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[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 119
- Subject: [Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 119
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Mon, 21 Jun 2021 07:07:16 +0200
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 119 del 21 giugno 2021
In questo numero:
1. Armando Carlini: Benedetto Croce (voce nell'Enciclopedia Italiana, 1931)
2. Walter Maturi: Benedetto Croce (voce nell'Enciclopedia Italiana - II Appendice, 1948)
3. [Redazionale]: Benedetto Croce (voce nell'Enciclopedia Italiana - III Appendice, 1961)
4. Ripetiamo ancora una volta...
5. A proposito delle iniziative leghiste contro la magistratura (con l'apparizione di un'aquila in clausola)
6. Omero Dellistorti: La sezione Magnacoschi
7. Omero Dellistorti: Un'altra storia della sezione Magnacoschi
1. MAESTRI. ARMANDO CARLINI: BENEDETTO CROCE (VOCE NELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA, 1931)
[Dall'Enciclopedia Italiana (1931), nel sito www.treccani.it]
Benedetto Croce nacque il 25 febbraio 1866 a Pescasseroli (prov. di Aquila), ma Napoli fu ben presto la sua dimora abituale. Ivi entro', nel 1876, in un collegio diretto da sacerdoti. Scampato dal terremoto di Casamicciola (1883) in cui perdette i genitori, fu raccolto a Roma in casa di Silvio Spaventa, suo parente, e vi rimase sino al 1886. S'iscrisse all'universita', in giurisprudenza, ma piu' volontieri si chiudeva nelle biblioteche, e frequentava le lezioni di Antonio Labriola, di cui ammirava il brioso ingegno e la fresca cultura. Tornato a Napoli, si diede con maggior fervore a indagini erudite e per queste intraprese anche viaggi in Germania, in Spagna, in Francia, in Inghilterra. A questo periodo appartengono molte delle ricerche raccolte poi, insieme con scritti posteriori, nei volumi La rivoluzione napoletana del 1799 (Bari 1912), I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del sec. XVIII (Bari 1916), Storie e leggende napoletane (Bari 1918), Aneddoti e profili settecenteschi (Palermo, 1914), Saggi su la letteratura italiana del Seicento (Bari 1911), Curiosita' storiche (Napoli 1919), La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza (Bari 1914). Ma l'erudizione accumulata con tanta foga fini' col generare in lui una scontentezza che raggiunse il fastidio: egli anelava a una forma piu' alta, piu' intima, del sapere. Le due memorie, La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (1893), e quella su La critica letteraria (1894), raccolte poi in Primi saggi (Bari 1919), segnano una ripresa delle sue tendenze filosofiche. In questo tempo lesse, insieme con molti altri libri di filosofia e di metodica della storia, la Scienza nuova del Vico. E poiche' l'opera del De Sanctis gli era famigliare dal liceo, e ai problemi di estetica s'era interessato allorche' all'universita' seguiva i corsi di etica del Labriola, non gli fu difficile ricongiungere il problema della storia a quello dell'arte, e procedere, con larghezza e profondita' sempre maggiore, all'indagine dei rapporti di quei problemi con gli altri costitutivi della vita spirituale. A quest'ultimo scopo contribuirono anche gli studî fatti tra il 1895 e il 1900, e raccolti nel volume Materialismo storico ed economia marxistica (Bari 1900), i quali, occasionati dai rapporti col Labriola, riflettono un momento di fede e passione politica passato presto per la fortissima prevalenza in lui della riflessione teoretica. Di qui un minor contatto col Labriola, e l'amicizia col Gentile, cominciata nel 1896, la quale contribui' non poco nel deciderlo ad elaborare i germi, che gia' in lui fermentavano, d'una sistemazione concettuale a fondamento e guida della sua cultura; e anche in seguito influi' costantemente, per via positiva o negativa, sullo sviluppo del suo pensiero. Documento della collaborazione dei due filosofi restano le annate della Critica (specialmente nel primo decennio, dopo il quale ragioni speculative prima, politiche poi, raffreddarono e in fine ruppero quella concordia), la quale, uscita nel 1903, fu l'organo maggiore, e veramente insigne, del rinnovamento della cultura italiana e insieme, si puo' dire, il diario della formazione mentale e spirituale del Croce in quegli anni fecondissimi di speculazione. Comincio' col problema dell'arte, con le Tesi fondamentali di un'estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1900: in Atti dell'Accademia Pontaniana, in cui il Croce ha pubblicate molte memorie importanti: questa e' raccolta in un volume, pubblicato a Messina 1926, insieme coi Lineamenti di una logica del concetto puro del 1904) e con l'Estetica del 1902 (Palermo), notevolmente corretta e ampliata in posteriori edizioni, nelle quali raggiunse le sue formulazioni piu' originali divulgate oramai universalmente. Segui' nel 1906 il saggio sul Hegel, nel 1907 (in Atti cit. della Pontaniana) l'abbozzo Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell'economia (Napoli 1907), nel 1908 la completa Filosofia della pratica, nel 1909 in forma sviluppata la Logica, nel 1910 i Problemi di estetica (a cui seguì il Breviario di estetica, e piu' tardi i Nuovi saggi di estetica), nel 1911 La filosofia di G. B. Vico, nel 1912 le prime memorie di Teoria e storia della storiografia (uscito nel 1917 come IV e ultimo volume della Filosofia dello spirito): cosi' il C. tornava al problema a cui piu' era legato il suo interesse mentale. Le sue opere principali sono state tradotte in molte lingue europee (recentemente anche in russo e giapponese).
Alla vita politica il C. ha partecipato con animo prevalentemente di critico intellettuale. Nominato senatore nel 1910 dal Sonnino, fece parte del ministero Giolitti per la Pubblica Istruzione dal 1920 al 1921. Anche dopo l'avvento del fascismo e' rimasto fermo a un liberalismo in cui predominano i motivi propri della sua cultura.
La filosofia del C. puo' denominarsi un "idealismo storico", in quanto enuclea dall'unita' dello spirito (ch'e' per lui il principio d'ogni realta') le forme ideali per la comprensione del mondo storico, e in questo risolve senza residuo la totalita' della vita spirituale come svolgimento perenne, attraverso quelle forme, dello spirito in se' stesso. La prima forma e' quella dell'arte o intuizione, in cui si esprime il sentimento (donde il carattere lirico fondamentale d'ogni opera d'arte); su essa s'innesta la riflessione critica, concettuale, come attivita' del pensiero logico, che trasforma l'intuizione in giudizio conoscitivo del reale storicamente determinato. Queste due forme sono gradi della stessa attivita' teoretica; oltre di questa e' l'attivita' pratica, le cui due forme s'ingradano, similmente a quelle teoretiche, in una prima, economica (in cui lo spirito e' volonta' utilitaria dell'individuale), e in una seconda, etica (la volonta' come legge o fine universale). Di queste distinzioni, benche' il C. v'insista non poco, egli ha via via smorzata notevolmente la schematicita' con una dialettica che gli permette di ritrovare la pienezza della vita spirituale in ognuna di esse: le quali, infatti, vanno vedute in concreto nella ricchezza di significato che acquistano per la chiarificazione e organizzazione dei concetti di valore che stanno a fondamento della cultura contemporanea. Qui il pensiero crociano, al quale contribuisce potentemente la freschezza e nitidezza della trattazione, lontana da ogni pedanteria e spesso anche letterariamente perfetta, si e' mostrato del tutto spregiudicato. Esso ha distrutto molti vieti abiti mentali, e soprattutto le superficialita' della cultura positivistica. Ma i suoi fondamenti o presupposti speculativi son da ricercare nella filosofia idealistica e spiritualistica che mosse da Kant nel secolo scorso. La nota piu' originale e' data qui dallo storicismo: lo spirito si realizza attuandosi nel contrasto (ch'e' insieme un'armonia) delle sue varie forme, in una circolarita' che non gli permette di posare in nessuna di esse, perche' lo spirito e' creativita' sempre nuova, in cui la vita e il pensiero si condizionano reciprocamente.
Il punto piu' criticato di questa dottrina e' quello riguardante il problema dell'unita' dello spirito, la quale in questo continuo distinguersi corre pericolo di spezzarsi e intellettualizzarsi in forme schematiche, con le quali riesce difficile poi ricostituire il senso dell'atto spirituale che nella sua pienezza concreta deve superare quelle distinzioní. Questo difetto e' anche quello piu' rimproverato al C. nelle sue opere di critica letteraria e di storia, nelle quali la vasta e sicura erudizione e' stata messa, si', a servizio di un senso della vita spirituale affinatosi con l'esercizio della speculazione filosofica; ma quel senso viene, anche, spesso sopraffatto da preoccupazioni teoretiche e, in definitiva, astratte. L'influsso di queste opere, specialmente di critica letteraria, e' stato grande in Italia, e anche fuori. Uscite per la maggior parte su La Critica, sono state raccolte via via in volumi: La letteratura della muova Italia (voll. 4); le note sulla letteratura europea del sec. XIX col titolo Poesia e non poesia; La poesia di Dante, Goethe, Ariosto, Shakespeare e Corneille, Storia dell'eta' barocca in Italia; e per la storia politica, Storia del Regno di Napoli, Uomini e cose della vecchia Italia, Storia d'Italia dal 1871 al 1915. Si aggiunga la Storia della storiografia italiana nel sec. XIX. Della sua infaticabile attivita' di studioso sono poi documento i lavori biografici e bibliografici intorno al Vico e al De Sanctis, e le edizioni di questi e di molti altri scrittori, classici della filosofia, letterati, pubblicisti di varia importanza, che ha curate o promosse. Per penetrare nell'indole propria della sua cultura e personalita' giovano le Conversazioni critiche, il vol. Cultura e vita morale, e soprattutto il Contributo alla critica di me stesso; le Lettere di G. Sorel a lui (pubbl. su La Critica) interessano pure non poco per questo lato; si possono aggiungere i Frammenti di etica e gli Elementi di politica (ora raccolti in un unico vol. Etica e politica), gli Aspetti morali della vita politica, e le Pagine sulla guerra.
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Bibliografia: G. Prezzolini, B. C., Napoli 1909; E. Chiocchetti, La filosofia di B. C., Milano 1924, e B. C., Napoli 1924; H. Wildon Carr, The philosophy of B. C.: the problem of Art and History, Londra 1917; G. Castellano, Introduzione allo studio delle opere di B. C., III ed., Bari 1920; F. Flora, Croce, Milano 1927; R. Piccoli, B. C., New York e Londra 1923; F. Pardo, La fil. teoretica di B. C., Napoli 1927; G. Fano, La filosofia di B. C., in Giornale critico della filosofia italiana, IX (1928) e X (1929); U. Spirito, A. e L. Volpicelli, B. C., Roma 1929; A. M. Fraenkel, Die Philos. B. C. und das Problem der Naturenkenntnis, Tubinga 1929; G. Calogero e D. Petrini, Studi crociani, Rieti 1930.
