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[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 116
- Subject: [Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 116
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- Date: Fri, 18 Jun 2021 10:11:25 +0200
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 116 del 18 giugno 2021
In questo numero:
1. Riccardo Faucci: Benedetto Croce economista
2. Domenico Proietti: Benedetto Croce scrittore e linguista
1. MAESTRI. RICCARDO FAUCCI: BENEDETTO CROCE ECONOMISTA
[Da Il contributo italiano alla storia del pensiero: economia (2012) nel sito www.treccani.it]
Joseph A. Schumpeter osserva che "la filosofia di Benedetto Croce [...] per noi ha un particolare interesse, sia perche' lo stesso Croce fu un po' economista, sia perche' egli e' legato, piu' che non sia il caso di qualsiasi altro filosofo, con alcuni aspetti del lavoro professionale degli economisti italiani" (1954; trad. it. III vol., 1990, p. 955). Questo giudizio non deve sorprendere. A parte i suoi scritti specificamente 'economici', Croce ha avuto a che fare per tutta la sua vita di studioso con le categorie di utile, di piacere e di pena considerate molle dell'azione in un significato molto vicino a quello benthamiano, nonostante il suo rifiuto della filosofia dell'utilitarismo. L'economia e' parte della nostra esperienza di vita, e la filosofia non puo' non considerarla.
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La vita
Nacque a Pescasseroli il 25 febbraio 1866 da Pasquale e da Luisa Sipari, il padre discendente di un'antica famiglia di funzionari borbonici, la madre, invece, di possidenti arricchitisi sotto il regno di Gioacchino Murat. I genitori e la sorella perirono nel terremoto di Casamicciola del 1883, in cui egli stesso subi' gravi traumi. Orfano, trovo' accoglienza, insieme al fratello minore Alfonso, a Roma presso il congiunto (e tutore) Silvio Spaventa. Si iscrisse alla facolta' di Giurisprudenza, ma fu presto attirato dalle lezioni che Antonio Labriola teneva nella facolta' di Filosofia. Interrotti senza rimpianto gli studi universitari, nel 1886 si trasferi' a Napoli, dove inizio' a collaborare a riviste di storia locale con lavori di carattere erudito.
Intorno al 1890 (cfr. B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, scritto nel 1915, ma edito nel 1918), l'insoddisfazione per questo tipo di ricerche lo indirizzo' verso questioni di respiro teorico. Nacquero cosi' i vari saggi raccolti in Materialismo storico ed economia marxistica (1900) e, a poca distanza di tempo, le sue maggiori opere filosofiche. A poco piu' di quarant'anni Croce, dal 1910 membro del Senato del Regno, era ormai il principale punto di riferimento per i giovani studiosi che rifiutavano l'eredita' positivistica tardo-ottocentesca e desideravano battere vie nuove.
Nel 1920-21 Giovanni Giolitti lo volle come ministro della Pubblica istruzione nel suo breve governo postbellico. Croce manifesto' benevolenza per il nascente movimento fascista, sottovalutandone la carica eversiva dell'ordinamento liberale. Solo a partire dal discorso del 3 gennaio 1925, in cui Benito Mussolini annunciava la trasformazione del fascismo in regime, Croce risolse di assumere un atteggiamento di netta opposizione. Scrisse il cosiddetto Manifesto degli intellettuali antifascisti. Durante il ventennio, subi' qualche "vessazione" (il termine e' suo) soprattutto editoriale, ma gli fu consentito di continuare a pubblicare la sua rivista, "La critica". Imperturbabile nella sua attivita' di studioso, diede forza al concetto di "religione della liberta'", con grande presa sui giovani antifascisti.
Caduto il regime, divenne ministro senza portafoglio e vicepresidente del Consiglio nei gabinetti Badoglio e Bonomi. Alla Costituente, pronuncio' un forte discorso contro la ratifica del trattato di pace, reclamando il diritto dell'Italia a mantenere le proprie colonie africane. Nel 1948 fu fra i membri di diritto del primo Senato repubblicano.
Negli operosi ultimi anni lo troviamo immerso in quel lavoro di studioso e organizzatore di cultura che sentiva piu' congeniale. Continuo' nel raccogliere i suoi scritti sparsi e fondo' a Napoli nel 1946 l'Istituto italiano per gli studi storici, formandovi alcuni dei maggiori storici del dopoguerra. Si spense a Napoli il 20 novembre 1952.
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La lettura di Marx: "sociologia comparata" e "paragone ellittico"
Il giovane Croce si avvicina al pensiero di Karl Marx, di cui coglie due tratti di indubbia rilevanza. Il primo consiste in quello che Croce chiama "metodo" o "canone storiografico", basato sulla ricerca dell'intima comprensione degli eventi tramite una particolare concezione dei fattori del progresso storico; il secondo, riguarda la trattazione del valore. Soffermiamoci su quest'ultimo aspetto.
