[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 133



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 133 del 5 luglio 2021

In questo numero:
1. Scriviamo al Presidente del Parlamento Europeo per chiedere un persuaso e concreto impegno per la liberazione di Leonard Peltier
2. Francuccio Gesualdi, Giuliano Pontara, Rodrigo Andrea Rivas e tante altre persone per la liberazione di Leonard Peltier
3. Alcuni siti utili
4. Mary McLaughlin, Arthur Miller, Pete Murney: Indiani e uranio (1992)
5. Santo Barezini: Lo spirito di Cavallo Pazzo (2017)

1. QUID AGENDUM. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO PER CHIEDERE UN PERSUASO E CONCRETO IMPEGNO PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Al Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli
e-mail personale: president at ep.europa.eu
e-mail della segreteria: lorenzo.mannelli at ep.europa.eu; armelle.douaud at ep.europa.eu; barbara.assi at ep.europa.eu; helene.aubeneau at ep.europa.eu; marco.canaparo at ep.europa.eu; fabrizia.panzetti at ep.europa.eu; michael.weiss at ep.europa.eu; luca.nitiffi at ep.europa.eu; matea.juretic at ep.europa.eu; francesco.miatto at ep.europa.eu; barbara.hostens at ep.europa.eu; monica.rawlinson at ep.europa.eu; beate.rambow at ep.europa.eu; laetitia.paquet at ep.europa.eu; nicola.censini at ep.europa.eu; arnaud.rehm at europarl.europa.eu; julien.rohaert at europarl.europa.eu; jose.roza at ep.europa.eu; roberto.cuillo at ep.europa.eu; silvia.cagnazzo at ep.europa.eu; eulalia.martinezdealosmoner at ep.europa.eu; iva.palmieri at europarl.europa.eu; tim.allan at ep.europa.eu; andrea.maceirascastro at ep.europa.eu; angelika.pentsi at ep.europa.eu;
Egregio Presidente del Parlamento Europeo,
vorremmo sollecitare Lei, e tramite Lei il Parlamento Europeo e con esso l'intera Unione Europea, ad una iniziativa umanitaria per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista per i diritti umani dei nativi americani, vittima di una spietata persecuzione politica, dal 1977 ingiustamente detenuto dopo un processo-farsa in cui gli sono stati attribuiti delitti che non ha commesso.
Confidando in un sollecito riscontro, distinti saluti,
firma, luogo e data, indirizzo del mittente

2. REPETITA IUVANT. FRANCUCCIO GESUALDI, GIULIANO PONTARA, RODRIGO ANDREA RIVAS E TANTE ALTRE PERSONE PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Aumenta ogni giorno il numero delle personalita' della cultura, delle istituzioni, dell'impegno morale e civile, della solidarieta', che stanno scrivendo al Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli, per chiedere un'iniziativa europea per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista per i diritti umani dei nativi americani, vittima di una spietata persecuzione politica, dal 1977 ingiustamente detenuto dopo un processo-farsa in cui gli sono stati attribuiti delitti che non ha commesso.
Tra le adesioni delle ultime ore segnaliamo quelle di: Emanuela Bussolati, autrice di libri per l'infanzia; Elisabetta Caroti, Roma; Giuseppe Deiana, scrittore; fratel Guido Dotti, Monastero di Bose, Magnano (Biella)Francuccio Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo; Francesco Lucat, segretario regionale di Rifondazione Comunista, Valle d'Aosta; Ettore Macchieraldo, falegname, Roppolo (Biella); Fausto Marchesi, Milano; Carmelo Musumeci, ergastolano scrittore; Francesca Nava, giornalista; Paola Parisi; Rita Pelusio, attrice; Giuliano Pontara, filosofo, uno dei massimi studiosi della nonviolenza, Stoccolma; Lucia Rojas, dell'associazione italo-cilena ALPIANDES; Rodrigo Andrea Rivas, economista, gia' direttore di "Radio Popolare" di Milano; Giuseppina Sangalli, Marta (Vt); Marco Sioli, americanista; Alfredo Somoza, presidente dell'ICEI; Giovanna Taglialatela, docente; Milena Valli, Sondrio; Francesco Zanchini, gia' ordinario di diritto canonico nella facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Teramo; Silvia Zaru, musicista e insegnante.
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Tra le altre prime adesioni all'iniziativa ricordiamo in particolare anche quelle di: Maurizio Acerbo, gia' deputato e attuale segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea; Vittorio Agnoletto, medico e attivista, gia' parlamentare europeo; Mario Agostinelli, presidente dell’"Associazione Laudato si', un'Alleanza per il clima, la cura della Terra, la giustizia sociale"; Alessandra Algostino, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale; Daniele Barbieri, giornalista e saggista; Cristina Bassi, Dosolo (Mn); Piero Bernocchi, portavoce nazionale COBAS - Confederazione dei comitati di base; Norma Bertullacelli, figura di riferimento del movimento pacifista a Genova; Giovanni Bianco, giurista, professore universitario; Antonio Bruno, gia' consigliere comunale di Genova; Augusto Cacopardo, antropologo; Francesco Domenico Capizzi, presidente dell'organizzazione di volontariato "Scienza Medicina Istituzioni Politica Societa'"; Pilar Castel, autrice e attrice No War; Antonio Catozzi, insegnante; Alessandra Ceresa, Corbetta; Raimondo Chiricozzi, presidente del comitato provinciale Aics di Viterbo; Giancarla Codrignani, saggista e deputata emerita; Valerio Colombaroli, Bussoleno (To); Renato Corsetti, linguista ed esperantista; Ottavio D’Alessio Grassi, attivista e scrittore; don Vitaliano Della Sala, parrocchia Santi Pietro e Paolo, Mercogliano (Av); Andrea De Lotto, insegnante e storico animatore del comitato italiano di solidarieta' con Leonard Peltier; Carla Dentella, coop. Dar casa, Milano; Nunzio D'Erme, Osservatorio Repressione; Tommaso Di Francesco, condirettore de "Il manifesto"; Mario Di Marco, referente Servizio Civile della Caritas diocesana di Viterbo; Franco Dinelli, ricercatore CNR, consigliere nazionale di Pax Christi; Italo Di Sabato, Osservatorio Repressione; Nicoletta Dosio, insegnante in