2. MAESTRI. WALTER MATURI: BENEDETTO CROCE (VOCE NELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA - II APPENDICE, 1948)
[Dall'Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948), nel sito www.treccani.it]
Il pensiero del Croce nell'ultimo venticinquennio, pur con molteplici arricchimenti e approfondimenti, e' rimasto, in sostanza, quale si era manifestato nell'epoca prefascista ma la sua personalita' morale ha avuto modo di riaffermarsi con straordinaria energia. Uno degli elementi essenziali della sua fama, anzi, risiede appunto nella fermezza di carattere di cui ha dato prova in parecchi momenti della vita nazionale ed europea: "mentre tanti intellettuali perdevano la testa e non sapevano orientarsi nel caos generale, rinnegavano il proprio passato, ondeggiavano lamentosamente nel dubbio di chi fosse per essere il piu' forte, il C. e' rimasto imperturbabile nella sua serenita' e nell'affermazione della sua fede che metafisicamente il male non puo' prevalere e che la storia e' razionalita'" (Gramsci).
"Il mio liberalismo - scriveva il C. a un suo discepolo il 10 ottobre 1925 - e' cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi mettera' tra i vincitori o mi gettera' tra i vinti. Cio' non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto". E la sua polemica antifascista comincio', mirando a restaurare i valori della personalita' morale dell'individuo in tutti i campi dell'attivita' spirituale.
Il fascismo annullava l'individuo nello Stato; il C. negava che lo Stato fosse un'entita' e affermava che reale e' l'umano operare che si svolge attraverso i due gradi dell'azione utilitaria e dell'azione morale. Il liberalismo del C. non era un individualismo utilitario, come quello di John Stuart Mill, che abbassava lo Stato a strumento dell'edonismo dei singoli, ma un individualismo morale, che tratta lo Stato come mezzo o strumento di piu' alta vita. (Etica e politica, Bari 1930; Il carattere della filosofia moderna, ivi 1940).
Chiaritisi i problemi etico-politici nei loro rapporti d'interdipendenza dialettica, il C. si apri' il varco a una nuova concezione della storia politica, che egli ha definita appunto con la felice formula "etico-politica" (Storia economico-politica e storia etico-politica, in Etica e politica, III ediz., pp. 273-283). Con la storia etico-politica il C., oltre a soddisfare le opposte esigenze della storia della civilta' (Kulturgeschichte) e della storia politica (Staatsgeschichte), ha voluto superare quella scuola economico-giuridica, alla quale aveva contribuito a dare fondamento con la sua concezione del marxismo come canone d'interpretazione storica.
Nella Storia del Regno di Napoli il C. comincio' ad applicare le sue formule della storia "contemporanea" e della storia "etico-politica". Egli parte dall'interesse attuale della questione meridionale ma non vagheggia nostalgicamente il bel "Regno" indipendente del buon tempo antico, ne' piange sulla natura matrigna, alla quale il Mezzogiorno dovrebbe la sua eterna triste storia, bensi' ricostruisce la tradizione politica meridionale, che, iniziata alla fine del Seicento, ha condotto il Mezzogiorno a contatto con la vita moderna. Il concetto di decadenza sembra smentire una concezione progressiva, fondamentalmente ottimistica, della vita e della storia; orbene, il C. affronta lo studio d'una eta' ritenuta comunemente in Italia di decadenza - Storia dell'eta' barocca in Italia (1929) - e finisce col riabilitarla, non perche' riconosca un rinnovamento religioso nel trionfo della Controriforma o la positivita' del concetto di "barocco" in quanto nuova epoca del pensiero, dell'arte e della vita sociale, ma perche' trova nel Seicento "gli incunaboli" della nuova cultura e della nuova politica del Settecento. Parimenti nella Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928) egli mostra quali progressi abbia fatto in tutti i campi l'Italia in quel periodo cosi' prosaico, cosi' diverso dal brillante Risorgimento dei Mazzini, dei Cavour e dei Garibaldi. Infine nella Storia d'Europa nel secolo XIX (1932) lo studio della crisi morale e politica dell'Italia nel dopoguerra si slarga nello studio della crisi generale della liberta' nell'Europa, e nel romanticismo deteriore, nel torbido irrazionalismo viene identificato il disorientamento morale del nostro tempo. E il torbido irrazionalismo il C. combatte anche nel tentativo di staccare l'individuo dalla sua opera storica che e' la sua missione morale terrena, e di considerarlo quasi cieco "complesso di nervi, eccitabili e variamente eccitati" (Vite di avventure, di fede e di passione, Bari 1935 e polemica contro le biografie romanzate).
Dalla stessa esigenza nasce nel C. la scoperta della necessita' della personalita' morale dell'artista. Ne L'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte (comunicazione al congresso di filosofia di Heidelberg nel 1908, in Problemi di estetica, Bari 1910, pp. 1-30), il C. aveva affermato che per la sintesi estetica occorre sentimento, la commozione, insomma "una personalita' quale che sia", ma escludeva che si trattasse di personalita' morale. Nella Aesthetica in nuce (Napoli 1929), in seguito da un lato all'approfondimento del carattere di totalita' dell'espressione artistica e dall'altro alla polemica contro l'arte pura, l'arte per l'arte, la poesia ermetica, il C. giunge alla conclusione che "fondamento d'ogni poesia e' la personalita' umana e, poiche' la personalita' umana si compie nella moralita', fondamento d'ogni poesia e' la coscienza morale". Oltre la personalita' morale dell'artista, altre importanti conquiste dell'estetica crociana sono state il concetto nuovo di poesia popolare (Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1929) contro le infatuazioni neo-romantiche per il primitivo e la determinazione dell'ufficio positivo della letteratura, di cio' che veniva espunto come non poesia dalla storia artistico-letteraria (La poesia, Bari 1936) e la riprova del carattere eterno della poesia contro ogni materializzazione storica (Poesia antica e moderna, Bari 1940).
Vivendo in modo cosi' intimo ed elevato le sue dottrine etico-filosofiche il C. poteva difenderle dalla cosiddetta "rivolta morale contro lo storicismo" con il conseguente "ritorno alla ragione" del secolo XVIII e poteva far sua la fiducia espressa dal Meinecke che "lo storicismo risanera' le ferite che ha inflitte con l'aver reso relativi i valori, posto che vi siano uomini che lo convertano in schietta vita", avvertendo, pero', che lungi dall'aver danneggiato la saldezza dei valori, lo storicismo li aveva "tolti dal cielo dell'astratto, impiantandoli saldamente nella realta' della storia" e assicurando cosi' loro un'inesauribile vitalita' (La storia come pensiero e come azione, Bari 1938).
Avvicinandosi la fine del fascismo, la polemica del C., pur mantenendosi su un impeccabile piano culturale, lascia trasparire in modo piu' immediato l'azione politica in veste libresca. "Con opuscoli subito famosi quali Perche' non possiamo non dirci cristiani (Bari 1943) e quello sul comunismo (Per la storia del comunismo in quanto realta' politica, ivi 1943), C. precisa le somiglianze e le differenze, prefigura le tavole della nuova legge, abbozza i trattati di alleanza, gli atti addizionali e chiarificativi fra quei diversi che stanno accedendo al gran fronte comune" (Burzio).
Questo "gran fronte comune" si rivelo' apertamente nel 1943-1944 con la coalizione delle forze antifasciste nel CLN. Ricostituito il Partito liberale nell'ambito del CLN, il C. miro' alla restaurazione del regime liberale democratico prefascista. Per giungere a tal fine, prima ha lottato per ottenere l'abdicazione del re Vittorio Emanuele III, giudicata indispensabile dalle forze antifasciste per la loro andata al potere (Per la nuova vita dell'Italia: 1943-44, Napoli 1944); poi ha lottato contro le sinistre, che, col Partito d'azione all'avanguardia, tendevano alla creazione d'una nuova democrazia e ha molto contribuito alla caduta del ministero Parri (Pagine politiche: luglio-dicembre 1944, Bari 1945; Pensiero politico e politica attuale: 1945, ivi 1946); infine, nell'Assemblea Costituente (Due anni di vita politica italiana: 1946-47, ivi 1948), ha combattuto la formula politica del Tripartito, l'inclusione nella Costituzione dei Patti lateranensi, dell'impegno contro il divorzio e del disegno delle regioni (11 marzo 1947), e l'approvazione del dettato di pace (24 luglio 1947). Abbandonata la presidenza effettiva del Partito liberale italiano (30 novembre 1947) e in seguito anche quella onoraria (giugno 1948), il C. non tralascia la polemica politica contingente da un lato contro il comunismo e dall'altro contro la Democrazia cristiana, ma la sua principale attivita' e' ora concentrata nella direzione dell'Istituto italiano per gli studi storici da lui fondato nel 1947 a Napoli, e nei Quaderni della Critica con i quali dal 1945 continua - sia pure con meno perentorio impegno editoriale - la Critica (1903-44).
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Bibliografia: A. Mautino, La formazione della filosofia politica di B. C., Torino 1941; L. Russo, La critica letteraria contemporanea, II, Bari 1942; L'opera filosofica, storica e letteraria di B. C. (Saggi di scrittori italiani e stranieri scelti e tradotti da E. Cione e bibliografia dal 1921 al 1948 a cura di F. Laterza), Bari 1942; A. Parente, Il pensiero politico di B. C. e il nuovo liberalismo, Napoli 1944; La Rassegna d'Italia, I, nn. 2-3, febbraio-marzo 1946 (fascicolo tutto consacrato a B. C.); D. Mack Smith, The Politics of Senator Croce, in The Cambridge Journal, ottobre 1947, pp. 28-42; A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di B. C., Torino 1948.
3. MAESTRI. [REDAZIONALE]: BENEDETTO CROCE (VOCE NELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA - III APPENDICE, 1961)
[Dall'Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948), nel sito www.treccani.it]
Filosofo e storico, morto a Napoli il 20 novembre 1952.
Le opere piu' significative del C. nei suoi ultimi anni di vita sono: Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, 3 voll., Bari 1945-52; Discorsi di varia filosofia, 2 voll., ivi 1945, La letteratura italiana del Settecento, ivi 1949; Nuove pagine sparse, 2 voll., Napoli 1949; Filosofia e storiografia, Bari 1949; Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia, ivi 1950; Storiografia e idealita' morale, ivi 1950; Filosofia, poesia, storia, Milano-Napoli 1951 (scelta antologica degli scritti, con una compiuta cronologia, a cura dello stesso C.); Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari 1952; Terze pagine sparse, 2 voll., post., ivi 1955.
