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[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 121
- Subject: [Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 121
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 23 Jun 2021 08:47:22 +0200
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 121 del 23 giugno 2021
In questo numero:
Piero Craveri, Karl Egon Loenne, Giorgio Patrizi: Benedetto Croce (parte seconda)
MAESTRI. PIERO CRAVERI, KARL EGON LOENNE, GIORGIO PATRIZI: BENEDETTO CROCE (PARTE SECONDA)
[Dal Dizionario biografico degli italiani, vol. 31, 1985, nel sito www.treccani.it]
Nella sua Filosofia della pratica il C. chiarisce la struttura interna del campo dell'attivita' pratica e il suo collegamento con il campo teoretico (Filosofia della pratica, economica ed etica., 1908). La morale, in quanto azione che si prefigge fini universali e razionali, ha come presupposto l'attivita' economica fondamentale, cioe' un'attivita' che e' in generale finalizzata e pertanto ha fini individuali. Mentre dunque da una parte l'attivita' economica non implica necessariamente l'orientamento morale, dall'altra l'attivita' morale non e' possibile senza l'attivita' economica. Come momento distinto nell'unita', l'attivita' economica e' comunque sempre rimandata alla morale e cerca di realizzare, in unione con essa, l'unione dei momenti distinti. In generale l'azione ha la sua base indispensabile e sicura nell'attivita' teoretica, e cioe' nella sua "percezione della realta', nella conoscenza storica". Ma questa offre da parte sua base e stimolo all'ulteriore sviluppo dell'attivita' teoretica nella liberta' e nell'originalita' della sua attuazione, provocando da una parte giudizi teoretici, cioe' storici, sull'attivita' pratica nella sua concreta realizzazione, e dall'altra parte contribuendo ai cambiamenti della realta' che vanno oltre il singolo atto di volonta' e il suo fine stesso.
Nel valutare il risultato delle diverse attivita' pratiche, occorre mantenere distinta ciascuna di esse, presa singolarmente, dalla loro somma, che rappresenta "accadimento" e momento della eterna evoluzione dello spirito come base di nuove espressioni e nuovi giudizi filosofici e storici. Accanto alla motivazione e delimitazione, date dalla relativa presente situazione storica in continuo cambiamento, l'attivita' pratica possiede un elemento di liberta' e di creativita' della sempre progressiva ed eterna realizzazione dell'essere, con cui contribuisce al progredire dello spirito nelle sue distinzioni e con questo al progredire della realta'. Se l'attivita' pratica si trova nel concreto contesto del conoscere storico e dei volere individuale, allora di fronte ad essa, norme, regole, abitudini e leggi non hanno alcun carattere assolutamente determinante, ma sono aiuti pratici, che facilitano la prova e la conoscenza dei presupposti storici dell'azione, senza poterli sostituire.
Una esplicazione della concezione crociana della storia la troviamo in Teoria e storia della storiografia, che sulla base di lavori precedenti del 1912-13, usci' un anno prima dell'edizione italiana del 1916, in un'edizione tedesca. Storia, nel pieno vero senso della parola, e' qui "storia contemporanea", la storia pensata realmente in una data situazione secondo l'esigenza della vita e del momento. Fonti e narrazioni storiche, utili anzi indispensabili per la preparazione e aiuto di nuovi atti del pensiero, da tradizione morta di atti una volta vivi - cronaca -, diventano nuova storia viva, "storia contemporanea", solo nella rispettiva realizzazione di giudizi storici, cioe' in nuove attivita' dello spirito, e nella storia contemporanea lo spirito porta di volta in volta le sue creazioni precedenti. La certezza della tradizione storica fondata su documenti diventa verita' solo attraverso un nuovo atto spirituale e non attraverso la sua falsa interpretazione tramite una filosofia della storia. Il presente concreto determina quale passato debba essere ripreso nel nuovo atto spirituale, e cosi' facendo ne seleziona gli elementi positivi, cioe' quello che nel passato e' stato veramente attivita'. Il C. all'inizio aveva trattato diversi problemi di questa concezione della storia, dal punto di vista storico, nella monografia del 1911 (La filosofia di Giambattista Vico, 1911).
In questa opera appare chiaramente il suo metodo, adoperato anche nel libro su Hegel e nei suoi studi su Marx, di riprendere nell'analisi storica soprattutto quegli aspetti che sono in relazione con la sua propria evoluzione, un metodo che trova giustificazione teoretica nella concezione del C. secondo la quale la storia viene ripensata sullo stimolo dei problemi del presente e con questo diventa nuova attivita' spirituale. Il C. sottolinea cosi' il principio di conoscenza di Vico, che vera conoscenza, conoscenza della verita', e' possibile solo per cio' che si e' fatto - "verum ipsum factum" - e la sua applicazione di questo principio al mondo storico, di cui l'uomo, come suo creatore, non ha solo una certezza esternamente fondata, ma anche conoscenza della verita', fondata sull'attivita' creativa. Alla citata interpretazione corrisponde la designazione di Vico, da parte del C., come il grande precursore del pensiero moderno.
Il C. interpreta piu' dettagliatamente l'identificazione fra storia e filosofia, gia' precedentemente considerata, nella sua opera sulla storia e la storiografia, considerando la filosofia come momento metodologico della storiografia, come chiarimento dei concetti direttivi dell'interpretazione storica. Egli non si limito' a questa definizione teoretica. Partendo da questo punto tratto' la storiografia italiana del diciannovesimo secolo in un'opera in due volumi (Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, 1921). Questa trattazione, vista dal C. stesso come riempimento di un vuoto del lavoro scientifico internazionale sulla storia della storiografia e, allo stesso tempo, come una specie di opera esemplare per la comprensione metodologica preliminare della filosofia e della storia, a cui egli aspirava, mostra come il C., nei suoi studi, non seguisse affatto solo una individuale necessita' di conoscere, ma vedesse il suo lavoro in questo periodo in stretto rapporto con lo svolgimento culturale italiano ed europeo.
Lo scopo del C. era l'integrazione dell'Italia in uno sviluppo culturale ampliato ed intensificato anche da contributi italiani. Prova di questo impegno sono le sue stesse opere e la loro diffusione in Italia e all'estero, come pure gli studi e le edizioni, direttamente o indirettamente da lui stimolati in Italia, e la vasta eco nazionale e internazionale alla sua opera, documentata nelle bibliografie a nostra disposizione in modo imponente, ma malgrado cio' non ancora esauriente.
Con l'assunzione della filosofia a metodologia della storiografia, tutta la filosofia dello spirito si viene a trovare in stretto legame con la storiografia, ed implicazioni e conseguenze di cio' si mostrano sia nella filosofia, sia nella storiografia. La filosofia, designata come metodologia della storia, esce allo stesso modo sia dal suo angusto ambito, sia dalla sua restrizione alla discussione di singoli problemi fondamentali da parte di un gruppo circoscritto di filosofi: si apre piuttosto alla riflessione di tutti i fenomeni e resta aperta alla collaborazione di tutti gli uomini in quanto esseri pensanti. Essa non viene piu' intesa quasi fosse lo studio del rapporto con la trascendenza o con Dio, unica importante unita' di fronte alla molteplicita' priva di significato, ma afferma l'immanenza dello spirito nel dinamico avvicendarsi dei suoi distinti, unica realta', che ripensa sempre nuovamente. Essa quindi non permette e non impone la conclusione di un sistema filosofico definitivo, ma si sviluppa continuamente man mano che il pensiero vien messo di fronte a nuovi problemi.
L'opera sistematica del C. fu quindi, allo stesso tempo, nuovo punto di partenza e punto di arrivo, espressione di un processo, sempre aperto e vigile, di pensiero e di creazione. La vitalita' e la sicurezza del pensiero crociano, con queste basi, determinarono, fino nella forma, l'immensa produzione filosofica, storiografica e critica del suo successivo periodo creativo. Accanto alle piu' grandi e importanti opere storiche troviamo una serie di articoli, per lo piu' brevi, raccolti via via secondo il tema, in nuovi volumi di saggi, in cui vengono ripresi singoli problemi, accentuati secondo l'attualita' certi argomenti, ricordate alcune conoscenze precedenti, o considerati aspetti della realta' che fino ad allora non erano stati presi in considerazione (fra l'altro Etica e politica, 1931; Ultimi saggi, 1935; La storia come pensiero e come azione, 1937; Il carattere della filosofia moderna, 1941; Discorsi di varia filosofia, 1945; Filosofia e storiografia, 1949; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, 1952). Per il C., con queste peculiarita' del suo pensiero e della sua opera, insostituibile e prezioso organo di pubblicazione fu, sin dal suo apparire nel 1901, la rivista La Critica, con il suo proseguimento dal 1945, i Quaderni della Critica. La presente esposizione deve limitarsi a mettere in rilievo singoli punti importanti della successiva produzione crociana, molto ramificata. In questo modo essa segue lo stile creativo del C., e trasmette cosi' l'espressione piu' vera della sua vita e della sua creativita' in questi anni.
Un pronunciato interesse politico si era mostrato nel C. solo per breve tempo, quando fece la conoscenza del socialismo e del marxismo. La nomina a senatore a vita del Regno d'Italia, avvenuta il 26 gennaio 1910, gli fu conferita per censo (art. 31, comma 21 dello Statuto), e non ebbe quindi motivazioni specificamente politiche. Si puo' dunque dire che il contributo politico del C., nel primo decennio del Novecento, trovo' la sua espressione principale nei lavori di filosofia e di critica letteraria. Poiche' il C. vedeva attive, nell'errore, forze fondamentali pratiche, non si poteva limitare ad un'esposizione sistematica della verita' da lui individuata, ma doveva sentirsi indotto ad opporsi concretamente all'errore. Inoltre egli era interessato a verificare la fecondita' e capacita' di conoscenza di istituzioni fondamentali, e semmai, secondo la fondamentale apertura del suo pensiero, a giungere a nuove conoscenze. Questo significo' da una parte la polemica della filosofia idealistica dello spirito e il pensiero da essa stimolato contro il positivismo legato a posizioni superate (Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, 1914), dall'altra parte il dirigersi, nel contesto della analisi della letteratura contemporanea, contro tendenze generali che avevano espressione particolare nella letteratura, ma che si trovavano alla base di sbagliati sviluppi politici (La letteratura della nuova Italia, 1914-15). Decisione e chiarezza delle posizioni spirituali erano le principali esigenze del Croce, essendo queste il miglior presupposto per un dibattito che stimolasse la vita spirituale.
Il C. assunse una posizione polemica ben definita e netta anche riguardo alla prima guerra mondiale (L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, 1919). Al centro delle sue molteplici polemiche vi fu il tentativo di proteggere la sfera dello spirito e della cultura da strumentalizzazioni inammissibili nella contesa di popoli e Stati. Arte e filosofia non dovevano essere adoperati indebitamente come strumenti di lotta, anche se d'altra parte i cittadini dei diversi Stati in guerra avevano l'obbligo di mettersi interamente al servizio della patria, poiche' la guerra era in quel momento la forma prevalente in cui avveniva lo scontro delle forze storiche.
