre un'inchiesta "sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla", condusse le proprie ricerche, tra il maggio 1952 e il giugno 1953, mettendo in luce una realta' di arretratezza che strideva dolorosamente con l'orizzonte di sviluppo e benessere che si stava preannunciando (Braghin, 1978; Fiocco, 2004).
Il fatto che la questione della poverta' fosse oggetto di iniziative politiche, nonche' di una certa attenzione pubblica, contribui' probabilmente ad amplificare la risonanza del dramma di Trappeto, dove nell'ottobre 1952 un bambino poco piu' che neonato mori' di stenti. La vicenda avrebbe potuto essere letta semplicemente come una triste conferma della gravita' del problema della miseria, ma assunse un significato ben piu' ampio nel momento in cui il giovane Danilo Dolci, da poco arrivato, intraprese uno sciopero della fame per esprimere pubblicamente la sua indignazione e necessita' di ribellione. Come avrebbe piu' tardi spiegato, la sua iniziativa non si baso' su presupposti teorici, essa fu piuttosto una istintiva, umana reazione di fronte a una realta' inaccettabile: "Allora cominciai a digiunare. Non c'era un ragionamento preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che esistesse un paese senza fognature, senza strade. Anzi le fognature erano le strade stesse. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarieta'. Avevo la vaga intuizione [...] che nella zona le cose potessero cambiare" (Intervista, Tarozzi, 1995).
La sua intuizione che "le cose potessero cambiare" nascondeva la determinazione, costante nella sua vita, a intervenire sulla realta' per infrangere forme di dominio 'naturalizzate'. Si trattava di un'ambizione niente affatto infondata: quando si trasferi' in Sicilia le regioni meridionali della neonata Repubblica italiana avevano gia' alle spalle una intensa stagione di lotte per la riforma agraria. Dai decreti Gullo del 1944 al lodo De Gasperi del 1946, passando per gli eccidi di Portella delle Ginestre (1947), di Melissa, di Montescaglioso e di Torremaggiore (1949), le terre del Sud erano state oggetto di una conflittualita' sociale e politica asperrima, in cui la posta in gioco piu' immediata risiedeva nella riforma della proprieta' fondiaria, quella a piu' lunga scadenza nell'emancipazione sostanziale della maggior parte della popolazione meridionale.
La Sicilia era in quegli anni parte importante dell'orizzonte spaziale, sociale e politico in cui si adoperavano le sinistre italiane per cercare di intercettare, sostenere e guidare il riscatto sociale cui aspirava la popolazione contadina (Rochefort, 2005). Figure come Girolamo Li Causi (primo segretario regionale del Partito comunista), Raniero Panzieri (dal 1949 in Sicilia, dal 1951 segretario regionale del Partito socialista), per non parlare di Giuseppe Di Vittorio e della sua CGIL, ma anche di intellettuali e attivisti come Carlo Levi o Rocco Scotellaro, furono tra i protagonisti piu' impegnati nello spirito di emancipazione e rinnovamento che animo' profondamente le popolazioni meridionali negli anni della ricostruzione - economica, ma anche e soprattutto politica, nel senso di costruzione della democrazia.
Dolci non era dunque solo nel suo anelito a cambiare le cose - in Italia, nel Mezzogiorno, in Sicilia - ma lo espresse, anzi lo agi', in maniera diversa dalla sinistra istituzionale, non solo in merito alla pronunciata connotazione spirituale (ma mai confessionale) che caratterizzo' soprattutto i primi anni della sua esperienza, ma anche rispetto al metodo. Dopo i primi mesi a Trappeto si impegno' nella realizzazione di un progetto comunitario ed educativo, il Borgo di Dio. Si trattava di una forma di intervento di ispirazione umanitaria-religiosa che rifletteva, ma solo in parte, l'esperienza di Nomadelfia. Anche il Borgo, come Nomadelfia, fu creato per accogliere in primo luogo bambini abbandonati a se stessi e destinati a un futuro sventurato. A differenza del progetto di don Saltini, aspirante a una comunita' esemplare, quello di Dolci mirava tuttavia a innescare sinergie virtuose tra le risorse, le energie e i valori gia' presenti all'interno della comunita'. Il suo intento era infatti quello di "collaborare alla vita", non guidarla - cosi' come il suo amico Aldo Capitini ricordava, citando le stesse parole di Dolci, nella biografia che gli dedico' gia' pochi anni dopo averlo conosciuto (Capitini, 1958, p. 33).