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Bibliografia: La Fiera letteraria, 15 febbr. 1953; Rivista di letterature moderne, apr.-giugno 1953; Rivista di filosofia, 1953, n. 3; Studium, genn. 1953; tutte dedicate al C.; autori vari, B. C., a cura di F. Flora, Milano 1953; F. Nicolini, B. C. erudito, C. e il "Cunto de li cunti", Come conobbi B. C., Tre saggi, in Banco di Napoli, Bollettino dell'Arch. Storico, n. 6, 1953, pp. 162-221; V. Sainati, L'estetica di B. Croce: dall'intuizione visiva all'intuizione catartica, Firenze 1953; C. Antoni, Commento a Croce, Venezia 1955; A. R. Caponigri, History and liberty. The historical writings of B. C., Chicago 1955; M. Abbate, La filosofia di B. C. e la crisi della societa' italiana, Torino 1955; E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari 1955; E. Cione, Bibliografia crociana, Milano 1956.
4. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
5. SCORCIATOIE. A PROPOSITO DELLE INIZIATIVE LEGHISTE CONTRO LA MAGISTRATURA (CON L'APPARIZIONE DI UN'AQUILA IN CLAUSOLA)
Che la magistratura sia attraversata dagli stessi conflitti dell'intera societa' lo abbiamo sempre saputo.
Che anche in essa vi siano potentati e affarismi non e' una novita'.
Ma le ricorrenti iniziative ieri berlusconiane e oggi leghiste contro la magistratura hanno come fine di esonerare i potenti dal rispetto delle leggi.
Ovvero impedire che le leggi siano la difesa del debole dall'abuso del forte.
Ovvero perseguire la demolizione dello stato di diritto fondato sulla Costituzione democratica ed antifascista per imporre di nuovo la violenza padronale senza controllo ne' limite alcuno; per imporre l'abolizione dei diritti delle oppresse e degli oppressi e ripristinare la dittatura dei "soprani der monno vecchio" per dirla col Belli.
Non c'e' bisogno di essere aquile per vederlo.
6. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: LA SEZIONE MAGNACOSCHI
Io manco ero nato quando la grande Cicciccippi' fini' per il tradimento infame e porco dei miserabili venduti ai vampiri sfruttatori capitalisti.
Fu un disastro mondiale frutto della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche', che i lacche' come lo dice la parola stessa sarebbero quelli che con la propria lingua medesima gli leccano i piedi alla congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti (mentecatti non lo so che significa).
A quei tempi manco ero nato, pero' le cose le so lo stesso, perche' oggi che c'e' internet tutti si possono informare che in rete c'e' tutto tutto e poi basta fare due piu' due e le cose le capisci da solo.
Io faccio parte della classe operaia anche se campo col reddito di cittadinanza che il lavoro ce lo sanno tutti che in italia non c'e' perche' ce lo rubano i negri e gli zingari crumiri.
Pero' io non ci ho niente contro i negri e gli zingari crumiri, e neanche contro le femmine e i drogati, perche' in quanto appartenente alla classe operaia lo so che sono sfruttati pure loro e allora dobbiamo fare un fronte comune contro la congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche'.
Io volevo fare il pilota sportivo ma quello e' un lavoro che solo i figli dei capitalisti lo possono fare perche' una ferrari quanto costa? Un miliardo? due miliardi? E come fa un proletario a comprarsela per allenarcisi e poi farci le corse? Un proletario sarebbe un appartenente alla classe operaia come io lo sono.
Che poi dello sport a me non me ne frega niente a parte il pallone e il biliardo che sono sport popolari che uno come me appartenente alla classe operaia ci puo' giocare, a biliardo al bar (se in quel bar ci hanno il biliardo) e a pallone per strada quando passano poche macchine che qui da noi verso sera ne passano poche.
Pero' non e' che mi accontento di essere un appartenente alla classe operaia, ci ho pure la coscienza di classe che significa che sono pure comunista: che un operaio se non e' comunista e' solo uno sfruttato, se e' comunista e' un uomo che lotta contro la schiavitu' per l'emancipazione dell'umanita'. E io in quanto appartenente alla classe operaia anche se disoccupato sono uno sfruttato, ma in quanto ci ho la coscienza di classe allora sono pure uno che lotta contro la schiavitu' per l'emancipazione dell'umanita', che e' tutta un'altra cosa da essere uno sfruttato e basta.
E per questo mi sono iscritto alla sezione Magnacoschi, che sarebbe l'articolazione di base dell'organizzazione rivoluzionaria del proletariato cosciente qui al paese.
La sezione si chiama Magnacoschi in onore di un grande poeta russo che mori' suicida per amore, che i poeti russi sono fatti cosi' che si suicidano per amore. Che a me non mi pare una cosa giusta, perche' se uno e' un comunista, pure se e' un poeta russo non si deve suicidare, perche' se un comunista si suicida allora avvantaggia la congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' che di niente ci hanno piu' paura che dei comunisti e non vedono l'ora che i comunisti si suicidano per amore cosi' poi sono liberi di sfruttare la classe operaia ancora di piu' di quanto gia' non la sfruttano adesso, che gia' la sfruttano parecchio, e pure troppo. Pero' se uno di mestiere fa il poeta allora che si suicida per amore e' una cosa che la puo' pure fare perche' e' coerente con la poesia che e' sempre poesia d'amore e come ti viene l'ispirazione per la poesia d'amore? Ti viene dall'amore. Se pero' poi non puoi fare l'amore con la donna che ami allora finisce pure la poesia, finisce tutto, si schianta la barca della vita e t'ammazzi. Non e' una cosa bella che un comunista s'ammazza, pero' se e' pure un poeta allora si puo' fare un'eccezione. Magari io non gliela intitolavo la sezione a Magnacoschi, che non e' un buon esempio per i militanti giovani che si sa che ci hanno le fregole loro e se restano soli c'e' il rischio che ci diventano ciechi a forza di commettere gli atti impuri da soli e allora e' meglio che s'innamorano, pero' se poi butta male e' meglio che non si suicidano ma magari si dedicano alle attivita' benefiche o allo studio dei classici del marxismo, o agli sport popolari come il pallone o il biliardo, e allora il compagno Magnacoschi non e' un buon esempio, era meglio il compagno Staccano', che invece di suicidarsi lavorava di piu' e non staccava mai, apposta si chiamava il compagno Staccano'. Pero' se il direttivo della sezione ha intitolato la sezione al compagno Magnacoschi lo sa il direttivo della sezione quello che e' giusto e a me mi sta bene. E' il centralismo democratico che e' una forma di democrazia partecipata superiore alla democrazia formale borghese che pare democrazia e invece e' solo dittatura astutamente camuffata da democrazia in modo che pare democrazia e invece e' solo dittatura come ho gia' detto. Oltretutto avere la sezione col nome di un poeta famoso e' una cosa bella, perche' da' un tono di cultura e a noi della classe operaia la cultura ci e' sempre piaciuta, che mille volte mi sono pentito di non aver voluto studiare quand'ero regazzetto che il babbo era contento se studiavo cosi' poi facevo un lavoro che stavi al caldo, non il bracciante come lui che infatti poi c'e' morto. Pero' da regazzetto che ne sapevo che studiare serviva davvero? A me da regazzetto mi piaceva di piu' di non studiare che mi credevo che non serviva a niente mentre andare a fare danni in giro mi pareva piu' divertente e piu' istruttivo, che lo vedi come e' facile che da regazzetto uno si sbaglia e per questo ci vuole il partito della classe operaia che e' il novello principe e l'intellettuale collettivo come diceva il compagno Granci, che finche' c'e' il partito della classe operaia quei puzzoni della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' se lo sognano che gliela diamo vinta: il partito della classe operaia non si arrende mai e risorge dalle sue ceneri e ci ha pure le sue canzoni che se lo sognano quelli della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' di averci le canzoni belle come quelle del partito della classe operaia come per esempio Bandiera rossa, l'Internazionale e Bella ciao. Che certo non le cantano a Sanremo, a Canzonissima, non le cantano no, perche' quei puzzoni della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' ce lo sanno che ogni volta che uno sente le canzoni del partito della classe operaia gli cascano le scaglie dagli occhi e si converte sulla via del tabasco e diventa pure lui un comunista. Io dico che il partito dovrebbe mettere un altoparlante su una macchina e poi girare il paese, le campagne casale per casale, tutti gli altri paesi, pure le citta' strada per strada, piazza per piazza, vicolo per vicolo a far sentire Bandiera rossa, l'Internazionale e Bella ciao e allora in quattro e quattr'otto tutta l'Italia diventerebbe comunista. Che sarebbe una bella cosa, una cosa buona e giusta. Quasi quasi glielo dico al segretario della sezione di proporlo pure alla federazione che magari poi lo potrebbe proporre al comitato centrale. Non c'e' bisogno che dicano che e' un'idea che mi e' venuta a me. A noi comunisti non ce ne frega niente della gloria, noi vogliamo solo il bene dell'umanita'.
7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: UN'ALTRA STORIA DELLA SEZIONE MAGNACOSCHI
La raccontava sempre l' zi' Nenne, era una storia di parecchio tempo fa ma di quelli che c'erano erano ancora vivi parecchi, e se la ricordavano tutti anche se non ne parlavano mai; solo l' zi' Nenne la raccontava, perche' era il segretario della sezione e quindi lo doveva fare per educare i compagni nuovi e quelli piu' giovani a non fare fesserie, che un comunista le fesserie non le deve fare perche' il comunista deve essere consapevole che il suo compito storico e' la liberazione dell'umanita' dallo sfruttamento e quindi tutte le sue energie devono essere indirizzate a questo fine sotto la guida del partito del proletariato e non alle scemenze come le collezioni dei francobolli, le parole crociate, le fornicazioni, guardare la televisione che dice solo quello che gli dicono di dire i padroni o fumare le sigarette che fanno venire il cancro.
Fu al tempo che nel partito si discusse se nello statuto ci doveva essere scritto "marxismo-leninismo" col trattino o "marxismo leninismo" senza trattino. E' una storia vera, pure se pare una favola: tutte le storie vere dopo un po' di tempo sembrano favole, e tutte le bubbole ci vuole un po' di tempo prima di capire che sono bubbole. Il materialismo storico e dialettico queste cose le sa spiegare bene, perche' il materialismo storico e dialettico e' lo strumento attraverso cui la classe operaia acquisisce coscienza e conoscenza, scienza ed esperienza dell'universo mondo; che il materialismo storico e dialettico sa spiegare tutto, da come si aggiusta un rubinetto al numero preciso delle stelle che ci sono in cielo che nessuno le saprebbe contare ma attraverso il materialismo storico e dialettico invece si'.