pensione, storica militante per la giustizia sociale e la difesa della natura, per i diritti umani ed i beni comuni, Bussoleno (To); Luigi Fasce, presidente del Circolo Giustizia e liberta' "Guido Calogero e Aldo Capitini" di Genova; Paolo Ferrero, vicepresidente del partito della Sinistra Europea, gia' Ministro della Repubblica italiana; Rosanna Garavaglia, gruppo ecumenico diocesi di Milano; Maria Gerli, Milano; Sergio Giovagnoli, Arci; Gianpiero Grulla, socio banca etica, Milano; Paolo Grulla, Gruppo Acquisto Solidale, Milano; Liliana e Giuseppe Lastella, associazione La tenda, Milano; Pietro Lazagna, figura storica dell'impegno educativo e civile; Antonella Litta, dell'Associazione italiana medici per l'ambiente; Eugenio Longoni; Romualdo Luzi, bibliotecario e storico; Gigi Malabarba, gia' senatore; Nicoletta Manuzzato, giornalista; Gian Marco Martignoni, CGIL Varese; Francesco Martone, gia' senatore; Alfonso Marzocchi; Tomasina Massa, Sassari; Giansandro Merli, giornalista; Vincenzo Miliucci, Cobas; Matilde Mirabella, traduttrice, giornalista e attivista; Cristina Mirra, Milano; Gianfranco Monaca, scrittore, sociologo e animatore sociale; Gabriella Montalto, Milano; Luisa Morgantini, gia' vicepresidente del Parlamento Europeo; Amalia Navoni, educatrice e attivista per i diritti umani e i beni comuni, Coordinamento Nord Sud del mondo; Nicoletta Negri, insegnante; Raffaella Noseda, Mazzo di Rho; Graziella Osellame, Milano; Moni Ovadia, attore, cantante, musicista e scrittore; Maria Speranza Perna, docente in pensione, Napoli; Emanuela Petrolati, insegnante; Enrico Peyretti, saggista e peace-researcher; Anna Polo, impegnata da decenni per la pace e la nonviolenza; Pasquale Pugliese, docente, saggista, segreteria nazionale del Movimento Nonviolento; Giannozzo Pucci, ecologista nonviolento, editore, Firenze; Stefania Quadri Huber, Zurigo; Maria Teresa Rigamonti, Milano; Valentina Ripa, ricercatrice universitaria, attivista per i diritti umani; Alberto Risi, Milano; Annamaria Rivera, antropologa; Basilio Rizzo, storico consigliere comunale di Milano; padre Filippo Rota Martir, Brescia; Giovanni Russo Spena, gia' deputato e senatore; Marina Salvadori, Milano; Carlo Sansonetti, presidente dell'associazione "Sulla strada" che ha progetti di promozione per popolazioni native in Guatemala; Alfredo Scardina, docente; Peppe Sini, Viterbo; Gianni Sofri, gia' Professore di storia all'Universita' di Bologna; Piero Soldini, CGIL nazionale; Anna Grazia Stammati, presidente del CESP (Centro studi scuola pubblica); Veronica Tarozzi, docente e giornalista; Gianni Tognoni, segretario del Tribunale permanente dei diritti dei popoli; Fiorella Turci, insegnante; Olivier Turquet, educatore ed editore, coordinatore di "Pressenza"; Laura Tussi, giornalista e scrittrice; Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento; Tiziana Valpiana, gia' deputata e senatrice; Shendi Veli, attivista e giornalista; Guido Viale, sociologo e saggista; Giulio Vittorangeli, figura storica della solidarieta' internazionale; Javi Xavi; Mauro Zanella, "Mani Rosse Antirazziste"; padre Alex Zanotelli, missionario comboniano.
Tra le prime adesioni di esperienze associative ed informative segnaliamo: "associazione italo-cilena ALPIANDES", "Associazione Peppino Impastato e Adriana Castelli" di Milano; Cobas - Confederazione dei Comitati di Base; il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo; Il "Coro di Micene" di Milano; l'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo; la redazione de "La nonviolenza e' in cammino"; "Mani Rosse Antirazziste"; "Notiziario dell'Accademia apuana della pace"; "Osservatorio Repressione"; "Parallelo Palestina"; la redazione di "Pressenza"; l'associazione "Respirare" di Viterbo.
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Invitiamo ogni persona di volonta' buona ed ogni associazione democratica a scrivere al Presidente del Parlamento Europeo.
Qui di seguito un possibile canovaccio di lettera, con alcuni indirizzi di posta elettronica utili per l'invio:
Al Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli
e-mail personale: president at ep.europa.eu
e-mail della segreteria: lorenzo.mannelli at ep.europa.eu; armelle.douaud at ep.europa.eu; barbara.assi at ep.europa.eu; helene.aubeneau at ep.europa.eu; marco.canaparo at ep.europa.eu; fabrizia.panzetti at ep.europa.eu; michael.weiss at ep.europa.eu; luca.nitiffi at ep.europa.eu; matea.juretic at ep.europa.eu; francesco.miatto at ep.europa.eu; barbara.hostens at ep.europa.eu; monica.rawlinson at ep.europa.eu; beate.rambow at ep.europa.eu; laetitia.paquet at ep.europa.eu; nicola.censini at ep.europa.eu; arnaud.rehm at europarl.europa.eu; julien.rohaert at europarl.europa.eu; jose.roza at ep.europa.eu; roberto.cuillo at ep.europa.eu; silvia.cagnazzo at ep.europa.eu; eulalia.martinezdealosmoner at ep.europa.eu; iva.palmieri at europarl.europa.eu; tim.allan at ep.europa.eu; andrea.maceirascastro at ep.europa.eu; angelika.pentsi at ep.europa.eu;
Egregio Presidente del Parlamento Europeo,
vorremmo sollecitare Lei, e tramite Lei il Parlamento Europeo e con esso l'intera Unione Europea, ad una iniziativa umanitaria per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista per i diritti umani dei nativi americani, vittima di una spietata persecuzione politica, dal 1977 ingiustamente detenuto dopo un processo-farsa in cui gli sono stati attribuiti delitti che non ha commesso.
Confidando in un sollecito riscontro, distinti saluti,
firma, luogo e data, indirizzo del mittente
Naturalmente vi saremmo grati se inviaste in copia le vostre lettere o dichiarazioni di solidarieta' per Leonard Peltier anche al nostro indirizzo di posta elettronica: centropacevt at gmail.com , cosi' come ai mezzi d'informazione ed alle altre interlocutrici ed agli altri interlocutori che riterrete opportuno informare o esortare a partecipare.