Il suo originale modo di porsi dalla parte degli e con gli oppressi esercito' una straordinaria attrazione su alcuni ambienti sia della sinistra che del cristianesimo sociale. Numerosi giovani intellettuali inseriti in contesti culturali e politici agli antipodi di Trappeto o Partinico furono talmente incuriositi da cio' che stava accadendo nella lontana Sicilia, che vi si recarono di persona, trattenendosi per un certo periodo. Scrive Gabriele Corsani: "In particolare intorno alla Trappeto di Dolci ruotano numerosi gruppi di persone, di Milano, Genova, Bologna, Firenze, Siena e Roma [...]; attraverso loro sono collegati i mondi [...] di Ernesto Bonaiuti, Zeno Saltini, Aldo Capitini, Lamberto Borghi, David Maria Turoldo" (Corsani, 2012, p. 168). Accanto a questi luoghi e a questi nomi occorre ricordare anche una vivace rete di giovani donne, soprattutto insegnanti, pedagogiste e scrittrici che si sentirono fortemente attratte dagli innovativi progetti pedagogici prima di Borgo di Dio e poi, dal 1975, del Centro educativo di Mirto. Tra queste ricordiamo Grazia Fresco, Maria Fermi Sacchetti, Margherita Pieracci, Cristina Vittoria Guerrini (poi nota col nome di Cristina Campo), Maria Chiappelli, Anna Bonetti, Ida Sacchetti (Pieracci Harwell, 2012). E, ancora, la pedagogista svedese Elena Norman, futura seconda moglie di Dolci (con cui ebbe i figli Sereno ed En) dopo la rottura del ventennale matrimonio con Vincenzina Mangano, colei che di fatto medio' l'integrazione di Dolci a Trappeto accogliendolo nella sua famiglia - era vedova con cinque figli - per ampliarla e aggiungervi gli altri cinque avuti con lui (Libera, Amico, Cielo, Chiara, Daniela). Occorre inoltre ricordare anche i legami con Torino, da dove presero le mosse giovani sociologi e intellettuali come Vittorio Rieser e Giovanni Mottura e, per altre ragioni, Goffredo Fofi, per andare a conoscere da vicino l'esperienza dolciana. Nonostante la relativa breve durata del loro soggiorno e alcune rilevanti divergenze, politiche e personali - la collaborazione con una personalita' cosi' forte come Dolci non fu sempre facile - questa esperienza fu fondamentale per coloro che, come Raniero Panzieri che aveva seguito da vicino l'attivita' di Dolci (Rizzo, 2001), pochi anni piu' tardi avrebbero dato vita all'esperienza dei Quaderni Rossi, divenendo un nucleo estremamente fecondo della sinistra eterodossa italiana.
Ecco perche' si ritiene che la Sicilia, la Sicilia di Danilo Dolci in particolare, fu uno snodo cruciale per lo formazione politica di un certo ambiente intellettuale su scala nazionale. Alla meta' degli anni Cinquanta le idee della democrazia di base, dell'intervento non al di sopra ma all'interno delle e con le masse, idee che avrebbero caratterizzato profondamente la 'nuova sinistra' transnazionale negli anni a venire, avevano gia' trovato una prima significativa esperienza nel particolare ambiente politico, culturale e umano da lui creato. In particolare la pratica della 'autoanalisi popolare' - un laborioso processo preliminare alla presa di decisioni collettive cosi' come alla costruzione di volonta' politiche condivise - e 'l'inchiesta', volta a trasformare l'oggetto dell'intervento conoscitivo in soggetto consapevole della propria condizione e artefice del cambiamento, furono esperienze cruciali che avrebbero segnato in maniera determinante il lavoro politico del futuro gruppo torinese, il metodo della 'conricerca' (Rieser, 2008; Mottura, 2014) e nuove inchieste sociali, come quella sugli immigrati meridionali a Torino (Fofi, 1964). L'esperienza con Dolci fu sotto questo punto di vista uno snodo cruciale per la circolazione di idee e pratiche di 'vita associata democratica', che per vie e reti relazionali multidirezionali attraversarono l'intero Paese.