Siccome nel partito c'era la democrazia vera, non quella fasulla della dittatura borghese, la discussione su "marxismo-leninismo" col trattino o "marxismo leninismo" senza trattino si fece in tutte le sezioni e tutte le cellule del partito, e cosi' si fece pure nella sezione nostra qui al paese, la grande e gloriosa sezione Magnacoschi, intitolata al famoso compagno poeta russo che mori' suicida per amore e che il compagno Stalin aveva nominato massimo poeta della rivoluzione socialista, che non e' che ce ne erano tanti di massimi poeti della rivoluzione socialista, no, ce ne era uno solo, e quello era il compagno Magnacoschi cui era intitolata la sezione nostra qui al paese. Sono soddisfazioni.
Venne pure il compagno della federazione per tenere le conclusioni dell'attivo, che sarebbe l'assemblea plenaria di tutti gli iscritti. Di solito il compagno della federazione veniva qui al paese - che e' un paese parecchio fuori mano - solo per la festa del tesseramento, per la festa dell'Unita' quando si riusciva a farla, e per il comizio conclusivo della campagna elettorale; ma quella volta venne pure per l'attivo sul trattino o senza trattino, che a quei tempi era una cosa della massima importanza per la coscienza di classe del movimento operaio, per la pace nel mondo e per la rivoluzione socialista mondiale.
Ora. si sapeva che ci sarebbe stata battaglia, che a quel tempo quando si discuteva si discuteva, e come niente volavano le sedie, perche' i compagni erano tutti di provata fede bolscevica, e i compagni di provata fede bolscevica quando si discuteva si discuteva con tutti i sentimenti, poi dopo che si era votato allora valeva il centralismo democratico e il partito tornava ad essere una falange macedone, una legione romana, i tre moschettieri tutti per uno e uno per tutti. Ma quando si discuteva, prima di votare, volavano le sedie che fuori della sezione ci stava sempre l'ambulanza pronta. A quei tempi era cosi'.
Adesso vi devo dire di Schifanoia e Scannagatti, ch'erano due compagni che piu' compagni di loro c'era solo il compagno segretario del partito e capo della classe operaia in Italia onorevole compagno Palmiro Togliatti, che prima con il compagno Antonio Gramsci aveva fatto nascere la classe operaia in Italia, e dopo - che ormai il compagno Gramsci era morto per mano fascista - aveva fondato la repubblica democratica ed antifascista dopo aver sconfitto con una botta sola il tedesco lurco e il fascista inetto, soprattutto grazie all'Armata Rossa ma pure grazie alla Resistenza garibaldina e al Cln con la svolta di Salerno, quello che e' giusto e' giusto.
Erano pure amici, Schifanoia e Scannagatti, che si conoscevano dalle scuole elementari e s'erano sposati due sorelle, e uno faceva il barbiere come il compagno Germanetto e l'altro il bracciante, il muratore e il cavallaro che era il miglior domatore del paese e per questo lo chiamavano pure Tex oltre che Scannagatti. Scannagatti ce lo chiamavano si capisce dal nome perche'. La fame e' la fame, e Scannagatti di fame ne aveva fatta parecchia. Schifanoia invece gli dicevano Schifanoia perche' non si fermava mai, pareva che ci avesse un motorino incorporato, che c'era qualcuno che gli dava sempre la carica e lui diceva che la carica gliela dava l'indignazione dinanzi alle ingiustizie. E chiacchierava sempre, piu' del farmacista e del prete messi insieme.
Successe cosi': che Schifanoia pensava che nello statuto del partito ci doveva essere scritto "marxismo-leninismo" col trattino, e invece Scannagatti che era uguale pure senza trattino, che sono differenze che se ne accorgono solo i professori borghesi parassiti e perdigiorno e invece alla classe operaia e contadina non gliene frega niente a nessuno, bastava che nello statuto c'era marxismo e c'era leninismo, poi se ci mettevi il trattino, la parentesi o il punto e virgola erano cose senza importanza. Invece Schifanoia diceva che non era vero che erano cose senza importanza, che se si levava il trattino che prima c'era sempre stato si deviava dalla retta via e il deviazionismo e' un delitto contro la classe operaia come il frazionismo e come il riformismo del rinnegato Causchi. Mo', dove l'aveva imparate tutte 'ste cose il compagno Schifanoia non lo sapeva nessuno; e' vero che la bottega del barbiere e' un posto dove si chiacchiera parecchio, ma di solito si chiacchiera delle partite di pallone o delle corse di cavalli o delle femmine pittate.
A Scannagatti gli pareva che Schifanoia diceva cosi' per darsi importanza e allora un giorno glielo disse in faccia: "Tu dici cosi' solo per darti importanza". E Schifanoia gli rispose: "Ah si'? Vediamo stasera all'attivo vediamo". E che c'entra? Neppure l' zi' Nenne lo sapeva che c'entrava, pero' s'era capito gia' da allora che la sera sarebe stata battaglia. Per fortuna che c'era il compagno della federazione. E pure l'ambulanza di fuori.
Cosi' quella sera all'attivo della sezione c'erano proprio tutti perche' si sapeva che Schifanoia e Scannagatti avrebbero fatto scintille, e chi se lo voleva perdere lo spettacolo?
Perche' con tutto che erano amici, pero' Schifanoia e Scannagatti erano due nature colleriche (diceva sempre proprio cosi' l' zi' Nenne: "due nature colleriche", chissa' che vuole dire) e pigliavano fuoco subito come due cerini. E allora era un bel cinemetto, che al paese divertimenti non ce ne sono, cosi' se c'era un bel cinemetto tutto il paese ci veniva, e la sezione si riempiva al punto che la gente si portava le sedie da casa e bisognava tenere aperta la porta perche' c'erano quelli che si mettevano seduti di fuori perche' tutti dentro non ci si entrava.
Dopo che il compagno segretario fece la relazione introduttiva prese subito la parola Scannagatti. Non fece in tempo a dire che per lui il trattino non significava niente che era una cosa che interessava solo alla cricca dei borghesi, degli aristocratici militaristi e dei latifondisti assenteisti che se ne stanno a Parigi a far prostituire le figlie del popolo, che subito Schifanoia gli fu addosso gridando: "Mo abbasta co' 'st'eresie troschiste, mo' abbasta co' 'ste bestemmie da nemici del popolo". Ma Scannagatti gia' s'era inquartato che se l'aspettava, e cosi' furono sganassoni subito. Poi, come succede, dagli sganassoni si passo' alle sediate, dale sediate ale coltellate, e il rasoio di Schifanoia apri' mezzo collo - tutta la parte davanti, da orecchio a orecchio - a Tex, che successe senza volere, come succedono sempre 'ste cose che se la gente ci pensasse non lo farebbe mai di ammazzare un cristiano per una questione di parole (e manco di parole: di trattini tra le parole), invece succede sempre cosi', che per una questione di parole qualcuno ci stira le zampe. Con tutto che ci aveva la gola aperta e le canne dentro il collo che schizzavano sangue come un fontanile, Scannagatti fece in tempo a dire: "ma ch'hai fatto, Schifano'?". E Schifanoia fece in tempo a rispondere: "E che ne so?". Lo ripete' tre o quattro volte e non disse altro. In piazza quella sera c'erano pure i carabinieri che erano venuti come tutti a vedere il cinemetto e qundi assistettero al delitto in flagrante e immantinente si portarono sul Giordano Degli Esposti mentovato Schifanoia e procedettero al di lui arresto con requisizione dell'arma del delitto nella persona di rasoio professionale da barbiere profedìssionista con regolare licenza ed esercizio in questa medesima piazza Umberto I al civico numero 3. Se lo bevettero cosi', mentre la gente guardava e non riusciva a fare niente, con tutto che tutti se ne erano accorti che era stato un incidente e non un delitto. Lo processarono per direttissima la mattina dopo e gli diedero trent'anni perche' era comunista,poi siccome aveva partecipato alle rivolte gliene fecero fare pure altri dieci.
Quando usci' dalla galera non pareva piu' lo stesso di prima, che prima era un galletto e adesso sembrava un'ombra, sempre zitto e torvo come un fantasma, come un vampiro.
Al partito continuava a rinnovare la tessera perche' un comunista resta un comunista per sempre, pero' alle riunioni non interveniva piu', stava seduto li' e non diceva niente, l'unica cosa che faceva era di alzare la mano quando era il momento di votare l'approvazione della relazione introduttiva e la mozione conclusiva; stava tutto il giorno al bar e non parlava con nessuno; quando qualcuno gli chiedeva del trattino diceva che non gli andava di parlarne, che se il partito decide una cosa lo sa quello che fa, che il partito e' milioni di mani strette in un unico pugno, ma lo diceva con un tono di voce spento, che pareva che non era neppure lui che parlava ma uno che stava dentro di lui come se lui fosse morto e dentro ci abitava un altro. La gente ci aveva paura di sentire quella voce, cosi' smisero di parlargli e andava bene cosi'. La bottega da barbiere l'aveva dovuta vendere per pagare l'avvocato. La pensione andava tutta in campari e cognacchini. Sopravviveva grazie alla moglie, e alla cognata, che dopo la morte di Scannagatti era andata a vivere con la sorella. Facevano le lavandaie e quando capitava pure le serve per la gente ricca e sopravvivevano cosi'; da giovani erano state operaie in una fabbrichetta che poi era fallita e il padrone si era rubato tutti i soldi, che erano parecchi ma parecchi soldi, che lo stato gli aveva regalato per aprire la fabbrichetta nel paese che era considerato area depressa, che in effetti area depressa era veramente allora come e' pure oggi. La cognata a Schifanoia non gli disse mai niente, ne' una parola sgarbata ne' niente; stava sempre zitta; al paese usa cosi', i lutti durano sempre. Lui mori' qualche anno dopo, figli non ce li aveva. La moglie e la cognata dicono che sono ancora vive, ma ci hanno l'alzheimer tutte e due e stanno in una casa di cura non so dove. Se poi e' vero che sono ancora vive.
E' una storia triste, no? Ma tutte le storie sono tristi, e la storia, quella con la esse maiuscola, quella e' la piu' triste di tutte.
L' zi' Nenne raccontava sempre 'sta storia agli iscritti nuovi e ai ragazzi della federazione giovanile perche' lo dovevano sapere che quando si discute si devono usare solo le parole che tanto grazie al centralismo democratico il partito alla fine fa sempre la scelta giusta, perche' ci ha lo strumento infallibile del materialismo storico e dialettico.
La gente non ci ha cuore di dirglielo al zi' Nenne che fuori dal paese nostro il partito da trent'anni non c'e' piu'.