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Di seguito una minima notizia su Leonard Peltier e l'indicazione del sito internet di riferimento per la solidarieta' a livello internazionale
Leonard Peltier e' nato a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944; attivista dell'American Indian Movement che si batte per i diritti umani dei nativi americani, nel 1977 fu condannato a due ergastoli in un processo-farsa sulla base di presunte prove e presunte testimonianze successivamente dimostratesi artefatte, inattendibili, revocate e ritrattate dagli stessi ostensori. Da allora e' ancora detenuto, sebbene la sua innocenza sia ormai palesemente riconosciuta. Di seguito riportiamo una breve nota di presentazione di un suo libro edito in Italia nel 2005: "Accusato ingiustamente dal governo americano – ricorrendo a strumenti legali, paralegali e illegali – dell'omicidio di due agenti dell'FBI nel 1975 (un breve resoconto tecnico della farsa giudiziaria e' affidato all'ex ministro della giustizia degli Stati Uniti Ramsley Clark, autore della prefazione), Peltier, al tempo uno dei leader di spicco dell'American Indian Movement (AIM), marcisce in condizioni disumane in una prigione di massima sicurezza da quasi trent'anni. Nonostante la sua innocenza sia ormai unanimemente sostenuta dall'opinione pubblica mondiale, nonostante una campagna internazionale in suo favore che ha coinvolto il Dalai Lama, Nelson Mandela, il subcomandante Marcos, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Robert Redford (che sulla vicenda di Peltier ha prodotto il documentario Incident at Oglala), Oliver Stone, Howard Zinn, Peter Matthiessen, il Parlamento europeo e Amnesty International, per il governo americano il caso del prigioniero 89637-132 e' chiuso. Non sorprende dunque che Peltier sia divenuto un simbolo dell'oppressione di tutti i popoli indigeni del mondo e che la sua vicenda abbia ispirato libri (Nello spirito di Cavallo Pazzo di Peter Matthiessen), film (Cuore di tuono di Michael Apted, per esempio) e canzoni (i Rage Against the Machine hanno dedicato a lui la canzone Freedom). In parte lucidissimo manifesto politico, in parte toccante memoir, questa e' la straordinaria storia della sua vita, raccontata per la prima volta da Peltier in persona. Una meravigliosa testimonianza spirituale e filosofica che rivela un modo di concepire la vita, ma soprattutto la politica, che trascende la dialettica tradizionale occidentale e i suoi schemi (amico-nemico, destra-sinistra e cosi' via): i nativi la chiamano la danza del sole" (dalla scheda di presentazione del libro di Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, 2005, nel sito della casa editrice: fazieditore.it).
Opere di Leonard Peltier: La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, 2005.
Opere su Leonard Peltier: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, 1994; Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano, Erre Emme, 1996.
Il sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info
Alcuni altri libri utili per approfondire: Alce Nero, La sacra pipa, Rusconi, Milano 1986, 1993; Bruno Bouchet (a cura di), Wovoka. Il messaggio rivoluzionario dei nativi americani, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1982; Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, Mondadori, Milano 1972, 1977; Vine Deloria jr., Custer e' morto per i vostri peccati, Jaca Book, Milano 1972, 1977; Raymond J. DeMaille (a cura di), Il sesto antenato. I testi originali egli insegnamenti di Alce Nero, Xenia, Milano 1996; Charles Hamilton (a cura di), Sul sentiero di guerra. Scritti e testimonianza degli indiani d'America, Feltrinelli, Milano 1956, 1960; Diana Hansen (a cura di), Indiani d'America. Identita' e memoria collettiva nei documenti della nuova resistenza indiana, Savelli, Roma 1977; Philippe Jacquin, Storia degli indiani d'America, Mondadori, Milano 1977; Franco Meli (a cura di), Parole nel sangue. Poesia indiana americana contemporanea, Mondadori, Milano 1991; Messaggio degli Irochesi al mondo occidentale. Per un risveglio della coscienza, la Fiaccola, Ragusa 1986, 1989; Nando Minnella, Pascoli d'asfalto. Poesia & cultura degli indiani d'America, Rossi e Spera Editori, Roma 1987; Nando Minnella, Michele Morieri, Indiani oggi. La Resistenza indiana oggi: documenti e testimonianze, Gammalibri, Milano 1981; John G. Neihardt, Alce Nero parla, Adelphi, Milano 1968, Mondadori, Milano 1973, 1977; William W. Newcomb jr., Gli indiani del Nord-America, Il Bagatto, Roma 1985; Scritti e racconti degli indiani americani, raccolti da Shirley Hill Witt e Stan Steiner, Jaca Book, Milano 1974, 1992; Stan Steiner, Uomo bianco scomparirai, Jaca Book, Milano 1977, 1994.

3. RIFERIMENTI. ALCUNI SITI UTILI

- International Leonard Peltier Defense Committee: www.whoisleonardpeltier.info
- Centro studi americanistici "Circolo Amerindiano": www.amerindiano.org
- Il Cerchio, coordinamento di sostegno ai/dai nativi americani: www.associazioneilcerchio.it
- Soconas Incomindios, comitato di solidarieta' con i nativi americani: www.soconasincomindios.it

4. PER SAPERNE DI PIU'. MARY MCLAUGHLIN, ARTHUR MILLER, PETE MURNEY: INDIANI E URANIO (1992)
[Da "A.Rivista anarchica", n. 191, maggio 1992, col titolo "Indiani e uranio" e il sommario "Si concludera' nel giugno prossimo una vasta operazione per lo spostamento della popolazione Navajo dalla regione di Black Mesa, dove sono state trovate enormi riserve di uranio. A un secolo dai fatti di Wounded Knee, la resistenza dei nativi americani non si e' ancora fermata. Il caso di Leonard Peltier, in carcere da quindici anni per una montatura poliziesca". La traduzione e' di Andrea Ferrario]

L'anno in corso, il 1992, segna il cinquecentesimo anniversario della spedizione di Colombo, che molti governi e grandi aziende celebrano come un "incontro di culture". Il movimento che si oppone a queste celebrazioni, organizzatosi liberamente sotto lo slogan "500 anni di resistenza", cerca di contrastare la mitologia dominante per quanto riguarda i viaggi di Colombo, mentre molte persone in Europa e nelle Americhe stanno organizzando degli eventi culturali ed educativi proprio con questo scopo.