Il fatto che la teoria del valore di Marx sbocchi nella teoria del "sopravalore" o plusvalore la rende diversa da tutte le altre, in quanto implica un procedimento che non si ritrova negli economisti borghesi. E' il procedimento sociologico-comparativo. Il plusvalore, infatti, e' cio' che risulta dal raffronto o "paragone ellittico", in quanto non esplicitato, fra un'economia di puro lavoro e un'economia in cui accanto al lavoro ci sono altri fattori produttivi.
L'operazione con cui Marx deduce il plusvalore da tale raffronto fra due societa', una ipotetica e astratta, l'altra concreta e reale, non puo' dar luogo ad altro che a una costruzione mentale. Gia' Werner Sombart aveva definito il plusvalore un "fatto del pensiero", non un dato empirico, e Croce aderisce a questa interpretazione (Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, 1897, p. 60).
Non sembra dubbio che per Croce il "paragone ellittico" pone le basi per un raffronto qualitativo fra tipi di societa'. Di piu', esso possiede un elemento morale di indubbia efficacia propagandistica. Il capitalismo e' il contrario di una societa' di uomini eguali, che vivono tutti del proprio lavoro; quella societa', che il moralista e agitatore Marx promette che sara' realizzata con il socialismo (B. Croce, Sulla forma scientifica del materialismo storico, 1896, p. 32 nota).
In quanto concetto qualitativo, il plusvalore e' estraneo alla teoria economica in senso stretto. Ma proprio per questo la sua eventuale confutazione richiede strumenti non meramente logico-formali. In altri termini, esso resta come "[...] un dardo acuminato nel fianco della societa' borghese, e nessuno e' riuscito a strapparvelo. Ci vuole ben altra radice medica che non i ragionamenti del Boehm-Bawerk e simili critici, per sanare la piaga" (Sulla forma scientifica del materialismo storico, cit., p. 33 nota).
Questa frecciata contro la Scuola austriaca, altrove da Croce considerata il punto piu' alto dell'evoluzione dell'economia politica (cfr., per es., Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900), 1937, in A. Labriola, La concezione materialistica della storia, nuova ed. con un'aggiunta di B. Croce sulla critica del marxismo in Italia dal 1895 al 1900, 1942, p. 293), non deve sembrare contraddittoria. Dato che la scienza economica non e' scienza storica e neppure scienza morale, qualunque economista si ponga questioni di natura storica e/o morale deve uscire dalla sua scienza. Questo ha fatto Marx, trattando del profitto (meglio, del plusvalore) dal punto di vista "sociologico" (Per la interpetrazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., p. 78); quindi Eugen von Boehm-Bawerk avrebbe dovuto scendere sul medesimo terreno.
Qui pero' Croce non rileva che, finche' la produzione avviene tramite il solo lavoro, le merci si scambiano ai loro valori, e non si ha plusvalore; quando si ha l'appropriazione della terra e l'accumulazione di capitale – cioe' quando si passa alla societa' capitalistica – i prezzi non corrispondono piu' ai valori. Se lo avesse rilevato, non avrebbe potuto fare a meno di concludere che anche la trasformazione dei valori in prezzi – problema che ai suoi tempi era gia' sotto l'occhio degli economisti, a cominciare dal famigerato (per Croce) Achille Loria (cfr. A. Loria, Marx e la sua dottrina, 1902) – e' un esito analitico del "metodo comparativo" seguito da Marx. Quindi il "paragone ellittico" solleva anche questioni quantitative, nella misura in cui non si ferma a indagare la genesi del plusvalore, ma intende determinarne anche la grandezza.
Lo stesso Croce ha svolto anche un'indagine strettamente analitica – l'unica della sua stagione di 'economista' – intorno alla legge marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto. Questo scritto si propone di servirsi delle assunzioni dello stesso Marx ed e' da considerarsi correttamente impostato sul piano logico e largamente condivisibile nelle conclusioni. Come e' noto, nel libro III del Capitale Marx sostiene che l'aumento della composizione organica del capitale senza un corrispondente aumento del saggio di plusvalore fa diminuire il saggio di profitto. E' una tipica tautologia, in quanto, date le definizioni di saggio di plusvalore pv/v (dove pv e' il plusvalore e v e' il capitale variabile), di composizione organica del capitale c/v (dove c e' il capitale costante) e di saggio del profitto pv/(c+v), se pv/v resta invariato e c/v aumenta non puo' non ricavarsi la conclusione di Marx. Ma Croce obietta che il progresso tecnico svalorizza proprio c; inoltre il risparmio ottenuto di c grazie al progresso tecnico puo' dar luogo a un aumento dell'accumulazione e quindi a un aumento del saggio del profitto. Va bene che maggiore accumulazione puo' significare anche maggiori salari; ma allora l'effetto finale e' indeterminato (cfr. Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, 1899).