La volonta' del C. di ristabilire e affermare la coscienza dell'unita' culturale d'Europa, filo conduttore della maggior parte delle polemiche durante la guerra e della sua opera di ministro della Pubblica Istruzione nel 1921, trovo' espressione simbolica nei suoi studi goethiani, elaborati nel 1917-18, e pubblicati nel 1918-19, che riguardavano il poeta apolitico, che sebbene, o appunto perche', appartenesse a una nazione nemica, divenne proprio nel periodo di guerra una lettura preferita, e come tale doveva essere fatto conoscere a un piu' largo pubblico (Goethe. Con una scelta delle liriche nuovamente tradotte, 1919).
Gli studi del C. su Goethe mostravano la sua tendenza a difendere la libera area della sua creativita' spirituale dal troppo oppressivo incalzare della politica. Con l'avvento del fascismo egli fu messo dinanzi ad un nuovo compito propriamente politico, al quale non si sottrasse, e che invece fece diventare, fino alla caduta del fascismo e ancora dopo di essa, un efficace impulso per il suo pensiero e per il suo lavoro. L'unita' di filosofia e storia, sistematicamente affermata, diventa in questo periodo per il C. anche vissuta realta', allorche' dibattiti filosofici, meditazioni storiografiche e storiche e una storiografia in grande stile si concatenano, si uniscono e si stimolano reciprocamente, e si illuminano, e con cio' danno prova imponente della vitalita' e fertilita' dei pensiero e della produzione crociani.
Le prime prese di posizione pubbliche del C. rispetto al fascismo nelle interviste degli anni 1923 e 1924 mostrano un giudizio positivo, poiche' da questo ci si attendeva un ristabilimento di quella autorita' dello Stato che si era indebolita nel dopoguerra, e sembrava che esso producesse una politicizzazione di nuovi strati della popolazione (Pagine sparse, II, 1919). In questo giudizio il C. non si lascio' turbare dalla violazione delle forme politiche esistenti, come dalla pesante modifica del diritto di voto del 1921, convinto com'era, secondo la sua generale teoria della politica, che le forme politiche sono legate alla situazione (Elementi di politica, in Etica e politica, 1931). La loro conservazione in tempi normali, importante per il mantenimento della pace politica interna, doveva passare in secondo piano, ora che si trattava soprattutto di ridare una linea consistente alla vita politica, e questo era quello che il C. si aspettava in quel momento dal fascismo.
Dopo l'assassinio del deputato socialista Matteotti, l'atteggiamento del C. divenne evidentemente molto piu' critico; la sua affermazione che il fascismo non era in grado di creare qualcosa di fondamentalmente nuovo, veniva legata ora alla chiara richiesta che dovesse apportare un rinnovamento del regime liberale, nel senso di una piu' consapevole responsabilita', di una maggiore serieta' politica e di un rafforzamento del potere dello Stato. Il fascismo fu cosi' visto chiaramente come una forza politica il cui compito era in fondo quello di rivitalizzare e rafforzare la tradizione liberale italiana e non di eliminarla o di superarla. La posizione del C. di fronte al fascismo cambio' quindi fondamentalmente quando il comportamento di Mussolini agli inizi del 1925 gli mostro' chiaramente che il fascismo non aveva nessuna intenzione di inserirsi nella tradizione del liberalismo, ma era deciso ad affermare con la forza i suoi interessi di partito senza rispettare ne' diritto ne' legge.
In una protesta pubblica contro un manifesto profascista da parte degli intellettuali italiani agli intellettuali del mondo il C. compi', nel 1925, in modo evidente e clamoroso, la sua svolta contro il fascismo.
Da allora il C. rese attiva la sua opposizione a vari livelli. Nell'ambito del partito liberale, egli sottolineo' la necessita' sempre piu' impellente, con l'avanzare delle forze fasciste antiliberali, del ritorno ad un regime liberale vero e proprio. Ancora nel 1929 porto' in Senato la sua critica ad una legge contro la massoneria. come espressione di una piu' ampia legislazione antiliberale, che opprimeva proprio quello che nella vita moderna aveva acquistato sempre piu' spazio, il libero dispiegarsi delle concorrenti forze spirituali e politiche. In generale il C. giudicava la liberta' come il principio evolutivo della storia, che porta al dispiegarsi delle attivita' umane, e che concorre con il loro confrontarsi alla continuazione e all'elevamento della vita, nella cui concreta conoscenza il pensiero filosofico-storico trova il suo massimo sviluppo contemporaneo (Elementi di politica, in Etica e politica, 1931; Il carattere della filosofia moderna, 1941). Ma la liberta' era anche allo stesso tempo l'ideale morale piu' altamente impegnativo e superiore, fondamentalmente nemico di ogni principio autoritario e di ogni conseguente morale. Cosi' la liberta' era chiaramente contro l'assolutizzazione dello Stato, la cui realizzazione nel fascismo era dal C. respinta altrettanto come la sua motivazione teoretica nell'attualismo, che era rappresentato soprattutto da Giovanni Gentile, con il quale il C. ruppe ora i rapporti, dopo quasi trent'anni di intenso scambio spirituale, di lavoro in comune e di amicizia.
Della massima efficacia per la diffusione della posizione filosofico-storica fondamentale del C. e per la sua concreta attuazione nella ribellione spirituale al dispotismo fascista, furono le grandi opere di storia scritte negli anni dal 1924 al 1932 (Storia del Regno di Napoli, 1925; Storia dell'eta' barocca in Italia. Pensiero, poesia e letteratura, vita morale, 1929; Storia d'Italia dal 1871 al 1915, 1928; Storia d'Europa nel secolo decimonono, 1932). Tutte queste opere hanno l'impronta della consapevolezza del C. del significato delle forze morali e politiche dell'uomo, consapevolezza approfondita dapprima dall'esperienza della guerra e poi dal confronto con il fascismo. Esse rispecchiano la sua esigenza di una stonografia interiorizzata, che gia' negli anni Novanta era sorta in lui, e formano allo stesso tempo la sua risposta concreta e coerente ai fenomeni di decadenza che minacciavano lui e il suo mondo, ai quali egli cercava di opporsi nelle sue opere storiche con un'elaborazione delle linee di sviluppo positivamente creative della storia d'Italia e d'Europa piu' antica e piu' recente.
Il C., in queste opere, cerco' di chiarire i fondamenti di una storiografia etico-politica, che gli sembrava ora la forma piu' alta e piu' ampia di trattazione, con l'individuazione delle forze che sostenevano lo sviluppo storico nella sua vera sostanza positiva, che cerco' "in una fede attuosa nell'universale etico, in un'operosita' nell'ideale e per l'ideale, comunque lo si concepisca e teorizzi". Gia' nella Storia del Regno di Napoli e nelle idee guida della Storia dell'eta' barocca in Italia, l'attenzione principale e' diretta alle attivita' morali dell'uomo. Ogni uomo ha un compito specifico da assolvere, con riverenza per il tutto che sovrasta, ma anche con la responsabilita' di cio' che da lui dipende, trovi o no altri che combattono con lui.
Il C. pone, nella Storia d'Italia e nella Storia d'Europa, al centro della trattazione, la liberta', come problema principale del pensiero storico e dell'azione morale, come richiesto dalla situazione del momento, e la designa "principio esplicativo del corso storico", e allo stesso tempo "ideale morale dell'umanita'".
Da questa impostazione il C. traeva la giustificazione di aver messo al centro di ambedue le opere la trattazione della concreta realizzazione della liberta' nel liberalismo, senza per questo esporsi al rimprovero di essere partitico. Al massimo ci si poteva chiedere se il liberalismo fosse la forma ancora valida per la realizzazione della liberta'. La ragione principale per una risposta affermativa veniva data proprio dal fascismo, che con la sua unilaterale accentuazione della autorita', che degenerava fino all'uso stupido della violenza, e con il suo rifiuto di ogni forma liberale integrata in una lunga tradizione, significava una ricaduta nel passato, senza creare nuove forme della concreta realizzazione della liberta'. Di fronte a questo, la difesa del principio della liberta' poteva, anzi doveva assumere la forma della difesa del liberalismo, che - rispetto al fascismo - rappresentava senz'altro l'attuale e concreta realizzazione del progresso. In questo senso la Storia d'Italia costitui' un apprezzamento del tutto positivo dell'opera del liberalismo nell'Italia unita, che solo nel rilassamento delle energie morali, esistenti realmente al suo centro, e nel fatto che era diventato routine, lasciava vedere i segni della decadenza, avvenuta piu' tardi, e che dopo la guerra, secondo il giudizio del C., aveva trovato la sua estrema espressione nel fascismo. Per l'Europa, l'analisi presentava situazioni simili: un confronto nell'insieme glorioso e fertile tra il liberalismo e le forze concorrenti, i cui effetti positivi poi, durante e dopo la guerra, vennero messi completamente in discussione per il fatto che il credo liberale, fino a quel momento vittorioso, perdette presa, per quanto concerneva forza di convinzione, su gruppi sempre piu' estesi della popolazione, e alla fine sembro' dei tutto sorpassato, mentre invece ad esso apparteneva il futuro. Per far rivivere la forza formativa della liberta', il C. vedeva come palcoscenico adatto una Europa unita, che i diversi nazionalismi dovevano sgombrare per fare spazio a un rinnovato spiegarsi dell'ideale della liberta'.
Il C. continuo' i suoi studi sulla teoria della storia, sulla storiografia e sulla politica, contemporaneamente alla sua attivita' politica e storiografica, anche se con diversa intensita'. Negli anni tra il 1937 e il 1939 essi raggiunsero un nuovo apice (La storia come pensiero e come azione, 1937). Accanto alla ripresa di posizioni gia' precedentemente discusse sul carattere e sulla formazione della conoscenza storica, il C. qui si interessa con particolare attenzione al rapporto dei conoscere storico, giudizio ed esposizione storici, con l'azione economica o, meglio, politica e morale. Anche qui il C. segui' l'impeto che il suo pensiero ebbe sin dalla meta' degli anni Venti, nell'opposizione al fascismo e al suo generale disprezzo e la sua repressione della liberta'.
I problemi che il pensiero del C. cercava di chiarire da sempre nuovi punti di vista erano la distinzione e la connessione fra conoscenza storica e azione politico-morale, la determinazione della liberta' nel suo generale carattere umano e nella sua storica realizzazione, e la motivazione del concreto pensiero morale e della azione in un mondo la cui immanenza e il cui perenne cambiamento, ambedue affermati decisamente dal C. come norme di base del suo storicismo assoluto, erano resi ancor piu' evidenti dalla scomparsa delle norme trascendenti ed eterne e dall'adattamento al corso dell'evoluzione. Il C. confermo' nelle sue riflessioni sul rapporto e la stretta connessione, fra conoscere ed agire, e quindi fra giudizio storico e azione. Essi si presuppongono l'un l'altro: un bisogno della vita, e quindi dell'attivita' umana, con una distinzione veduta dal C. come ineliminabile, da' la spinta ad un atto spirituale, un giudizio, che per se stesso e' un giudizio storico; questo giudizio e' allo stesso tempo presupposto per una nuova attivita' umana quale che sia il campo nel quale si sviluppa.
