[Nonviolenza] Telegrammi. 4153



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4153 del 2 luglio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Da Vittorio Agnoletto e Mario Agostinelli al ministro emerito Paolo Ferrero, aumentano le adesioni all'appello per la liberazione di Leonard Peltier
2. Ricordando Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. DA VITTORIO AGNOLETTO E MARIO AGOSTINELLI AL MINISTRO EMERITO PAOLO FERRERO, AUMENTANO LE ADESIONI ALL'APPELLO PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Cresce il numero delle personalita' della cultura, delle istituzioni, dell'impegno morale e civile, della solidarieta', che in questi giorni stanno scrivendo al Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli, per chiedere un'iniziativa europea per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista per i diritti umani dei nativi americani, vittima di una spietata persecuzione politica, dal 1977 ingiustamente detenuto dopo un processo-farsa in cui gli sono stati attribuiti delitti che non ha commesso.
Tra le adesioni piu' recenti segnaliamo quelle di: Vittorio Agnoletto, medico e attivista, gia' parlamentare europeo; Mario Agostinelli, presidente dell’"Associazione Laudato si', un'Alleanza per il clima, la cura della Terra, la giustizia sociale"; Norma Bertullacelli, figura di riferimento del movimento pacifista a Genova; Antonio Bruno, gia' consigliere comunale di Genova; Augusto Cacopardo, antropologo; Alessandra Ceresa, Corbetta; Ottavio D’Alessio Grassi, attivista e scrittore; Carla Dentella, coop. Dar casa, Milano; Franco Dinelli, ricercatore CNR, consigliere nazionale di Pax Christi; Paolo Ferrero, vicepresidente del partito della Sinistra Europea, gia' Ministro della Repubblica italiana; Rosanna Garavaglia, gruppo ecumenico diocesi di Milano; Gianpiero Grulla,  socio banca etica, Milano; Paolo Grulla, Gruppo Acquisto Solidale, Milano; Liliana e Giuseppe Lastella, associazione La tenda, MilanoPietro Lazagna, figura storica dell'impegno educativo e civile; Gigi Malabarba, gia' senatore; Francesco Martone, gia' senatore; Giansandro Merli, giornalista; Vincenzo Miliucci, Cobas; Matilde Mirabella, traduttrice, giornalista e attivista; Gabriella Montalto, Milano; Nicoletta Negri, insegnante; Raffaella Noseda, Mazzo di Rho; Graziella Osellame, Milano; Emanuela Petrolati, insegnante; Pasquale Pugliese, docente, saggista, segreteria nazionale del Movimento Nonviolento; Maria Teresa Rigamonti, Milano; Alberto Risi,  Milano; Marina Salvadori, Milano; Shendi Veli, attivista e giornalista; Giulio Vittorangeli, figura storica della solidarieta' internazionale; 
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Tra le altre prime adesioni all'iniziativa ricordiamo in particolare anche quelle di: Maurizio Acerbo, gia' deputato e attuale segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea; Alessandra Algostino, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale; Daniele Barbieri, giornalista e saggista; Giovanni Bianco, giurista, professore universitario; Francesco Domenico Capizzi, presidente dell'organizzazione di volontariato "Scienza Medicina Istituzioni Politica Societa'"; Pilar Castel, autrice e attrice No War; Raimondo Chiricozzi, presidente del comitato provinciale Aics di Viterbo; Giancarla Codrignani, saggista e deputata emerita; Renato Corsetti, linguista ed esperantista; Andrea De Lotto, insegnante e storico animatore del comitato italiano di solidarieta' con Leonard Peltier; Mario Di Marco, referente Servizio Civile della Caritas diocesana di Viterbo; Luigi Fasce, presidente del Circolo Giustizia e liberta' "Guido Calogero e Aldo Capitini" di Genova; Antonella Litta, dell'Associazione italiana medici per l'ambiente; Alfonso Marzocchi; Gianfranco Monaca, scrittore, sociologo e animatore sociale; Luisa Morgantini, gia' vicepresidente del Parlamento Europeo; Amalia Navoni, educatrice e attivista per i diritti umani e i beni comuni,  Coordinamento Nord Sud del mondo; Enrico Peyretti, saggista e peace-researcher; Annamaria Rivera, antropologa; Giovanni Russo Spena, gia' deputato e senatore; Carlo Sansonetti, presidente dell'associazione "Sulla strada" che ha progetti di promozione per popolazioni native in Guatemala; Alfredo Scardina, docente; Peppe Sini, Viterbo; Veronica Tarozzi, docente e giornalista; Olivier Turquet, educatore ed editore, coordinatore di "Pressenza"; Guido Viale, sociologo e saggista.
Tra le prime adesioni di esperienze informative ed associative segnaliamo: Cobas - Confederazione dei Comitati di Base; il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo; l'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo; la redazione de "La nonviolenza e' in cammino"; la redazione di "Pressenza"; l'associazione "Respirare" di Viterbo.
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Invitiamo ogni persona di volonta' buona ed ogni associazione democratica a scrivere al Presidente del Parlamento Europeo.
Qui di seguito un possibile canovaccio di lettera, con alcuni indirizzi di posta elettronica utili per l'invio:
Al Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli
e-mail personale: president at ep.europa.eu
e-mail della segreteria: lorenzo.mannelli at ep.europa.eu; armelle.douaud at ep.europa.eu; barbara.assi at ep.europa.eu; helene.aubeneau at ep.europa.eu; marco.canaparo at ep.europa.eu; fabrizia.panzetti at ep.europa.eu; michael.weiss at ep.europa.eu; luca.nitiffi at ep.europa.eu; matea.juretic at ep.europa.eu; francesco.miatto at ep.europa.eu; barbara.hostens at ep.europa.eu; monica.rawlinson at ep.europa.eu; beate.rambow at ep.europa.eu; laetitia.paquet at ep.europa.eu; nicola.censini at ep.europa.eu; arnaud.rehm at europarl.europa.eu; julien.rohaert at europarl.europa.eu; jose.roza at ep.europa.eu; roberto.cuillo at ep.europa.eu; silvia.cagnazzo at ep.europa.eu; eulalia.martinezdealosmoner at ep.europa.eu; iva.palmieri at europarl.europa.eu; tim.allan at ep.europa.eu; andrea.maceirascastro at ep.europa.eu; angelika.pentsi at ep.europa.eu;
Egregio Presidente del Parlamento Europeo,
vorremmo sollecitare Lei, e tramite Lei il Parlamento Europeo e con esso l'intera Unione Europea, ad una iniziativa umanitaria per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista per i diritti umani dei nativi americani, vittima di una spietata persecuzione politica, dal 1977 ingiustamente detenuto dopo un processo-farsa in cui gli sono stati attribuiti delitti che non ha commesso.
