[Nonviolenza] Telegrammi. 4141



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4141 del 20 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: Le morti annunciate. Un compianto funebre per Adil Belakhdim
2. Segnalazioni librarie
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'

1. L'ORA. GIOBBE SANTABARBARA: LE MORTI ANNUNCIATE. UN COMPIANTO FUNEBRE PER ADIL BELAKHDIM

L'uccisione di Adil Belakhdim, militante sindacale, ennesima vittima della violenza padronale, rivela cosa sia diventata l'Italia negli ultimi decenni.
Nel comparto della logistica lo sfruttamento della forza-lavoro si svolge ormai in condizioni palesemente semi-schiaviste e in una sorta di regime neo-coloniale: la mano d'opera in gran parte immigrata subisce il doppio sfruttamento del ricatto schiavista padronale e dell'apartheid imposto da uno stato che nel corso dei decenni oltre che come comitato d'affari della borghesia (e della rendita) sempre di piu' si e' fatto - nel suo ceto politico ed amministrativo e nelle sue effettuali strutture e dinamiche di potere - razzista e fascista.
Oppressione di classe e razzismo sono qui una cosa sola. Chi organizza la resistenza e' aggredito, perseguitato, ucciso.
Cosi' come ogni giorno la deregolamentazione imposta dal capitalismo selvaggio uscito vincitore dal secolo breve uccide lavoratrici e lavoratori vittime sia di patologie legate alle condizioni imposte dai datori di lavoro sia di incidenti sul luogo di lavoro determinati da ritmi sempre piu' frenetici e modalita' organizzative sempre piu' brutali: e sono morti che sempre si potevano evitare se soltanto si fossero disposti adeguati sistemi e protocolli di salubrita' e sicurezza, se soltanto si fossero rispettati i diritti sanciti dalla Costituzione della Repubblica italiana, se soltanto le lavoratrici e i lavoratori non fossero costretti a subire rapporti di dominio e alienazione sempre piu' disumani.
Le lotte operaie nella logistica - come quelle bracciantili contro il caporalato - sono lotte di resistenza per difendere condizioni minime di umanita', e quindi di civilta': hanno quindi un valore generale, che coinvolge l'umanita' intera; hanno un valore generale che le ricollega alla resistenza antifascista, al movimento antischiavista, alle plurisecolari lotte per la conquista dei diritti umani fondamentali per tutti gli esseri umani.
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Oggi il capitalismo ha trionfato su scala mondiale, non vi e' paese al mondo che non gli sia asservito: la stessa Cina, che pure ha un regime politico caratterizzato dal partito unico e un'ideologia statuale che si pretende socialista, nella realta' e' un paese esso stesso ipercapitalista e doppiamente totalitario: nei confronti degli esseri umani in quanto lavoratori, e nei confronti degli esseri umani in quanto cittadini. Della Russia non v'e' bisogno di dire.
La lotta della classe lavoratrice contro lo sfruttamento, che ebbe nel Manifesto del 1848 e nella fondazione della prima Internazionale il suo storico punto di riferimento teorico ed organizzativo, ha conosciuto sul finire del Novecento una sconfitta epocale delle prospettive socialiste, che peraltro neppure nei paesi del cosiddetto "socialismo reale" avevano potuto realizzarsi, represse nel sangue e nella schiavitu' dai regimi totalitari li' instauratisi.
Ma questa sconfitta del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita' significa forse che sara' sempre impossibile realizzare una societa' giusta e solidale?
Io non lo credo.
Credo invece che il sistema capitalistico per le sue caratteristiche intrinseche e fondanti non possa che trascinare l'umanita' nel baratro.
Credo che un sistema economico fondato sulla "crescita illimitata" cozzi contro i limiti naturali della biosfera e non possa che devastarla.
Credo che un'organizzazione produttiva e riproduttiva fondata sull'accumulazione crescente e tendenzialmente infinita del capitale astratto ai danni del lavoro vivo, ovvero sulla rapina e sull'alienazione dell'umanita', cosi' come sulla devastazione ed il divoramento consumista della natura non possa garantire alcun degno futuro all'umanita', alla cui stragrande maggioranza impone sofferenze crescenti e violenze abominevoli, e spinge a un disastro tale da minacciare l'estinzione della civilta' e finanche della stessa presenza umana nel mondo.