Di qui l'osservazione del C. che il reciproco rapporto di conoscenza e azione e' disconosciuto nell'attualismo, quando mette sullo stesso piano indistintamente conoscenza e azione. Il carattere di attivita' della conoscenza e' usato cosi' erroneamente per l'identificazione del pensiero e dell'azione, e toglie quindi all'azione la chiarificazione intellettuale che ad essa necessariamente segue, e allo stesso tempo anche la necessaria preparazione nella comprensione intellettuale e nella chiarificazione del presupposto dello sviluppo di nuove attivita'. La conoscenza nell'attualismo, di fronte all'azione, appare in generale come non importante. Se invece il giudizio storico accoglie in se' le attivita' compiute, opera, insieme alla conoscenza come preparazione dell'agire, anche la necessaria liberazione dell'azione da una qualsivoglia sopraffazione e paralisi da parte del passato, liberazione che non puo' avvenire in nessun altro modo.
Per il C. quindi la necessita' del giudizio storico, e cosi' della storia, si trova nella conoscenza di quello che e', e non nel concatenamento di anelli causali, come veniva affermato dal positivismo, ne' nella loro collocazione in un qualsiasi corso gia' predisposto dello sviluppo. Il C. rifiuta poi, anche esplicitamente, una storiografia psicologica, cioe' una descrizione degli avvenimenti storici come conseguenza psichica di spinte esterne. Nella conoscenza storica viene piuttosto aperta la strada alle attivita' umane, che su essa poggiano. Il principio di queste attivita', che si evolvono in un progresso infinito, e' la liberta' che trova in cio' il suo carattere eterno.
Il C. pone il liberalismo in funzione della realizzazione della liberta' nel presente, e cosi' fa anche con la forma economica che lo accompagna, e con l'ordinamento della proprieta' del liberalismo economico capitalistico, che e' in questo modo solo una condizione nel contesto d'ogni situazione storica, e non un necessario presupposto della liberta'.
Era nella logica dello sviluppo del C. continuare a confrontarsi intellettualmente con il suo tempo fino alla morte. Le attivita' politiche, che il C. fu pronto ad intraprendere, nonostante fosse avanti negli anni, dopo la caduta di Mussolini nel 1943, furono piuttosto imposte dalle circostanze esterne e dal suo personale senso di responsabilita' per una nuova, libera Italia. La sua partecipazione a due governi come ministro senza portafoglio e all'attivita' dell'Assemblea costituente, e la sua presidenza del Partito liberale italiano sono altrettante testimonianze significative di cio', come le innumerevoli prese di posizione su problemi politici attuali, nei quali egli si impegno' per libere possibilita' di formazione e di sviluppo dell'Italia liberata dal fascismo, il cui compito era, secondo il C., il superamento liberale dei suoi problemi politici, economici e sociali (Scritti e discorsi politici (1943-1947), 1963). Nel 1951, un anno prima della sua morte, dichiarava in linea di massima, ancora una volta, la sua posizione rispetto alla incessante attivita' della sua vita dedicata al proprio compito in ogni situazione politica: "Ma altri crede che in un tempo della vita questo pensiero della morte debba regolare quel che rimane della vita, che diventa cosi' una preparazione alla morte. Ora, la vita intera e' preparazione alla morte, e non c'e' da fare altro sino alla fine che continuarla, attendendo con zelo e devozione a tutti i doveri che ci spettano. La morte sopravverra' a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non puo' fare altro che cosi' interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perche' in ozio stupido essa non ci puo' trovare" (Terze pagine sparse, I, Bari 1955, p. 119).
Il primo scritto letterario del C. e' del 1885 ed e' dedicato a Gaspara Stampa (usci' sulla Rassegna degli interessi femminili di Roma, poi confluira', nel '19, nella prima serie di Pagine sparse). E' la fase dell'apprendistato erudito: il giovane C., trasferitosi a Roma e in seguito a Napoli, aveva iniziato a frequentare archivi e biblioteche con vivace curiosita' soprattutto verso tutto quello che riguardava la storia della cultura e delle tradizioni napoletane. Sono gli anni in cui la "scuola storica" e' egemone nel campo della letteratura e la ricerca dei documenti e delle fonti appare momento improrogabile per l'approccio ai testi e agli autori: e' in questa temperie che il C. sviluppava uno straordinario bagaglio d'erudizione che costituira' la base di molti scritti, anche di anni successivi, dedicati a periodi ed episodi della storia partenopea, sicuramente fra i piu' utili, convincenti, stimolanti studi crociani. Al di la' del contesto "positivo" da cui derivavano questi scritti pubblicati, per lo piu', nell'Archivio storico per le provincie napoletane in Napoli nobilissima, periodico a cui il C. aveva dato vita, nei '92, con l'amico erudito G. Ceci e S. Di Giacomo, e poi raccolti in volumi laterziani (I teatri di Napoli, del '91, Storie e leggende napoletane, del '19, Uomini e cose della vecchia Italia, del '27, ecc.) - emerge da essi una capacita' d'indagine tesa alla ricostruzione d'ambiente, all'aneddotica vivace, al gusto narrativo per personaggi e vicende minori. Un rilievo particolare meritano poi i saggi, raccolti nel '16 col titolo La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, che costituiscono un importante esempio di storia di fenomeni culturali su basi erudito-filologiche, ed anche una testimonianza di quella profonda conoscenza della cultura spagnola che fa dei C. uno degli iniziatori, in Italia, degli studi ispanistici. La vastissima conoscenza di documenti, acquisita con una frequenza decennale di biblioteche, sorregge, in tutti questi scritti, il racconto brillante, l'annotazione di costume penetrante e partecipe. Anche i medaglioni di letterati meridionali, distribuiti in raccolte successive (dal citato Uomini e cose ad Aneddoti di varia letteratura [1942], a Varieta' di storia civile e letteraria [1949], sono caratterizzati da quell'acuto buon senso che permette al C. di porsi innanzi ai testi con la curiosita' divertita del "conoscitore". Questo tipo di approccio, paradossalmente, si radica tanto nel gusto crociano da riaffiorare anche a notevole distanza di anni, al di la' di ogni teoresi filosofica. Se in questo periodo il C. segue i modelli di ricerca della scuola storica (quattro studi, pubblicati poi ne I teatri di Napoli, uscirono nel Giornale storico della letteratura italiana, nel 1890), ben presto si allontanera' dal metodo "positivo" per formulare un nuovo statuto scientifico della critica letteraria: questo mutamento di posizione e' annunciato nel pamphlet del 1894, La critica letteraria: questioni teoriche (Napoli-Roma, poi in Primi saggi, Bari 1918), in cui si afferma che la spiegazione "storica" del testo non esaurisce il giudizio estetico, il quale e' l'unica forma esaustiva d'approccio alla letteratura; compito della critica sara' quello di scandire questo tipo di giudizio nell'"esposizione dell'opera letteraria, la sua descrizione, riproduzione o rappresentazione" (p. 87). Un appoggio teorico a tale ipotesi metodologica il C. lo individuo', qualche anno dopo - ma gia' nel pamphlet vi sono accenni in questo senso - nel recupero della lezione desanctisiana, che diverra' per il C. punto di riferimento costante di ogni indagine sulla letteratura. Tra il '97 e il '98 curo' la pubblicazione, presso Morano di Napoli, della Letteratura italiana nel secolo XIX e due volumi di Scritti vari inediti o rari di De Sanctis. Nel '98 scrisse Francesco De Sanctis e i suoi critici recenti (poi in La letteratura della nuova Italia, serie IV, 1915). Il rifiuto della "scuola storica" avviene in nome dei rifiuto dell'identificazione della storia col positivismo e dell'esigenza di una critica letteraria che nasca dalla fusione di "sentimento" e "gusto" e di idee "chiare e precise": dunque un'istanza razionalista che si coniughi con l'esperienza soggettiva del testo. E' in tale prospettiva che e' riletto De Sanctis, al di la' della tensione etica che anima le sue pagine e di cui il C. si propone come erede diretto: dalla matrice desanctisiana si elabora una sorta di concezione materialistica della storia culturale (nel '94. c'era stato, tramite il Labriola, l'incontro del C. col marxismo, da cui successivamente si allontanera'); si afferma l'autonomia della forma artistica rispetto alle altre forme di conoscenza e d'espressione. Il C. decreta l'esigenza di un realismo inteso come didattica progressiva della realta'; elabora un'idea di storia "interna" della letteratura, storia delle sue forme specifiche. Questa la lezione desanctisiana che sara' ripresa e definita, a piu' riprese in scritti successivi, negli ultimi anni del secolo come correttivo dell'idea crociana di letteratura, spingendola ad abbandonare la fiducia nei dati "obiettivi" dell'erudizione e a progettare un disegno piu' vasto dei problemi artistici che giustifichi teoricamente quel "gusto" letterario gia', come si e' detto, postulato.
Se consideriamo d'altronde la revisione che, in fin di secolo, il C. andava facendo della propria concezione della storia e della filosofia, l'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (Palermo 1902, ma gia' conferenza del 1900) si pone come crocevia teorico da cui si irradiano effetti categoriali che riguardano vari settori speculativi, esiti metodologici che andranno a condizionare (essendone condizionati) il "gusto" critico. Nell'Avvertenza all'edizione laterziana del 1922 (la quinta), il C. richiama due svolgimenti essenziali del suo scritto d'inizio secolo: il carattere intuitivo e il carattere universale dell'espressione estetica.
Sono questi due caratteri esattamente quelli che troveremo calati nell'esperienza letteraria, nello sforzo, non sempre convincente, di ricavare da essi categorie d'analisi esaustive. Partendo dalla contrapposizione di conoscenza logica ed intuitiva ed affidando la prima alla filosofia, il C. indica nella seconda un modo di conoscere i fenomeni nella loro fisionomia individuale. Correlata agli altri gradi dello spirito (filosofia, economia, morale) ma autonoma nel dispiegarsi del suo agire, l'intuizione estetica e' caratterizzata dalla non divisibilita' dell'espressione che la formalizza; anzi non e' nemmeno possibile distinguere tra espressione ed intuizione in quanto si identificano. Se il linguaggio non e' pensabile come sistema strutturato al di la' dell'atto linguistico individuale, contingente e non modellizzabile, l'espressione estetica per il C. non potra' essere una funzione del linguaggio ma un suo modo d'essere, al massimo livello di realizzazione, forma perfetta che sancisce il vero estetico, "rappresentazione" di quel fascio di sensazioni che costituisce l'intuizione. Questa concezione dell'arte come conoscenza intuitiva si radicalizza nella conferenza di Heidelberg del 1908 (Problemi d'estetica, 1909), in cui si afferma che l'espressione e' l'attualita' dell'intuizione che e' "sentimento" degli oggetti (scompare cosi' la propedeuticita' della sensazione) e si individua il luogo germinale dell'opera d'arte nella personalita' non empirica, ma "spontanea ed ideale" dell'artista (pp. 16 ss.). L'arte come conoscenza del mondo supera il dualismo metafisico spirito-materia, perche' e' conoscenza delle forze dinamiche del reale e non dell'inerte.