Confidando in un sollecito riscontro, distinti saluti,
firma, luogo e data, indirizzo del mittente
Naturalmente vi saremmo grati se inviaste in copia le vostre lettere o dichiarazioni di solidarieta' per Leonard Peltier anche al nostro indirizzo di posta elettronica: centropacevt at gmail.com , cosi' come ai mezzi d'informazione ed alle altre interlocutrici ed agli altri interlocutori che riterrete opportuno informare o esortare a partecipare.
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Di seguito una minima notizia su Leonard Peltier e l'indicazione del sito internet di riferimento per la solidarieta' a livello internazionale
Leonard Peltier e' nato a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944; attivista dell'American Indian Movement che si batte per i diritti umani dei nativi americani, nel 1977 fu condannato a due ergastoli in un processo-farsa sulla base di presunte prove e presunte testimonianze successivamente dimostratesi artefatte, inattendibili, revocate e ritrattate dagli stessi ostensori. Da allora e' ancora detenuto, sebbene la sua innocenza sia ormai palesemente riconosciuta. Di seguito riportiamo una breve nota di presentazione di un suo libro edito in Italia nel 2005: "Accusato ingiustamente dal governo americano – ricorrendo a strumenti legali, paralegali e illegali – dell'omicidio di due agenti dell'FBI nel 1975 (un breve resoconto tecnico della farsa giudiziaria e' affidato all'ex ministro della giustizia degli Stati Uniti Ramsley Clark, autore della prefazione), Peltier, al tempo uno dei leader di spicco dell'American Indian Movement (AIM), marcisce in condizioni disumane in una prigione di massima sicurezza da quasi trent'anni. Nonostante la sua innocenza sia ormai unanimemente sostenuta dall'opinione pubblica mondiale, nonostante una campagna internazionale in suo favore che ha coinvolto il Dalai Lama, Nelson Mandela, il subcomandante Marcos, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Robert Redford (che sulla vicenda di Peltier ha prodotto il documentario Incident at Oglala), Oliver Stone, Howard Zinn, Peter Matthiessen, il Parlamento europeo e Amnesty International, per il governo americano il caso del prigioniero 89637-132 e' chiuso. Non sorprende dunque che Peltier sia divenuto un simbolo dell'oppressione di tutti i popoli indigeni del mondo e che la sua vicenda abbia ispirato libri (Nello spirito di Cavallo Pazzo di Peter Matthiessen), film (Cuore di tuono di Michael Apted, per esempio) e canzoni (i Rage Against the Machine hanno dedicato a lui la canzone Freedom). In parte lucidissimo manifesto politico, in parte toccante memoir, questa e' la straordinaria storia della sua vita, raccontata per la prima volta da Peltier in persona. Una meravigliosa testimonianza spirituale e filosofica che rivela un modo di concepire la vita, ma soprattutto la politica, che trascende la dialettica tradizionale occidentale e i suoi schemi (amico-nemico, destra-sinistra e cosi' via): i nativi la chiamano la danza del sole" (dalla scheda di presentazione del libro di Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, 2005, nel sito della casa editrice: fazieditore.it).
Opere di Leonard Peltier: La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, 2005.
Opere su Leonard Peltier: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, 1994; Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano, Erre Emme, 1996.
Il sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info
Alcuni altri libri utili per approfondire: Alce Nero, La sacra pipa, Rusconi, Milano 1986, 1993; Bruno Bouchet (a cura di), Wovoka. Il messaggio rivoluzionario dei nativi americani, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1982; Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, Mondadori, Milano 1972, 1977; Vine Deloria jr., Custer e' morto per i vostri peccati, Jaca Book, Milano 1972, 1977; Raymond J. DeMaille (a cura di), Il sesto antenato. I testi originali egli insegnamenti di Alce Nero, Xenia, Milano 1996; Charles Hamilton (a cura di), Sul sentiero di guerra. Scritti e testimonianza degli indiani d'America, Feltrinelli, Milano 1956, 1960; Diana Hansen (a cura di), Indiani d'America. Identita' e memoria collettiva nei documenti della nuova resistenza indiana, Savelli, Roma 1977; Philippe Jacquin, Storia degli indiani d'America, Mondadori, Milano 1977; Franco Meli (a cura di), Parole nel sangue. Poesia indiana americana contemporanea, Mondadori, Milano 1991; Messaggio degli Irochesi al mondo occidentale. Per un risveglio della coscienza, la Fiaccola, Ragusa 1986, 1989; Nando Minnella, Pascoli d'asfalto. Poesia & cultura degli indiani d'America, Rossi e Spera Editori, Roma 1987; Nando Minnella, Michele Morieri, Indiani oggi. La Resistenza indiana oggi: documenti e testimonianze, Gammalibri, Milano 1981; John G. Neihardt, Alce Nero parla, Adelphi, Milano 1968, Mondadori, Milano 1973, 1977; William W. Newcomb jr., Gli indiani del Nord-America, Il Bagatto, Roma 1985; Scritti e racconti degli indiani americani, raccolti da Shirley Hill Witt e Stan Steiner, Jaca Book, Milano 1974, 1992; Stan Steiner, Uomo bianco scomparirai, Jaca Book, Milano 1977, 1994.

2. MEMORIA. RICORDANDO CLAUDE EATHERLY, IL PILOTA DI HIROSHIMA

Riproponiamo questo ricordo.
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Il primo luglio 1978 moriva Claude Eatherly, l'aviatore americano che partecipo' alla missione del lancio della bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto del 1945.
La sua vita fu sconvolta per sempre dalla comprensione delle conseguenze di quell'atto.
Solo molti anni dopo, entrando in corrispondenza con il filosofo Guenther Anders, riusci' a dare un senso alla sua immedicabile sofferenza. Il carteggio tra Eatherly e Anders, pubblicato anche in Italia col titolo "La coscienza al bando" da Einaudi nel 1962 nella traduzione di Renato Solmi, resta un documento che ogni persona dovrebbe leggere e meditare.
Ricordando Claude Eatherly, e ricordando con lui l'immenso filosofo e militante per la pace Guenther Anders, e ricordando altresi' Renato Solmi, intellettuale insigne, un maestro, un compagno di lotte e un amico indimenticabile, vorremmo riproporre alla riflessione comune alcuni minimi estratti di quel carteggio.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Mai piu' guerre, mai piu' uccisioni.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
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Allegato primo: Una minima notizia su Claude Eatherly
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6 agosto del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile, considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Dopo l'incontro con il filosofo Guenther Anders si impegno' nella denuncia dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e antinucleare.
La corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e il 1961 e' raccolta nel libro La coscienza al bando: il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi ripubblicato col titolo Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Linea d'ombra, Milano 1992.
Un fondamentale saggio su Claude Eatherly, scritto da Renato Solmi, "Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima", puo' essere ora letto in Renato Solmi, Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007, alle pp. 577-621.
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Allegato secondo. La prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly
Al signor Claude R. Eatherly
ex maggiore della A. F.
Veterans' Administration Hospital
Waco, Texas
3 giugno 1959
Caro signor Eatherly,
Lei non conosce chi scrive queste righe. Mentre Lei e' noto a noi, ai miei amici e a me. Il modo in cui Lei verra' (o non verra') a capo della Sua sventura, e' seguito da tutti noi (che si viva a New York, a Tokio o a Vienna) col cuore in sospeso. E non per curiosita', o perche' il Suo caso ci interessi dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici ne' psicologi. Ma perche' ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. La tecnicizzazione dell'esistenza: il fatto che, indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti, non potremmo approvare - questo fatto ha trasformato la situazione morale di tutti noi. La tecnica ha fatto si' che si possa diventare "incolpevolmente colpevoli", in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno avanzato dei nostri padri.
Lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiche' Lei e' uno dei primi che si e' invischiato in questa colpa di nuovo tipo, una colpa in cui potrebbe incorrere - oggi o domani - ciascuno di noi. A Lei e' capitato cio' che potrebbe capitare domani a noi tutti. E' per questo che Lei ha per noi la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore.
Probabilmente tutto questo non Le piace. Vuole stare tranquillo, your life is your business. Possiamo assicurarLe che l'indiscrezione piace cosi' poco a noi come a Lei, e La preghiamo di scusarci. Ma in questo caso, per la ragione che ho appena detto, l'indiscrezione e' - purtroppo - inevitabile, anzi doverosa. La Sua vita e' diventata anche il nostro business. Poiche' il caso (o comunque vogliamo chiamare il fatto innegabile) ha voluto fare di Lei, il privato cittadino Claude Eatherly, un simbolo del futuro, Lei non ha piu' diritto di protestare per la nostra indiscrezione. Che proprio Lei, e non un altro dei due o tre miliardi di Suoi contemporanei, sia stato condannato a questa funzione di simbolo, non e' colpa Sua, ed e' certamente spaventoso. Ma cosi' e', ormai.
E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. Poiche' tutti noi dobbiamo vivere in quest'epoca, in cui potremmo incorrere in una colpa del genere: e come Lei non ha scelto la sua triste funzione, cosi' anche noi non abbiamo scelto quest'epoca infausta. In questo senso siamo quindi, come direste voi americani, "on the same boat", nella stessa barca, anzi siamo i figli di una stessa famiglia. E questa comunita', questa parentela, determina il nostro rapporto verso di Lei. Se ci occupiamo delle Sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a cui e' capitata la disgrazia di fare realmente cio' che ciascuno di noi potrebbe essere costretto a fare domani; come fratelli che sperano di poter evitare quella sciagura, come Lei oggi spera, tremendamente invano, di averla potuta evitare allora.
Ma allora cio' non era possibile: il meccanismo dei comandi funziono' perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque lo ha fatto. Ma poiche' lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da Lei, che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se fossimo al Suo posto. Vede che Lei ci e' estremamente prezioso, anzi indispensabile. Lei e', in qualche modo, il nostro maestro.
Naturalmente Lei rifiutera' questo titolo. "Tutt'altro, dira', poiche' io non riesco a venire a capo del mio stato".
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Si stupira', ma e' proprio questo "non" a far pencolare (per noi) la bilancia. Ad essere, anzi, perfino consolante. Capisco che questa affermazione deve suonare, sulle prime, assurda. Percio' qualche parola di spiegazione.
Non dico "consolante per Lei". Non ho nessuna intenzione di volerLa consolare. Chi vuol consolare dice, infatti, sempre: "La cosa non e' poi cosi grave"; cerca, insomma, di impicciolire l'accaduto (dolore o colpa) o di farlo sparire con le parole. E' proprio quello che cercano di fare, per esempio, i Suoi medici. Non e' difficile scoprire perche' agiscano cosi'. In fin dei conti sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la condanna morale di un'azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a cui, anzi, non deve neppure venire in mente la possibilita' di questa condanna; e che percio' devono difendere in ogni caso l'irreprensibilita' di un'azione che Lei sente, a ragione, come una colpa. Ecco perche' i Suoi medici affermano: "Hiroshima in itself is not enough to explain your behaviour", cio' che in un linguaggio meno lambiccato significa: "Hiroshima e' meno terribile di quanto sembra"; ecco perche' si limitano a criticare, invece dell'azione stessa (o "dello stato del mondo" che l'ha resa possibile), la Sua reazione ad essa; ecco perche' devono chiamare il Suo dolore e la Sua attesa di un castigo una "malattia" ("classical guilt complex"); ed ecco perche' devono considerare e trattare la Sua azione come un "self-imagined wrong", un delitto inventato da Lei. C'e' da stupirsi che uomini costretti dal loro conformismo e dalla loro schiavitu' morale a sostenere l'irreprensibilita' della Sua azione, e a considerare quindi patologico il Suo stato di coscienza, che uomini che muovono da premesse cosi' bugiarde ottengano dalle loro cure risultati cosi' poco brillanti? Posso immaginare (e La prego di correggermi se sbaglio) con quanta incredulita' e diffidenza, con quanta repulsione Lei consideri quegli uomini, che prendono sul serio solo la Sua reazione, e non la Sua azione. Hiroshima-self-imagined!
Non c'e' dubbio: Lei la sa piu' lunga di loro. Non e' senza ragione che le grida dei feriti assordano i Suoi giorni, che le ombre dei morti affollano i Suoi sogni. Lei sa che l'accaduto e' accaduto veramente, e, non e' un'immaginazione. Lei non si lascia illudere da costoro. E nemmeno noi ci lasciamo illudere. Nemmeno noi sappiamo che farci di queste "consolazioni".
No, io dicevo per noi. Per noi il fatto che Lei non riesce a "venire a capo" dell'accaduto, e' consolante. E questo perche' ci mostra che Lei cerca di far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire) della Sua azione; e perche' questo tentativo, anche se dovesse fallire, prova che Lei ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando viva la Sua coscienza ha mostrato che questo e' possibile, e che dev'essere possibile anche per noi. E sapere questo (e noi lo sappiamo grazie a Lei) e', per noi, consolante.
"Anche se dovesse fallire", ho detto. Ma il Suo tentativo deve necessariamente fallire. E precisamente per questo.