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 119 del 21 giugno 2021
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Numero 119 del 21 giugno 2021
In questo numero:
1. Armando Carlini: Benedetto Croce (voce nell'Enciclopedia Italiana, 1931)
2. Walter Maturi: Benedetto Croce (voce nell'Enciclopedia Italiana - II Appendice, 1948)
3. [Redazionale]: Benedetto Croce (voce nell'Enciclopedia Italiana - III Appendice, 1961)
4. Ripetiamo ancora una volta...
5. A proposito delle iniziative leghiste contro la magistratura (con l'apparizione di un'aquila in clausola)
6. Omero Dellistorti: La sezione Magnacoschi
7. Omero Dellistorti: Un'altra storia della sezione Magnacoschi
1. MAESTRI. ARMANDO CARLINI: BENEDETTO CROCE (VOCE NELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA, 1931)
[Dall'Enciclopedia Italiana (1931), nel sito www.treccani.it]
Benedetto Croce nacque il 25 febbraio 1866 a Pescasseroli (prov. di Aquila), ma Napoli fu ben presto la sua dimora abituale. Ivi entro', nel 1876, in un collegio diretto da sacerdoti. Scampato dal terremoto di Casamicciola (1883) in cui perdette i genitori, fu raccolto a Roma in casa di Silvio Spaventa, suo parente, e vi rimase sino al 1886. S'iscrisse all'universita', in giurisprudenza, ma piu' volontieri si chiudeva nelle biblioteche, e frequentava le lezioni di Antonio Labriola, di cui ammirava il brioso ingegno e la fresca cultura. Tornato a Napoli, si diede con maggior fervore a indagini erudite e per queste intraprese anche viaggi in Germania, in Spagna, in Francia, in Inghilterra. A questo periodo appartengono molte delle ricerche raccolte poi, insieme con scritti posteriori, nei volumi La rivoluzione napoletana del 1799 (Bari 1912), I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del sec. XVIII (Bari 1916), Storie e leggende napoletane (Bari 1918), Aneddoti e profili settecenteschi (Palermo, 1914), Saggi su la letteratura italiana del Seicento (Bari 1911), Curiosita' storiche (Napoli 1919), La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza (Bari 1914). Ma l'erudizione accumulata con tanta foga fini' col generare in lui una scontentezza che raggiunse il fastidio: egli anelava a una forma piu' alta, piu' intima, del sapere. Le due memorie, La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (1893), e quella su La critica letteraria (1894), raccolte poi in Primi saggi (Bari 1919), segnano una ripresa delle sue tendenze filosofiche. In questo tempo lesse, insieme con molti altri libri di filosofia e di metodica della storia, la Scienza nuova del Vico. E poiche' l'opera del De Sanctis gli era famigliare dal liceo, e ai problemi di estetica s'era interessato allorche' all'universita' seguiva i corsi di etica del Labriola, non gli fu difficile ricongiungere il problema della storia a quello dell'arte, e procedere, con larghezza e profondita' sempre maggiore, all'indagine dei rapporti di quei problemi con gli altri costitutivi della vita spirituale. A quest'ultimo scopo contribuirono anche gli studî fatti tra il 1895 e il 1900, e raccolti nel volume Materialismo storico ed economia marxistica (Bari 1900), i quali, occasionati dai rapporti col Labriola, riflettono un momento di fede e passione politica passato presto per la fortissima prevalenza in lui della riflessione teoretica. Di qui un minor contatto col Labriola, e l'amicizia col Gentile, cominciata nel 1896, la quale contribui' non poco nel deciderlo ad elaborare i germi, che gia' in lui fermentavano, d'una sistemazione concettuale a fondamento e guida della sua cultura; e anche in seguito influi' costantemente, per via positiva o negativa, sullo sviluppo del suo pensiero. Documento della collaborazione dei due filosofi restano le annate della Critica (specialmente nel primo decennio, dopo il quale ragioni speculative prima, politiche poi, raffreddarono e in fine ruppero quella concordia), la quale, uscita nel 1903, fu l'organo maggiore, e veramente insigne, del rinnovamento della cultura italiana e insieme, si puo' dire, il diario della formazione mentale e spirituale del Croce in quegli anni fecondissimi di speculazione. Comincio' col problema dell'arte, con le Tesi fondamentali di un'estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1900: in Atti dell'Accademia Pontaniana, in cui il Croce ha pubblicate molte memorie importanti: questa e' raccolta in un volume, pubblicato a Messina 1926, insieme coi Lineamenti di una logica del concetto puro del 1904) e con l'Estetica del 1902 (Palermo), notevolmente corretta e ampliata in posteriori edizioni, nelle quali raggiunse le sue formulazioni piu' originali divulgate oramai universalmente. Segui' nel 1906 il saggio sul Hegel, nel 1907 (in Atti cit. della Pontaniana) l'abbozzo Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell'economia (Napoli 1907), nel 1908 la completa Filosofia della pratica, nel 1909 in forma sviluppata la Logica, nel 1910 i Problemi di estetica (a cui seguì il Breviario di estetica, e piu' tardi i Nuovi saggi di estetica), nel 1911 La filosofia di G. B. Vico, nel 1912 le prime memorie di Teoria e storia della storiografia (uscito nel 1917 come IV e ultimo volume della Filosofia dello spirito): cosi' il C. tornava al problema a cui piu' era legato il suo interesse mentale. Le sue opere principali sono state tradotte in molte lingue europee (recentemente anche in russo e giapponese).
Alla vita politica il C. ha partecipato con animo prevalentemente di critico intellettuale. Nominato senatore nel 1910 dal Sonnino, fece parte del ministero Giolitti per la Pubblica Istruzione dal 1920 al 1921. Anche dopo l'avvento del fascismo e' rimasto fermo a un liberalismo in cui predominano i motivi propri della sua cultura.
La filosofia del C. puo' denominarsi un "idealismo storico", in quanto enuclea dall'unita' dello spirito (ch'e' per lui il principio d'ogni realta') le forme ideali per la comprensione del mondo storico, e in questo risolve senza residuo la totalita' della vita spirituale come svolgimento perenne, attraverso quelle forme, dello spirito in se' stesso. La prima forma e' quella dell'arte o intuizione, in cui si esprime il sentimento (donde il carattere lirico fondamentale d'ogni opera d'arte); su essa s'innesta la riflessione critica, concettuale, come attivita' del pensiero logico, che trasforma l'intuizione in giudizio conoscitivo del reale storicamente determinato. Queste due forme sono gradi della stessa attivita' teoretica; oltre di questa e' l'attivita' pratica, le cui due forme s'ingradano, similmente a quelle teoretiche, in una prima, economica (in cui lo spirito e' volonta' utilitaria dell'individuale), e in una seconda, etica (la volonta' come legge o fine universale). Di queste distinzioni, benche' il C. v'insista non poco, egli ha via via smorzata notevolmente la schematicita' con una dialettica che gli permette di ritrovare la pienezza della vita spirituale in ognuna di esse: le quali, infatti, vanno vedute in concreto nella ricchezza di significato che acquistano per la chiarificazione e organizzazione dei concetti di valore che stanno a fondamento della cultura contemporanea. Qui il pensiero crociano, al quale contribuisce potentemente la freschezza e nitidezza della trattazione, lontana da ogni pedanteria e spesso anche letterariamente perfetta, si e' mostrato del tutto spregiudicato. Esso ha distrutto molti vieti abiti mentali, e soprattutto le superficialita' della cultura positivistica. Ma i suoi fondamenti o presupposti speculativi son da ricercare nella filosofia idealistica e spiritualistica che mosse da Kant nel secolo scorso. La nota piu' originale e' data qui dallo storicismo: lo spirito si realizza attuandosi nel contrasto (ch'e' insieme un'armonia) delle sue varie forme, in una circolarita' che non gli permette di posare in nessuna di esse, perche' lo spirito e' creativita' sempre nuova, in cui la vita e il pensiero si condizionano reciprocamente.
Il punto piu' criticato di questa dottrina e' quello riguardante il problema dell'unita' dello spirito, la quale in questo continuo distinguersi corre pericolo di spezzarsi e intellettualizzarsi in forme schematiche, con le quali riesce difficile poi ricostituire il senso dell'atto spirituale che nella sua pienezza concreta deve superare quelle distinzioní. Questo difetto e' anche quello piu' rimproverato al C. nelle sue opere di critica letteraria e di storia, nelle quali la vasta e sicura erudizione e' stata messa, si', a servizio di un senso della vita spirituale affinatosi con l'esercizio della speculazione filosofica; ma quel senso viene, anche, spesso sopraffatto da preoccupazioni teoretiche e, in definitiva, astratte. L'influsso di queste opere, specialmente di critica letteraria, e' stato grande in Italia, e anche fuori. Uscite per la maggior parte su La Critica, sono state raccolte via via in volumi: La letteratura della muova Italia (voll. 4); le note sulla letteratura europea del sec. XIX col titolo Poesia e non poesia; La poesia di Dante, Goethe, Ariosto, Shakespeare e Corneille, Storia dell'eta' barocca in Italia; e per la storia politica, Storia del Regno di Napoli, Uomini e cose della vecchia Italia, Storia d'Italia dal 1871 al 1915. Si aggiunga la Storia della storiografia italiana nel sec. XIX. Della sua infaticabile attivita' di studioso sono poi documento i lavori biografici e bibliografici intorno al Vico e al De Sanctis, e le edizioni di questi e di molti altri scrittori, classici della filosofia, letterati, pubblicisti di varia importanza, che ha curate o promosse. Per penetrare nell'indole propria della sua cultura e personalita' giovano le Conversazioni critiche, il vol. Cultura e vita morale, e soprattutto il Contributo alla critica di me stesso; le Lettere di G. Sorel a lui (pubbl. su La Critica) interessano pure non poco per questo lato; si possono aggiungere i Frammenti di etica e gli Elementi di politica (ora raccolti in un unico vol. Etica e politica), gli Aspetti morali della vita politica, e le Pagine sulla guerra.
*
Bibliografia: G. Prezzolini, B. C., Napoli 1909; E. Chiocchetti, La filosofia di B. C., Milano 1924, e B. C., Napoli 1924; H. Wildon Carr, The philosophy of B. C.: the problem of Art and History, Londra 1917; G. Castellano, Introduzione allo studio delle opere di B. C., III ed., Bari 1920; F. Flora, Croce, Milano 1927; R. Piccoli, B. C., New York e Londra 1923; F. Pardo, La fil. teoretica di B. C., Napoli 1927; G. Fano, La filosofia di B. C., in Giornale critico della filosofia italiana, IX (1928) e X (1929); U. Spirito, A. e L. Volpicelli, B. C., Roma 1929; A. M. Fraenkel, Die Philos. B. C. und das Problem der Naturenkenntnis, Tubinga 1929; G. Calogero e D. Petrini, Studi crociani, Rieti 1930.