In direzione di una simile teoria estetica, il C. era andato via via muovendo in alcuni saggi pubblicati a cavallo del secolo. Anteriori al 1900 sono quelli che andranno a comporre i Saggi sulla letteratura italiana del '600 (Bari 1911). D'impianto ancora sostanzialmente erudito, con privilegio dell'area napoletana, delineano una storia della cultura attraverso alcune forme artistiche dominanti, alcuni "caratteri dell'epoca". Se il "secentismo" e' letto come sostanziale scissione tra forma e contenuto e privilegio di un lavoro sulla prima, la matrice desanctisiana dell'analisi e' ancora piu' evidente nella valorizzazione degli elementi di cultura "popolare", legati alla tradizione e allo "spirito" locale (Basile, il teatro, il grottesco).
Importante e' anche la definizione di altri temi formali come lo spagnolismo, il sensualismo, il concettismo, che indica gia' un modo di organizzare in "storia d'epoca" (il C. parlera' di "media della vita spirituale di un tempo" nei Nuovi saggi sulla letteratura italiana del '600 del '29) i dati della ricerca erudita. Ma al di la' della storia della cultura, la definizione di espressione artistica come intuizione aveva comportato, nell'estetica di Heidelberg, una distinzione tra poeti, letterati e produttori di letteratura (Problemi di estetica, p. 104), cioe' tra varie forme e vari livelli di attivita' letteraria. Se l'espressione estetica e' atto individuale, metastorico, non riducibile a generi, a forme retoriche, perche' espressione indivisibile ed ogni articolazione e' esterna ad essa; se compito della critica e' l'approccio all'opera d'arte in se', nella globalita' dei suoi elementi (e il distinguo delle parti appartiene ad un successivo momento didascalico), l'unica storia letteraria possibile e' il riconoscimento dell'intuizione lirica all'interno del continuum indistinto della produzione letteraria.
Nel 1902, l'idea di una rivista di letteratura "militante" risponde a due esigenze: calare nella "pratica" la teoria dell'arte con possibili assestamenti, sia per le categorie interpretative sia per le tradizionali categorie della storiografia letteraria italiana; rendere agibili come strumenti di battaglia culturale e ideologica, nel contemporaneo, i principi letterari ed estetici fino a quel momento formulati. Il programma de La Critica, pubblicata a Bari dal 1903 fino al 1944 (a cui seguiranno, dal 1945, i fascicoli quadrimestrali dei Quaderni della Critica), propone un innesto del piano speculativo su quello storico-filologico allora vigente. Nell'assunto di un'uscita dal tecnicismo analitico per una problematica generale, il C., che subito si pone come "autore unico" della rivista (lettera a Vossler del 20 giugno 1902), indica i propri obiettivi polemici in coloro che intendono prescindere dalla "storia delle idee" o dal pensiero filosofico, nelle correnti "mistico-reazionarie o gesuitico-volterriane", nella pseudo arte modernista.
Dunque una strategia culturale che diffondesse la nuova teoresi: una verifica delle possibilita' egemoniche del nuovo modello di cultura e appoggio di tale egemonia ad una revisione "tendenziosa" della tradizione. Occorre, scrisse ancora il C. nel programma, "preparare materiale e tentare un primo schema della storia dell'operosita' letteraria e scientifica italiana dell'ultimo mezzo secolo" (Conversazioni critiche, II, 1918). Cosi', parallelamente al progetto di Giovanni Gentile che, sullo stesso periodico, intraprese una lettura dei filosofi italiani dell'ultimo secolo, il C. inizio' una serie di ritratti di scrittori italiani postunitari, attraverso cui organizzare - senza pero' mai cedere al raccordo "storicista" - un panorama della cultura letteraria che accompagna la fine del secolo e i primi dei Novecento. La tecnica del medaglione, ipotesi di un'analisi dello scrittore capace di fissarlo in una sua immagine specifica, permette al C. di esibire quegli intenti definitori che. quanto piu' appaiono perentori e, a volte, inarticolati, tanto piu' rivendicano autorevolezza. Questa serie di articoli de La Critica, apparsi tutti tra il 1903 e il 1911, furono successivamente ripubblicati nelle prime quattro serie della Letteratura della nuova Italia (edite tra il 1914 e il '15). Accanto agli scritti desanctisiani di cui si e' detto ed a ritratti di Prati, Guerrazzi, Boito, Camerana - che, con valutazioni differenti, vanno a comporre un modello di attivita' letteraria "media" - il C. prende, nella prima, posizione sul problema della lingua, rileggendolo a partire dalle tesi manzoniane. Se l'idea di una parlata fiorentina quale koine' letteraria esprimeva l'esigenza di sottrarsi al tradizionale elitarismo della lingua degli scrittori italiani, il C. rifiuta il modo stesso di porre il problema, ribadendo la centralita' del rapporto espressione-intuizione.
Anche nei saggi successivi de La Critica, la griglia della teoria estetica attua una rigida selezione. Il giudizio su Verga e' in fondo riduttivo, al di la' degli elogi che gli sono tributati: dalla mancanza di realizzazione espressiva nei romanzi giovanili al verismo come formula parziale e quindi erronea della filosofia dell'arte, che puo' avere pero' importanza in una prospettiva di storia della cultura. D'altra parte il verismo, come modello espressivo, e' utile per riordinare la materia fantastica, per realizzare l'intuizione. Ancora nell'esperienza verista, il C. sottolinea una presenza desanctisiana (l'afferma in un saggio su Capuana) che porta alla concretezza dell'approccio al testo e al rifiuto di qualsiasi principio di eteronomia dell'arte. E una lezione di saggio empirismo - teorico e critico - che poi il C. stesso mutuava da De Sanctis per la propria opera. Altri scritti sono dedicati a De Marchi, Rovetta, Dossi (di cui il C. coglie efficacemente il tentativo di proporre col linguaggio bizzarro una sorta di lingua interiore), a Oriani, una delle piu' decise rivalutazioni crociane, con l'esaltazione dei molteplici interessi filosofici che circolano nella sua arte "speculativa".
Poi il C. interviene sui metodi critici: difende gli studi filologici, ma rifiuta la meccanicita' della "critica delle fonti" di Francesco D'Ovidio. Nella quarta serie della Letteratura della nuova Italia i saggi centrali sono quelli dedicati a D'Annunzio, Fogazzaro, Pascoli e Carducci. In Di un carattere della piu' recente letteratura italiana, il C. distingue due periodi storici a cui corrispondono due linee culturali: il ventennio 1865-85 e' dominato dal magistero di Carducci e vede svolgersi, sotto la sua influenza, il verismo, e il positivismo e la scuola storica. Il periodo dall'85 in poi, e' caratterizzato da autori come Pascoli, Fogazzaro, D'Annunzio, da cui deriva una cultura decadente estetizzante, misticheggiante, imperialista. Passare da Carducci ad un autore dell'altra linea e' come passare da un sano ad un malato di nervi. A Pascoli sono poi dedicate pagine fortemente riduttive che leggono la poesia pascoliana nella scissione irrisolta tra tecnica e liricita', senso e retorica. E' evidente come in questa fase il C. vada ponendo una radicale discriminante di "gusto" letterario. Contro la letteratura della parola, della crisi dell'individuo, della conoscenza mediata e simbolica, una letteratura del soggetto pieno, della storia progressiva, della parola forte, che non allude ma si pone direttamerite come sola presenza del bello, del vero. A questa idea di unicita', il C. si richiama in un saggio cronologicamente contiguo, raccolto nel secondo volume di Conversazioni critiche (1918).
Se l'esperienza estetica e' unica ed individuale, ogni criterio storiografico che non sia di pura riflessione estetica risultera' arbitrario: uno degli esempi piu' clamorosi di questo arbitrio e' additato nelle storie per generi letterari. Questa polemica contro i generi e' uno dei momenti piu' noti ed importanti della revisione crociana dei canoni letterari contemporanei. Se ricordiamo che l'inizio del secolo aveva visto concludersi la pubblicazione della popolare storia letteraria per generi della Vallardi, l'obiettivo polemico del C. e' nella parcellizzazione delle forme artistiche, giustificata dalla ricostruzione storica delle stesse. La critica invece va posta come "filosofia della fantasia". In realta' proprio a questo punto va collocato il decalage tra teoria estetica e gusto critico che pone forti limiti all'attivita' di lettore del C. e che fece scrivere a Serra: "molti saggi si direbbero scritti da uno che non ha letto l'Estetica. Sono saggi di moralita' e di psicologia letteraria che guardano, piu' che all'artista, all'uomo e al contenuto dell'opera" (Scritti letterari, morali, e politici, Torino 1974, p. 457). E' esemplare in questo senso il saggio sullo Stilnovo (Conversazioni critiche, II): recensendo un libro di Vossler sul tema, il C. propone una lettura di questa scuola poetica tutta in chiave filosofica, individuandone le articolazioni nello svolgimento concettuale. Vicino a questo scritto e' il Breviario d'estetica del '12 (poi raccolto in Nuovi saggi di estetica del '20).
L'affermazione della liricita' dell'arte si coniuga al porsi dell'opera come "perfetta forma fantastica" (p. 27): l'assoluto e' calato nella circolarita' dei quattro gradi dello spirito. L'unica distinzione possibile e' allora quella tra liricita' ed espressione non lirica, poesia e "arte", essenza ed artificio. Il critico e' philosophus additus artifici (in risposta all'artifex additus artifici di Angelo Conti) e gli e' precluso ogni disegno storiografico che non sia quello di una storiografia di individui (come in De Sanctis): la conoscenza vera non e' conoscenza per cause ma per fini. Ugualmente al philosophus dovra' essere estranea ogni definizione tecnico-formale del testo perche' privilegierebbe un momento intenzionale, nell'autore, rispetto a quello fantastico. In questo momento va ulteriormente accentuandosi la chiusura dello spazio dei giudizio critico: la base teorica della totalita' e dell'unitarieta' dell'intuizione estetica implica la soggezione dei lettore al semplice problema della individuazione dell'espressione lirica. Una volta compiuta questa individuazione - ed espresso il giudizio di valore - altro il critico non puo' fare, passando da un livello teorico ad uno empirico, che parafrasare il testo in base a quell'"oratoria del gusto", che e' "una risonanza o assonanza morale con la poesia" (L. Russo, La critica letteraria contemporanea, Firenze 1967, p. 133). Ma se, a volte, "la paura di uscire dall'estetica dell'intuizione lo [il C.] fa rimanere estraneo alla personalita' di cui si tratta" (G. Prezzolini, B. C., Napoli 1909, p. 61), altre volte un limite della lettura crociana e' nell'uso monodico della chiave psicologica come interpretazione del testo.
La psicologia, in quest'ottica, e' un modello interpretativo che abolisce ogni rilievo formale, privilegiando il piano del contenuto, del plot, esito paradossale per un'estetica dell'espressione. Questa sfasatura della critica del C., derivata dal connubio tra educazione erudita e spiritualismo idealistico-umanistico, comporta due conseguenze: da un lato offre, all'esterno, strumenti di rapida appropriazione del testo, dietro l'alibi teorico di una lettura di "buon senso". Dall'altro promuove una dinamica della speculazione crociana in direzione di un progressivo adattamento dei due livelli, la teoria estetica aprendosi ad una giustificazione "scientifica" delle tecniche letterarie, e la critica testuale mostrandosi piu' sensibile ad annotazioni di linguaggio.