Sono da piu' di mezzo secolo un comunista antitotalitario: comunista perche' persuaso dell'eguaglianza di dignita' e diritti di tutti gli esseri umani, e quindi del dovere della condivisione fra tutte e tutti di tutto il bene e di tutti i beni, applicando la massima antica e perenne che suona "agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che esse agissero verso di te"; e quindi: "opera per una societa' in cui da ciascuno sia dato a seconda delle sue capacita' ed a ciascuno sia dato a seconda dei suoi bisogni"; e quidni "agisci in modo che in ogni tua azione tu sia l'umanita' come dovrebbe essere". Ed antitotalitario perche' consapevole che il limite e l'imperfezione, la carenza e il bisogno di aiuto, l'inevitabile comune esposizione al dolore e alla morte, sono dati costitutivi dell'esistenza umana, e nessun regime deve mai poter prevalere sui fondamentali diritti di ogni persona: alla vita, al riconoscimento di dignita', alla solidarieta' che salva le vite, alla condivisione del bene e dei beni, alla sobria felicita', alla civile convivenza, al dono e al perdono, alla responsabilita' per l'altra persona, per l'umanita' intera, per l'intero mondo vivente: ogni essere umano ha diritto alla liberta'; senza liberta' non si da' giustizia, cosi' come non si da' giustizia senza liberta'.
Da quando raggiunsi l'eta' della ragione anch'io mi arrovello sulla possibilita' obiettiva e sulle necessarie caratteristiche di una gestione socialista e libertaria della civile convivenza e delle risorse necessarie alla vita comune, al bene comune nella valorizzazione e nella salvaguardia dei beni comuni.
Credo che una gestione socialista e libertaria della vita dell'umanita' sia possibile oltre che necessaria. Anche se ben poche possono sembrare le esperienze storiche rispetto al diluvio di male imposto all'umanita' dai poteri dominanti, tuttavia queste esperienze di liberazione e di solidarieta' efficace, di condivisione responsabile e adeguata ai bisogni, si sono pur date, e sia pure per brevi periodi ed ambiti limitati e tra mille conflitti e contraddizioni; ed anche se esse date non si fossero, resterebbe comunque la persuasione che anche se fino ad oggi non si fosse mai realizzata la giustizia e la liberta', questo nulla dimostra contro la possibilita' che domani esse si possano realizzare: e per questo - per l'affermazione concreta ovvero l'inveramento effettuale dell'eguale dignita' e degli eguali diritti di tutti gli esseri umani - vale comunque la pena battersi sempre. Salvare le vite e' il primo dovere.
Ma e' poi vero che poche siano state le esperienze di progresso reale nell'inveramento della dignita' umana? Io credo sia vero piuttosto il contrario. Tutte le le grandi esperienze storiche di affermazione della democrazia e dei diritti sono altrettanti passi verso la realizzazione del fine dell'umanizzazione dell'umanita', verso il riconoscimento dell'umanita' di ogni essere umano, verso l'universale responsabilita' e solidarieta'.
La socializzazione dei mezzi di produzione non porta necessariamente ai gulag; mi sembra sia vero piuttosto il contrario: che la rapina da parte delle classi sfruttatrici e dominatrici (di qualunque casacca esse si ammantino e comunque si camuffino) rende tutto il mondo una prigione.
A chi pretende d'imporre lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo come stadio insuperabile della vicenda umana, mi sembra si possa e si debba opporre il motto di Rosa Luxemburg che nel capitalismo individuava la barbarie e al socialismo affidava la salvezza dell'umanita' (quel socialismo libertario che la portava ad opporre ad ogni autocrate la considerazione che "la liberta' e' sempre la liberta' di chi la pensa diversamente").
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Temo che anche la morte di Adil Belakhdim sara' presto dimenticata, come altre avvenute in circostanze analoghe che l'hanno preceduta; e temo che altre morti seguiranno ancora.
Ma penso anche che lo strazio che oggi per questa morte proviamo deve muoverci ad insorgere nonviolentemente per far cessare tutte le uccisioni, per far cessare schiavitu' e razzismo, per far cessare il "disordine costituito" dei mangiatori di carne umana.
Penso che la morte di Adil Belakhdim deve essere un momento di verita', un'ora di parresia.