Considerando definitive le sue conclusioni – cosi' come, dal suo punto di vista, in effetti erano – Croce decise di comporre questi scritti in un libro, "come in una bara", e di "chiudere la parentesi marxista della sua vita" (Marxismo ed economia pura, 1899, p. 175). Per sua stessa ammissione, il marxismo aveva stimolato la sua riflessione in modo positivo. Ma osserviamo che il Marx di Croce e' un Marx dimidiato che, lungi dal portare avanti una critica dell'economia politica borghese, punta tutte le sue carte su un "paragone ellittico" di dubbia efficacia, se non un "artifice comparatif" (Les etudes relatives a' la theorie de l'histoire, en Italie, durant les quinze dernieres annees, 1902, p. 190); e che, quando ragiona da economista, difetta nell'analisi.
Resta in piedi il Marx profeta, se si vuole impiegare il linguaggio di Capitalism, socialism and democracy (1942) di Joseph A. Schumpeter; cioe' il banditore di un suggestivo verbo anticapitalistico, pieno di indignazione morale; e soprattutto il Marx "Machiavelli del proletariato" (Per la interpetrazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., p. 112), l'abile ideatore di parole d'ordine politiche atte a muovere i sentimenti delle masse. Quanto il moralismo possa andar d'accordo con il machiavellismo, non e' facile dire, e lo stesso Croce presto se ne convinse, togliendo a Marx la patente di moralista e lasciandogli solo quella di machiavellico.
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Il 'principio' crociano del valore
Contemporaneamente alla lettura di Marx, "dalla primavera del 1895 a quella del 1896" (Memorie della mia vita, 1902, in appendice ad A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce 1885-1904, 1975, p. 400) egli s'impegna in uno studio a tappeto dell'economia politica borghese, spaziando da Adam Smith a David Ricardo ad Alfred Marshall ai marginalisti della scuola austriaca (Conversazioni critiche, serie I, 19423, p. 293) per cercare l'elemento comune a tutte le varie scuole e correnti, ed estrarne il concetto base della disciplina.
Sorprende che tale lettura degli economisti venga condotta senza alcuna contestualizzazione storica. Largamente influenzato da Maffeo Pantaleoni, che insegno' a Napoli fino al 1897 e con cui il giovane filosofo era entrato in amichevole rapporto (cfr. Michelini 1998), Croce afferma che tutte le storie delle scienze devono partire dal patrimonio di conoscenze attuale; anche se soggiunge che si deve fare anche la storia degli "errori" e non solo delle "verita'", perche' altrimenti il lavoro storico perde di spessore e si confonde con la teoria pura e semplice (cfr. Il giudizio economico e il giudizio tecnico, 1901, in Materialismo storico ed economia marxista, ed. 1927, pp. 193-99). Ma le ragioni per cui nel corso del tempo si sono alternati "errori" e "verita'" non sono spiegate storicamente.
Non e' peraltro ai singoli aspetti e scuole dell'economia politica che egli rivolge la sua attenzione, ma all'individuazione del "principio economico", senza il quale l'economia come scienza non puo' fondarsi. Il "principio economico" unificante, argomenta Croce, e' e non puo' essere altro che il Valore. Lamenta che "[...] ci sia ancora da elaborare filosoficamente il concetto di Valore, e che bisogni percorrere fino al fondo quella strada, che gli economisti puri hanno percorso solo fino a un certo punto. Si veda com'essi siano ancora perplessi tra i concetti di egoismo, legge del minimo mezzo, soggettivismo, psicologismo, edonismo, eudemonismo, e via dicendo. Trovare il fatto primo economico, l'elemento irriducibile che fa dell'economia una scienza indipendente, e' un problema non ancora risoluto" (Marxismo ed economia pura, 1899, rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica, 1927, p. 173).
Soltanto una volta individuato al proprio interno un principio originale e fondante, l'economia puo' legittimamente pretendere di diventare "pura" (Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., pp. 77-78). A Croce la locuzione "economia pura", allora corrente specie nella Scuola di Losanna, piace molto. Ma per lui la purezza non sta tanto nell'uso della matematica, e neppure, come avrebbe detto di li' a pochi anni Max Weber, nell'avalutativita', cioe' nell'indipendenza da giudizi di valore, bensi' – nientemeno – nel suo presentarsi come "teoria del giudizio economico in universale" (Conversazioni critiche, cit., p. 296).