Le popolazioni indigene del Nord America sono sopravvissute ad un olocausto di proporzioni immani. Riesaminare la storia americana rappresenta una necessita' morale per gli Stati Uniti nel loro complesso e un compito comunque difficile per i singoli individui. Da una parte, quando molti non indiani guardano agli eventi del passato, non possono che riconoscere l'atrocita', motivata solo da razzismo e avidita', di quanto e' accaduto, e infatti molte persone vi vedono motivo di vergogna.
Dall'altra, sappiamo tutti che non possiamo cambiare il passato, la maggior parte di noi ama pensare che, se ne avesse avuto la possibilita', avrebbe fatto le cose senz'altro in maniera migliore e inoltre la maggioranza degli americani e' stata portata a credere che tutti questi aspetti negativi siano terminati con il massacro di Wounded Knee nel 1890. Di conseguenza molte persone ritengono che ormai ci sia poco, se non niente, da fare.
Se questo esame del passato vuole avere qualche significato per il futuro, tuttavia, bisogna andare oltre il 1890, per vedere quale sia stato il destino delle popolazioni indiane nel XX secolo, giunto ormai quasi al suo termine e del quale la maggior parte dei non-indiani non sa praticamente niente.
Le Guerre contro gli indiani non sono finite cento anni fa, ma sono continuate lungo tutto il secolo in corso, in una maniera piu' sofisticata, ma con le stesse conseguenze disastrose per il popolo indiano.
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Il problema sovranita'
Discutendo di questi temi e' necessario tenere a mente solo alcuni punti fermi di carattere generale. Prima di tutto, deve essere ricordato che i trattati rappresentano la suprema legge che regola il territorio ed essi vengono siglati solo fra nazioni sovrane. Gli Stati Uniti non concludono trattati con i singoli stati che li compongono o con minoranze etniche. Si tratta di un fatto spesso dimenticato o banalizzato, ma il problema della sovranita' sulla terra da parte delle popolazioni indigene e' al centro di tutte le lotte tradizionali per il possesso del territorio svoltesi nel Nord America. In secondo luogo, quando e' stato creato il sistema delle riserve, gli indiani furono costretti ad insediarsi su delle terre che nessun altro voleva, poiche' si trattava di terre non arabili o non adatte al pascolo.
Nel XX secolo si e' scoperto che la maggior parte delle risorse minerarie del paese (carbone, olio di scisto, metano e, soprattutto, uranio) si trovavano al di sotto di queste terre che nessuno desiderava.
Cosi', ancora una volta, gli indiani si trovarono ad essere d'impaccio sulla via del progresso. Arriviamo pertanto al terzo punto e cioe' al fatto che il governo degli Stati Uniti abbia nel corso del XX secolo agito in collusione con interessi privati, soprattutto i grandi cartelli che si occupano di materie prime per la produzione di energia, allo scopo di violare tutti i trattati siglati con le nazioni indiane e mettere in tal modo le mani sui piccoli territori rimasti a queste popolazioni. Uno degli assi portanti di questa strategia e' stata la costituzione del sistema dei consigli di tribu', ma che e' rimasto in realta' controllato dal Dipartimento degli interni. I consigli di tribu' furono osteggiati dalla maggior parte delle tribu' indiane, ma sono l'unica voce indiana riconosciuta dal governo federale e non hanno alcun altro potere oltre a quello di vendere o cedere in affitto terreni che appartengono alla tribu'. Il governo degli Stati Uniti ha fatto chiaramente intendere che niente potra' impedirgli di ottenere questi terreni. Negli anni piu' recenti, esso ha agito con particolare risolutezza nella Big Mountain e a Pine Ridge, nel Sud Dakota.
La Big Mountain e' una comunita' della regione Black Mesa della Riserva Navajo, dove proprio in questo momento, oggi, centinaia di famiglie Dine (Dine e' il nome tradizionale che i Navajo usano per indicare se stessi) si trovano di fronte ad un'imminente sgombero forzato dalle loro abitazioni situate in territorio indiano, al fine di permettere che la Peabody Coal espanda le proprie attivita' nella regione Black Mesa, che e' ormai diventata la piu' grande miniera a cielo aperto del mondo. Queste persone, che vivono in alcune delle ultime comunita' tradizionali indigene del Nord America, hanno lottato per tutti gli ultimi sedici anni contro il trasferimento.
Nel 1974 il Congresso varo' la Legge Pubblica 93-531, che disponeva il trasferimento di 10.000 Dine, con la scusa di risolvere una disputa territoriale tra i Navajo e gli Hopi, i quali avevano vissuto gli uni accanto agli altri per secoli. La disputa era un imbroglio, fabbricato al fine di garantirsi i titoli proprietari necessari per la concessione di affitti in favore delle attivita' minerarie nella regione del Black Mesa. La legge 93-531 e' stata il coronamento di decenni di bugie e di manovre legali troppo complicate per essere descritte in questa sede. Non c'e' spazio neanche per descrivere il destino delle migliaia di Dine che sono gia' stati trasferiti, piu' della meta' dei quali sono ora senza casa, o le durezze e le vessazioni sopportate da coloro che hanno scelto di rimanere sulla loro terra. E' sufficiente dire che nel 1980 il Quarto Tribunale Russell, riunitosi a Rotterdam, ha stabilito che la legge 93-531 viola la Convenzione sulla Prevenzione e la punizione del Crimine di Genocidio, oltre ad altri cinque accordi internazionali sui diritti umani.
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Ma c'e' l'uranio
Nondimeno, rimane la legge del paese. Il trasferimento avrebbe dovuto terminare l'8 luglio del 1986. Le cose sono andate piu' lentamente, in parte a causa del fatto che la Peabody Coal e il governo degli Stati Uniti hanno mantenuto un atteggiamento pubblico impostato alla negazione che qualcosa del genere stesse avvenendo, ma le cose stanno ormai giungendo rapidamente al termine.
L'amministrazione Bush vuole che tutto sia risolto entro quest'anno, perche' la Peabody Coal ha negoziato con il Giappone dei grossi affari che richiedono un'espansione immediata delle attivita' e la vendita del carbone cosi' ottenuto rendera' con ogni probabilita' minore il deficit commerciale con i giapponesi. Abbiamo quindi tutti i motivi per ritenere che il colpo finale sara' dato durante l'estate del 1992 e l'improvviso forte aumento delle vessazioni nei confronti della gente che abita il territorio, prodottosi lo scorso autunno, sembra confermare questa previsione.