Gia' quando si e' fatto torto a una persona singola (e non parlo di uccidere), anche se l'azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti, e' tutt'altro che semplice "venirne a capo". Ma qui si tratta di ben altro. Lei ha la sventura di aver lasciato dietro di se' duecentomila morti. E come sarebbe possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come sarebbe possibile pentirsi di 200.000 vittime?
Non solo Lei non lo puo', non solo noi non lo possiamo: non e' possibile per nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento restano inadeguati. L'inutilita' dei Suoi sforzi non e' quindi colpa Sua, Eatherly: ma e' una conseguenza di cio' che ho definito prima come la novita' decisiva della nostra situazione: del fatto, cioe', che siamo in grado di produrre piu' di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono cosi' enormi che non siamo piu' attrezzati per concepirli. Al di la', cioe', di cio' che possiamo dominare interiormente, e di cui possiamo "venire a capo". Non si faccia rimproveri per il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. Ci mancherebbe altro! Il pentimento non puo' riuscire. Ma il fallimento stesso dei Suoi sforzi e' la Sua esperienza e passione di ogni giorno; poiche' al di fuori di questa esperienza non c'e' nulla che possa sostituire il pentimento, e che possa impedirci di commettere di nuovo azioni cosi tremende. Che, di fronte a questo fallimento, la Sua reazione sia caotica e disordinata, e' quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire che e' un segno della Sua salute morale. Poiche' la Sua reazione attesta la vitalita' della Sua coscienza.
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Il metodo usuale per venire a capo di cose troppo grandi e' una semplice manovra di occultamento: si continua a vivere come se niente fosse; si cancella l'accaduto dalla lavagna della vita, si fa come se la colpa troppo grave non fosse nemmeno una colpa. Vale a dire che, per venirne a capo, si rinuncia affatto a venirne a capo. Come fa il Suo compagno e compatriota Joe Stiborik, ex radarista sull'Enola Gay, che Le presentano volentieri ad esempio perche' continua a vivere magnificamente e ha dichiarato, con la miglior cera di questo mondo, che "e' stata solo una bomba un po' piu' grossa delle altre". E questo metodo e' esemplificato, meglio ancora, dal presidente che ha dato il "via" a Lei come Lei lo ha dato al pilota dell'apparecchio bombardiere; e che quindi, a ben vedere, si trova nella Sua stessa situazione, se non in una situazione ancora peggiore. Ma egli ha omesso di fare cio' che Lei ha fatto. Tant'e' che alcuni anni fa, rovesciando ingenuamente ogni morale (non so se sia venuto a saperlo), ha dichiarato, in un'intervista destinata al pubblico, di non sentire i minimi "pangs of conscience", che sarebbe una prova lampante della sua innocenza; e quando poco fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, ha tirato le somme della sua vita, ha citato, come sola mancanza degna di rimorso, il fatto di essersi sposato dopo i trenta. Mi pare difficile che Lei possa invidiare questo "clean sheet". Ma sono certo che non accetterebbe mai, da un criminale comune, come una prova d'innocenza, la dichiarazione di non provare il minimo rimorso. Non e' un personaggio ridicolo, un uomo che fugge cosi' davanti a se stesso? Lei non ha agito cosi', Eatherly; Lei non e' un personaggio ridicolo. Lei fa, pur senza riuscirci, quanto e' umanamente possibile: cerca di continuare a vivere come la stessa persona che ha compiuto l'azione. Ed e' questo che ci consola. Anche se Lei, proprio perche' e' rimasto identico con la Sua azione, si e' trasformato in seguito ad essa.
Capisce che alludo alle Sue violazioni di domicilio, falsi e non so quali altri reati che ha commesso. E al fatto che e' o passa per demoralizzato e depresso. Non pensi che io sia un anarchico e favorevole ai falsi e alle rapine, o che dia scarso peso a queste cose. Ma nel Suo caso questi reati non sono affatto "comuni": sono gesti di disperazione. Poiche' essere colpevole come Lei lo e' ed essere esaltati, proprio per la propria colpa, come "eroi sorridenti", dev'essere una condizione intollerabile per un uomo onesto; per porre termine alla quale si puo' anche commettere qualche scorrettezza. Poiche' l'enormita' che pesava e pesa su di Lei non era capita, non poteva essere capita e non poteva essere fatta capire nel mondo a cui Lei appartiene, Lei doveva cercare di parlare ed agire nel linguaggio intelligibile costi', nel piccolo linguaggio della petty o della big larceny nei termini della societa' stessa. Cosi' Lei ha cercato di provare la Sua colpa con atti che fossero riconosciuti come reati. Ma anche questo non Le e' riuscito.
E' sempre condannato a passare per malato, anziche' per colpevole. E proprio per questo, perche' - per cosi' dire - non Le si concede la Sua colpa Lei e' e rimane un uomo infelice.
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E ora, per finire, un suggerimento.
L'anno scorso ho visitato Hiroshima; e ho parlato con quelli che sono rimasti vivi dopo il Suo passaggio. Si rassicuri: non c'e' nessuno di quegli uomini che voglia perseguitare una vite nell'ingranaggio di una macchina militare (cio' che Lei era, quando, a ventisei anni, esegui' la Sua "missione"); non c'e' nessuno che La odi.
Ma ora Lei ha mostrato che, anche dopo essere stato adoperato come una vite, e' rimasto, a differenza degli altri, un uomo; o di esserlo ridiventato. Ed ecco la mia proposta, su cui Lei avra' modo di riflettere.
Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrera', come tutti gli anni, il giorno in cui "e' avvenuto". A quegli uomini Lei potrebbe inviare un messaggio, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei dicesse da uomo a quegli uomini: "Allora non sapevo quel che facevo; ma ora lo so. E so che una cosa simile non dovra' piu' accadere; e che nessuno puo' chiedere a un altro di compierla"; e: "La vostra lotta contro il ripetersi di un'azione simile e' anche la mia lotta, e il vostro 'no more Hiroshima' e' anche il mio 'no more Hiroshima`, o qualcosa di simile puo' essere certo che con questo messaggio farebbe una gioia immensa ai sopravvissuti di Hiroshima e che sarebbe considerato da quegli uomini come un amico, come uno di loro. E che cio' accadrebbe a ragione, poiche' anche Lei, Eatherly, e' una vittima di Hiroshima. E cio' sarebbe forse anche per Lei, se non una consolazione, almeno una gioia.
Col sentimento che provo per ognuna di quelle vittime, La saluto
Guenther Anders
* * *
Allegato terzo: La prima lettera di Claude Eatherly a Guenther Anders
12 giugno 1959
Dear Sir,
molte grazie della Sua lettera, che ho ricevuto venerdi' della scorsa settimana.