Tutto si tiene. Il conflitto di classe, ovvero tra gruppi sociali tra loro legati da relazioni di sfruttamento e rapporti di dominazione tali per cui un'esigua minoranza di soverchiatori godono di privilegi immensi derubando e vampirizzando la stragrande maggioranza dell'umanita'; il razzismo, ideologia e pratica finalizzata alla riduzione in schiavitu' che nega l'umanita' della stragrande maggioranza degli esseri umani; il militarismo, che e' l'organizzazione e l'istituzionalizzazione della violenza da parte dei potenti per tenere asserviti nel terrore e nel sangue la stragrande maggioranza dell'umanita'; il maschilismo, che e' la prima radice e il primo paradigma di tutte le violenze. Tutto si tiene. Ed unica e' la lotta per la liberazione dell'umanita'.
A questa necessaria lotta per affermare la dignita' umana di tutti gli esseri umani, per la liberazione dell'umanita' intera, per realizzare una civile convivenza che nessuna persona opprime od esclude, Adil Belakhdim ha dato il suo cotnrinuto fino all'estremo.
Non lo dimenticheremo.
Anche nel suo ricordo proseguiremo la lotta comune.
E qui e adesso anche nel suo ricordo torniamo ad affermare che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.
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Mi permetto di allegare in calce uno scritto di qualche anno fa di un vecchio amico che accompagna e per cosi' dire introduce due testi di Franco Fortini su cui come tante e tanti anch'io ho lungamente meditato; spero queste antiche parole possano essere di qualche utilita' a chi leggere vorra' queste righe.
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Allegato primo. Un'opinione espressa in due parole in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx (2018)

Ricorre il 5 maggio 2018 il bicentenario della nascita di Karl Marx, che fu all'incirca coetaneo di Mazzini e di Bakunin, di Garibaldi e di Darwin, di Dickens e Flaubert, di Tolstoj e Dostoevskij.
Visse perseguitato, in esilio e in poverta', la maggior parte della sua vita, e tutta la dedico' allo studio della societa' e alla lotta contro l'ingiustizia, per la liberazione dell'umanita' da ogni oppressione.
Scrisse col sodale di tutta una vita, Friedrich Engels, il migliore degli amici, il programma politico forse piu' letto nella storia dell'umanita', quel Manifesto del partito comunista che come l'Apologia di Socrate e il Discorso della Montagna ha nutrito la speranza e la lotta di liberazione d'innumerevoli esseri umani.
Uomo del XIX secolo, un tempo ormai assai lontano da noi - tanto veloci ed incommensurabili sono stati i mutamenti da allora -, la sua voce ancora ci parla e ci aiuta a capire noi stessi e il mondo, il nostro dolore e i nostri doveri, come quelle dei tragici greci, di Lucrezio, di Dante, di Cervantes, di Shakespeare, di Leopardi, di Virginia Woolf, di Simone Weil e di Hannah Arendt. Tutto l'essenziale del pensiero e dell'azione di chi si e' battuto per la verita' e la giustizia, di chi ha operato per il bene dell'umanita', e' ancora vivo e vivificante, a condizione che tu sappia rileggerlo ed interpretarlo, sentirlo ed agirlo criticamente e concretamente, con la mente, il cuore, il braccio.
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Chi ha letto Marx, e non la delirante dogmatica inchiodatagli addosso da chi volle farne un grottesco feticcio assetato di sangue, e lo ha letto sapendo inserire quei testi nel contesto loro, quella vita nel suo tempo, quell'azione nel movimento di cui fu e volle essere parte, ne ha appreso alcune cose che non puoi piu' dimenticare.
Che come te le altre persone esistono e soffrono, e nessuna persona e' un'isola, e nessuna azione o omissione e' indifferente; che la tua dignita' e liberta' e' legata alla dignita' e liberta' altrui; che dal discernere il bene dal male deve scaturire l'azione buona; che oltre il livello meramente biologico la nostra vita si da' sempre situata nella cultura e nella societa', nella trama delle relazioni tra gli esseri umani, le complesse strutture da loro create, il mondo vivente di cui siamo parte; che esiste un'alternativa allo sfruttamento, alla violenza, alla distruzione dell'umanita' e della natura, e questa alternativa e' la solidarieta' tra le persone oppresse che contro ogni menzogna e contro ogni oppressione si sollevano e costruiscono ad un tempo la condivisa comprensione del mondo, la condivisa responsabilita' per il bene comune, la giustizia e la misericordia; che un modo di produzione e riproduzione sociale che deruba e schiavizza ed aliena gli esseri umani e avvelena e devasta e distrugge il mondo vivente non puo' che portare l'umanita' alla catastrofe; che chi prende coscienza di questa situazione ha il dovere di lottare affinche' si realizzi quell'alternativa che ad ogni essere umano riconosce il diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'; ha il dovere di lottare per difendere dalla distruzione quest'unico mondo vivente di cui siamo parte, abitanti e custodi.