Ne consegue che le differenti definizioni di valore date dagli economisti – sia quelle discendenti dall'adozione del postulato edonistico (Pantaleoni), sia quelle basate sul concetto di razionalita' della scelta (Pareto) – sono irrilevanti ai fini di una fondazione filosofica dell'economia, e possono al piu' servire per fini pratici di misurazione dei fenomeni economici.
Quest'insoddisfazione trova conferma nella discussione del 1900-01 con Vilfredo Pareto (cfr. rispettivamente B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, 1900; V. Pareto, Scritti teorici, a cura di G. Demaria, 1951). L'economista di Losanna ritiene che la scienza economica abbia fatto benissimo, nel corso del tempo, a liberarsi dell'ipoteca del "principio primo", che sa di metafisica, e ad affinare le sue tecniche specialistiche d'indagine, aventi a oggetto non gia' i "giudizi economici", ma semplicemente i "fatti economici", nella loro oggettivita' e neutralita'. Croce obietta che la raccomandazione di Pareto di studiare i "fatti" economici secondo l'ipotesi di razionalita' sa di meccanicismo, e meglio farebbe l'economista a partire dagli "atti" (cioe' dai giudizi) economici, da cui i fatti discendono.
Fra i primi economisti che in quegli anni sembrano essersi avvicinati alle posizioni crociane risulta Ulisse Gobbi, per il quale oggetto della scienza economica sono azioni volontarie, non fatti meccanici. Per Gobbi il fondamento teoretico della scienza economica e' il "giudizio di convenienza" su queste azioni (se esse siano o no congrue al raggiungimento del fine), che coincide con la "legge del minimo mezzo" o dell'impiego ottimale delle risorse. Gobbi, nella sua acuta memoria, anticipava Robbins distinguendo il giudizio tecnico, che prescinde dalla scelta, da quello economico, che sulla scelta e' basato (U. Gobbi, Sul principio della convenienza economica, "Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, Classe di scienze storiche e morali", 1900, 21, 3). Croce – pur apprezzando il ragionamento di Gobbi – obietta pero' che il "giudizio di convenienza" (da Croce chiamato "giudizio di valore", espressione non usata dall'economista lombardo) e' in se' contraddittorio, perche' confonde nientemeno che l'attivita' teoretica con quella pratica. Infatti il valore e' atto di volonta', non di conoscenza: "Un'azione non la voglio, perche' e' utile, ma e' utile, perche' la voglio" (Il giudizio economico e il giudizio tecnico, cit., p. 252). Il giudizio deve venire dopo l'atto. Sulla formazione dell'atto gli economisti non possono interferire.
Sarebbe ozioso domandarsi "chi fra i due ha avuto ragione". Si puo' azzardare che se Pareto ha posto le basi per una piu' rigorosa definizione di razionalita' economica, Croce ha colto la centralita' del problema della scelta in economia, anche se non si puo' chiedere a Croce di affrontare il problema dell'ordinamento delle preferenze (cfr. Montesano 2003, p. 203), ne', soprattutto, gli si puo' chiedere di fare a meno della dialettica valore-disvalore, e quindi scelta-non scelta, cruciale nella sua concezione dell'uomo (cfr. Sasso 1975, pp. 433 e segg.) ma, ci sembra, poco significativa nell'analisi economica del comportamento del consumatore.
Resta, infatti, confermato il divario fra il concetto filosofico dell'Utile come "volizione dell'individuale" – mentre la morale e' "volizione dell'universale" (Filosofia della pratica. Economica ed etica, 1909, 19233, p. 236) – e il concetto (o meglio l'astrazione) dell'utile in economia, e quindi fra l'economia come attivita' umana, calata nella storia, e la scienza economica, che ha per schema l'uomo economico immutabile, corrispondente al punto materiale in fisica. L'utile nella vita pratica trascende di molto la nozione economica di utile: il primo e' tutt'uno con la vitalita' dello Spirito creatore del mondo intorno a se'; il secondo e' un concetto strumentale e meccanico. Il beffardo invito rivolto agli economisti, "calcolate, non pensate" (p. 251), sembra chiudere per sempre ogni dialogo.
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Croce-Einaudi: la rilevanza dei giudizi di valore in economia
Croce non manca di ammonire gli economisti circa l'imperfetta distinzione, pure all'interno della loro scienza, fra l'essere e il dover essere, fra la teoria e la politica economica. Del tutto correttamente, Croce distingue fra precetti di natura ideologico-politica e teorie economiche. I primi non possono essere confusi con le seconde. "Socialismo e liberismo si diranno bensi' scientifici per metafora o per iperbole, ma ne' l'uno ne' l'altro sono o possono esser mai deduzioni scientifiche" (Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., p. 93). Purtroppo, rileva Croce, spesso gli economisti non rispettano tale distinzione.