Dopo aver letto piu' volte la Sua lettera, ho deciso di scriverLe, e di entrare eventualmente in corrispondenza con Lei, per discutere di quelle cose che entrambi, credo, comprendiamo. Io ricevo molte lettere, ma alla maggior parte non posso nemmeno rispondere. Mentre di fronte alla Sua lettera mi sono sentito costretto a rispondere e a farLe conoscere il mio atteggiamento verso le cose del mondo attuale.
Durante tutto il corso della mia vita sono sempre stato vivamente interessato al problema del modo di agire e di comportarsi. Pur non essendo, spero, un fanatico in nessun senso, ne' dal punto di vista religioso ne' da quello politico, sono tuttavia convinto, da qualche tempo, che la crisi in cui siamo tutti implicati esige un riesame approfondito di tutto il nostro schema di valori e di obbligazioni. In passato, ci sono state epoche in cui era possibile cavarsela senza porsi troppi problemi sulle proprie abitudini di pensiero e di condotta. Ma oggi e' relativamente chiaro che la nostra epoca non e' di quelle. Credo, anzi, che ci avviciniamo rapidamente a una situazione in cui saremo costretti a riesaminare la nostra disposizione a lasciare la responsabilita' dei nostri pensieri e delle nostre azioni a istituzioni sociali (come partiti politici, sindacati, chiesa o stato). Nessuna di queste istituzioni e' oggi in grado di impartire consigli morali infallibili, e percio' bisogna mettere in discussione la loro pretesa di impartirli. L'esperienza che ho fatto personalmente deve essere studiata da questo punto di vista, se il suo vero significato deve diventare comprensibile a tutti e dovunque, e non solo a me.
Se Lei ha l'impressione che questo concetto sia importante e piu' o meno conforme al Suo stesso pensiero, Le proporrei di cercare insieme di chiarire questo nesso di problemi, in un carteggio che potrebbe anche durare a lungo.
Ho l'impressione che Lei mi capisca come nessun altro, salvo forse il mio medico e amico.
Le mie azioni antisociali sono state catastrofiche per la mia vita privata, ma credo che, sforzandomi, riusciro' a mettere in luce i miei veri motivi, le mie convinzioni e la mia filosofia.
Guenther, mi fa piacere di scriverLe. Forse potremo stabilire, col nostro carteggio, un'amicizia fondata sulla fiducia e sulla comprensione. Non abbia scrupoli a scrivere sui problemi di situazione e di condotta in cui ci troviamo di fronte. E allora Le esporro' le mie opinioni.
RingraziandoLa ancora della Sua lettera, resto il Suo
Claude Eatherly
* * *
Allegato quarto: Guenther Anders: Comandamenti dell'era atomica
[Testo allegato alla lettera 4 (di Anders a Eatherly, del 2 luglio 1959), precedentemente apparso nella "Frankfurter Allgemeine Zeitung" del 13 luglio 1957]
Il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo". Poiche' non devi cominciare un solo giorno nell'illusione che quello che ti circonda sia un mondo stabile. Quello che ti circonda e' qualcosa che domani potrebbe essere gia' semplicemente "stato"; e noi, tu e io e tutti i nostri contemporanei, siamo piu' "caduchi" di tutti quelli che finora sono stati considerati tali. Poiche' la nostra caducita' non significa solo il nostro essere "mortali"; e neppure che ciascuno di noi puo' essere ucciso. Questo era vero anche in passato. Ma significa che possiamo essere uccisi in blocco, che possiamo essere uccisi come "umanita'". Dove "umanita'" non e' solo l'umanita' attuale, quella che si estende e si distribuisce attraverso le regioni terrestri; ma e' anche quella che si estende attraverso le regioni del tempo: poiche', se l'umanita' attuale sara' uccisa, si estinguera' con lei anche l'umanita' passata, e anche quella futura. La porta davanti alla quale ci troviamo reca quindi la scritta: "Nulla sara' stato", e sull'altro verso le parole: "Il tempo e' stato solo un interludio". Ma, in questo caso, il tempo non sara' stato un interludio fra due eternita' (come speravano i nostri antenati), ma un interludio fra due nulla: fra il nulla di cio' che, nessuno potendolo ricordare, "sara' stato" come se non fosse mai stato, e il nulla di cio' che non potra' mai essere. E poiche' non ci sara' nessuno per distinguere i due nulla, essi si confonderanno in un nulla unico. Ecco quindi la nuova, apocalittica forma di caducita' che e' la nostra, e accanto alla quale tutto cio' che ha avuto finora questo nome e' diventato un'inezia. - E perche' questo non ti sfugga, il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo".
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La possibilita' dell'apocalisse
E questo sia il tuo secondo pensiero dopo il risveglio: "La possibilita' dell'apocalisse e' opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo". No, non lo sappiamo; e non lo sanno nemmeno quelli che dispongono e decidono di essa; poiche' anch'essi sono come noi; anch'essi sono noi; anch'essi sono radicalmente incompetenti. E' vero che questa incompetenza non e' colpa loro, ma e' piuttosto l'effetto di una circostanza che non si puo' attribuire a nessuno di loro ne' di noi: la sproporzione continuamente crescente fra la nostra facolta' produttiva e la nostra facolta' immaginativa, fra cio' che possiamo produrre e cio' che possiamo immaginare.
Poiche', nel corso dell'epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra fantasia e azione si e' rovesciato. Se era naturale, per i nostri antenati, considerare la fantasia "esorbitante", esuberante, eccessiva, e cioe' tale che superava e trascendeva l'ambito del reale, oggi i poteri della nostra fantasia (e i limiti della nostra sensibilita' e della nostra responsabilita') sono inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si puo' dire che oggi la nostra fantasia non e' all'altezza degli effetti che possiamo produrre. Non e' solo la nostra ragione a essere kantianamente limitata e finita, ma anche la nostra immaginazione e - a maggior ragione - la nostra sensibilita'. Possiamo pentirci, tutt'al piu', dell'uccisione di un uomo: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra sensibilita'; possiamo rappresentarci, tutt'al piu', l'uccisione di dieci uomini: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra immaginazione; ma ammazzare centomila persone non presenta piu' alcuna difficolta'. E cio' non solo per ragioni tecniche; e non solo perche' l'azione si e' ridotta a semplice collaborazione e partecipazione, a un "azionare" che rende invisibile l'effetto, ma anche e proprio per una ragione di ordine morale: e cioe' perche' la strage in massa trascende di gran lunga la sfera di quelle azioni che siamo in grado di rappresentarci concretamente e a cui possiamo reagire sentimentalmente; e la cui esecuzione potrebbe essere inibita dall'immaginazione o dai sentimenti. - Le tue verita' successive dovrebbero quindi essere queste: "L'inibizione diminuisce progressivamente con l'ingrandirsi oltre misura dell'azione"; e "L'uomo e' minore (piu' piccolo) di se stesso". Questa e' la formula della nostra attuale schizofrenia, e cioe' del fatto che le nostre varie facolta' operano separatamente, come entita' isolate e prive di coordinazione che hanno perso il contatto fra loro.