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L'economia, che nell'etimo e' la legge della casa comune, deve inverarsi nell'ecologia, che nell'etimo e' la conoscenza e il discorso e quindi l'azione per il bene della casa comune e dei suoi abitanti tutti.
Lo smascheramento della strutturale iniquita' e tendenziale catastroficita' della macchina predatoria e divoratrice del capitale astratto in danno degli esseri umani e della natura, e la rivendicazione del primato dell'umanita' e della biosfera di contro alla onnidistruttiva massimizzazione del profitto del meccanismo rapinatore, deve inverarsi nell'impegno comune affinche' il bene ed i beni siano messi in comune, affinche' da ogni persona sia dato alle altre in ragione delle sue capacita', e ad ogni persona sia dato dalle altre in ragione dei suoi bisogni.
Il lavoro, perno della produzione e riproduzione sociale, chiave della relazione tra umanita' e natura, deve cessare di essere patimento e schiavitu', e divenire condivisa esperienza di verita', di responsabilita', di liberta'. Nella libera e generosa assunzione del proprio dovere per il bene comune, anche il lavoro piu' umile e faticoso, se effettivamente necessario e condiviso da tutti, diviene pratica di umanizzazione.
Chiamiamo nonviolenza questa comprensione dell'unita' del genere umano e del mondo vivente.
Chiamiamo nonviolenza questa personale e collettiva assunzione di responsabilita'.
Chiamiamo nonviolenza la lotta che ad ogni violenza si oppone.
Chiamiamo nonviolenza questa scelta di universale solidarieta'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno concreto e coerente per la liberazione dell'umanita'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno in difesa di quest'unico mondo vivente.
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Allego in calce a queste poche righe due brevi testi di Franco Fortini che sono per me parte integrante della trama di ragionamenti e di scelte che qui per cenni e di scorcio ho cercato ancora una volta di riassumere.
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Allegato secondo. Franco Fortini: Marxismo
[Da Franco Fortini, Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 145-149. Era primieramente apparso sul "Corriere della sera" del 29 marzo 1983]

Quelli che hanno la mia eta' Marx l'hanno letto alla luce delle nostre guerre. Hanno sempre sentito chiamare marxista chi le potenze delle armi, del profitto o del potere avevano voluto ridurre al silenzio. "E tu come li chiami i popoli oppressi o uccisi in nome di Marx?", mi si chiedera' ora; forse supponendo che non abbia trovato il tempo, finora, di chiedermelo. Rispondo che sono dalla mia parte. Li conto insieme a quelli che dal Diciassette, quando sono nato, sono nemici dei miei nemici, a Madrid come a Shanghai, a Leningrado come a Roma, a Hanoi, a Santiago, a Beirut... I cacciatori di "bestie marxiste" (cosi' si esprimono) devono sempre aver avuto difficolta' ad apprezzare le differenze teoriche fra marxiano, marxista, socialista, comunista, bolscevico e cosi' via.
Mi spieghero' meglio, per loro beneficio. C'e' una foto russa, del tempo della guerra civile: un plotone di morti di fame, in panni ridicoli, cappellucci alla Charlot in testa, scarpe slabbrate; e a spall'arm i fucili dello zar. Questo e' marxismo. C'e' un'altra foto, Varsavia 1956, un giovane magro, impermeabile addosso, sta dicendo nel microfono, a una sterminata folla operaia che il giorno dopo l'Armata rossa, come a Budapest, puo' volerli morti o deportati. Anche questo e' marxismo. Con chi queste cose dice di non capirle, di marxismo e' meglio non parlare neanche.