L'interesse e il riconoscimento della particolare rilevanza dell'impegno dolciano esorbito' inoltre dai confini nazionali: ne sono prova non solo le numerose traduzioni dei suoi scritti in diverse lingue, ma anche l'attribuzione di una serie di importanti premi e titoli onorari. Tra questi ricordiamo il premio Lenin per la pace (1958), grazie al quale fondo' il Centro studi e iniziative per la piena occupazione a Partinico, e il premio Sonning per il contributo alla civilizzazione europea (1971), ma l'elenco e' ben piu' ricco - ne riporta dettagliate informazioni la nota biografica di Ragone (Ragone, 2011, pp. 13-50) - e comprende anche prestigiosi premi letterari, come il premio internazionale Viareggio per la raccolta di poesie Creatura di creature (Milano 1979).
Cosa contraddistingueva l'impegno di Dolci al punto di farne una figura di riferimento cosi' significativa e influente in Italia come all'estero? Due ci paiono i tratti piu' essenziali della sua ricca biografia.
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La centralita' del lavoro, premessa di liberta' e democrazia
Scriveva Aldo Capitini nel 1958: "Chi puo' negare che ci sia una linea dal Danilo Dolci che nel gennaio 1952 arrivo' a Trappeto per aiutare quelli 'che non ce la facevano' a vivere, al Danilo Dolci di oggi, tutto impegnato a stimolare tutti a fare dell'Italia una Repubblica veramente fondata sul lavoro?" (Capitini, 1958, p. 29). Dolci colse il senso del lavoro come dimensione cruciale per il riscatto sociale e il superamento di rapporti di prevaricazione sin dai primi mesi del suo arrivo a Trappeto e su tale consapevolezza continuo' a lungo a orientare gran parte del suo impegno. Nel particolare tessuto politico e sociale siciliano il lavoro si caricava infatti di un valore particolare di liberazione da un dominio di matrice feudale che continuava a condannare vasti strati di popolazione all'indigenza, all'ignoranza e alla subordinazione passiva su basi di violenza intimidatrice. Tutto cio' era in buona parte riconducibile al fenomeno mafioso, un problema enorme di fronte al quale Dolci, in stretta collaborazione con Franco Alasia, non si sottrasse, intraprendendo inchieste in grado di rendere noti nomi e modalita' di un sistema che lui defini' clientelare-mafioso (Dolci, 1966; Id., 1968), e che gli costo', come pure ad Alasia, un processo per diffamazione e una condanna poi condonata.
Tornando alla questione del lavoro, emerge quanto le azioni di Dolci fossero in sintonia, nonostante le diverse modalita', con le lotte portate avanti dalla sinistra italiana in quello stesso periodo. Negli anni Cinquanta la questione del lavoro riguardava infatti l'intero Paese, basti ricordare la mobilitazione della CGIL di Di Vittorio, che con il suo Piano del lavoro (1949-50) aveva contribuito non poco a caricare di istanze concrete l'art. 1 della neonata Repubblica italiana (Loreto - Musso, 2014). Un raccordo particolarmente significativo tra l'intervento di Dolci in Sicilia e l'impegno civile e politico della sinistra italiana si ebbe in occasione dello 'sciopero a rovescia', organizzato da Dolci nei primi mesi del 1956 per richiamare l'attenzione sull'assenza di infrastrutture elementari, come le strade, e le effettive possibilita' occupazionali nella provincia palermitana. Non si trattava di una forma di lotta inedita nell'Italia di quel periodo, inedita fu tuttavia la rete di solidarieta' nazionale che si sviluppo' a seguito dell'arresto di Dolci e di quattro sindacalisti coinvolti nello sciopero (Schirripa, 2010, p. 73 sgg.). Il processo a Dolci fu tramutato dal suo illustre difensore Piero Calamandrei in un atto d'accusa contro una classe dirigente che non si premurava di onorare il diritto costituzionale al lavoro sancito dall'art. 4. Grazie alla vasta solidarieta' sviluppatasi numerosi intellettuali, politici, e scrittori si presentarono al processo per deporre in favore degli accusati, testimonianze che l'editore Einaudi pubblico' prontamente nel volume Processo all'art. 4 (Torino 1956) e che a distanza di sessant'anni testimoniano della centralita' ascritta a una certa concezione del lavoro per la costruzione della democrazia nell'Italia postfascista (Fofi, 2006). Una concezione che Dolci e i suoi compagni di lotta espressero come segue in una lettera indirizzata alle piu' alte cariche istituzionali per spiegare le ragioni dello 'sciopero a rovescia' e il relativo digiuno intrapreso: "Non per disperazione oggi digiuniamo, ma nella speranza di contribuire perche' l'Italia diventi un paese civile. Sappiamo che lavorando generosamente siamo la vita. Chi ci impedisce e' assassino: non paghiamo le tasse perche' il nostro paese [...] sia una mala galera in mano ai prepotenti. Firmato: mille cittadini che credono nell'articolo 4 della Costituzione" (Dolci in Spagnoletti, 1977, p. 83).