Ma non e' per formulare nozioni definitive e fatalmente disfattistiche su noi stessi che devi formulare queste verita': ma, al contrario, per inorridire della finitezza e per vedere in essa uno scandalo; per sciogliere e allentare quei limiti irrigiditi e trasformarli in barriere da superare; per revocare e abolire la schizofrenia. Naturalmente, finche' ti e' concesso di sopravvivere, puoi anche metterti a sedere, rinunciare ad ogni speranza e rassegnarti alla tua schizofrenia. Ma se non sei disposto a questo, devi cercare di raggiungere te stesso, di portarti alla tua propria altezza. E cio' significa (questo e' il tuo compito) che devi cercare di colmare l'abisso fra le due facolta': la facolta' produttiva e la facolta' riproduttiva; che devi livellare la differenza di altezza che le separa; o, in altri termini, che devi sforzarti di allargare l'ambito limitato della tua immaginazione (e quello ancora piu' ristretto del tuo sentimento), finche' sentimento ed immaginazione arrivino ad apprendere e a concepire l'enormita' che sei stato in grado di produrre; finche' tu possa accettare o respingere cio' che hai inteso. Insomma, il tuo compito consiste nell'allargare la tua fantasia morale.
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Non aver paura di aver paura
Il tuo compito successivo e' quello di allargare il tuo senso del tempo. Poiche' decisivo per la nostra situazione attuale non e' solo (cio' che ormai sanno tutti) che lo spazio terrestre si e' contratto, e che tutti i luoghi che si potevano considerare lontani fino a ieri sono ormai localita' viciniori; ma che anche lo spazio temporale si e' contratto, e che tutti i punti del nostro sistema temporale si sono avvicinati; che i futuri che potevano sembrare fino a ieri a distanza irraggiungibile, confinano ormai direttamente col nostro presente; che li abbiamo trasformati in comunita' attigue. Cio' vale sia per il mondo orientale che per quello occidentale. Per il mondo orientale, poiche' il futuro vi e' pianificato in una misura senza precedenti; e il futuro pianificato non e' piu' un futuro "in grembo agli dei", ma un prodotto in fabbricazione: che, per il fatto di essere previsto, e' gia' visto come parte integrante dello spazio in cui ci si trova. In altri termini: poiche' tutto cio' che si fa, lo si fa per quel prodotto futuro, esso getta gia' la sua ombra sul presente, appartiene gia', in un senso pragmatico, al presente stesso. E cio' vale, in secondo luogo (ed e' il caso che ci riguarda), per gli uomini del mondo occidentale attuale; poiche' questo, anche senza proporselo direttamente, opera gia' sui futuri piu' remoti: decidendo, ad esempio, della salute o della degenerazione, e forse dell'esistenza o dell'inesistenza dei suoi nipoti. E non importa che esso, o, piuttosto, che noi, si miri consapevolmente a questo risultato: poiche' cio' che conta, da un punto di vista morale, e' soltanto il fatto. E dal momento che il fatto - l'"azione a distanza" non pianificata - ci e' noto, continuando ad agire come se non sapessimo quello che facciamo commettiamo un delitto colposo.
E il tuo pensiero successivo dopo il risveglio sia: "Non esser vile, abbi il coraggio di aver paura! Astringiti a fornire quel tanto di paura che corrisponde alla grandezza del pericolo apocalittico!" Anche e proprio la paura fa parte dei sentimenti che siamo incapaci o riluttanti a fornire; e dire che abbiamo gia' paura, che ne abbiamo anche troppa, e che viviamo, anzi, nell'"epoca della paura", e' una frase priva di senso, che, se non e' diffusa ad arte col preciso intento di ingannare, e' pur sempre uno strumento ideale per impedire l'avvento di una paura veramente adeguata all'enormita' del pericolo, e per renderci indolenti e passivi. - E' vero piuttosto il contrario: che viviamo in un'epoca refrattaria all'angoscia e assistiamo quindi passivamente all'evoluzione in corso. Percio' vi e' tutta una serie di ragioni (a prescindere dai limiti della nostra capacita' di sentire), che non e' possibile enumerare qui (1). Ma non possiamo fare a meno di menzionarne una, a cui gli eventi del recente passato conferiscono un'attualita' e un'importanza particolare. Si tratta della mania delle competenze, e cioe' della persuasione, inculcata in noi dalla divisione del lavoro, che ogni problema rientri in un determinato ambito giuridico in cui non abbiamo il diritto di interferire e di dire la nostra. Cosi', per esempio, il problema atomico rientra nella competenza dei politici e dei militari. E questo "non aver diritto" si trasforma subito e automaticamente in "non aver bisogno". In altri termini: non c'e' bisogno che mi occupi dei problemi di cui non sono tenuto e autorizzato ad occuparmi. E posso fare a meno di aver paura, poiche' la paura stessa viene "sbrigata" in un altro ressort. Percio' ripeti dopo il tuo risveglio: "Res nostra agitur". Il che significa due cose: 1) che la cosa ci riguarda perche' ci puo' colpire; e 2) che la pretesa di alcuni a una competenza di carattere esclusivo e' infondata, perche' siamo tutti, in quanto uomini, ugualmente incompetenti. Credere che in puncto "fine del mondo" possa aver luogo una competenza maggiore o minore, e che quelli che (in seguito a una divisione casuale del lavoro, delle responsabilita' e dei compiti) sono diventati politici o militari, e che si occupano della fabbricazione e dell'"impiego" della bomba piu' attivamente o piu' direttamente di noi, siano percio' piu' "competenti" di noi, e' una follia pura e semplice. Chi cerca di farcelo credere (che si tratti di questi pretesi competenti o di altri) dimostra solo la sua incompetenza morale. Ma la nostra situazione morale finisce per diventare intollerabile quando quei pretesi competenti (che sono incapaci di vedere i problemi se non in termini tattici) pretendono di insegnarci che non abbiamo nemmeno il diritto di aver paura, e tanto meno di porci problemi morali: dal momento che la coscienza morale implica una responsabilita', e la responsabilita' e' affar loro, affare dei competenti; con la nostra paura, con la nostra angoscia morale, invaderemmo - secondo loro - un campo di loro competenza. In conclusione: devi rifiutarti di riconoscere un ceto privilegiato, un "clero dell'apocalisse": un gruppo che si arroghi una competenza esclusiva per la catastrofe che sarebbe la catastrofe di tutti. Se ci e' lecito variare il detto rankiano ("ugualmente vicini a Dio"), potremmo dire che "ognuno di noi e' ugualmente vicino alla fine possibile". E percio' ognuno di noi ha lo stesso diritto, e lo stesso dovere, di elevare ad alta voce il suo monito. A cominciare da te.