Un certo numero di italiani miei coetanei sparve anzitempo dalla faccia della terra, combattendo borghesi e fascisti. Grazie a loro se le forze dell'ordine volessero perquisirmi, potrei mostrare che sul miei scaffali invecchiano le opere di Marx, di Lenin e di Mao, senza temere, ancora, di venire trascinato alla tortura e alla fossa com'e' accaduto e ogni giorno accade a poche ore di aereo da casa nostra. Dieci o quindici anni fa poco e' mancato che la civica arena o il catino di San Siro non accogliessero, come lo stadio di Santiago del Cile, le "bestie marxiste". So chi mi avrebbe aiutato, in quel caso: non sarebbero stati davvero quelli che mi conoscono perche' hanno letto i miei libri. E ora approfitto di queste righe per salutare Alaide Foppa, mia collega di letteratura italiana a Citta' di Messico. La conobbi anni fa. In questi giorni ho saputo chi l'ha ammazzata, in Guatemala. Anche questo e' marxismo.
Cominciai nel 1940 col Manifesto, per consiglio di Giacomo Noventa e Giampiero Carocci; senza alcun entusiasmo. Capii poi qualcosa da Trockij e Sorel. Durante la guerra vissi in fanteria un buon corso di marxismo pratico. A Zurigo, nell'inverno 1943-44, non so quanti libri lessi, riassunsi e annotai, che parlavano di socialismo e di materialismo storico. Si faceva fuoco di ogni frasca, allora. Un opuscolo in francese, ricordo, mi fu molto utile; l'aveva scritto un tale che firmava con lo pseudonimo, seppi poi, di Saragat. L'apprendistato comprendeva testi anche troppo disparati: Malraux e Rosselli, Victor Serge e Silone, Mondolfo e Eluard...
A guerra finita vennero letture meno selvagge: le opere storiche (Le lotte di classe in Francia, Il diciotto brumaio, La guerra civile in Francia), parte della Sacra famiglia, i primi capitoli, splendidi di genio e forza sintetica, della Ideologia tedesca, i due volumi del primo libro del Capitale, e a partire dal 1949 quei Manoscitti economico-filosofici del 1844 oggi tanto derisi e che mai hanno cessato di stupirmi per la loro capacita' di guidarci da Hegel fino ai giorni che ancora ci aspettano; e di dirci parole di incredibile attualita'. E altro ancora.
Dopo vent'anni di diatribe storico-filologiche sul primo e il secondo Marx; dopo Lukacs e Sartre, Bloch e Sohn-Rethel, Adorno e Althusser, Mao e gli amici torinesi di "Quaderni rossi", a quelle pagine non ho piu' sentito il bisogno di tornare se non nei termini di cui parla Brecht in una poesia intitolata, appunto, "Il pensiero nelle opere dei classici":

Non si cura
che tu gia' lo conosca; gli basta
che tu l'abbia dimenticato...
senza l'insegnamento
di chi ieri ancora non sapeva
perderebbe presto la sua forza rapido decadendo.

Non stiamo commemorando la nostra giovinezza. Anche se fondamentale, quel pensiero non e' se non un passaggio dell'ininterrotto processo che porta da luce a oscurita' poi ad altra luce, e dal credere di sapere al sapere di credere. Se ne compone (come quella di chiunque) la nostra esistenza. O per la gioia dei piu' sciocchi dovremmo ripetere qual che ci sembra di aver detto sempre e cioe' di non aver creduto mai che il pensiero di Marx potesse fungere da chiave interpretativa del mondo piu' o meglio di quanto lo faccia, ad esempio, la poesia dell'Alighieri? Una educazione alla storia ci faceva almeno intravvedere quel che era stato detto e fatto ben prima e sarebbe stato detto e patito molto dopo di noi.
Quando, per l'Italia, almeno dal 1900, data del libro di Croce, ci viene ogni qualche anno ripetuto che quella di Marx e' filosofia superata, non ho difficolta' ad ammetterlo; sebbene subito dopo domandi che cosa significa superare la filosofia di Platone o di Kant. Quando ci viene spiegato che la teoria marxiana del valore o quella sulla caduta tendenziale del saggio di profitto sono manifestamente errate, non ho difficolta' ad ammetterlo; anche perche' mai l'ho impiegata per capire come vadano le cose di questo mondo. Quando mi si dimostra che l'idea, certo marxiana, di un passaggio dalla preistoria umana alla storia mediante la fine della proprieta' privata, dello Stato e del lavoro alienato, si fonda su di una antropologia fallace e senz'altro smentita dai "socialismi reali", apertamente lo riconosco; anche perche' ho sempre attribuita la figura d'un progresso illimitato all'errore che afferma la indefinita perfettibilita' dell'uomo, un errore illuministico-borghese che Marx ebbe a ereditare.