Su questa base si svolge il dibattito con Luigi Einaudi. Se Croce e' un filosofo che marcia, seppure criticamente, verso l'economia, Einaudi compie il cammino inverso.
Nel giovane Einaudi i problemi economici sono parte di una piu' generale concezione umanistica e moralistica. Cosi', nel 1905 loda Thomas Carlyle per il suo romanticismo economico; nel 1915 scrive che la Grande guerra non era scoppiata per motivi economici, i quali nella storia contano ben poco, ma per motivi ideali; nel turbinoso dopoguerra fa propri i precetti di William Smart sulla "gioia nel lavoro"; in polemica con il fascismo esalta la "bellezza della lotta" sindacale come valore in se', oltre che come esigenza economica. Una visione dell'economia dominata da istanze che sono tutt'altro che il mero tornaconto.
Inoltre, Einaudi auspica un piu' giusto ordine internazionale, che vada oltre la miopia dell'interesse dei singoli Stati, mentre Croce irride alle "alcinesche seduzioni della Dea Giustizia e della Dea Umanita'" (prefazione del 1918 a B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, p. XIV). Infine, Einaudi e' un convinto federalista democratico, mentre Croce non si pronuncia nel merito.
Il dissenso teorico principale verte, pero', sul rapporto fra liberalismo politico (e filosofico) e liberalismo economico, o liberismo.
Nel 1927 Croce critica gli economisti che attribuiscono al liberismo "valore di regola o legge suprema della vita sociale", trasformando il liberismo da legittimo "principio economico" in illegittima teoria etica (Liberismo e liberalismo, 1927, rist. in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura di P. Solari, 19882, pp. 10-11). Queste considerazioni sembrano a Einaudi introdurre un elemento di vulnerabilita' nella scienza economica, accusata di dipendere da una premessa extrascientifica come il liberismo. Con puntiglio, Einaudi ribatte che il liberismo non e' un principio primo. E conferma la validita' dell'approccio astrattivo-deduttivo dell'economia come scienza (L. Einaudi, Dei concetti di liberismo economico e di borghesia e sulle origini materialistiche della guerra, "La riforma sociale", 1928, 39, pp. 501-16, rist. in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit.).
Sembrerebbe che le due posizioni fossero complementari piu' che contrapposte; e questa era anche l'impressione di Croce (cfr. B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit., pp. 46-47). Invece, pochi anni dopo Croce riprende il discorso, confermando che la liberta' empirica degli economisti non e' ne' puo' essere la Liberta' filosofica, dato che quest'ultima e' un principio di carattere universale che non patisce qualificazioni di tempo o di luogo. Sul piano storico, Croce riconosce che la Liberta' si e' meglio realizzata nell'Ottocento, specie in Europa occidentale, producendo anche un certo liberismo, seppure "temperato" (forse perche' un liberismo sfrenato sarebbe stato pregiudizievole a essa). Non sembra pero' interessato a cogliere un legame significativo fra i due fenomeni. Anche nel dopoguerra, in uno dei suoi ultimi interventi, egli ammette che "[...] nel corso del secolo decimonono [...] l'idea liberale si trova avvicinata e infine congiunta e fusa con l'idea economica del libero scambio", ma ribadisce che tale "fusione e unione in teoria deve essere negata" (Dieci conversazioni, 1993, p. 77).
Il seguito della discussione e' sempre piu' nel segno di Einaudi. Croce – che sembra concentrarsi sul proprio ragionamento senza dare riconoscimenti al suo interlocutore, se non per lettera – trova nelle posizioni einaudiane la conferma che nessun economista, neppure quelli piu' dotati o piu' vicini alle sue posizioni, hanno o possono avere autentica mente filosofica. A Einaudi nel 1944 Croce assegna il compito di scrivere il programma per il rinato Partito liberale, "per dare ad esso concretezza non solo nel campo morale" – terreno che evidentemente riteneva di sua esclusiva spettanza – "ma anche in quello economico" (B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit., p. 105). Implicitamente, Croce intendeva attribuire uno spazio di autonomia intellettuale, predefinito e limitato, al piu' eminente economista italiano del tempo.
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Opere
Sulla forma scientifica del materialismo storico, "Atti dell'Accademia Pontaniana", 1896 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900).
Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, "Atti dell'Accademia Pontaniana", 1897 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900).
Marxismo ed economia pura, "Rivista italiana di sociologia", 1899 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900, 1907 (2)).
Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, "Atti della Accademia Pontaniana", 1899 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900, 1907 (2)).
Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900 (edd. accresciute 1907; Bari 1918, 1927, 1941; ed. critica a cura di M. Rascaglia, S. Zoppi Garampi, con nota al testo di P. Craveri, 2 voll., Napoli 2001).