(Segue)
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In questo numero:
Piero Craveri, Karl Egon Loenne, Giorgio Patrizi: Benedetto Croce (parte seconda)
MAESTRI. PIERO CRAVERI, KARL EGON LOENNE, GIORGIO PATRIZI: BENEDETTO CROCE (PARTE SECONDA)
[Dal Dizionario biografico degli italiani, vol. 31, 1985, nel sito www.treccani.it]
Nella sua Filosofia della pratica il C. chiarisce la struttura interna del campo dell'attivita' pratica e il suo collegamento con il campo teoretico (Filosofia della pratica, economica ed etica., 1908). La morale, in quanto azione che si prefigge fini universali e razionali, ha come presupposto l'attivita' economica fondamentale, cioe' un'attivita' che e' in generale finalizzata e pertanto ha fini individuali. Mentre dunque da una parte l'attivita' economica non implica necessariamente l'orientamento morale, dall'altra l'attivita' morale non e' possibile senza l'attivita' economica. Come momento distinto nell'unita', l'attivita' economica e' comunque sempre rimandata alla morale e cerca di realizzare, in unione con essa, l'unione dei momenti distinti. In generale l'azione ha la sua base indispensabile e sicura nell'attivita' teoretica, e cioe' nella sua "percezione della realta', nella conoscenza storica". Ma questa offre da parte sua base e stimolo all'ulteriore sviluppo dell'attivita' teoretica nella liberta' e nell'originalita' della sua attuazione, provocando da una parte giudizi teoretici, cioe' storici, sull'attivita' pratica nella sua concreta realizzazione, e dall'altra parte contribuendo ai cambiamenti della realta' che vanno oltre il singolo atto di volonta' e il suo fine stesso.
Nel valutare il risultato delle diverse attivita' pratiche, occorre mantenere distinta ciascuna di esse, presa singolarmente, dalla loro somma, che rappresenta "accadimento" e momento della eterna evoluzione dello spirito come base di nuove espressioni e nuovi giudizi filosofici e storici. Accanto alla motivazione e delimitazione, date dalla relativa presente situazione storica in continuo cambiamento, l'attivita' pratica possiede un elemento di liberta' e di creativita' della sempre progressiva ed eterna realizzazione dell'essere, con cui contribuisce al progredire dello spirito nelle sue distinzioni e con questo al progredire della realta'. Se l'attivita' pratica si trova nel concreto contesto del conoscere storico e dei volere individuale, allora di fronte ad essa, norme, regole, abitudini e leggi non hanno alcun carattere assolutamente determinante, ma sono aiuti pratici, che facilitano la prova e la conoscenza dei presupposti storici dell'azione, senza poterli sostituire.
Una esplicazione della concezione crociana della storia la troviamo in Teoria e storia della storiografia, che sulla base di lavori precedenti del 1912-13, usci' un anno prima dell'edizione italiana del 1916, in un'edizione tedesca. Storia, nel pieno vero senso della parola, e' qui "storia contemporanea", la storia pensata realmente in una data situazione secondo l'esigenza della vita e del momento. Fonti e narrazioni storiche, utili anzi indispensabili per la preparazione e aiuto di nuovi atti del pensiero, da tradizione morta di atti una volta vivi - cronaca -, diventano nuova storia viva, "storia contemporanea", solo nella rispettiva realizzazione di giudizi storici, cioe' in nuove attivita' dello spirito, e nella storia contemporanea lo spirito porta di volta in volta le sue creazioni precedenti. La certezza della tradizione storica fondata su documenti diventa verita' solo attraverso un nuovo atto spirituale e non attraverso la sua falsa interpretazione tramite una filosofia della storia. Il presente concreto determina quale passato debba essere ripreso nel nuovo atto spirituale, e cosi' facendo ne seleziona gli elementi positivi, cioe' quello che nel passato e' stato veramente attivita'. Il C. all'inizio aveva trattato diversi problemi di questa concezione della storia, dal punto di vista storico, nella monografia del 1911 (La filosofia di Giambattista Vico, 1911).
In questa opera appare chiaramente il suo metodo, adoperato anche nel libro su Hegel e nei suoi studi su Marx, di riprendere nell'analisi storica soprattutto quegli aspetti che sono in relazione con la sua propria evoluzione, un metodo che trova giustificazione teoretica nella concezione del C. secondo la quale la storia viene ripensata sullo stimolo dei problemi del presente e con questo diventa nuova attivita' spirituale. Il C. sottolinea cosi' il principio di conoscenza di Vico, che vera conoscenza, conoscenza della verita', e' possibile solo per cio' che si e' fatto - "verum ipsum factum" - e la sua applicazione di questo principio al mondo storico, di cui l'uomo, come suo creatore, non ha solo una certezza esternamente fondata, ma anche conoscenza della verita', fondata sull'attivita' creativa. Alla citata interpretazione corrisponde la designazione di Vico, da parte del C., come il grande precursore del pensiero moderno.
Il C. interpreta piu' dettagliatamente l'identificazione fra storia e filosofia, gia' precedentemente considerata, nella sua opera sulla storia e la storiografia, considerando la filosofia come momento metodologico della storiografia, come chiarimento dei concetti direttivi dell'interpretazione storica. Egli non si limito' a questa definizione teoretica. Partendo da questo punto tratto' la storiografia italiana del diciannovesimo secolo in un'opera in due volumi (Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, 1921). Questa trattazione, vista dal C. stesso come riempimento di un vuoto del lavoro scientifico internazionale sulla storia della storiografia e, allo stesso tempo, come una specie di opera esemplare per la comprensione metodologica preliminare della filosofia e della storia, a cui egli aspirava, mostra come il C., nei suoi studi, non seguisse affatto solo una individuale necessita' di conoscere, ma vedesse il suo lavoro in questo periodo in stretto rapporto con lo svolgimento culturale italiano ed europeo.
Lo scopo del C. era l'integrazione dell'Italia in uno sviluppo culturale ampliato ed intensificato anche da contributi italiani. Prova di questo impegno sono le sue stesse opere e la loro diffusione in Italia e all'estero, come pure gli studi e le edizioni, direttamente o indirettamente da lui stimolati in Italia, e la vasta eco nazionale e internazionale alla sua opera, documentata nelle bibliografie a nostra disposizione in modo imponente, ma malgrado cio' non ancora esauriente.
Con l'assunzione della filosofia a metodologia della storiografia, tutta la filosofia dello spirito si viene a trovare in stretto legame con la storiografia, ed implicazioni e conseguenze di cio' si mostrano sia nella filosofia, sia nella storiografia. La filosofia, designata come metodologia della storia, esce allo stesso modo sia dal suo angusto ambito, sia dalla sua restrizione alla discussione di singoli problemi fondamentali da parte di un gruppo circoscritto di filosofi: si apre piuttosto alla riflessione di tutti i fenomeni e resta aperta alla collaborazione di tutti gli uomini in quanto esseri pensanti. Essa non viene piu' intesa quasi fosse lo studio del rapporto con la trascendenza o con Dio, unica importante unita' di fronte alla molteplicita' priva di significato, ma afferma l'immanenza dello spirito nel dinamico avvicendarsi dei suoi distinti, unica realta', che ripensa sempre nuovamente. Essa quindi non permette e non impone la conclusione di un sistema filosofico definitivo, ma si sviluppa continuamente man mano che il pensiero vien messo di fronte a nuovi problemi.
L'opera sistematica del C. fu quindi, allo stesso tempo, nuovo punto di partenza e punto di arrivo, espressione di un processo, sempre aperto e vigile, di pensiero e di creazione. La vitalita' e la sicurezza del pensiero crociano, con queste basi, determinarono, fino nella forma, l'immensa produzione filosofica, storiografica e critica del suo successivo periodo creativo. Accanto alle piu' grandi e importanti opere storiche troviamo una serie di articoli, per lo piu' brevi, raccolti via via secondo il tema, in nuovi volumi di saggi, in cui vengono ripresi singoli problemi, accentuati secondo l'attualita' certi argomenti, ricordate alcune conoscenze precedenti, o considerati aspetti della realta' che fino ad allora non erano stati presi in considerazione (fra l'altro Etica e politica, 1931; Ultimi saggi, 1935; La storia come pensiero e come azione, 1937; Il carattere della filosofia moderna, 1941; Discorsi di varia filosofia, 1945; Filosofia e storiografia, 1949; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, 1952). Per il C., con queste peculiarita' del suo pensiero e della sua opera, insostituibile e prezioso organo di pubblicazione fu, sin dal suo apparire nel 1901, la rivista La Critica, con il suo proseguimento dal 1945, i Quaderni della Critica. La presente esposizione deve limitarsi a mettere in rilievo singoli punti importanti della successiva produzione crociana, molto ramificata. In questo modo essa segue lo stile creativo del C., e trasmette cosi' l'espressione piu' vera della sua vita e della sua creativita' in questi anni.
Un pronunciato interesse politico si era mostrato nel C. solo per breve tempo, quando fece la conoscenza del socialismo e del marxismo. La nomina a senatore a vita del Regno d'Italia, avvenuta il 26 gennaio 1910, gli fu conferita per censo (art. 31, comma 21 dello Statuto), e non ebbe quindi motivazioni specificamente politiche. Si puo' dunque dire che il contributo politico del C., nel primo decennio del Novecento, trovo' la sua espressione principale nei lavori di filosofia e di critica letteraria. Poiche' il C. vedeva attive, nell'errore, forze fondamentali pratiche, non si poteva limitare ad un'esposizione sistematica della verita' da lui individuata, ma doveva sentirsi indotto ad opporsi concretamente all'errore. Inoltre egli era interessato a verificare la fecondita' e capacita' di conoscenza di istituzioni fondamentali, e semmai, secondo la fondamentale apertura del suo pensiero, a giungere a nuove conoscenze. Questo significo' da una parte la polemica della filosofia idealistica dello spirito e il pensiero da essa stimolato contro il positivismo legato a posizioni superate (Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, 1914), dall'altra parte il dirigersi, nel contesto della analisi della letteratura contemporanea, contro tendenze generali che avevano espressione particolare nella letteratura, ma che si trovavano alla base di sbagliati sviluppi politici (La letteratura della nuova Italia, 1914-15). Decisione e chiarezza delle posizioni spirituali erano le principali esigenze del Croce, essendo queste il miglior presupposto per un dibattito che stimolasse la vita spirituale.
Il C. assunse una posizione polemica ben definita e netta anche riguardo alla prima guerra mondiale (L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, 1919). Al centro delle sue molteplici polemiche vi fu il tentativo di proteggere la sfera dello spirito e della cultura da strumentalizzazioni inammissibili nella contesa di popoli e Stati. Arte e filosofia non dovevano essere adoperati indebitamente come strumenti di lotta, anche se d'altra parte i cittadini dei diversi Stati in guerra avevano l'obbligo di mettersi interamente al servizio della patria, poiche' la guerra era in quel momento la forma prevalente in cui avveniva lo scontro delle forze storiche.