Ma quando mi si dice che la teoria delle ideologie e' falsa, che la lotta delle classi e' una favola e che il socialismo e' una utopia senza neanche l'utilita' pragmatica delle utopie, chiedo allora un supplemento di istruttoria. Primo, perche' il pensiero epistemologico contemporaneo, dalla critica psicanalitica del soggetto fino alla semiologia, conferma la fine d'ogni immediata coerenza fra parola, coscienza e realta', come fra mondo e concezioni del mondo; secondo, perche' a tutt'oggi e' difficile negare - e lo si sapeva ben prima di Marx - l'esistenza di ininterrotti conflitti di interessi fra gruppi umani per il possesso dei mezzi di produzione e la ripartizione del prodotto sociale; conflitti determinati dai modi del produrre e determinanti l'assetto, o lo sconvolgimento, dell'intera societa'. Per quanto e' del terzo ed ultimo punto, convengo volentieri che esso rinvia ad una persuasione indimostrabile.
La volonta' di eguaglianza e giustizia pertiene alla politica solo grazie alla mediazione dell'etica e della religione. Marx non ne ha data nessuna ragione migliore. Indipendentemente da ogni mito perfezionista, credo si debba continuare a volere (un volere che implica lotta) una sempre piu' sapiente gestione delle conoscenze e delle esistenze. Il "sogno di una cosa" e' la realizzata capacita' dei singoli e delle collettivita' di operare sul rapporto fra necessita' e liberta', fra destino e scelta, fra tempo e attimo.
Il movimento socialista e comunista si e' fondato per cent'anni su quel che si chiamava l'insegnamento di Marx. Ne era parte maggiore l'idea che il passaggio al comunismo dovesse essere conseguenza dello sviluppo delle forze produttive, della industrializzazione e della crescita della classe operaia; e compiersi con una pianificazione centralizzata. In questi nodi di verita' e di errore si e' legato il "socialismo reale". Oggi gli esiti del passato ci impediscono di guardare al futuro. Sono esiti tragici non solo per cadute politiche, economiche o culturali ne' solo per costi umani; ma perche', anche al di fuori dei paesi comunisti, il "marxismo reale" ha accettato il quadro mentale del suo antagonista: primato della tecnologia, etica della efficienza, sfruttamento dei piu' deboli. Sembrano falliti tutti i tentativi per uscire da questa logica: massimo quello cinese. Eppure, Bloch dice, non e' stata data nessuna prova che quella uscita sia impossibile. L'eredita' marxiana e' divisa: una meta' e' ancora nostra, l'altra e' dei nemici del socialismo e comunismo, sotto ogni bandiera, anche rossa.
Quanto alla mente geniale morta cent'anni fa, e' anche grazie ad essa che e' stato ridimensionato il ruolo delle grandi personalita' e dei loro sepolcri. Pero' ho visitato con commozione a Parigi il Muro dei Federati, a Nanchino la Terrazza della Pioggia di Fiori o dei Centomila Fucilati; mi fosse possibile, andrei a onorare i morti dei Gulag: sono tutti di una medesima parte, tuttavia parte; non ipocrita bacio tra vittime e carnefici. Marx ci ha infatti insegnato a capire una volta per sempre quale opera implacabile gli ignoti, gli infiniti vinti vincitori, compiano entro le societa' che preferirebbero ignorarli ed entro di noi; quali cunicoli scavino, quali fornelli di mina preparino anche in coloro che li odiano per aver voluto qualcosa che interi popoli oppressi continuano, morti e vivi, a volere. Tutta la storia umana, ci dice, deve essere ancora adempiuta, interpretata, "salvata". E o lo sara' o non ci sara' piu' - sappiamo che e' possibile - nessuna storia. O ti interpreti, ti oltrepassi, ti "salvi" o non sarai esistito mai.
L'amico di Federico Engels non e' stato davvero il primo a dircelo. L'ultimo si'. E meglio ancora ogni giorno lo dice, oscuro a se stesso, "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" (Ideologia tedesca, 1845-46, I, a). Anche questo e' marxismo.