Il giudizio economico e il giudizio tecnico. Osservazioni a una memoria del prof. Gobbi, "Atti dell'Accademia Pontaniana", 1901 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900).
Les etudes relatives a' la theorie de l'histoire, en Italie, durant les quinze dernières annees, "Revue de synthese historique", dicembre 1902, 15 (rist. in Id., Primi saggi, Bari 1927).
Memorie della mia vita (1902), in appendice ad A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce 1885-1904, Napoli 1975.
Filosofia della pratica. Economica ed etica, Bari 1909, 1923 (3).
Contributo alla critica di me stesso, Napoli 1918 (rist. in Id., Filosofia, poesia, storia. Pagine tratte da tutte le opere, Milano-Napoli 1951).
Liberismo e liberalismo, "La critica", 1927 (rist. in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura di P. Solari, Milano-Napoli 1957, pp. 11-75).
Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Da lettere e ricordi personali (1937), in appendice ad A. Labriola, La concezione materialistica della storia, nuova ed. con un'aggiunta di B. Croce sulla critica del marxismo in Italia dal 1895 al 1900, Bari 1942.
Conversazioni critiche, serie I, Bari 1942 (3).
Etica e politica, aggiuntovi il Contributo alla critica di me stesso, III ed. riveduta, Bari 1945.
Filosofia, poesia, storia. Pagine tratte da tutte le opere, Milano-Napoli 1951.
Dieci conversazioni con gli alunni dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, Bologna 1993.
Si veda inoltre:
B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura di P. Solari, con introduzione di G. Malagodi, Milano-Napoli 1988 (2).
L. Einaudi, B. Croce, Carteggio (1902-1953), a cura di L. Firpo, Torino 1988.
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Bibliografia
J. A. Schumpeter, History of economic analysis, ed. E. Boody Schumpeter, New York-London 1954 (trad. it. nuova ed. con intr. di G. Lunghini, 3 voll., Torino 1990).
G. Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli 1975.
P. Craveri, K.E. Loenne, G. Patrizi, Croce Benedetto, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, XXXI vol., Roma 1985, ad vocem.
L. Michelini, Idealismo e marginalismo. Lettere di Maffeo Pantaleoni a Benedetto Croce (1897-1924), "Il pensiero economico italiano", 1998, 2, pp. 9-37.
A. Montesano, Croce e la scienza economica, "Economia politica", 2003, 2, pp. 201-24.
2. MAESTRI. DOMENICO PROIETTI: BENEDETTO CROCE SCRITTORE E LINGUISTA
[Dall'Enciclopedia dell'Italiano (2010), nel sito www.treccani.it]
1. La vita
Nacque a Pescasseroli (L'Aquila) il 25 febbraio 1866. Compiuti gli studi medio-superiori a Napoli, scampo' al terremoto di Casamicciola (luglio 1883), in cui perse i genitori e la sorella, e fu accolto a Roma in casa dello zio, il filosofo Silvio Spaventa. Qui si dedico' a ricerche erudite e conobbe il filosofo Antonio Labriola. Stabilitosi definitivamente a Napoli nel 1886, pubblico' ricerche sulla storia e la cultura napoletane ma venne orientandosi sempre piu' decisamente verso la filosofia. Elaboro' cosi' un sistema neoidealistico (la cosiddetta filosofia dello spirito) basato su una forma di storicismo 'assoluto' (Estetica, 1902; Filosofia della pratica, 1908; Logica, 1909; Teoria e storia della storiografia, 1917), da lui stesso in seguito sottoposto a cospicue integrazioni (La poesia, 1936; La storia come pensiero e come azione, 1938).
Nel 1902, fondo', insieme a Giovanni Gentile, la rivista "La Critica", che diresse per quasi un cinquantennio, esercitando un'influenza profonda sulla cultura italiana del tempo. Inflessibile oppositore del fascismo, fu ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio e nel primo governo Bonomi (aprile-luglio 1944) e membro dell'Assemblea Costituente. Mori' a Napoli il 20 novembre 1952.
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2. La fortuna di Croce scrittore
Sin dalla pubblicazione della Logica (recepita come il libro piu' caratteristico nella definizione del suo metodo filosofico, se non proprio come il suo "vero capolavoro"; Contini 1972: 47), si susseguirono interventi di scrittori e critici italiani e stranieri sulla sua prosa e sulle sue qualita' di scrittore. Premessa condivisa era che "per intendere il Croce scrittore" fosse necessario "il riferimento perenne al sistema del suo pensiero" (Flora 1952: 58).