Il lavoro espressione di vita: questa l'idea che avrebbe guidato lunghe e difficili lotte, ma coronate dal successo, per interventi sul territorio atti a favorire l'occupazione e una vita dignitosa alla popolazione. Dolci alterno' progetti concreti, come la realizzazione delle dighe dello Jato e di Roccamena (Barbera, 1964), a iniziative di ricerca, approfondimento e raccolta di fondi per promuovere il lavoro. Rientravano tra queste sia l'organizzazione di importanti convegni che con la partecipazione di studiosi autorevoli contribuirono a fare della piena occupazione una istanza di respiro nazionale, sia la realizzazione di centri permanenti di studio, come il Centro studi e iniziative per la piena occupazione nel 1958 (poi Centro per lo sviluppo creativo) e il Centro di formazione per la pianificazione organica, dal 1968, volto alla formazione di quadri competenti per l'intervento sul territorio a partire da un confronto costante con la popolazione locale.
Tutti i diversi ambiti di azione erano di pari importanza nell'approccio dolciano alla questione del lavoro. Sul piano economico-produttivo egli mirava a promuovere lo sviluppo di un'agricoltura svincolata dal controllo mafioso e capace di garantire il benessere della popolazione; su quello politico e pedagogico si adoperava invece affinche' gli obiettivi perseguiti si realizzassero attraverso pratiche politiche autenticamente democratiche e nonviolente, contribuendo di conseguenza ad alimentare costantemente la cultura politica della partecipazione.
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La nonviolenza e la partecipazione come pratiche di democrazia
La nonviolenza e' stata a lungo, e giustamente, identificata come la cifra peculiare dell'agire dolciano. Per Dolci stesso la nonviolenza costituiva un valore imprescindibile, su di essa scrisse e fu spesso chiamato a esprimersi esplicitamente. Praticare la nonviolenza significava per lui aprirsi al mondo e lottare per il suo cambiamento con mezzi tali da prevenire il riprodursi della violenza. Il rifiuto di uccidere, l'importanza di sottrarsi a schieramenti ideologici e chiusure pregiudiziali, credere nella possibilita' di infrangere consolidate forme di dominio e sopruso furono i principi cardine che orientarono con estrema coerenza la sua vita e le sue numerosissime iniziative. Il digiuno - a partire da quello dell'ottobre 1952 - divenne con lui una pratica originale ed efficace nel panorama politico degli anni Cinquanta, segnato soprattutto da scioperi e proteste di piazza, oltre che repressioni da parte delle forze dell'ordine, troppo spesso degenerate in omicidi di manifestanti.