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Allegato terzo. Franco Fortini: Comunismo
[Da Franco Fortini, Extrema ratio, Garzanti, Milano 1990, pp. 99-101; era stato pubblicato per la prima volta nell'inserto settimanale satirico "Cuore" del quotidiano "L'Unita'" del 16 gennaio 1989. Dopo la pubblicazione in Extrema ratio, questo testo e' stato ristampato anche nell'opuscolo Una voce: comunismo, Edizioni del Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990; in Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991; in Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003]

"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una societa' basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e consumo, in alternativa a societa' basate su forme di proprieta' privata ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine e' l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia Garzanti).

Il combattimento per il comunismo e' gia' il comunismo. E' la possibilita' (quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalita' - pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale, e' e sara' il raggiungimento di un luogo piu' alto, visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualita' di ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi e' condizione perche' ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di se' quanto piu' lacerante e reale, il conflitto e' fra classi di individui dotati di diseguali gradi e facolta' di gestione della propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-liberta' di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro "liberta'" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana, come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di liberta', cioe' di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria. Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilita' e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarieta' e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-liberta' della produzione e dei consumi. Ne' gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilita' e amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
Il comunismo in cammino (un altro non esiste) e' dunque un percorso che passa anche attraverso errori e violenze, tanto piu' avvertiti come intollerabili quanto piu' chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come oggi avviene, per un fine che non e' mai la loro vita. Usati, ma sempre meno, come mezzi per un fine, un fine che sempre piu' dovra' coincidere con loro stessi. Ma chi dalla lotta sia costretto ad usare altri uomini come mezzi (e anche chi accetti volontariamente di venir usato cosi') mai potra' concedersi buona coscienza o scarico di responsabilita' sulle spalle della necessita' o della storia.
Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si riconosce e ai quali, come a se stesso, indirizza la propria azione; e non solo nemico di quanti riconosce, di quel fine, nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e misura, anche dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perche' non dara' requie ne' a se' medesimo ne' a loro, per strappare essi e se stesso agli inganni della dimenticanza, delle apparenze e del sempreuguale.
Dovra' evitare l'errore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia che l'uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. Questo errore, con le piu' varie manipolazioni, ha gia' prodotto, e puo' produrre, dei sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini in cui ci riconosciamo. Ereditato dall'Illuminismo e dallo scientismo, depositato dalla cultura faustiana della borghesia vittoriosa dell'Ottocento, quell'errore ottimistico fu presente anche in Marx e in Lenin e oggi trionfa nella maschera tecnocratica del capitale. Quando si parla di un al di la' dell'uomo, e' dunque necessario intendere un al di la' dell'uomo presente, non un al di la' della specie. Comunismo e' rifiutare anche ogni sorta di mutanti per preservare la capacita' di riconoscersi nei passati e nei venturi.
Il comunismo in cammino adempie l'unita' tendenziale tanto di eguaglianza, fraternita' e condivisione quanto quella di sapere scientifico e di sapienza etico-religiosa. La gestione individuale, di gruppo e internazionale, dell'esistenza (con i suoi insuperabili nessi di liberta' e necessita', di certezza e rischio) implica la conoscenza delle frontiere della specie umana e quindi della sua infermita' radicale (anche nel senso leopardiano). Quella umana e' una specie che si definisce dalla capacita' (o dalla speranza) di conoscere e dirigere se stessa e di avere pieta' di se'. In essa, identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle non ancora nate e' un atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi; ed e' allegoria e figura di coloro che saranno.
Il comunismo e' il processo materiale che vuol rendere sensibile e intellettuale la materialita' delle cose dette spirituali. Fino al punto di sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini fecero e furono sotto la sovranita' del tempo; e interpretarvi le tracce del passaggio della specie umana sopra una terra che non lascera' traccia.

2. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- AA. VV., La questione israeliana, volume monografico di "Limes. Rivista italiana di geopolitica", n. 5, maggio 2021, Gedi, Roma 2021, pp. 264 (+ 16 pp. di tavole), euro 15.
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Riedizioni
- Dalai Lama, La pace dello spirito. Cos'e' e come conquistarla, Rcs, Milano 1999, 2021, pp. 228, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

4. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4141 del 20 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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