2. MAESTRI. WALTER MATURI: BENEDETTO CROCE (VOCE NELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA - II APPENDICE, 1948)
[Dall'Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948), nel sito www.treccani.it]
Il pensiero del Croce nell'ultimo venticinquennio, pur con molteplici arricchimenti e approfondimenti, e' rimasto, in sostanza, quale si era manifestato nell'epoca prefascista ma la sua personalita' morale ha avuto modo di riaffermarsi con straordinaria energia. Uno degli elementi essenziali della sua fama, anzi, risiede appunto nella fermezza di carattere di cui ha dato prova in parecchi momenti della vita nazionale ed europea: "mentre tanti intellettuali perdevano la testa e non sapevano orientarsi nel caos generale, rinnegavano il proprio passato, ondeggiavano lamentosamente nel dubbio di chi fosse per essere il piu' forte, il C. e' rimasto imperturbabile nella sua serenita' e nell'affermazione della sua fede che metafisicamente il male non puo' prevalere e che la storia e' razionalita'" (Gramsci).
"Il mio liberalismo - scriveva il C. a un suo discepolo il 10 ottobre 1925 - e' cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi mettera' tra i vincitori o mi gettera' tra i vinti. Cio' non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto". E la sua polemica antifascista comincio', mirando a restaurare i valori della personalita' morale dell'individuo in tutti i campi dell'attivita' spirituale.
Il fascismo annullava l'individuo nello Stato; il C. negava che lo Stato fosse un'entita' e affermava che reale e' l'umano operare che si svolge attraverso i due gradi dell'azione utilitaria e dell'azione morale. Il liberalismo del C. non era un individualismo utilitario, come quello di John Stuart Mill, che abbassava lo Stato a strumento dell'edonismo dei singoli, ma un individualismo morale, che tratta lo Stato come mezzo o strumento di piu' alta vita. (Etica e politica, Bari 1930; Il carattere della filosofia moderna, ivi 1940).
Chiaritisi i problemi etico-politici nei loro rapporti d'interdipendenza dialettica, il C. si apri' il varco a una nuova concezione della storia politica, che egli ha definita appunto con la felice formula "etico-politica" (Storia economico-politica e storia etico-politica, in Etica e politica, III ediz., pp. 273-283). Con la storia etico-politica il C., oltre a soddisfare le opposte esigenze della storia della civilta' (Kulturgeschichte) e della storia politica (Staatsgeschichte), ha voluto superare quella scuola economico-giuridica, alla quale aveva contribuito a dare fondamento con la sua concezione del marxismo come canone d'interpretazione storica.
Nella Storia del Regno di Napoli il C. comincio' ad applicare le sue formule della storia "contemporanea" e della storia "etico-politica". Egli parte dall'interesse attuale della questione meridionale ma non vagheggia nostalgicamente il bel "Regno" indipendente del buon tempo antico, ne' piange sulla natura matrigna, alla quale il Mezzogiorno dovrebbe la sua eterna triste storia, bensi' ricostruisce la tradizione politica meridionale, che, iniziata alla fine del Seicento, ha condotto il Mezzogiorno a contatto con la vita moderna. Il concetto di decadenza sembra smentire una concezione progressiva, fondamentalmente ottimistica, della vita e della storia; orbene, il C. affronta lo studio d'una eta' ritenuta comunemente in Italia di decadenza - Storia dell'eta' barocca in Italia (1929) - e finisce col riabilitarla, non perche' riconosca un rinnovamento religioso nel trionfo della Controriforma o la positivita' del concetto di "barocco" in quanto nuova epoca del pensiero, dell'arte e della vita sociale, ma perche' trova nel Seicento "gli incunaboli" della nuova cultura e della nuova politica del Settecento. Parimenti nella Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928) egli mostra quali progressi abbia fatto in tutti i campi l'Italia in quel periodo cosi' prosaico, cosi' diverso dal brillante Risorgimento dei Mazzini, dei Cavour e dei Garibaldi. Infine nella Storia d'Europa nel secolo XIX (1932) lo studio della crisi morale e politica dell'Italia nel dopoguerra si slarga nello studio della crisi generale della liberta' nell'Europa, e nel romanticismo deteriore, nel torbido irrazionalismo viene identificato il disorientamento morale del nostro tempo. E il torbido irrazionalismo il C. combatte anche nel tentativo di staccare l'individuo dalla sua opera storica che e' la sua missione morale terrena, e di considerarlo quasi cieco "complesso di nervi, eccitabili e variamente eccitati" (Vite di avventure, di fede e di passione, Bari 1935 e polemica contro le biografie romanzate).
Dalla stessa esigenza nasce nel C. la scoperta della necessita' della personalita' morale dell'artista. Ne L'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte (comunicazione al congresso di filosofia di Heidelberg nel 1908, in Problemi di estetica, Bari 1910, pp. 1-30), il C. aveva affermato che per la sintesi estetica occorre sentimento, la commozione, insomma "una personalita' quale che sia", ma escludeva che si trattasse di personalita' morale. Nella Aesthetica in nuce (Napoli 1929), in seguito da un lato all'approfondimento del carattere di totalita' dell'espressione artistica e dall'altro alla polemica contro l'arte pura, l'arte per l'arte, la poesia ermetica, il C. giunge alla conclusione che "fondamento d'ogni poesia e' la personalita' umana e, poiche' la personalita' umana si compie nella moralita', fondamento d'ogni poesia e' la coscienza morale". Oltre la personalita' morale dell'artista, altre importanti conquiste dell'estetica crociana sono state il concetto nuovo di poesia popolare (Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1929) contro le infatuazioni neo-romantiche per il primitivo e la determinazione dell'ufficio positivo della letteratura, di cio' che veniva espunto come non poesia dalla storia artistico-letteraria (La poesia, Bari 1936) e la riprova del carattere eterno della poesia contro ogni materializzazione storica (Poesia antica e moderna, Bari 1940).
Vivendo in modo cosi' intimo ed elevato le sue dottrine etico-filosofiche il C. poteva difenderle dalla cosiddetta "rivolta morale contro lo storicismo" con il conseguente "ritorno alla ragione" del secolo XVIII e poteva far sua la fiducia espressa dal Meinecke che "lo storicismo risanera' le ferite che ha inflitte con l'aver reso relativi i valori, posto che vi siano uomini che lo convertano in schietta vita", avvertendo, pero', che lungi dall'aver danneggiato la saldezza dei valori, lo storicismo li aveva "tolti dal cielo dell'astratto, impiantandoli saldamente nella realta' della storia" e assicurando cosi' loro un'inesauribile vitalita' (La storia come pensiero e come azione, Bari 1938).
Avvicinandosi la fine del fascismo, la polemica del C., pur mantenendosi su un impeccabile piano culturale, lascia trasparire in modo piu' immediato l'azione politica in veste libresca. "Con opuscoli subito famosi quali Perche' non possiamo non dirci cristiani (Bari 1943) e quello sul comunismo (Per la storia del comunismo in quanto realta' politica, ivi 1943), C. precisa le somiglianze e le differenze, prefigura le tavole della nuova legge, abbozza i trattati di alleanza, gli atti addizionali e chiarificativi fra quei diversi che stanno accedendo al gran fronte comune" (Burzio).
Questo "gran fronte comune" si rivelo' apertamente nel 1943-1944 con la coalizione delle forze antifasciste nel CLN. Ricostituito il Partito liberale nell'ambito del CLN, il C. miro' alla restaurazione del regime liberale democratico prefascista. Per giungere a tal fine, prima ha lottato per ottenere l'abdicazione del re Vittorio Emanuele III, giudicata indispensabile dalle forze antifasciste per la loro andata al potere (Per la nuova vita dell'Italia: 1943-44, Napoli 1944); poi ha lottato contro le sinistre, che, col Partito d'azione all'avanguardia, tendevano alla creazione d'una nuova democrazia e ha molto contribuito alla caduta del ministero Parri (Pagine politiche: luglio-dicembre 1944, Bari 1945; Pensiero politico e politica attuale: 1945, ivi 1946); infine, nell'Assemblea Costituente (Due anni di vita politica italiana: 1946-47, ivi 1948), ha combattuto la formula politica del Tripartito, l'inclusione nella Costituzione dei Patti lateranensi, dell'impegno contro il divorzio e del disegno delle regioni (11 marzo 1947), e l'approvazione del dettato di pace (24 luglio 1947). Abbandonata la presidenza effettiva del Partito liberale italiano (30 novembre 1947) e in seguito anche quella onoraria (giugno 1948), il C. non tralascia la polemica politica contingente da un lato contro il comunismo e dall'altro contro la Democrazia cristiana, ma la sua principale attivita' e' ora concentrata nella direzione dell'Istituto italiano per gli studi storici da lui fondato nel 1947 a Napoli, e nei Quaderni della Critica con i quali dal 1945 continua - sia pure con meno perentorio impegno editoriale - la Critica (1903-44).
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Bibliografia: A. Mautino, La formazione della filosofia politica di B. C., Torino 1941; L. Russo, La critica letteraria contemporanea, II, Bari 1942; L'opera filosofica, storica e letteraria di B. C. (Saggi di scrittori italiani e stranieri scelti e tradotti da E. Cione e bibliografia dal 1921 al 1948 a cura di F. Laterza), Bari 1942; A. Parente, Il pensiero politico di B. C. e il nuovo liberalismo, Napoli 1944; La Rassegna d'Italia, I, nn. 2-3, febbraio-marzo 1946 (fascicolo tutto consacrato a B. C.); D. Mack Smith, The Politics of Senator Croce, in The Cambridge Journal, ottobre 1947, pp. 28-42; A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di B. C., Torino 1948.
3. MAESTRI. [REDAZIONALE]: BENEDETTO CROCE (VOCE NELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA - III APPENDICE, 1961)
[Dall'Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948), nel sito www.treccani.it]
Filosofo e storico, morto a Napoli il 20 novembre 1952.
Le opere piu' significative del C. nei suoi ultimi anni di vita sono: Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, 3 voll., Bari 1945-52; Discorsi di varia filosofia, 2 voll., ivi 1945, La letteratura italiana del Settecento, ivi 1949; Nuove pagine sparse, 2 voll., Napoli 1949; Filosofia e storiografia, Bari 1949; Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia, ivi 1950; Storiografia e idealita' morale, ivi 1950; Filosofia, poesia, storia, Milano-Napoli 1951 (scelta antologica degli scritti, con una compiuta cronologia, a cura dello stesso C.); Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari 1952; Terze pagine sparse, 2 voll., post., ivi 1955.