Di fatto, pero', si trattava di caratterizzazioni parziali, impostate su formule generalizzanti quale quella, fortunata (e gia' crociana), di "poeta della filosofia" (Prezzolini 1909; Debenedetti 1922; Flora 1952), oppure di profili o bozzetti impostati su motivi e atteggiamenti ritenuti centrali e/o caratterizzanti, quali la "serena alacrita'" e, conseguentemente, la conduzione non aspra della polemica (Emery 1920; Vossler 1942), la 'classicita'' dello stile (Guenther 1927; Cilento 1953) e la capacita' di evocare e descrivere ambienti, fatti e persone (Pancrazi 1937; Cecchi 1951; Bacchelli 1953). Ostacoli a una considerazione complessiva e organica erano, a parte obiecti, il continuo svilupparsi dell'opera di Croce, la sua estensione su campi disciplinari differenti e soprattutto la difficolta' a mettere in rapporto e spiegare i caratteri linguistico-stilistici della sua prosa con le posizioni fondamentali del suo pensiero (soprattutto estetico e linguistico).
Una caratterizzazione complessiva del Croce scrittore basata su rilievi linguistico-stilistici e impostata su una scansione cronologica delle opere e' fornita da Puppo (1964), che valorizza anche la riflessione crociana sulla prosa concettuale nel saggio Teoria della distinzione e delle quattro categorie spirituali (1946) e, soprattutto, da Contini (1972): le "qualita'" di Croce scrittore, dichiarato uno dei vertici della prosa saggistica novecentesca per la sua capacita' di "maneggia[re] la cosa letteraria e adotta[re] la tecnica pubblicistica dei letterati" (p. 66), sono messe in costante rapporto con la "mutabilita' organica" (p. 33) del suo pensiero e considerate come uno dei fattori decisivi della sua "azione cosi' rapida e diretta sulla cultura generale" italiana (p. 66). Dopo la lunga stagione di oblio toccata all'opera di Croce nel secondo dopoguerra, l'ampia monografia di Colussi (2007), in cui sono messi a frutto anche i rilievi di Mengaldo (1994), ricostruisce nei suoi tratti essenziali l'itinerario linguistico-stilistico del filosofo, tenendo anche conto degli influssi degli autori da lui prediletti (Giambattista Vico, G.W.F. Hegel, K.W.F. Schlegel, Giosue' Carducci, Francesco De Sanctis) e soprattutto dell'assiduo lavoro di correzione a cui sottoponeva i suoi lavori in occasione delle loro ristampe.
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3. Caratteri della prosa crociana
Il tratto che risulta costante e caratteristico nella lunga parabola della prosa crociana e' uno stile raffinatamente antiquato, caratterizzato da grafie ed espressioni della tradizione letteraria e piu' in sintonia con il gusto di Graziadio Isaia Ascoli che con gli orientamenti di Alessandro Manzoni (e dei manzoniani fino a Edmondo De Amicis, con cui Croce ebbe una polemica nel 1905-06; Tosto 1967). Tale "arcaicizzare o non modernizzare" (Mengaldo 1994: 360), da inquadrare in una piu' generale tendenza alla "sintesi fra aulico e colloquiale" (ivi: 184), si esplica caratteristicamente in una serie di tratti grafico-fonetici, che tendono ad accentuarsi nell'ultimo trentennio di attivita' di Croce (Colussi 2007: 283-286). Tra questi spiccano: l'uso di i prostetico (per iscritto, per ispiegare, non isfuggiva); la presenza costante di grafie univerbate (cfr. univerbazione) di stampo letterario quali sibbene e dipoi; l'assenza di dittongo in forme quali tepido (e derivati), petrificare (e derivati, secondo l'esempio di De Sanctis, che attingeva al ted. petrifizieren, usato da Hegel e Schlegel) e soprattutto nei derivati di queto (quetamente, quetato, ecc.); forme quali gittare, quistione, formola (d'uso corrente in De Sanctis), coltura (invece di cultura), eguale ed eguaglianza, rettorica (per falsa etimologia, gia' presente in Vico).
Nel lessico, "rilevato e personalissimo" (Mengaldo 1994: 185), spiccano gli aggettivi con i suffissi -istico (arbitraristico, astrattistico, marxistico, matematicistico / matematistico, praticistico) e -oso (perlopiu' di stampo vichiano: attuoso, dilettoso, fervoroso, sensuoso, ecc.), la ricca serie di nomi in -mento (colorimento, inveramento, oscillamento, logicizzamento, razionalizzamento, schematizzamento, ecc.) e la forte produttivita' del prefisso pseudo, a partire da pseudoconcetto (pseudoespressione, pseudostoria).
Si segnalano infine latinismi (aliato, amplitudine, desidia, non estranei a Gabriele D'Annunzio) e veri e propri 'crocianismi' (banausico, interpetre, medesimezza, scissura). Tra le formazioni verbali, d'uso caratteristico risultano i suffissati, tipici del lessico filosofico, in -izzare (dialettizzare, empiricizzare, estetizzare, logicizzare) e -ficare (corporificare, entificare).