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Contro la discussione di carattere tattico
Non solo la nostra immaginazione, la nostra sensibilita' e la nostra responsabilita' vengono meno di fronte alla "cosa": ma non siamo neppure in grado di pensarla. Poiche' sotto qualunque categoria cercassimo di sussumerla, la penseremmo in modo sbagliato: per il semplice fatto di ridurla sotto una determinata categoria o classe di concetti, ne faremmo un oggetto fra gli altri e la minimizzeremmo. Anche se puo' esistere in molti esemplari, e' unica nel suo genere, non appartiene a nessuna specie: e', quindi, un monstrum. Disgraziatamente e' proprio questa ("mostruosa") inclassificabilita' a portarci a trascurare la cosa, o a dimenticarla addirittura. Tendiamo a considerare come inesistente tutto cio' che non siamo in grado di classificare. Ma nella misura in cui si parla della cosa (cio' che peraltro non avviene ancora nella conversazione quotidiana fra gli uomini), tendiamo a classificarla (poiche' e' la soluzione piu' comoda e meno inquietante) come un'arma, o piu' in generale come un mezzo. Ma essa non e' un mezzo, poiche' e' essenziale alla natura del mezzo risolversi nello scopo raggiunto e scomparire, come la via nella meta. Il che non accade in questo caso. Poiche' anzi l'effetto inevitabile (e perfino l'effetto consapevolmente ricercato) della cosa e' maggiore di ogni scopo pensabile; poiche' questo, per forza di cose, scompare e si annulla nell'effetto. Scompare e si annulla insieme al mondo in cui c'erano ancora "fini e mezzi". Ed e' chiaro che una cosa che distrugge, con la sua sola esistenza, lo schema "fini e mezzi", non puo' essere un mezzo. Percio' la tua massima successiva sia: "Nessuno mi fara' credere che la bomba sia un mezzo". E dal momento che non e' un mezzo come i milioni di mezzi che compongono il nostro mondo, non puoi tollerare che sia prodotta come se si trattasse di un frigorifero, di un dentifricio e nemmeno di una pistola, per costruire la quale nessuno ci interpella. - E come non devi credere a quelli che la chiamano un "mezzo", non devi credere nemmeno ai persuasori piu' sottili che sostengono che la cosa serve esclusivamente alla "dissuasione", ed e' prodotta, cioe', solo allo scopo di non essere usata. Poiche' non si sono mai visti oggetti il cui impiego si esaurisse nel loro non essere usati; o, tutt'al piu', vi sono stati oggetti che, in determinati casi, non furono usati (e cioe' quando la minaccia del loro uso, spesso gia' avvenuto, si era gia' rivelata sufficiente). Del resto, non dobbiamo mai dimenticare che la cosa e' gia' stata "usata" realmente (e senza giustificazione adeguata) a Hiroshima e Nagasaki. Infine, non dovresti permettere che l'oggetto il cui effetto supera ogni immaginazione sia classificato in modo falso con un'etichetta sciocca e minimizzante. Quando l'esplosione di una bomba H e' definita ufficialmente "azione Opa" o "azione nonnino", non e' solo una manifestazione di cattivo gusto, ma anche un inganno consapevole.
Inoltre devi opporti e ribellarti tutte le volte che la cosa (la cui semplice presenza e' gia' una forma di uso) e' discussa da un punto di vista puramente "tattico". Questo tipo di discussione e' assolutamente inadeguato, poiche' l'idea di potersi servire tatticamente delle armi atomiche presuppone l'esistenza di una situazione politica indipendente dal fatto stesso della loro esistenza. Ma questa e' una supposizione affatto irreale, poiche' la situazione politica (l'espressione "era atomica" e' perfettamente giustificata) e' definita dal fatto delle armi atomiche. Non sono le armi atomiche a presentarsi, fra le altre cose, sulla scena politica, ma sono gli avvenimenti politici a svolgersi all'interno della situazione atomica; e la maggior parte delle azioni politiche sono passi intrapresi all'interno di questa situazione. I tentativi di utilizzare la possibilita' della fine del mondo come una pedina sullo scacchiere della politica internazionale, indipendentemente o meno dalla loro astuzia, sono segni di accecamento. L'epoca delle astuzie e' finita. Percio' devi farti un principio di sabotare tutte le analisi in cui i tuoi contemporanei cercano di esaminare il fatto del pericolo atomico da un punto di vista puramente tattico, e di portare la discussione sul punto essenziale: sulla minaccia che pesa sull'umanita' di un'apocalisse provocata da lei stessa; e fallo anche a costo di essere deriso come persona priva di realismo politico. In realta', ad essere poco realisti, sono proprio i puri tattici, che vedono le armi atomiche solo come mezzi, e che non capiscono che i fini che cercano o pretendono di raggiungere mediante la loro tattica, sono completamente svuotati di significato dall'uso (anzi, dalla semplice possibilita' dell'uso) di questi mezzi.
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La decisione e' gia' stata presa
Non lasciarti ingannare da chi sostiene che ci troveremmo ancora (e ci troveremo forse sempre) nello stadio sperimentale, nello stadio delle esperienze di laboratorio. Poiche' questa e' solo una frase. E non solo perche' abbiamo gia' gettato delle bombe (cio' che molti stranamente dimenticano), e l'epoca "in cui si fa sul serio" e' quindi gia' cominciata da un pezzo; ma anche perche' (ed e' la ragione piu' importante) non e' possibile parlare, in questo caso, di esperimenti. La tua ultima massima sara', quindi, questa: "Per quanto felice possa essere l'esito degli esperimenti, e' lo sperimentare stesso che fallisce". E fallisce perche' si puo' parlare di esperimenti solo dove l'evento sperimentale non esce e non spezza l'ambito isolato e circoscritto del laboratorio; condizione che non si ritrova in questo caso. Poiche' fa proprio parte dell'essenza della cosa, e dell'effetto ricercato della maggior parte degli esperimenti attuali, accrescere il piu' possibile la forza esplosiva e il fall-out radioattivo dell'arma; e cioe', per quanto contraddittoria possa essere la formula, provare fino a che punto si possa superare ogni limite sperimentale. Cio' che e' prodotto dai cosiddetti "esperimenti" non rientra piu', quindi, nella classe degli effetti sperimentali, ma nello spazio reale, nell'ambito della storia (dove si trovano, ad esempio, i pescatori giapponesi contagiati dal fall-out) e perfino della storia futura, poiche' e' il futuro stesso ad essere investito (ad esempio la salute delle prossime generazioni), e si puo' quindi dire che il futuro, secondo la formula filosofica del libro di Jungk, "e' gia' cominciato". E' quindi del tutto illusoria e ingannevole l'affermazione a cui si ricorre cosi' volentieri, che l'impiego della cosa non e' stato ancora deciso. - E' vero, invece, che la decisione e' gia' avvenuta attraverso i cosiddetti esperimenti. Fa quindi parte dei tuoi doveri denunciare e distruggere l'apparenza che noi si viva ancora nella "preistoria" atomica: e chiamare per nome cio' che e'.