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Bibliografia: La Fiera letteraria, 15 febbr. 1953; Rivista di letterature moderne, apr.-giugno 1953; Rivista di filosofia, 1953, n. 3; Studium, genn. 1953; tutte dedicate al C.; autori vari, B. C., a cura di F. Flora, Milano 1953; F. Nicolini, B. C. erudito, C. e il "Cunto de li cunti", Come conobbi B. C., Tre saggi, in Banco di Napoli, Bollettino dell'Arch. Storico, n. 6, 1953, pp. 162-221; V. Sainati, L'estetica di B. Croce: dall'intuizione visiva all'intuizione catartica, Firenze 1953; C. Antoni, Commento a Croce, Venezia 1955; A. R. Caponigri, History and liberty. The historical writings of B. C., Chicago 1955; M. Abbate, La filosofia di B. C. e la crisi della societa' italiana, Torino 1955; E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari 1955; E. Cione, Bibliografia crociana, Milano 1956.
4. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
5. SCORCIATOIE. A PROPOSITO DELLE INIZIATIVE LEGHISTE CONTRO LA MAGISTRATURA (CON L'APPARIZIONE DI UN'AQUILA IN CLAUSOLA)
Che la magistratura sia attraversata dagli stessi conflitti dell'intera societa' lo abbiamo sempre saputo.
Che anche in essa vi siano potentati e affarismi non e' una novita'.
Ma le ricorrenti iniziative ieri berlusconiane e oggi leghiste contro la magistratura hanno come fine di esonerare i potenti dal rispetto delle leggi.
Ovvero impedire che le leggi siano la difesa del debole dall'abuso del forte.
Ovvero perseguire la demolizione dello stato di diritto fondato sulla Costituzione democratica ed antifascista per imporre di nuovo la violenza padronale senza controllo ne' limite alcuno; per imporre l'abolizione dei diritti delle oppresse e degli oppressi e ripristinare la dittatura dei "soprani der monno vecchio" per dirla col Belli.
Non c'e' bisogno di essere aquile per vederlo.
6. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: LA SEZIONE MAGNACOSCHI
Io manco ero nato quando la grande Cicciccippi' fini' per il tradimento infame e porco dei miserabili venduti ai vampiri sfruttatori capitalisti.
Fu un disastro mondiale frutto della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche', che i lacche' come lo dice la parola stessa sarebbero quelli che con la propria lingua medesima gli leccano i piedi alla congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti (mentecatti non lo so che significa).
A quei tempi manco ero nato, pero' le cose le so lo stesso, perche' oggi che c'e' internet tutti si possono informare che in rete c'e' tutto tutto e poi basta fare due piu' due e le cose le capisci da solo.
Io faccio parte della classe operaia anche se campo col reddito di cittadinanza che il lavoro ce lo sanno tutti che in italia non c'e' perche' ce lo rubano i negri e gli zingari crumiri.
Pero' io non ci ho niente contro i negri e gli zingari crumiri, e neanche contro le femmine e i drogati, perche' in quanto appartenente alla classe operaia lo so che sono sfruttati pure loro e allora dobbiamo fare un fronte comune contro la congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche'.
Io volevo fare il pilota sportivo ma quello e' un lavoro che solo i figli dei capitalisti lo possono fare perche' una ferrari quanto costa? Un miliardo? due miliardi? E come fa un proletario a comprarsela per allenarcisi e poi farci le corse? Un proletario sarebbe un appartenente alla classe operaia come io lo sono.
Che poi dello sport a me non me ne frega niente a parte il pallone e il biliardo che sono sport popolari che uno come me appartenente alla classe operaia ci puo' giocare, a biliardo al bar (se in quel bar ci hanno il biliardo) e a pallone per strada quando passano poche macchine che qui da noi verso sera ne passano poche.
Pero' non e' che mi accontento di essere un appartenente alla classe operaia, ci ho pure la coscienza di classe che significa che sono pure comunista: che un operaio se non e' comunista e' solo uno sfruttato, se e' comunista e' un uomo che lotta contro la schiavitu' per l'emancipazione dell'umanita'. E io in quanto appartenente alla classe operaia anche se disoccupato sono uno sfruttato, ma in quanto ci ho la coscienza di classe allora sono pure uno che lotta contro la schiavitu' per l'emancipazione dell'umanita', che e' tutta un'altra cosa da essere uno sfruttato e basta.
E per questo mi sono iscritto alla sezione Magnacoschi, che sarebbe l'articolazione di base dell'organizzazione rivoluzionaria del proletariato cosciente qui al paese.
La sezione si chiama Magnacoschi in onore di un grande poeta russo che mori' suicida per amore, che i poeti russi sono fatti cosi' che si suicidano per amore. Che a me non mi pare una cosa giusta, perche' se uno e' un comunista, pure se e' un poeta russo non si deve suicidare, perche' se un comunista si suicida allora avvantaggia la congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' che di niente ci hanno piu' paura che dei comunisti e non vedono l'ora che i comunisti si suicidano per amore cosi' poi sono liberi di sfruttare la classe operaia ancora di piu' di quanto gia' non la sfruttano adesso, che gia' la sfruttano parecchio, e pure troppo. Pero' se uno di mestiere fa il poeta allora che si suicida per amore e' una cosa che la puo' pure fare perche' e' coerente con la poesia che e' sempre poesia d'amore e come ti viene l'ispirazione per la poesia d'amore? Ti viene dall'amore. Se pero' poi non puoi fare l'amore con la donna che ami allora finisce pure la poesia, finisce tutto, si schianta la barca della vita e t'ammazzi. Non e' una cosa bella che un comunista s'ammazza, pero' se e' pure un poeta allora si puo' fare un'eccezione. Magari io non gliela intitolavo la sezione a Magnacoschi, che non e' un buon esempio per i militanti giovani che si sa che ci hanno le fregole loro e se restano soli c'e' il rischio che ci diventano ciechi a forza di commettere gli atti impuri da soli e allora e' meglio che s'innamorano, pero' se poi butta male e' meglio che non si suicidano ma magari si dedicano alle attivita' benefiche o allo studio dei classici del marxismo, o agli sport popolari come il pallone o il biliardo, e allora il compagno Magnacoschi non e' un buon esempio, era meglio il compagno Staccano', che invece di suicidarsi lavorava di piu' e non staccava mai, apposta si chiamava il compagno Staccano'. Pero' se il direttivo della sezione ha intitolato la sezione al compagno Magnacoschi lo sa il direttivo della sezione quello che e' giusto e a me mi sta bene. E' il centralismo democratico che e' una forma di democrazia partecipata superiore alla democrazia formale borghese che pare democrazia e invece e' solo dittatura astutamente camuffata da democrazia in modo che pare democrazia e invece e' solo dittatura come ho gia' detto. Oltretutto avere la sezione col nome di un poeta famoso e' una cosa bella, perche' da' un tono di cultura e a noi della classe operaia la cultura ci e' sempre piaciuta, che mille volte mi sono pentito di non aver voluto studiare quand'ero regazzetto che il babbo era contento se studiavo cosi' poi facevo un lavoro che stavi al caldo, non il bracciante come lui che infatti poi c'e' morto. Pero' da regazzetto che ne sapevo che studiare serviva davvero? A me da regazzetto mi piaceva di piu' di non studiare che mi credevo che non serviva a niente mentre andare a fare danni in giro mi pareva piu' divertente e piu' istruttivo, che lo vedi come e' facile che da regazzetto uno si sbaglia e per questo ci vuole il partito della classe operaia che e' il novello principe e l'intellettuale collettivo come diceva il compagno Granci, che finche' c'e' il partito della classe operaia quei puzzoni della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' se lo sognano che gliela diamo vinta: il partito della classe operaia non si arrende mai e risorge dalle sue ceneri e ci ha pure le sue canzoni che se lo sognano quelli della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' di averci le canzoni belle come quelle del partito della classe operaia come per esempio Bandiera rossa, l'Internazionale e Bella ciao. Che certo non le cantano a Sanremo, a Canzonissima, non le cantano no, perche' quei puzzoni della congiura mondiale dei vampiri sfruttatori capitalisti e dei loro mentecatti lacche' ce lo sanno che ogni volta che uno sente le canzoni del partito della classe operaia gli cascano le scaglie dagli occhi e si converte sulla via del tabasco e diventa pure lui un comunista. Io dico che il partito dovrebbe mettere un altoparlante su una macchina e poi girare il paese, le campagne casale per casale, tutti gli altri paesi, pure le citta' strada per strada, piazza per piazza, vicolo per vicolo a far sentire Bandiera rossa, l'Internazionale e Bella ciao e allora in quattro e quattr'otto tutta l'Italia diventerebbe comunista. Che sarebbe una bella cosa, una cosa buona e giusta. Quasi quasi glielo dico al segretario della sezione di proporlo pure alla federazione che magari poi lo potrebbe proporre al comitato centrale. Non c'e' bisogno che dicano che e' un'idea che mi e' venuta a me. A noi comunisti non ce ne frega niente della gloria, noi vogliamo solo il bene dell'umanita'.
7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: UN'ALTRA STORIA DELLA SEZIONE MAGNACOSCHI
La raccontava sempre l' zi' Nenne, era una storia di parecchio tempo fa ma di quelli che c'erano erano ancora vivi parecchi, e se la ricordavano tutti anche se non ne parlavano mai; solo l' zi' Nenne la raccontava, perche' era il segretario della sezione e quindi lo doveva fare per educare i compagni nuovi e quelli piu' giovani a non fare fesserie, che un comunista le fesserie non le deve fare perche' il comunista deve essere consapevole che il suo compito storico e' la liberazione dell'umanita' dallo sfruttamento e quindi tutte le sue energie devono essere indirizzate a questo fine sotto la guida del partito del proletariato e non alle scemenze come le collezioni dei francobolli, le parole crociate, le fornicazioni, guardare la televisione che dice solo quello che gli dicono di dire i padroni o fumare le sigarette che fanno venire il cancro.
Fu al tempo che nel partito si discusse se nello statuto ci doveva essere scritto "marxismo-leninismo" col trattino o "marxismo leninismo" senza trattino. E' una storia vera, pure se pare una favola: tutte le storie vere dopo un po' di tempo sembrano favole, e tutte le bubbole ci vuole un po' di tempo prima di capire che sono bubbole. Il materialismo storico e dialettico queste cose le sa spiegare bene, perche' il materialismo storico e dialettico e' lo strumento attraverso cui la classe operaia acquisisce coscienza e conoscenza, scienza ed esperienza dell'universo mondo; che il materialismo storico e dialettico sa spiegare tutto, da come si aggiusta un rubinetto al numero preciso delle stelle che ci sono in cielo che nessuno le saprebbe contare ma attraverso il materialismo storico e dialettico invece si'.