La riserva Sioux di Pine Ridge nel Sud Dakota copre i piu' grandi depositi di uranio negli Stati Uniti. Le miniere di uranio sono state a lungo combattute dai Lakotas, ma agli inizi degli anni '70 Pine Ridge aveva un consiglio di tribu' guidato da un uomo chiamato Dick Wilson che favoriva le operazioni di estrazione dell'uranio e per il quale era un'abitudine quella di assassinare o aggredire i propri oppositori. La situazione ha portato i Lakotas tradizionali a chiedere aiuto al Movimento degli Indiani Americani "AIM", cosa che ha portato alla occupazione di Wounded Knee nel 1973.
Nei tre anni che seguirono, decine di indiani di Pine Ridge furono assassinati e centinaia di altri furono vittime di aggressori. Per la grande maggioranza di questi crimini non furono nemmeno svolte delle indagini, anche se l'FBI era competente a farlo e aveva nella riserva la piu' alta percentuale di agenti per numero di abitanti nel paese. L'FBI forniva infatti alle squadracce di vigilanti di Wilson informazioni riguardanti i membri dell'AIM e una quantita' incredibile di armi d'attacco, poiche' la polizia federale era concentrata a Pine Ridge con lo scopo esplicito di distruggere l'AIM.
Questo clima di terrore raggiunse il suo apice il 26 giugno 1975, quando due agenti dell'FBI aprirono il fuoco su di un campo AIM vicino a Oglala, nel Sud Dakota, dando il via ad una sparatoria in cui i due agenti rimasero uccisi insieme ad un membro dell'AIM di nome Joe Stuntz. Ovviamente, sulla morte di Joe Stuntz non furono mai compiute indagini. Inoltre, il giorno in cui avvenne la sparatoria , Dick Wilson si trovava a Washington per cedere illegalmente un ottavo della riserva a ricercatori di uranio.
La morte dei due agenti ebbe come conseguenza una nuova, maggiore ondata di terrore e infine Leonard Peltier, membro dell'AIM fu condannato a due ergastoli consecutivi per favoreggiamento e istigazione alla loro uccisione. Ha passato gli ultimi quindici anni in una prigione federale per un crimine che non aveva commesso, giudicato e condannato sulla base di prove e testimonianze che il governo ha riconosciuto, piu' di dieci anni fa, come false. A Leonard e' stata di recente negata un'udienza comprovatoria che egli aveva chiesto per tentare un'ultima volta di ottenere un nuovo processo, mentre sono ora in corso al Congresso dei tentativi per riuscire a convocare dei testimoni in merito.
Le due situazioni che abbiamo qui descritto in breve, riflettono un modello le cui linee fondamentali possono essere rintracciate in tutto il continente. Il cinquecentenario della spedizione di Colombo solleva indubbiamente questioni di ingiustizia storica e di genocidio culturale, ma tali questioni vengono poste sempre guardando unicamente al passato, le nostre lacrime di coccodrillo non aiuteranno Cavallo Pazzo e faranno ancora meno per i suoi discendenti. La realta' oggi significa per gli indiani disoccupazione totale, sterilizzazione forzata, trasferimento forzato e malnutrizione. Significa il piu' alto tasso di mortalita' infantile e la piu' bassa speranza di vita. Significa ingiustizia cronica e assassini politici. Tutte queste cose rappresentano puri e semplici atti di guerra e i cittadini degli Stati uniti non devono solo ammettere che queste cose accadono, ma devono anche riconoscere la misura in cui essi approfittano del loro verificarsi. Si tratta di una verita' valida particolarmente per le persone che fanno parte dell'ampio movimento per un cambiamento sociale progressista in questo paese, poiche' l'integrita' morale del movimento, come l'integrita' morale della nazione, risiede nella sua capacita' di affrontare i torti che vengono ancora fatti alle popolazioni indigene del Nord America. Le lotte per fermare i trasferimenti forzati da Big Mountain e per ottenere giustizia per Leonard Peltier rappresentano tutti e due dei buoni punti dai quali cominciare.
A questo scopo invitiamo tutti ad organizzare delle giornate di azione internazionali coordinate nelle seguenti date:
26 giugno - Anniversario della sparatoria di Oglala - Giornata di iniziative per ottenere la liberazione di Leonard Peltier.
6 luglio - Termine di scadenza per i trasferimenti forzati da Big Mountain - Giornata di iniziative per Big Mountain.
12 ottobre - Giornata di iniziative per i 500 anni di resistenza continua da parte delle popolazioni indigene dell'America.
Ci sono molti modi per esprimere il nostro messaggio nel corso di queste giornate, tra cui manifestazioni (veglie, marce, comizi, teatro di strada, picchetti, invii massicci di lettere ecc.), offerte, iniziative educative e altro. Vi invitiamo a partecipare a queste giornate di azione in tutti i modi in cui potete. Se prevedete di partecipare, vi preghiamo di inviarci informazioni riguardo alle vostre iniziative a:
Support for Native Sovereignity, P.O. Box 2104, Seattle, WA 98111.
Per ulteriori informazioni su Leonard Peltier o per contribuire alle sue spese legali ecc., contattare: The Leonard Peltier Defense Committee, P.O. Box 583, Lawrence, KS 66044,913/842-5744.
Per effettuare donazioni direttamente ai resistenti Dine di Big Mountain contattare: Support for Future Generations, P.O. Box 22134, Flagstaff, AZ 86002.
Un altro gruppo coinvolto nei progetti di aiuto diretto/azione diretta per Big Mountain e' quello dei Veterans Peace Action Team, P.O. Box 743, Winslow, AZ 86047, 602/289-4460.
Mary Mclaughlin (Seattle Leonard Peltier Support Group)
Arthur Miller (Bayou La Rose, Red Knife Defense/Support Committee)
Pete Murney (Support for Native Sovereignity, Seattle Big Mountain Support Group)

5. PER SAPERNE DI PIU'. SANTO BAREZINI: LO SPIRITO DI CAVALLO PAZZO (2017)
[Da "A.Rivista anarchica", n. 415, aprile 2017, col titolo "Lo spirito di Cavallo Pazzo" e il sommario "La solidarieta' con le lotte contro un oleodotto che rischia di inquinare il fiume Missouri, la pluridecennale vicenda giudiziaria dell'indiano Leonard Peltier, sullo sfondo le condizioni in cui vengono costretti i Sioux e le altre popolazioni native. Il tutto visto attraverso una piccola manifestazione pubblica a New York. Piccola ma significativa. Tanto piu' ora che Trump ha deciso di sbloccare i lavori di costruzione dell'oleodotto"]

Conosci Leonard Peltier?