La volonta' del C. di ristabilire e affermare la coscienza dell'unita' culturale d'Europa, filo conduttore della maggior parte delle polemiche durante la guerra e della sua opera di ministro della Pubblica Istruzione nel 1921, trovo' espressione simbolica nei suoi studi goethiani, elaborati nel 1917-18, e pubblicati nel 1918-19, che riguardavano il poeta apolitico, che sebbene, o appunto perche', appartenesse a una nazione nemica, divenne proprio nel periodo di guerra una lettura preferita, e come tale doveva essere fatto conoscere a un piu' largo pubblico (Goethe. Con una scelta delle liriche nuovamente tradotte, 1919).
Gli studi del C. su Goethe mostravano la sua tendenza a difendere la libera area della sua creativita' spirituale dal troppo oppressivo incalzare della politica. Con l'avvento del fascismo egli fu messo dinanzi ad un nuovo compito propriamente politico, al quale non si sottrasse, e che invece fece diventare, fino alla caduta del fascismo e ancora dopo di essa, un efficace impulso per il suo pensiero e per il suo lavoro. L'unita' di filosofia e storia, sistematicamente affermata, diventa in questo periodo per il C. anche vissuta realta', allorche' dibattiti filosofici, meditazioni storiografiche e storiche e una storiografia in grande stile si concatenano, si uniscono e si stimolano reciprocamente, e si illuminano, e con cio' danno prova imponente della vitalita' e fertilita' dei pensiero e della produzione crociani.
Le prime prese di posizione pubbliche del C. rispetto al fascismo nelle interviste degli anni 1923 e 1924 mostrano un giudizio positivo, poiche' da questo ci si attendeva un ristabilimento di quella autorita' dello Stato che si era indebolita nel dopoguerra, e sembrava che esso producesse una politicizzazione di nuovi strati della popolazione (Pagine sparse, II, 1919). In questo giudizio il C. non si lascio' turbare dalla violazione delle forme politiche esistenti, come dalla pesante modifica del diritto di voto del 1921, convinto com'era, secondo la sua generale teoria della politica, che le forme politiche sono legate alla situazione (Elementi di politica, in Etica e politica, 1931). La loro conservazione in tempi normali, importante per il mantenimento della pace politica interna, doveva passare in secondo piano, ora che si trattava soprattutto di ridare una linea consistente alla vita politica, e questo era quello che il C. si aspettava in quel momento dal fascismo.
Dopo l'assassinio del deputato socialista Matteotti, l'atteggiamento del C. divenne evidentemente molto piu' critico; la sua affermazione che il fascismo non era in grado di creare qualcosa di fondamentalmente nuovo, veniva legata ora alla chiara richiesta che dovesse apportare un rinnovamento del regime liberale, nel senso di una piu' consapevole responsabilita', di una maggiore serieta' politica e di un rafforzamento del potere dello Stato. Il fascismo fu cosi' visto chiaramente come una forza politica il cui compito era in fondo quello di rivitalizzare e rafforzare la tradizione liberale italiana e non di eliminarla o di superarla. La posizione del C. di fronte al fascismo cambio' quindi fondamentalmente quando il comportamento di Mussolini agli inizi del 1925 gli mostro' chiaramente che il fascismo non aveva nessuna intenzione di inserirsi nella tradizione del liberalismo, ma era deciso ad affermare con la forza i suoi interessi di partito senza rispettare ne' diritto ne' legge.
In una protesta pubblica contro un manifesto profascista da parte degli intellettuali italiani agli intellettuali del mondo il C. compi', nel 1925, in modo evidente e clamoroso, la sua svolta contro il fascismo.
Da allora il C. rese attiva la sua opposizione a vari livelli. Nell'ambito del partito liberale, egli sottolineo' la necessita' sempre piu' impellente, con l'avanzare delle forze fasciste antiliberali, del ritorno ad un regime liberale vero e proprio. Ancora nel 1929 porto' in Senato la sua critica ad una legge contro la massoneria. come espressione di una piu' ampia legislazione antiliberale, che opprimeva proprio quello che nella vita moderna aveva acquistato sempre piu' spazio, il libero dispiegarsi delle concorrenti forze spirituali e politiche. In generale il C. giudicava la liberta' come il principio evolutivo della storia, che porta al dispiegarsi delle attivita' umane, e che concorre con il loro confrontarsi alla continuazione e all'elevamento della vita, nella cui concreta conoscenza il pensiero filosofico-storico trova il suo massimo sviluppo contemporaneo (Elementi di politica, in Etica e politica, 1931; Il carattere della filosofia moderna, 1941). Ma la liberta' era anche allo stesso tempo l'ideale morale piu' altamente impegnativo e superiore, fondamentalmente nemico di ogni principio autoritario e di ogni conseguente morale. Cosi' la liberta' era chiaramente contro l'assolutizzazione dello Stato, la cui realizzazione nel fascismo era dal C. respinta altrettanto come la sua motivazione teoretica nell'attualismo, che era rappresentato soprattutto da Giovanni Gentile, con il quale il C. ruppe ora i rapporti, dopo quasi trent'anni di intenso scambio spirituale, di lavoro in comune e di amicizia.
Della massima efficacia per la diffusione della posizione filosofico-storica fondamentale del C. e per la sua concreta attuazione nella ribellione spirituale al dispotismo fascista, furono le grandi opere di storia scritte negli anni dal 1924 al 1932 (Storia del Regno di Napoli, 1925; Storia dell'eta' barocca in Italia. Pensiero, poesia e letteratura, vita morale, 1929; Storia d'Italia dal 1871 al 1915, 1928; Storia d'Europa nel secolo decimonono, 1932). Tutte queste opere hanno l'impronta della consapevolezza del C. del significato delle forze morali e politiche dell'uomo, consapevolezza approfondita dapprima dall'esperienza della guerra e poi dal confronto con il fascismo. Esse rispecchiano la sua esigenza di una stonografia interiorizzata, che gia' negli anni Novanta era sorta in lui, e formano allo stesso tempo la sua risposta concreta e coerente ai fenomeni di decadenza che minacciavano lui e il suo mondo, ai quali egli cercava di opporsi nelle sue opere storiche con un'elaborazione delle linee di sviluppo positivamente creative della storia d'Italia e d'Europa piu' antica e piu' recente.
Il C., in queste opere, cerco' di chiarire i fondamenti di una storiografia etico-politica, che gli sembrava ora la forma piu' alta e piu' ampia di trattazione, con l'individuazione delle forze che sostenevano lo sviluppo storico nella sua vera sostanza positiva, che cerco' "in una fede attuosa nell'universale etico, in un'operosita' nell'ideale e per l'ideale, comunque lo si concepisca e teorizzi". Gia' nella Storia del Regno di Napoli e nelle idee guida della Storia dell'eta' barocca in Italia, l'attenzione principale e' diretta alle attivita' morali dell'uomo. Ogni uomo ha un compito specifico da assolvere, con riverenza per il tutto che sovrasta, ma anche con la responsabilita' di cio' che da lui dipende, trovi o no altri che combattono con lui.
Il C. pone, nella Storia d'Italia e nella Storia d'Europa, al centro della trattazione, la liberta', come problema principale del pensiero storico e dell'azione morale, come richiesto dalla situazione del momento, e la designa "principio esplicativo del corso storico", e allo stesso tempo "ideale morale dell'umanita'".
Da questa impostazione il C. traeva la giustificazione di aver messo al centro di ambedue le opere la trattazione della concreta realizzazione della liberta' nel liberalismo, senza per questo esporsi al rimprovero di essere partitico. Al massimo ci si poteva chiedere se il liberalismo fosse la forma ancora valida per la realizzazione della liberta'. La ragione principale per una risposta affermativa veniva data proprio dal fascismo, che con la sua unilaterale accentuazione della autorita', che degenerava fino all'uso stupido della violenza, e con il suo rifiuto di ogni forma liberale integrata in una lunga tradizione, significava una ricaduta nel passato, senza creare nuove forme della concreta realizzazione della liberta'. Di fronte a questo, la difesa del principio della liberta' poteva, anzi doveva assumere la forma della difesa del liberalismo, che - rispetto al fascismo - rappresentava senz'altro l'attuale e concreta realizzazione del progresso. In questo senso la Storia d'Italia costitui' un apprezzamento del tutto positivo dell'opera del liberalismo nell'Italia unita, che solo nel rilassamento delle energie morali, esistenti realmente al suo centro, e nel fatto che era diventato routine, lasciava vedere i segni della decadenza, avvenuta piu' tardi, e che dopo la guerra, secondo il giudizio del C., aveva trovato la sua estrema espressione nel fascismo. Per l'Europa, l'analisi presentava situazioni simili: un confronto nell'insieme glorioso e fertile tra il liberalismo e le forze concorrenti, i cui effetti positivi poi, durante e dopo la guerra, vennero messi completamente in discussione per il fatto che il credo liberale, fino a quel momento vittorioso, perdette presa, per quanto concerneva forza di convinzione, su gruppi sempre piu' estesi della popolazione, e alla fine sembro' dei tutto sorpassato, mentre invece ad esso apparteneva il futuro. Per far rivivere la forza formativa della liberta', il C. vedeva come palcoscenico adatto una Europa unita, che i diversi nazionalismi dovevano sgombrare per fare spazio a un rinnovato spiegarsi dell'ideale della liberta'.
Il C. continuo' i suoi studi sulla teoria della storia, sulla storiografia e sulla politica, contemporaneamente alla sua attivita' politica e storiografica, anche se con diversa intensita'. Negli anni tra il 1937 e il 1939 essi raggiunsero un nuovo apice (La storia come pensiero e come azione, 1937). Accanto alla ripresa di posizioni gia' precedentemente discusse sul carattere e sulla formazione della conoscenza storica, il C. qui si interessa con particolare attenzione al rapporto dei conoscere storico, giudizio ed esposizione storici, con l'azione economica o, meglio, politica e morale. Anche qui il C. segui' l'impeto che il suo pensiero ebbe sin dalla meta' degli anni Venti, nell'opposizione al fascismo e al suo generale disprezzo e la sua repressione della liberta'.
I problemi che il pensiero del C. cercava di chiarire da sempre nuovi punti di vista erano la distinzione e la connessione fra conoscenza storica e azione politico-morale, la determinazione della liberta' nel suo generale carattere umano e nella sua storica realizzazione, e la motivazione del concreto pensiero morale e della azione in un mondo la cui immanenza e il cui perenne cambiamento, ambedue affermati decisamente dal C. come norme di base del suo storicismo assoluto, erano resi ancor piu' evidenti dalla scomparsa delle norme trascendenti ed eterne e dall'adattamento al corso dell'evoluzione. Il C. confermo' nelle sue riflessioni sul rapporto e la stretta connessione, fra conoscere ed agire, e quindi fra giudizio storico e azione. Essi si presuppongono l'un l'altro: un bisogno della vita, e quindi dell'attivita' umana, con una distinzione veduta dal C. come ineliminabile, da' la spinta ad un atto spirituale, un giudizio, che per se stesso e' un giudizio storico; questo giudizio e' allo stesso tempo presupposto per una nuova attivita' umana quale che sia il campo nel quale si sviluppa.