Come gia' ricordato, il suo primo sciopero della fame non si rifaceva a presupposti teorici di alcun tipo. La notizia dell'atipica protesta dolciana colpi' invece immediatamente l'attenzione di un precursore della nonviolenza nell'Italia repubblicana, il filosofo Aldo Capitini, il quale da Perugia gli fece pervenire parole di piena approvazione e sostegno. Questa presa di contatto fu non solo il primo passo di una nuova e importante amicizia; l'intenso confronto con Capitini, durato fino alla morte di questi (1968), rappresento' anche l'occasione per avviare l'approfondimento teorico dei presupposti della nonviolenza. Sotto questo profilo Capitini fu un vero e proprio maestro per Dolci e questi, dal canto suo, fu indubbiamente uno dei migliori 'allievi' del filosofo. Come emerge dalla corrispondenza tra i due (Barone - Mazzi, 2008), Capitini vedeva nell'agire di Dolci la migliore concretizzazione dei suoi ideali e della sua concezione di azione nonviolenta. La nonviolenza fu per certi versi la base piu' solida di convergenza tra i due, il nucleo valoriale a cui entrambi attinsero nell'alimentare la loro crescente stima reciproca e profonda amicizia.
Ci pare tuttavia che se si sposta il punto di osservazione dall'iniziale afflato spirituale alle attitudini mostrate nei decenni successivi, e' possibile sostituire progressivamente la cifra della nonviolenza con quella di una radicale consapevolezza democratica. Che si considerino la pratica dell'autoanalisi popolare, le sperimentazioni in ambito educativo, la concezione del metodo maieutico, o ancora, la trasformazione del Centro studi sull'occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' constatare la costante presenza di un elemento profondamente qualificante il suo agire: la ricerca, la promozione, l'alimentazione della partecipazione, del coinvolgimento attivo e della presa della parola da parte di tutti i cittadini - non "paesani", come scriveva nella raccolta Il limone lunare (Bari 1970) - di una comunita'. In questo suo procedere Dolci alimentava circuiti comunicativi circolari e processi decisionali il piu' possibile condivisi, e promuoveva di fatto la cultura della democrazia diretta o democrazia di base, quella stessa che in altri contesti ma nello stesso periodo veniva teorizzata in termini di partecipatory democracy.
In questo aspetto, piu' ancora che nella nonviolenza, si distinse dalle pratiche degli altri attori impegnati in progetti di emancipazione di soggetti subalterni, tra cui, in primis, la sinistra istituzionale. Anche questa, nonostante un rapporto difficile con il tema della violenza rivoluzionaria, mai si fece promotrice di pratiche esaltanti la violenza. Se tra i digiuni di Dolci e le manifestazioni sindacali di piazza vi era insomma una sostanziale condivisione di pratiche nonviolente, la differenza risiedeva invece nell'importanza che egli attribuiva alla partecipazione di base. In questo Dolci si distanziava profondamente dalle modalita' verticistiche tipiche dei partiti dell'Italia repubblicana, necessariamente ancorati ai principi della democrazia rappresentativa, cui pero' spesso aggiungevano un di piu' di centralismo che certamente non stimolava la cultura della partecipazione democratica.
Sotto questo profilo Dolci puo' essere piu' adeguatamente collocato vicino all'orientamento della nuova sinistra, pur se egli mai vi si riconobbe esplicitamente. La sua sensibilita' per la democrazia sostanziale, per la cultura politica della partecipazione e della condivisione, cosi' come emerge anche nello scritto indirizzato Ai piu' giovani (Milano 1967), sempre piu' insofferenti all'ordine sociale esistente, attestano una implicita affinita' con l'orizzonte politico e culturale che nel corso degli anni Sessanta ando' strutturandosi attorno al pensiero della nuova sinistra transnazionale. Una certa affinita' puo' essere riscontrata non solo sul piano astratto dell'orizzonte valoriale, ma anche, e forse in misura ancora maggiore, rispetto alle pratiche della politica dolciana. Pratiche definite significativamente 'antiautoritarie' dal gruppo tedesco di solidarieta' terzomondista Brot fur die Welt (Ragone, 2012, p. 41), implicando un nesso, seppur indiretto, con l'antiautoritarismo caro alla nuova sinistra tedesca. L'antiautoritarismo dolciano si esprimeva particolarmente nell'importanza che egli attribuiva alla comunicazione, intesa come processo necessariamente creativo ed educativo, perche' fondato sullo scambio, confronto e sviluppo continuo di idee e saperi (Dolci, 1985). La crescente attenzione sui molteplici potenziali della comunicazione lo porto' peraltro a farsi involontariamente pioniere dell'uso democratico di un mezzo convenzionale quale la radio. Con la creazione di Radio libera Partinico nella primavera del 1970, per denunciare le condizioni in cui ancora viveva la popolazione colpita dal terremoto del Belice due anni prima, si inaugurava un impiego di questo mezzo come strumento di comunicazione dal basso e multidirezionale, in contrapposizione all'uso monodirezionale e controllato dai poteri pubblici fino ad allora praticato (Lorrai, 2015). Sotto questo profilo Dolci ci appare perfettamente in sintonia con le istanze su cui si sviluppo' la nuova sinistra, nonche' un anticipatore di alcune pratiche che l'avrebbero caratterizzata.