Una domenica di fine settembre, a Washington Square, nel cuore di New York, una signora non piu' giovanissima mi ha rivolto questa domanda. Aveva appeso la sua mercanzia, fatta di spillette a tema politico, su due rudimentali pannelli e l'aveva sistemata nel cuore di una piccola manifestazione di solidarieta' con i sioux di Standing Rock, la riserva al confine fra Sud e Nord Dakota dove riposano le spoglie di Toro Seduto; il luogo dove, si racconta, vola ancora lo spirito di Cavallo Pazzo. Mi chiese di Peltier vedendomi interessato a certe sue spilette, perche' qui non sono in tanti a conoscere la sua storia.
Quella storia, invece, io la conoscevo: la vicenda di un sioux condannato senza prove per l'omicidio di due agenti federali, chiuso in carcere oltre quarant'anni fa, dopo un processo rivelatosi in seguito una farsa macchinata dall'FBI; un attivista per i diritti dei nativi a cui nessun presidente americano ha voluto concedere la grazia e nessun giudice un'agevolazione del regime carcerario, un detenuto modello, ormai vecchio e malato, a cui e' stato vietato persino di presenziare al funerale di un figlio. Una delle tante pagine vergognose della storia recente degli Stati Uniti (1).
Quel giorno ci eravamo dati appuntamento sotto l'incongruo arco di trionfo sistemato fra i giardini di una piazza di Manhattan, per una manifestazione di solidarieta' con i Water Protectors, i protettori dell'acqua, i sioux che avevano occupato alcuni terreni a sud della riserva, per impedire il passaggio sulle loro terre del DAPL, il Dakota Access Pipe Line (2), un oleodotto che minaccia d'inquinare il fiume Missouri, unica risorsa idrica dell'area, e il cui tracciato prevede il passaggio attraverso luoghi considerati sacri dai nativi (3).
Sicuro che conosco Leonard Peltier! Ho risposto.
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La venditrice di spillette
Sono sempre stato dalla parte degli indiani, forse e' nel mio dna, forse e' per l'educazione ricevuta, gli incontri fortunati, le letture giuste. A quindici anni avevo letto Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, il classico di Dee Brown, uno sconosciuto bibliotecario divenuto famoso, con grande onta degli accademici, per aver raccontato la vera storia della conquista del West, l'epopea che ha visto gli Stati Uniti annettersi vastissimi territori in meno di trent'anni. Una storia vista pero' dalla parte degli indiani delle grandi praterie, con lo sguardo di chi a ovest ci viveva e guardava con rabbia e disperazione orde di barbari calare da est, avidi di terra, oro e minerali. A vent'anni avevo visto Soldato Blu. A ventidue avevo ascoltato Fabrizio De Andre' raccontare, con un brivido di delicata poesia e quella sua voce evocativa da sciamano, il massacro degli cheyenne di Black Kettle sul Sand Creek.
Ma ancora prima di tutto questo, quando avevo appena dodici anni, avevo seguito con passione la cronaca dell'assedio di Wounded Knee: nella primavera del 1973 quel luogo immensamente simbolico (4) era stato occupato dai ribelli, male armati ma decisi, dell'American Indian Movement e un assortimento di indiani di sessantaquattro diversi gruppi tribali tenne in scacco per oltre due mesi il governo federale, reclamando rispetto dei trattati, sovranita' e diritti civili. Quando tutto fu finito e i pochi morti seppelliti, proprio nei pressi della fossa comune dove riposano le spoglie dei minneconjou di Piede Grosso, ancora una volta gli indiani furono ingannati dalle false promesse dei visi pallidi (5).
La venditrice di spillette mi ha risposto senza stupore: "E' piu' conosciuto all'estero che qui da noi, eppure Peltier e' il piu' importante prigioniero politico degli Stati Uniti". Io si', mi sono stupito, perche' non si incontra spesso un americano che ammetta l'esistenza di prigionieri politici nel suo paese, un'affermazione che riempirebbe di indignazione la maggior parte dei suoi concittadini.
Mentre parlavo con lei mi guardavo attorno: poca gente, pochissimi giovani, ma tanto entusiasmo. Canti e cori intervallati da slogan gentili. Quaccheri, studenti di psicologia, attivisti di varie associazioni e veri indiani se ne stavano li', fianco a fianco, determinati e allegri. Quella gente sapeva che i nativi di Standing Rock, lottando per la loro dignita', per la liberta', per una sovranita' ancora una volta violata, stavano lottando anche per il futuro di tutti noi, contro l'arroganza del potere, gli affaristi, le banche, le multinazionali, i politicanti corrotti e il maledetto, dissennato modello di sviluppo che sta spingendo il pianeta verso il baratro: davvero un grande impegno per un piccolo popolo, che appena un secolo indietro era stato quasi cancellato dalla storia. Una bella storia, che in quel giorno di settembre faceva avvertire un senso di fratellanza a persone i cui destini difficilmente si sarebbero in altro modo incrociati.
Sono rimasto un po' a parlare con quella donna: sembrava uscita da un'altra epoca, mi raccontava di aver trascorso qualche tempo con gli indiani, in una riserva. Ne parlava come si fosse trattato di un altro paese, o di un altro mondo e io pensavo come fosse assurdo che ancora esistano, le riserve, un universo concentrazionario architettato dal governo degli Stati Uniti come soluzione finale alle guerre indiane.
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Ancora una volta, i Sioux
La manifestazione si e' sciolta dopo qualche ora, senza drammi. Gli striscioni sono stati riposti e ciascuno e' andato per la sua strada. Ho salutato la signora delle spillette e nel cuore mi e' cresciuta la tristezza: mi pareva che tutto quello fosse stato bello, ma inutile; che i nativi fossero impegnati in una lotta impari e senza speranza; che quella manifestazione fosse stata poco piu' che simbolica e che in fondo dei sioux non importasse nulla a nessuno.
Andando verso casa certe letture giovanili sono affiorate alla mente. Da ragazzo la storia dei sioux mi aveva affascinato: nel XIX secolo avevano condotto una resistenza coraggiosa unendo altre tribu' nell'impegno comune di fermare l'invasore. Nuvola Rossa aveva ricacciato l'esercito costringendolo a una pace umiliante. Toro Seduto aveva battuto sul terreno le piu' numerose e meglio armate giacche blu, preferendo alla fine l'esilio alla riserva. Cavallo Pazzo aveva guidato i suoi a memorabili vittorie e rifiutato ogni compromesso. Quei guerrieri non furono sconfitti sul campo ma fermati dal dolore di vedere il proprio popolo morire di stenti e assassinati poi a tradimento, come accadde a Toro Seduto e a Cavallo Pazzo. Mi colpisce che oggi siano ancora una volta loro, i sioux, a guidare la rivolta.