Siccome nel partito c'era la democrazia vera, non quella fasulla della dittatura borghese, la discussione su "marxismo-leninismo" col trattino o "marxismo leninismo" senza trattino si fece in tutte le sezioni e tutte le cellule del partito, e cosi' si fece pure nella sezione nostra qui al paese, la grande e gloriosa sezione Magnacoschi, intitolata al famoso compagno poeta russo che mori' suicida per amore e che il compagno Stalin aveva nominato massimo poeta della rivoluzione socialista, che non e' che ce ne erano tanti di massimi poeti della rivoluzione socialista, no, ce ne era uno solo, e quello era il compagno Magnacoschi cui era intitolata la sezione nostra qui al paese. Sono soddisfazioni.
Venne pure il compagno della federazione per tenere le conclusioni dell'attivo, che sarebbe l'assemblea plenaria di tutti gli iscritti. Di solito il compagno della federazione veniva qui al paese - che e' un paese parecchio fuori mano - solo per la festa del tesseramento, per la festa dell'Unita' quando si riusciva a farla, e per il comizio conclusivo della campagna elettorale; ma quella volta venne pure per l'attivo sul trattino o senza trattino, che a quei tempi era una cosa della massima importanza per la coscienza di classe del movimento operaio, per la pace nel mondo e per la rivoluzione socialista mondiale.
Ora. si sapeva che ci sarebbe stata battaglia, che a quel tempo quando si discuteva si discuteva, e come niente volavano le sedie, perche' i compagni erano tutti di provata fede bolscevica, e i compagni di provata fede bolscevica quando si discuteva si discuteva con tutti i sentimenti, poi dopo che si era votato allora valeva il centralismo democratico e il partito tornava ad essere una falange macedone, una legione romana, i tre moschettieri tutti per uno e uno per tutti. Ma quando si discuteva, prima di votare, volavano le sedie che fuori della sezione ci stava sempre l'ambulanza pronta. A quei tempi era cosi'.
Adesso vi devo dire di Schifanoia e Scannagatti, ch'erano due compagni che piu' compagni di loro c'era solo il compagno segretario del partito e capo della classe operaia in Italia onorevole compagno Palmiro Togliatti, che prima con il compagno Antonio Gramsci aveva fatto nascere la classe operaia in Italia, e dopo - che ormai il compagno Gramsci era morto per mano fascista - aveva fondato la repubblica democratica ed antifascista dopo aver sconfitto con una botta sola il tedesco lurco e il fascista inetto, soprattutto grazie all'Armata Rossa ma pure grazie alla Resistenza garibaldina e al Cln con la svolta di Salerno, quello che e' giusto e' giusto.
Erano pure amici, Schifanoia e Scannagatti, che si conoscevano dalle scuole elementari e s'erano sposati due sorelle, e uno faceva il barbiere come il compagno Germanetto e l'altro il bracciante, il muratore e il cavallaro che era il miglior domatore del paese e per questo lo chiamavano pure Tex oltre che Scannagatti. Scannagatti ce lo chiamavano si capisce dal nome perche'. La fame e' la fame, e Scannagatti di fame ne aveva fatta parecchia. Schifanoia invece gli dicevano Schifanoia perche' non si fermava mai, pareva che ci avesse un motorino incorporato, che c'era qualcuno che gli dava sempre la carica e lui diceva che la carica gliela dava l'indignazione dinanzi alle ingiustizie. E chiacchierava sempre, piu' del farmacista e del prete messi insieme.
Successe cosi': che Schifanoia pensava che nello statuto del partito ci doveva essere scritto "marxismo-leninismo" col trattino, e invece Scannagatti che era uguale pure senza trattino, che sono differenze che se ne accorgono solo i professori borghesi parassiti e perdigiorno e invece alla classe operaia e contadina non gliene frega niente a nessuno, bastava che nello statuto c'era marxismo e c'era leninismo, poi se ci mettevi il trattino, la parentesi o il punto e virgola erano cose senza importanza. Invece Schifanoia diceva che non era vero che erano cose senza importanza, che se si levava il trattino che prima c'era sempre stato si deviava dalla retta via e il deviazionismo e' un delitto contro la classe operaia come il frazionismo e come il riformismo del rinnegato Causchi. Mo', dove l'aveva imparate tutte 'ste cose il compagno Schifanoia non lo sapeva nessuno; e' vero che la bottega del barbiere e' un posto dove si chiacchiera parecchio, ma di solito si chiacchiera delle partite di pallone o delle corse di cavalli o delle femmine pittate.
A Scannagatti gli pareva che Schifanoia diceva cosi' per darsi importanza e allora un giorno glielo disse in faccia: "Tu dici cosi' solo per darti importanza". E Schifanoia gli rispose: "Ah si'? Vediamo stasera all'attivo vediamo". E che c'entra? Neppure l' zi' Nenne lo sapeva che c'entrava, pero' s'era capito gia' da allora che la sera sarebe stata battaglia. Per fortuna che c'era il compagno della federazione. E pure l'ambulanza di fuori.
Cosi' quella sera all'attivo della sezione c'erano proprio tutti perche' si sapeva che Schifanoia e Scannagatti avrebbero fatto scintille, e chi se lo voleva perdere lo spettacolo?
Perche' con tutto che erano amici, pero' Schifanoia e Scannagatti erano due nature colleriche (diceva sempre proprio cosi' l' zi' Nenne: "due nature colleriche", chissa' che vuole dire) e pigliavano fuoco subito come due cerini. E allora era un bel cinemetto, che al paese divertimenti non ce ne sono, cosi' se c'era un bel cinemetto tutto il paese ci veniva, e la sezione si riempiva al punto che la gente si portava le sedie da casa e bisognava tenere aperta la porta perche' c'erano quelli che si mettevano seduti di fuori perche' tutti dentro non ci si entrava.
Dopo che il compagno segretario fece la relazione introduttiva prese subito la parola Scannagatti. Non fece in tempo a dire che per lui il trattino non significava niente che era una cosa che interessava solo alla cricca dei borghesi, degli aristocratici militaristi e dei latifondisti assenteisti che se ne stanno a Parigi a far prostituire le figlie del popolo, che subito Schifanoia gli fu addosso gridando: "Mo abbasta co' 'st'eresie troschiste, mo' abbasta co' 'ste bestemmie da nemici del popolo". Ma Scannagatti gia' s'era inquartato che se l'aspettava, e cosi' furono sganassoni subito. Poi, come succede, dagli sganassoni si passo' alle sediate, dale sediate ale coltellate, e il rasoio di Schifanoia apri' mezzo collo - tutta la parte davanti, da orecchio a orecchio - a Tex, che successe senza volere, come succedono sempre 'ste cose che se la gente ci pensasse non lo farebbe mai di ammazzare un cristiano per una questione di parole (e manco di parole: di trattini tra le parole), invece succede sempre cosi', che per una questione di parole qualcuno ci stira le zampe. Con tutto che ci aveva la gola aperta e le canne dentro il collo che schizzavano sangue come un fontanile, Scannagatti fece in tempo a dire: "ma ch'hai fatto, Schifano'?". E Schifanoia fece in tempo a rispondere: "E che ne so?". Lo ripete' tre o quattro volte e non disse altro. In piazza quella sera c'erano pure i carabinieri che erano venuti come tutti a vedere il cinemetto e qundi assistettero al delitto in flagrante e immantinente si portarono sul Giordano Degli Esposti mentovato Schifanoia e procedettero al di lui arresto con requisizione dell'arma del delitto nella persona di rasoio professionale da barbiere profedìssionista con regolare licenza ed esercizio in questa medesima piazza Umberto I al civico numero 3. Se lo bevettero cosi', mentre la gente guardava e non riusciva a fare niente, con tutto che tutti se ne erano accorti che era stato un incidente e non un delitto. Lo processarono per direttissima la mattina dopo e gli diedero trent'anni perche' era comunista,poi siccome aveva partecipato alle rivolte gliene fecero fare pure altri dieci.
Quando usci' dalla galera non pareva piu' lo stesso di prima, che prima era un galletto e adesso sembrava un'ombra, sempre zitto e torvo come un fantasma, come un vampiro.
Al partito continuava a rinnovare la tessera perche' un comunista resta un comunista per sempre, pero' alle riunioni non interveniva piu', stava seduto li' e non diceva niente, l'unica cosa che faceva era di alzare la mano quando era il momento di votare l'approvazione della relazione introduttiva e la mozione conclusiva; stava tutto il giorno al bar e non parlava con nessuno; quando qualcuno gli chiedeva del trattino diceva che non gli andava di parlarne, che se il partito decide una cosa lo sa quello che fa, che il partito e' milioni di mani strette in un unico pugno, ma lo diceva con un tono di voce spento, che pareva che non era neppure lui che parlava ma uno che stava dentro di lui come se lui fosse morto e dentro ci abitava un altro. La gente ci aveva paura di sentire quella voce, cosi' smisero di parlargli e andava bene cosi'. La bottega da barbiere l'aveva dovuta vendere per pagare l'avvocato. La pensione andava tutta in campari e cognacchini. Sopravviveva grazie alla moglie, e alla cognata, che dopo la morte di Scannagatti era andata a vivere con la sorella. Facevano le lavandaie e quando capitava pure le serve per la gente ricca e sopravvivevano cosi'; da giovani erano state operaie in una fabbrichetta che poi era fallita e il padrone si era rubato tutti i soldi, che erano parecchi ma parecchi soldi, che lo stato gli aveva regalato per aprire la fabbrichetta nel paese che era considerato area depressa, che in effetti area depressa era veramente allora come e' pure oggi. La cognata a Schifanoia non gli disse mai niente, ne' una parola sgarbata ne' niente; stava sempre zitta; al paese usa cosi', i lutti durano sempre. Lui mori' qualche anno dopo, figli non ce li aveva. La moglie e la cognata dicono che sono ancora vive, ma ci hanno l'alzheimer tutte e due e stanno in una casa di cura non so dove. Se poi e' vero che sono ancora vive.
E' una storia triste, no? Ma tutte le storie sono tristi, e la storia, quella con la esse maiuscola, quella e' la piu' triste di tutte.
L' zi' Nenne raccontava sempre 'sta storia agli iscritti nuovi e ai ragazzi della federazione giovanile perche' lo dovevano sapere che quando si discute si devono usare solo le parole che tanto grazie al centralismo democratico il partito alla fine fa sempre la scelta giusta, perche' ci ha lo strumento infallibile del materialismo storico e dialettico.
La gente non ci ha cuore di dirglielo al zi' Nenne che fuori dal paese nostro il partito da trent'anni non c'e' piu'.
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 119 del 21 giugno 2021
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