Di qui l'osservazione del C. che il reciproco rapporto di conoscenza e azione e' disconosciuto nell'attualismo, quando mette sullo stesso piano indistintamente conoscenza e azione. Il carattere di attivita' della conoscenza e' usato cosi' erroneamente per l'identificazione del pensiero e dell'azione, e toglie quindi all'azione la chiarificazione intellettuale che ad essa necessariamente segue, e allo stesso tempo anche la necessaria preparazione nella comprensione intellettuale e nella chiarificazione del presupposto dello sviluppo di nuove attivita'. La conoscenza nell'attualismo, di fronte all'azione, appare in generale come non importante. Se invece il giudizio storico accoglie in se' le attivita' compiute, opera, insieme alla conoscenza come preparazione dell'agire, anche la necessaria liberazione dell'azione da una qualsivoglia sopraffazione e paralisi da parte del passato, liberazione che non puo' avvenire in nessun altro modo.
Per il C. quindi la necessita' del giudizio storico, e cosi' della storia, si trova nella conoscenza di quello che e', e non nel concatenamento di anelli causali, come veniva affermato dal positivismo, ne' nella loro collocazione in un qualsiasi corso gia' predisposto dello sviluppo. Il C. rifiuta poi, anche esplicitamente, una storiografia psicologica, cioe' una descrizione degli avvenimenti storici come conseguenza psichica di spinte esterne. Nella conoscenza storica viene piuttosto aperta la strada alle attivita' umane, che su essa poggiano. Il principio di queste attivita', che si evolvono in un progresso infinito, e' la liberta' che trova in cio' il suo carattere eterno.
Il C. pone il liberalismo in funzione della realizzazione della liberta' nel presente, e cosi' fa anche con la forma economica che lo accompagna, e con l'ordinamento della proprieta' del liberalismo economico capitalistico, che e' in questo modo solo una condizione nel contesto d'ogni situazione storica, e non un necessario presupposto della liberta'.
Era nella logica dello sviluppo del C. continuare a confrontarsi intellettualmente con il suo tempo fino alla morte. Le attivita' politiche, che il C. fu pronto ad intraprendere, nonostante fosse avanti negli anni, dopo la caduta di Mussolini nel 1943, furono piuttosto imposte dalle circostanze esterne e dal suo personale senso di responsabilita' per una nuova, libera Italia. La sua partecipazione a due governi come ministro senza portafoglio e all'attivita' dell'Assemblea costituente, e la sua presidenza del Partito liberale italiano sono altrettante testimonianze significative di cio', come le innumerevoli prese di posizione su problemi politici attuali, nei quali egli si impegno' per libere possibilita' di formazione e di sviluppo dell'Italia liberata dal fascismo, il cui compito era, secondo il C., il superamento liberale dei suoi problemi politici, economici e sociali (Scritti e discorsi politici (1943-1947), 1963). Nel 1951, un anno prima della sua morte, dichiarava in linea di massima, ancora una volta, la sua posizione rispetto alla incessante attivita' della sua vita dedicata al proprio compito in ogni situazione politica: "Ma altri crede che in un tempo della vita questo pensiero della morte debba regolare quel che rimane della vita, che diventa cosi' una preparazione alla morte. Ora, la vita intera e' preparazione alla morte, e non c'e' da fare altro sino alla fine che continuarla, attendendo con zelo e devozione a tutti i doveri che ci spettano. La morte sopravverra' a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non puo' fare altro che cosi' interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perche' in ozio stupido essa non ci puo' trovare" (Terze pagine sparse, I, Bari 1955, p. 119).
Il primo scritto letterario del C. e' del 1885 ed e' dedicato a Gaspara Stampa (usci' sulla Rassegna degli interessi femminili di Roma, poi confluira', nel '19, nella prima serie di Pagine sparse). E' la fase dell'apprendistato erudito: il giovane C., trasferitosi a Roma e in seguito a Napoli, aveva iniziato a frequentare archivi e biblioteche con vivace curiosita' soprattutto verso tutto quello che riguardava la storia della cultura e delle tradizioni napoletane. Sono gli anni in cui la "scuola storica" e' egemone nel campo della letteratura e la ricerca dei documenti e delle fonti appare momento improrogabile per l'approccio ai testi e agli autori: e' in questa temperie che il C. sviluppava uno straordinario bagaglio d'erudizione che costituira' la base di molti scritti, anche di anni successivi, dedicati a periodi ed episodi della storia partenopea, sicuramente fra i piu' utili, convincenti, stimolanti studi crociani. Al di la' del contesto "positivo" da cui derivavano questi scritti pubblicati, per lo piu', nell'Archivio storico per le provincie napoletane in Napoli nobilissima, periodico a cui il C. aveva dato vita, nei '92, con l'amico erudito G. Ceci e S. Di Giacomo, e poi raccolti in volumi laterziani (I teatri di Napoli, del '91, Storie e leggende napoletane, del '19, Uomini e cose della vecchia Italia, del '27, ecc.) - emerge da essi una capacita' d'indagine tesa alla ricostruzione d'ambiente, all'aneddotica vivace, al gusto narrativo per personaggi e vicende minori. Un rilievo particolare meritano poi i saggi, raccolti nel '16 col titolo La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, che costituiscono un importante esempio di storia di fenomeni culturali su basi erudito-filologiche, ed anche una testimonianza di quella profonda conoscenza della cultura spagnola che fa dei C. uno degli iniziatori, in Italia, degli studi ispanistici. La vastissima conoscenza di documenti, acquisita con una frequenza decennale di biblioteche, sorregge, in tutti questi scritti, il racconto brillante, l'annotazione di costume penetrante e partecipe. Anche i medaglioni di letterati meridionali, distribuiti in raccolte successive (dal citato Uomini e cose ad Aneddoti di varia letteratura [1942], a Varieta' di storia civile e letteraria [1949], sono caratterizzati da quell'acuto buon senso che permette al C. di porsi innanzi ai testi con la curiosita' divertita del "conoscitore". Questo tipo di approccio, paradossalmente, si radica tanto nel gusto crociano da riaffiorare anche a notevole distanza di anni, al di la' di ogni teoresi filosofica. Se in questo periodo il C. segue i modelli di ricerca della scuola storica (quattro studi, pubblicati poi ne I teatri di Napoli, uscirono nel Giornale storico della letteratura italiana, nel 1890), ben presto si allontanera' dal metodo "positivo" per formulare un nuovo statuto scientifico della critica letteraria: questo mutamento di posizione e' annunciato nel pamphlet del 1894, La critica letteraria: questioni teoriche (Napoli-Roma, poi in Primi saggi, Bari 1918), in cui si afferma che la spiegazione "storica" del testo non esaurisce il giudizio estetico, il quale e' l'unica forma esaustiva d'approccio alla letteratura; compito della critica sara' quello di scandire questo tipo di giudizio nell'"esposizione dell'opera letteraria, la sua descrizione, riproduzione o rappresentazione" (p. 87). Un appoggio teorico a tale ipotesi metodologica il C. lo individuo', qualche anno dopo - ma gia' nel pamphlet vi sono accenni in questo senso - nel recupero della lezione desanctisiana, che diverra' per il C. punto di riferimento costante di ogni indagine sulla letteratura. Tra il '97 e il '98 curo' la pubblicazione, presso Morano di Napoli, della Letteratura italiana nel secolo XIX e due volumi di Scritti vari inediti o rari di De Sanctis. Nel '98 scrisse Francesco De Sanctis e i suoi critici recenti (poi in La letteratura della nuova Italia, serie IV, 1915). Il rifiuto della "scuola storica" avviene in nome dei rifiuto dell'identificazione della storia col positivismo e dell'esigenza di una critica letteraria che nasca dalla fusione di "sentimento" e "gusto" e di idee "chiare e precise": dunque un'istanza razionalista che si coniughi con l'esperienza soggettiva del testo. E' in tale prospettiva che e' riletto De Sanctis, al di la' della tensione etica che anima le sue pagine e di cui il C. si propone come erede diretto: dalla matrice desanctisiana si elabora una sorta di concezione materialistica della storia culturale (nel '94. c'era stato, tramite il Labriola, l'incontro del C. col marxismo, da cui successivamente si allontanera'); si afferma l'autonomia della forma artistica rispetto alle altre forme di conoscenza e d'espressione. Il C. decreta l'esigenza di un realismo inteso come didattica progressiva della realta'; elabora un'idea di storia "interna" della letteratura, storia delle sue forme specifiche. Questa la lezione desanctisiana che sara' ripresa e definita, a piu' riprese in scritti successivi, negli ultimi anni del secolo come correttivo dell'idea crociana di letteratura, spingendola ad abbandonare la fiducia nei dati "obiettivi" dell'erudizione e a progettare un disegno piu' vasto dei problemi artistici che giustifichi teoricamente quel "gusto" letterario gia', come si e' detto, postulato.
Se consideriamo d'altronde la revisione che, in fin di secolo, il C. andava facendo della propria concezione della storia e della filosofia, l'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (Palermo 1902, ma gia' conferenza del 1900) si pone come crocevia teorico da cui si irradiano effetti categoriali che riguardano vari settori speculativi, esiti metodologici che andranno a condizionare (essendone condizionati) il "gusto" critico. Nell'Avvertenza all'edizione laterziana del 1922 (la quinta), il C. richiama due svolgimenti essenziali del suo scritto d'inizio secolo: il carattere intuitivo e il carattere universale dell'espressione estetica.
Sono questi due caratteri esattamente quelli che troveremo calati nell'esperienza letteraria, nello sforzo, non sempre convincente, di ricavare da essi categorie d'analisi esaustive. Partendo dalla contrapposizione di conoscenza logica ed intuitiva ed affidando la prima alla filosofia, il C. indica nella seconda un modo di conoscere i fenomeni nella loro fisionomia individuale. Correlata agli altri gradi dello spirito (filosofia, economia, morale) ma autonoma nel dispiegarsi del suo agire, l'intuizione estetica e' caratterizzata dalla non divisibilita' dell'espressione che la formalizza; anzi non e' nemmeno possibile distinguere tra espressione ed intuizione in quanto si identificano. Se il linguaggio non e' pensabile come sistema strutturato al di la' dell'atto linguistico individuale, contingente e non modellizzabile, l'espressione estetica per il C. non potra' essere una funzione del linguaggio ma un suo modo d'essere, al massimo livello di realizzazione, forma perfetta che sancisce il vero estetico, "rappresentazione" di quel fascio di sensazioni che costituisce l'intuizione. Questa concezione dell'arte come conoscenza intuitiva si radicalizza nella conferenza di Heidelberg del 1908 (Problemi d'estetica, 1909), in cui si afferma che l'espressione e' l'attualita' dell'intuizione che e' "sentimento" degli oggetti (scompare cosi' la propedeuticita' della sensazione) e si individua il luogo germinale dell'opera d'arte nella personalita' non empirica, ma "spontanea ed ideale" dell'artista (pp. 16 ss.). L'arte come conoscenza del mondo supera il dualismo metafisico spirito-materia, perche' e' conoscenza delle forze dinamiche del reale e non dell'inerte.