Quei nativi accampati per fermare le ruspe mi hanno ricordato i "nostri" resistenti: i No TAV, No MUOS, No Dal Molin; i nostri indiani piemontesi, siciliani, veneti, che difendono le loro terre da politiche dissennate. Sarebbe bello trovare il modo di collegare tutte queste lotte, queste aree libere, questi piccoli popoli resistenti. Disegnare una linea ideale di amicizia e solidarieta' fra Standing Rock e la val di Susa.
A molti americani, invece, questa lotta di nativi del XXI secolo ha ricordato i fatti di Wounded Knee della primavera del 1973. Ma le differenze con quegli avvenimenti sono, a mio parere, determinanti: quella ribellione nacque fra indiani urbanizzati e politicizzati, spesso in polemica con i cosiddetti "tradizionali" che vivono nelle riserve; fu una rivolta senza chiari obiettivi e priva di una struttura decisionale. Dalle improvvisate trincee di Wounded Knee gli indiani si difesero a colpi di fucile e le sparatorie furono frequenti.
Il movimento di Standing Rock, invece, e' nato dentro la riserva, con il sostegno e l'incoraggiamento degli anziani che hanno fornito un'autorevole leadership, garantendo organizzazione, disciplina, rispetto delle decisioni. Questa volta le armi hanno tuonato da una parte sola: i nativi hanno scelto la strada della nonviolenza e gli anziani hanno percorso incessantemente gli accampamenti per esortare i giovani a non rispondere mai con la violenza, neanche alle provocazioni piu' gravi. Sono caratteristiche nuove, che hanno consentito alla protesta di crescere e guadagnarsi il rispetto e l'ammirazione di tanti americani. Infatti quella di Washington Square non e' stata che la prima di tante altre manifestazioni. La solidarieta' e' cresciuta di pari passo con la repressione e i fatti di Standing Rock hanno avuto un'eco inaspettata, risvegliato le coscienze, spinto alla partecipazione.
L'occupazione nata in estate con poche decine di sioux, in autunno era divenuta un grande accampamento di oltre quindicimila persone: nativi di molte diverse tribu' ma anche tanti visi pallidi, arrivati da ogni angolo del paese, uniti sotto la guida dei pronipoti di Toro Seduto e Cavallo Pazzo. La pianura si e' riempita di teepee, risate, giochi e calore, facendo montare la rabbia degli speculatori, spaventati dalla prospettiva di perdere lucrosi guadagni. Il consorzio che ha l'appalto per la costruzione del DAPL non ha esitato a mettere in campo agenti federali e forze di sicurezza private per forzare lo sgombero e riprendere i lavori. Pallottole di gomma, cani d'assalto e granate stordenti hanno fatto parte del triste armamentario della repressione e i manifestanti sono stati colpiti brutalmente dai getti freddi degli idranti quando ormai l'inverno aveva portato il gelo e imbiancato la pianura coi primi fiocchi di neve. Gli ambulatori da campo si sono riempiti di feriti e di gente a rischio congelamento. Ma l'accampamento ha resistito.
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La presenza dei veterani
Un filmato dei feroci attacchi contro i pacifici dimostranti e' stato diffuso da Democracy Now (6), suscitando un'ondata di indignazione: a molti quelle immagini hanno ricordato la brutale repressione della polizia dell'Alabama contro i cortei antisegregazionisti degli anni sessanta e il movimento di solidarieta' ha risposto con una escalation di azioni nonviolente: manifestazioni estemporanee, flash mob nelle sedi del consorzio di costruzione del DAPL, boicottaggio delle banche che finanziano il progetto, siti istituzionali sommersi da messaggi, autoaccuse di migliaia sui social network per confondere gli investigatori a caccia di resistenti sul web.
Sul mio cellulare le convocazioni last minute di manifestazioni anti-DAPL a New York sono andate moltiplicandosi con appuntamenti veloci e improvvisi cambiamenti di programma, sempre con la stessa sottolineatura: "se non siete pronti a manifestare in maniera nonviolenta, non venite". Dietro questo movimento spontaneo nessuna etichetta politica, nessuna apparente leadership: i capi ideali di questa piccola rivolta erano ancora accampati sul ghiaccio, a 1700 miglia di distanza.
Erano i coraggiosi sioux di Standing Rock, gli abitanti della contea piu' povera degli Stati Uniti (7).
All'inizio di dicembre, quando le forze della repressione si stavano preparando a sferrare l'attacco finale per sgomberare l'occupazione, e' accaduto un piccolo miracolo yankee che mi ha lasciato di stucco: in risposta a un appello cinquemila ex militari si sono messi in viaggio, hanno raggiunto Standing Rock, si sono schierati a fare scudo, hanno rafforzato i punti deboli dell'accampamento. I veterani erano li' per difendere il diritto dei sioux a proteggere la loro terra. Le ragioni di questa mobilitazione le ha spiegate in un post l'ex marine Halim Nurdir: "Siamo qui per difendere la liberta' di espressione, il diritto a manifestare pacificamente. Qui abbiamo gente attaccata brutalmente a cui viene chiesto di azzittirsi. Quando sono entrato nell'esercito ho giurato di difendere l'America da ogni minaccia, esterna ed interna. Usare idranti in pieno inverno, lanciare granate stordenti e lacrimogeni su pacifici manifestanti: a me pare che tutto questo rappresenti una minaccia".
La partecipazione degli ex militari e' stata decisiva. Lo sgombero non c'e' stato, perche' i veterani godono di grande rispetto e colpirli avrebbe provocato uno scandalo nazionale. Due giorni dopo il loro arrivo il genio militare ha revocato i permessi di attraversamento nel territorio della riserva e il consorzio ha dovuto annunciare, suo malgrado, la modifica del tracciato. Una vittoria insperata, come se la TAV fosse stata revocata, il MUOS smantellato, la base Dal Molin chiusa.
I veterani sono ritornati alle loro case e i camion antisommossa sono rientrati nelle caserme, ma un presidio di water protectors e' rimasto a vigilare, perche' i sioux non si fidavano: in passato i visi pallidi hanno fatto molte promesse e firmato tanti trattati, ma li hanno sempre traditi.