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La parabola di un percorso dedicato alla vita (civile)
Tra il Dolci che nel 1952 abbandono' il "caldo nido" di Nomadelfia per aprirsi al "resto del mondo" a quello dedito, negli anni Settanta, al Centro educativo di Mirto - su cui in piu' occasioni fece convenire i piu' competenti pedagogisti di fama internazionale -, al Dolci che nel 1985 trasformo' il Centro studi per la piena occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' riconoscere il percorso di una vita condotta con estrema coerenza. La volonta' di partecipare alla vita per contribuire a cambiarne le condizioni piu' inaccettabili rappresentano un punto fermo nella biografia di Dolci, anche dopo gli anni Cinquanta, il periodo di maggior incisivita' della sua azione. La motivazione che lo porto' a intraprendere il suo primo digiuno fu la stessa che lo porto' a concentrarsi sui metodi educativi negli ultimi decenni della sua vita. Partendo da problemi concreti e circoscritti - l'indigenza, il dominio mafioso, il governo delle acque e l'organizzazione del territorio - focalizzo' progressivamente il suo intervento sull'educazione, intravedendovi le premesse fondamentali da cui partire per infrangere i meccanismi di riproduzione di ignoranza, dominio, violenza. Anche in questo ambito - incentrato sul concetto a lui caro di maieutica (Dolci, 1996; Ragone, 2011, pp. 177-82; Mangano, 1992) - egli non opero' individualmente, bensi' coinvolse pedagogisti, centri di ricerca, scuole, insegnanti, giovani, istituzioni nazionali e internazionali (gia' nel 1980 fu invitato a prendere parte a un simposio sull'educazione organizzato dall'UNESCO). La laurea honoris causa in scienze dell'educazione conferitagli dall'Universita' di Bologna nel 1996 attesta il riconoscimento istituzionale di cui fu coronato questo percorso.
L'evoluzione di Dolci non rifletteva tuttavia unicamente la sua maturazione interiore. Nel frattempo anche la Sicilia era cambiata, numerosi problemi erano rimasti, ma l'indigenza non era piu' causa di morte, la popolazione si era urbanizzata e integrata, soprattutto emigrando al Nord, nei circuiti dell'economia fordista e dei consumi di massa. I 'banditi' di Partinico si erano in qualche modo emancipati, altri erano forse diventati potenti mafiosi, ma la rudezza del tessuto sociale si era indubbiamente mitigata in virtu' di un processo di mobilita' sociale che aveva attraversato anche la Sicilia. Inoltre, le idee della democrazia di base avevano trovato una potente cassa di risonanza nelle culture giovanili, benche' caricate di connotazioni politiche diverse da quelle dolciane.
Va aggiunto, per concludere, che Dolci non coincise mai pienamente coi ruoli che ricopri' nelle diverse fasi della sua vita. La sua figura presentava punti di incontro e convergenza con mondi tra loro molto distanti - la spiritualita' cristiana, la sinistra marxista ortodossa ed eterodossa, il mondo della cultura e della scienza, la povera gente - senza mai aderire, tuttavia, esclusivamente ad alcuno di questi, all'insegna di una soggettivita' eccezionalmente ricca, che rifiutava appartenenze entro rigidi confini identitari. Ancora alla fine degli anni Novanta, quando lo si poteva ormai identificare come un pedagogista, benche' non smise mai di scrivere poesie, il suo impegno debordante si sposto' sulle attivita' della NATO in Sardegna, mettendone in discussione sia la legalita', sia il grave impatto ambientale. Il Dolci pedagogista si ricongiungeva cosi', secondo un moto circolare in continua espansione, col Dolci antimilitarista e pacifista gia' emerso in gioventu'.