In direzione di una simile teoria estetica, il C. era andato via via muovendo in alcuni saggi pubblicati a cavallo del secolo. Anteriori al 1900 sono quelli che andranno a comporre i Saggi sulla letteratura italiana del '600 (Bari 1911). D'impianto ancora sostanzialmente erudito, con privilegio dell'area napoletana, delineano una storia della cultura attraverso alcune forme artistiche dominanti, alcuni "caratteri dell'epoca". Se il "secentismo" e' letto come sostanziale scissione tra forma e contenuto e privilegio di un lavoro sulla prima, la matrice desanctisiana dell'analisi e' ancora piu' evidente nella valorizzazione degli elementi di cultura "popolare", legati alla tradizione e allo "spirito" locale (Basile, il teatro, il grottesco).
Importante e' anche la definizione di altri temi formali come lo spagnolismo, il sensualismo, il concettismo, che indica gia' un modo di organizzare in "storia d'epoca" (il C. parlera' di "media della vita spirituale di un tempo" nei Nuovi saggi sulla letteratura italiana del '600 del '29) i dati della ricerca erudita. Ma al di la' della storia della cultura, la definizione di espressione artistica come intuizione aveva comportato, nell'estetica di Heidelberg, una distinzione tra poeti, letterati e produttori di letteratura (Problemi di estetica, p. 104), cioe' tra varie forme e vari livelli di attivita' letteraria. Se l'espressione estetica e' atto individuale, metastorico, non riducibile a generi, a forme retoriche, perche' espressione indivisibile ed ogni articolazione e' esterna ad essa; se compito della critica e' l'approccio all'opera d'arte in se', nella globalita' dei suoi elementi (e il distinguo delle parti appartiene ad un successivo momento didascalico), l'unica storia letteraria possibile e' il riconoscimento dell'intuizione lirica all'interno del continuum indistinto della produzione letteraria.
Nel 1902, l'idea di una rivista di letteratura "militante" risponde a due esigenze: calare nella "pratica" la teoria dell'arte con possibili assestamenti, sia per le categorie interpretative sia per le tradizionali categorie della storiografia letteraria italiana; rendere agibili come strumenti di battaglia culturale e ideologica, nel contemporaneo, i principi letterari ed estetici fino a quel momento formulati. Il programma de La Critica, pubblicata a Bari dal 1903 fino al 1944 (a cui seguiranno, dal 1945, i fascicoli quadrimestrali dei Quaderni della Critica), propone un innesto del piano speculativo su quello storico-filologico allora vigente. Nell'assunto di un'uscita dal tecnicismo analitico per una problematica generale, il C., che subito si pone come "autore unico" della rivista (lettera a Vossler del 20 giugno 1902), indica i propri obiettivi polemici in coloro che intendono prescindere dalla "storia delle idee" o dal pensiero filosofico, nelle correnti "mistico-reazionarie o gesuitico-volterriane", nella pseudo arte modernista.
Dunque una strategia culturale che diffondesse la nuova teoresi: una verifica delle possibilita' egemoniche del nuovo modello di cultura e appoggio di tale egemonia ad una revisione "tendenziosa" della tradizione. Occorre, scrisse ancora il C. nel programma, "preparare materiale e tentare un primo schema della storia dell'operosita' letteraria e scientifica italiana dell'ultimo mezzo secolo" (Conversazioni critiche, II, 1918). Cosi', parallelamente al progetto di Giovanni Gentile che, sullo stesso periodico, intraprese una lettura dei filosofi italiani dell'ultimo secolo, il C. inizio' una serie di ritratti di scrittori italiani postunitari, attraverso cui organizzare - senza pero' mai cedere al raccordo "storicista" - un panorama della cultura letteraria che accompagna la fine del secolo e i primi dei Novecento. La tecnica del medaglione, ipotesi di un'analisi dello scrittore capace di fissarlo in una sua immagine specifica, permette al C. di esibire quegli intenti definitori che. quanto piu' appaiono perentori e, a volte, inarticolati, tanto piu' rivendicano autorevolezza. Questa serie di articoli de La Critica, apparsi tutti tra il 1903 e il 1911, furono successivamente ripubblicati nelle prime quattro serie della Letteratura della nuova Italia (edite tra il 1914 e il '15). Accanto agli scritti desanctisiani di cui si e' detto ed a ritratti di Prati, Guerrazzi, Boito, Camerana - che, con valutazioni differenti, vanno a comporre un modello di attivita' letteraria "media" - il C. prende, nella prima, posizione sul problema della lingua, rileggendolo a partire dalle tesi manzoniane. Se l'idea di una parlata fiorentina quale koine' letteraria esprimeva l'esigenza di sottrarsi al tradizionale elitarismo della lingua degli scrittori italiani, il C. rifiuta il modo stesso di porre il problema, ribadendo la centralita' del rapporto espressione-intuizione.
Anche nei saggi successivi de La Critica, la griglia della teoria estetica attua una rigida selezione. Il giudizio su Verga e' in fondo riduttivo, al di la' degli elogi che gli sono tributati: dalla mancanza di realizzazione espressiva nei romanzi giovanili al verismo come formula parziale e quindi erronea della filosofia dell'arte, che puo' avere pero' importanza in una prospettiva di storia della cultura. D'altra parte il verismo, come modello espressivo, e' utile per riordinare la materia fantastica, per realizzare l'intuizione. Ancora nell'esperienza verista, il C. sottolinea una presenza desanctisiana (l'afferma in un saggio su Capuana) che porta alla concretezza dell'approccio al testo e al rifiuto di qualsiasi principio di eteronomia dell'arte. E una lezione di saggio empirismo - teorico e critico - che poi il C. stesso mutuava da De Sanctis per la propria opera. Altri scritti sono dedicati a De Marchi, Rovetta, Dossi (di cui il C. coglie efficacemente il tentativo di proporre col linguaggio bizzarro una sorta di lingua interiore), a Oriani, una delle piu' decise rivalutazioni crociane, con l'esaltazione dei molteplici interessi filosofici che circolano nella sua arte "speculativa".
Poi il C. interviene sui metodi critici: difende gli studi filologici, ma rifiuta la meccanicita' della "critica delle fonti" di Francesco D'Ovidio. Nella quarta serie della Letteratura della nuova Italia i saggi centrali sono quelli dedicati a D'Annunzio, Fogazzaro, Pascoli e Carducci. In Di un carattere della piu' recente letteratura italiana, il C. distingue due periodi storici a cui corrispondono due linee culturali: il ventennio 1865-85 e' dominato dal magistero di Carducci e vede svolgersi, sotto la sua influenza, il verismo, e il positivismo e la scuola storica. Il periodo dall'85 in poi, e' caratterizzato da autori come Pascoli, Fogazzaro, D'Annunzio, da cui deriva una cultura decadente estetizzante, misticheggiante, imperialista. Passare da Carducci ad un autore dell'altra linea e' come passare da un sano ad un malato di nervi. A Pascoli sono poi dedicate pagine fortemente riduttive che leggono la poesia pascoliana nella scissione irrisolta tra tecnica e liricita', senso e retorica. E' evidente come in questa fase il C. vada ponendo una radicale discriminante di "gusto" letterario. Contro la letteratura della parola, della crisi dell'individuo, della conoscenza mediata e simbolica, una letteratura del soggetto pieno, della storia progressiva, della parola forte, che non allude ma si pone direttamerite come sola presenza del bello, del vero. A questa idea di unicita', il C. si richiama in un saggio cronologicamente contiguo, raccolto nel secondo volume di Conversazioni critiche (1918).
Se l'esperienza estetica e' unica ed individuale, ogni criterio storiografico che non sia di pura riflessione estetica risultera' arbitrario: uno degli esempi piu' clamorosi di questo arbitrio e' additato nelle storie per generi letterari. Questa polemica contro i generi e' uno dei momenti piu' noti ed importanti della revisione crociana dei canoni letterari contemporanei. Se ricordiamo che l'inizio del secolo aveva visto concludersi la pubblicazione della popolare storia letteraria per generi della Vallardi, l'obiettivo polemico del C. e' nella parcellizzazione delle forme artistiche, giustificata dalla ricostruzione storica delle stesse. La critica invece va posta come "filosofia della fantasia". In realta' proprio a questo punto va collocato il decalage tra teoria estetica e gusto critico che pone forti limiti all'attivita' di lettore del C. e che fece scrivere a Serra: "molti saggi si direbbero scritti da uno che non ha letto l'Estetica. Sono saggi di moralita' e di psicologia letteraria che guardano, piu' che all'artista, all'uomo e al contenuto dell'opera" (Scritti letterari, morali, e politici, Torino 1974, p. 457). E' esemplare in questo senso il saggio sullo Stilnovo (Conversazioni critiche, II): recensendo un libro di Vossler sul tema, il C. propone una lettura di questa scuola poetica tutta in chiave filosofica, individuandone le articolazioni nello svolgimento concettuale. Vicino a questo scritto e' il Breviario d'estetica del '12 (poi raccolto in Nuovi saggi di estetica del '20).
L'affermazione della liricita' dell'arte si coniuga al porsi dell'opera come "perfetta forma fantastica" (p. 27): l'assoluto e' calato nella circolarita' dei quattro gradi dello spirito. L'unica distinzione possibile e' allora quella tra liricita' ed espressione non lirica, poesia e "arte", essenza ed artificio. Il critico e' philosophus additus artifici (in risposta all'artifex additus artifici di Angelo Conti) e gli e' precluso ogni disegno storiografico che non sia quello di una storiografia di individui (come in De Sanctis): la conoscenza vera non e' conoscenza per cause ma per fini. Ugualmente al philosophus dovra' essere estranea ogni definizione tecnico-formale del testo perche' privilegierebbe un momento intenzionale, nell'autore, rispetto a quello fantastico. In questo momento va ulteriormente accentuandosi la chiusura dello spazio dei giudizio critico: la base teorica della totalita' e dell'unitarieta' dell'intuizione estetica implica la soggezione dei lettore al semplice problema della individuazione dell'espressione lirica. Una volta compiuta questa individuazione - ed espresso il giudizio di valore - altro il critico non puo' fare, passando da un livello teorico ad uno empirico, che parafrasare il testo in base a quell'"oratoria del gusto", che e' "una risonanza o assonanza morale con la poesia" (L. Russo, La critica letteraria contemporanea, Firenze 1967, p. 133). Ma se, a volte, "la paura di uscire dall'estetica dell'intuizione lo [il C.] fa rimanere estraneo alla personalita' di cui si tratta" (G. Prezzolini, B. C., Napoli 1909, p. 61), altre volte un limite della lettura crociana e' nell'uso monodico della chiave psicologica come interpretazione del testo.
La psicologia, in quest'ottica, e' un modello interpretativo che abolisce ogni rilievo formale, privilegiando il piano del contenuto, del plot, esito paradossale per un'estetica dell'espressione. Questa sfasatura della critica del C., derivata dal connubio tra educazione erudita e spiritualismo idealistico-umanistico, comporta due conseguenze: da un lato offre, all'esterno, strumenti di rapida appropriazione del testo, dietro l'alibi teorico di una lettura di "buon senso". Dall'altro promuove una dinamica della speculazione crociana in direzione di un progressivo adattamento dei due livelli, la teoria estetica aprendosi ad una giustificazione "scientifica" delle tecniche letterarie, e la critica testuale mostrandosi piu' sensibile ad annotazioni di linguaggio.
(Segue)
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Numero 121 del 23 giugno 2021
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