Il tradimento e' arrivato, infatti, puntale, con l'ascesa al potere di Donald Trump. Uno dei suoi primi atti da presidente e' stato l'ordine esecutivo per far ripartire i lavori del DAPL, con l'imposizione al genio militare di rilasciare le autorizzazioni. La polizia del Sud Dakota e' stata dotata di maggiori poteri e le pene per i resistenti sono state inasprite. Alla fine di febbraio i sioux hanno ceduto, per evitare lo scontro. Lo hanno fatto soprattutto per proteggere i simpatizzanti, quei sostenitori giunti da fuori che per molte settimane hanno condiviso con loro la vita nelle difficili condizioni dell'accampamento. Non hanno voluto che subissero la violenza della polizia e dure sentenze negli inevitabili processi. Dopo otto mesi di resistenza e' finita l'occupazione, ma la lotta continua con altri mezzi.
A dispetto del finale triste, questa storia ha scosso un certo mio pessimismo, risvegliando la speranza: anche nel paese piu' forte, anche quando la repressione e' immensa, un piccolo popolo che combatte per la dignita' e la liberta' puo' cambiare le cose. "Freedom is a constant struggle", ha detto recentemente Angela Davis (8), che invita a non credere in singole figure eroiche ma nella forza dell'impegno collettivo. E la campagna contro il DAPL si e' caratterizzata anche per il suo carattere comunitario: nessuna personalita' e' emersa, nessun portavoce, i sioux di Standing Rock sono una collettivita' in lotta e hanno dimostrato che nulla e' immobile e cambiare direzione e' possibile.
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Crudele vendetta contro l'indiano ribelle
E' difficile prevedere se questo movimento si spegnera' o fiorira'. Qualche lieve segnale di speranza c'e': il DAPL non e' l'unico oleodotto che rischia di distruggere l'ambiente e gia' altri tracciati sono sotto accusa, nuove proteste all'orizzonte. Il fracking (9) sta sconvolgendo l'America e non tutti sono disposti a restare a guardare in nome di una illusoria indipendenza energetica. Se son rose fioriranno.
Dalla sua cella, in un carcere federale di massima sicurezza, Leonard Peltier ha incoraggiato e sostenuto questa lotta. Ma resta prigioniero: Obama non ha firmato quella grazia che migliaia di cittadini hanno chiesto a gran voce. Lo stato vuole portare a termine la sua crudele vendetta contro l'indiano ribelle. Peltier aveva chiesto solo di poter morire nella sua terra, fra la sua gente. In attesa di notizie sul suo destino aveva scritto ai suoi sostenitori: "Se non avro' clemenza mi faro' un pianto in cella, poi mi tirero' su e continuero' a lottare fino a quando ne avro' la forza. Non temete: dopo oltre quarant'anni posso affrontare qualsiasi cosa". Le sue lettere dal carcere le conclude sempre con queste parole: In the spirit of Crazy Horse.
Di Cavallo Pazzo non esiste alcuna immagine, nessun possibile "santino": nella sua breve vita egli rifiuto' risolutamente di farsi fotografare o dipingere. Dove sia sepolto nessuno lo sa. Ma il ricordo si conserva nel cuore di molti, perche' non si arrese mai alla prepotenza dell'invasore. Dove vola il suo spirito e' bello stare. Nel suo spirito la lotta dei sioux continua.
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Note
1. I retroscena del caso Peltier sono stati rivelati da Peter Matthiessen nel suo monumentale libro/inchiesta: "In the Spirit of Crazy Horse", pubblicato nel 1983 col sottotitolo: "La storia di Leonard Peltier e della guerra dell'FBI contro l'American Indian Movement". Sulle campagne per la liberazione di Peltier si veda freepeltier.org e whoisleonardpeltier.info
2. L'oleodotto in costruzione, gestito da un consorzio miliardario, sara' lungo 1172 miglia, destinato a trasportare petrolio dal confine settentrionale del Nord Dakota fino ai porti sul fiume Missouri, nell'Illinois.
3. In alternativa a "nativi" usero' spesso qui "indiani", per intendere le popolazioni che abitavano l'America del Nord all'arrivo di Colombo. La scelta puo' lasciare perplessi e anche indignare qualcuno ma, di fatto, il termine e' ormai nell'uso comune degli stessi nativi e viene utilizzato anche per rivendicare la propria appartenenza alle nazioni originarie e distinguersi, culturalmente, etnicamente e politicamente, dagli invasori, cioe' da tutti gli altri cittadini degli Stati Uniti. Del resto la piu' forte organizzazione politica mai fondata dai nativi e' stato appunto l'American Indian Movement. Con lo stesso criterio parlo qui di sioux anziche' utilizzare i più corretti "lakota" e "dakota" perche' questi ultimi, suddivisi in molti sottogruppi e bande (minneconjou, oglala, hunkpapa, ecc.) oggi si riconoscono essi stessi, collettivamente, come sioux.
4. Il 29 dicembre 1890, quindici giorni dopo l'assassinio di Toro Seduto, i sioux minneconjou di Piede Grosso, completamente disarmati, vennero massacrati dall'esercito a Wounded Knee. Oltre 300 bambini, donne e uomini morirono sotto il fuoco indiscriminato e inutile dei militari o per congelamento, nelle ore successive alla carneficina, feriti e abbandonati nella neve in mezzo a una tempesta. Fu l'ultimo grande massacro delle guerre indiane.
5. L'assedio di Wounded Knee da parte dei federali e di milizie irregolari duro' dal 28 febbraio al 9 maggio 1973. Le varie promesse fatte dalla Casa Bianca per far cessare la rivolta, come da tradizione, furono disattese. Nessuna vera inchiesta venne avviata sui fatti e oltre 500 indiani finirono sotto processo.
6. Vedi democracynow.org.
7. Secondo l'istituto federale di statistica.
8. "La libertà e' una continua lotta". Angela Davis (1944), ostracizzata, perseguitata e ingiustamente incriminata negli anni Sessanta per l'impegno nelle Black Panthers e l'affiliazione al Partito Comunista, e' ancora oggi attiva, impegnata in vari campi, sostenendo tra l'altro la necessita' di abolire l'istituzione carceraria.
9. La devastante tecnica utilizzata per rompere strati rocciosi e portare in superficie depositi sotterranei di petrolio, oli minerali e gas. Nello stato di New York, ispirata alla lotta di Standing Rock, sta prendendo forza la protesta contro un altro oleodotto in costruzione.

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Numero 133 del 5 luglio 2021
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