La sua vita fu in effetti un moto intenso e continuo che si concluse nella sua amata Partinico il 30 dicembre 1997.
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Opere
Tra i testi selezionati per la stesura di questa voce biografica si vedano Chi gioca solo, Torino 1966; Ai piu' giovani, Milano 1967; Inventare il futuro, Bari 1968; Palpitare di nessi. Ricerca di educare creativo a un mondo nonviolento, Roma 1985; La struttura maieutica e l'evolverci, Scandicci 1996.
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Fonti e bibliografia
A. Capitini, D. D., Manduria 1958; L. Barbera, La diga di Roccamena, Bari 1964 (nuova ed. Porretta - Bologna 2016); G. Fofi, L'immigrazione meridionale a Torino, Milano 1964; Conversazioni con D. D., a cura di G. Spagnoletti, Milano 1977; Inchiesta sulla miseria in Italia, a cura di P. Braghin, Torino 1978; G. Fontanelli, D. D., Firenze 1984; A. Mangano, D. D. educatore. Un nuovo modo di pensare e di essere nell'era atomica, Fiesole 1992; Intervista di M. Tarozzi a D.D., Come l'ape che si posa su un fiore, in DuemilaUno, X (1995), 49, http://www.centrostudialeph.it/archivio/dolci/web_site/dda/tarozzi.html (6 sett. 2016); G. Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di D. D., Napoli 2000; D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Soveria Mannelli 2001; Raccontare D. D. L'immaginazione sociologica, il sottosviluppo, la costruzione della societa' civile, a cura di S. Costantino, Roma 2003; G. Fiocco, L'Italia prima del miracolo economico: l'inchiesta parlamentare sulla miseria, 1951-1954, Manduria 2004; G. Fofi, L'inchiesta sociale in Italia e le sue diramazioni, in Lo straniero, 2005, n. 62-63, pp. 46-50; R. Rochefort, Sicilia anni Cinquanta. Lavoro cultura societa', Palermo 2005 [Paris 1961]; Perche' l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a D. D., a cura di G. Fofi, Napoli 2006; Aldo Capitini - Danilo Dolci. Lettere 1952-1968, a cura di G. Barone - S. Mazzi, Roma 2008; V. Rieser, L'inchiesta nella fabbrica e nella societa', in L'inchiesta sociale in Italia, a cura di E. Pugliese, Roma 2008, pp. 55-59; V. Schirripa, Borgo di Dio. La Sicilia di D. D. (1952-1956), Milano 2010; M. Ragone, Le parole di D. D.. Anatomia lessicale-concettuale, Foggia 2011; Verso la citta' territorio. L'esperienza di D. D., a cura di G. Corsani - L. Guidi - G. Pizziolo, Firenze 2012 (in partic. G. Corsani, La nascita del Borgo di Dio. Presentazione dell'opuscolo, pp. 167-70; M. Pieracci Harwell, D. D. nei primi anni '50, pp. 123-37); P. Bisconti, Il ricordo di D. D. attraverso le parole della sorella, 2013, http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/02/10/il-ricordo-di-danilo-dolci-attraverso-le-parole-della-sorella-miriam/14496/ (15 agosto 2016); Il Piano del Lavoro del 1949: contesto storico internazionale e problemi interpretativi, a cura di F. Loreto - S. Musso, Roma 2014; G. Mottura, Vittorio Rieser e l'inchiesta, in Inchiesta, 2014, n. 184, pp. 19-20; M. Lorrai, La breve primavera della radio locale, in L'Italia e le sue regioni, a cura di M. Salvati - L. Sciolla, vol. 4, Societa', Roma 2015, pp. 425-42.
Principale sito di riferimento e' quello del Centro sviluppo creativo Danilo Dolci: http://danilodolci.org/

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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 309 del 29 dicembre 2021
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