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Siamo manipolati dai nostri apparecchi
Ma tutti questi postulati e questi divieti si possono condensare in un solo comandamento: "Abbi solo quelle cose le cui massime potrebbero diventare le tue massime e quindi le massime di una legislazione universale".
E' un postulato che puo' lasciare interdetti: l'espressione "massime delle cose" puo' sembrare, a tutta prima, paradossale. Ma solo perche' strano e paradossale e' il fatto stesso designato dall'espressione. Cio' che vogliamo dire e' solo che, vivendo in un mondo di apparecchi, siamo soggetti al trattamento dei nostri apparecchi (e sempre in un modo determinato dalla natura degli apparecchi). Ma poiche', d'altra parte, siamo gli utenti di questi apparecchi, e trattiamo il nostro prossimo per mezzo di essi, finiamo per trattare il nostro prossimo, anziche' secondo i nostri principi, secondo i modi di operare degli apparecchi, e cioe', in certo qual modo, secondo le loro massime. Il postulato esige che ci rendiamo conto di queste massime come se fossero le nostre (dal momento che lo sono effettivamente e di fatto); che la nostra coscienza morale, anziche' dedicarsi all'esame di se stessa (che e' ormai un lusso privo di conseguenze), si dedichi a quello degli "impulsi nascosti" e dei "principi" dei nostri apparecchi. Esaminando scrupolosamente la propria anima alla maniera tradizionale, un ministro atomico non vi troverebbe, probabilmente, nulla di particolarmente peccaminoso; ma esaminando la "vita intima" dei suoi aggeggi, vi troverebbe niente meno che l'erostratismo, e un erostratismo su scala cosmica; poiche' erostratico e' il modo in cui le armi atomiche trattano l'umanita'. Solo quando ci saremo abituati a questa nuova forma di azione morale ("l'analisi del cuore degli apparecchi"), avremo qualche motivo di sperare che, dovendo decidere del nostro essere o non-essere, sapremo decidere per la conservazione del nostro essere.
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Impossibilita' di non-potere
Il tuo principio successivo sia: "Non credere che quando saremo riusciti a compiere il primo passo, la cessazione dei cosiddetti esperimenti, il pericolo si possa considerare passato, e che noi si possa dormire sugli allori". Poiche' la fine degli esperimenti non significa ancora quella della produzione di bombe e tanto meno la distruzione delle bombe e dei tipi che sono gia' stati sperimentati e che sono pronti per l'uso. Vi possono essere varie ragioni per una cessazione degli esperimenti: uno stato vi si puo' risolvere, ad esempio, perche' ogni ulteriore esperimento sarebbe superfluo, dal momento che la produzione dei tipi sperimentati o la riserva di bombe esistenti bastano gia' per ogni eventualita'; insomma, perche' sarebbe assurdo e antieconomico uccidere l'umanita' piu' di una volta.
Non credere nemmeno che avremmo diritto di stare tranquilli una volta che fossimo riusciti ad eseguire il secondo passo (l'arresto della produzione di bombe A e H), o che potremmo metterci a sedere dopo il terzo passo (la distruzione di tutte le riserve). Anche in un mondo completamente "pulito" (e cioe' in un mondo dove non ci fossero piu' bombe A o H, e dove quindi, apparentemente, non "avremmo" bombe), continueremmo, tuttavia, ad averle, poiche' sapremmo come fare per produrle. Nella nostra epoca contrassegnata dalla riproduzione meccanica non si puo' dire che un oggetto possibile non esista, poiche' cio' che conta non sono gli oggetti fisici reali, ma i loro tipi, i loro "modelli". Anche dopo aver eliminato tutti gli oggetti fisici che hanno a che fare con la produzione delle bombe A o H, l'umanita' potrebbe cadere vittima dei loro disegni. Si potrebbe concludere, allora, che bisogna distruggere questi ultimi. Ma anche questo e' impossibile, poiche' i modelli sono indistruttibili come le idee di Platone; in un certo senso sono addirittura la loro realizzazione diabolica. Insomma, anche se ci riuscisse di distruggere fisicamente i fatali apparecchi e i loro "modelli", e di salvare cosi' la nostra generazione: anche questa sarebbe solo una pausa, sarebbe solo una dilazione. La produzione potrebbe essere ripresa ogni giorno, il terrore rimane, e dovrebbe restare, quindi, anche la tua paura. D'ora in poi l'umanita' dovra' vivere, per tutta l'eternita', sotto l'ombra minacciosa del mostro. Il pericolo apocalittico non si lascia eliminare una volta per tutte, con un atto solo, ma solo con una serie indefinita di atti quotidiani. Dobbiamo comprendere, insomma (e questa comprensione finisce di mostrarci il carattere fatale della nostra situazione), che la nostra lotta contro la permanenza fisica degli ordigni e la loro costruzione, sperimentazione ed accumulazione rimane, in definitiva, insufficiente. Poiche' la meta che dobbiamo raggiungere non puo' consistere nel non-avere la cosa, ma solo nel non adoperarla mai, anche se non possiamo fare in modo di non averla; nel non adoperarla mai, anche se non ci sara' mai un giorno in cui non potremmo adoperarla.
Ecco quindi il tuo compito: far capire all'umanita' che nessuna misura fisica, nessuna distruzione di oggetti materiali potra' mai rappresentare una garanzia assoluta e definitiva, e che dobbiamo, invece, essere fermamente decisi a non compiere mai quel passo, anche se sara', in un certo senso, sempre possibile. Se non riusciamo - si', tu, tu ed io - a infondere questa coscienza e questa convinzione nell'umanita', siamo perduti.
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Note
1. Cfr. Guenther Anders, Die Antiquierheit des Menschen, C. H. Beksche Verlagsbuchhandlung, pp. 264 sgg.

3. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Classici
- Dante Alighieri, Purgatorio, Einaudi, Torino 2021, pp. XXXII + 424, euro 13. A cura di Roberto Mercuri.

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4153 del 2 luglio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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