Piu' articolato il panorama della morfosintassi, in cui tratti di "distanziamento dalla modernita'" (Colussi 2007: 285) convivono, entro un "periodare unificante e riposato" (Mengaldo 1994: 184), con forme e costrutti orientati verso la semplificazione e l'oralita'. Tra i primi si possono indicare i seguenti: l'uso, crescente nelle opere piu' tarde, delle forme preposizionali sur + vocale (gia' eliminata da Manzoni) e di merce' (anche seguita da di); la serie pel, pei e collo, colla, cogli, colle; diverse peculiarita' nella scelta degli avverbi (oltre al cultismo insiememente tipico di Vico e ricorrente in Antonio Labriola, i modali altrimente, parimente e del pari); e l'uso costante dei costrutti verbali vi ha e ci e'.
Di maggior profondita' e rivolti verso l'accettazione di un uso medio della lingua risultano i tratti di aggiornamento e semplificazione: a cominciare, a livello verbale, dal mantenimento della labiodentale nell'imperfetto indicativo (facevano e non faceano) e contestualmente dall'adozione generalizzata del tipo analogico in -o nella prima persona sing. (io scrivevo invece di io scrive[v]a) e della forma siano (in luogo di sieno) nella terza persona pl. del congiuntivo presente. E non mancano altri tratti essenziali dell'italiano medio quali l'uso (a partire dalle opere della maturita') di lui, lei e loro in funzione di soggetto e il ricorso a costruzioni con dislocazione e ripresa pronominale.
Comunque, il livello in cui con maggiore decisione e costanza si rivela la tendenza di Croce verso un registro colloquiale e un andamento che mima il parlato della pagina scritta e' quello della connessione testuale. Sin dalle sue prime opere, infatti, ricorrono i principali segnali testuali caratteristici della pubblicistica e della saggistica piu' disinvolta e vivace: congiunzioni o locuzioni congiunzionali testuali quali comunque e per cui assoluti, se(n)nonche', semmai / casomai, sicche', solo (che); avverbi 'frasali' (effettivamente, teoricamente, precisamente, probabilmente, ecc.) ed elementi affini (quali i gerundi di transizione discorsiva: concludendo, riassumendo, ecc.); e segnali discorsivi quali allora o dunque.
Di questi caratteri di fondo della sua prosa, del resto, appare ben consapevole lo stesso Croce, quando (Contributo alla critica di me stesso: par. II) dichiara il suo debito stilistico sin dagli anni giovanili verso "lo stile disinvolto" di Ferdinando Martini e dei giornali letterari di fine Ottocento o quando (Intorno alla mia teoria del diritto, "La Critica", XII, 1914, p. 448) cosi' caratterizza se' stesso come scrittore: "Nella mia forma espositiva e letteraria ho [...] preferito adottare [...] un modo disinvolto, descrittivo e popolare quale usarono i filosofi inglesi nel Settecento; e, nel tutto insieme, posso dire di aver tenuto una forma di esposizione che e' ben mia e bene italiana". Va osservato, infine, che l'attenzione agli aspetti stilistici che si riscontra qui e in tante altre pagine dedicate ad autori minori e minimi compare meno spesso nei saggi dedicati a scrittori e poeti di prima grandezza, nei quali la critica letteraria e' concepita ed esercitata, per esplicita dichiarazione dello stesso Croce (La letteratura della Nuova Italia, 1938, vol. V, pp. V-VII, 267), come applicazione ed esemplificazione delle sue teorie estetiche.
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4. Estetica e linguistica
Proprio il livello della conoscenza estetica, nucleo e insieme punto di partenza dell'intero sistema filosofico crociano mosso dal criterio della circolarita'-distinzione, a' il terreno in cui non solo coesistono, ma anzi vengono da Croce identificate (sin nel titolo dell'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale) l'estetica e la linguistica. Tale identificazione e' basata sul fatto che la conoscenza estetica (la prima delle quattro categorie del conoscere in cui si articola il sistema filosofico crociano) e' insieme intuizione (semplice o pura), fantasia, arte e soprattutto espressione.
L'intuizione, primo, aurorale grado della conoscenza umana, infatti, e' nella sua essenza arte e quindi espressione, non essendo concepibile un'intuizione priva di espressione (lo spirito umano nell'attivita' intuitiva "tanto intuisce quanto esprime": Estetica I, 1). In quanto espressione, pero', l'attivita' intuitiva e' anche lingua, ma va precisato che con questi tre sinonimi (intuizione, espressione e lingua) si deve intendere un fatto puramente interno, un'immagine, una creazione spirituale, indipendentemente dalla sua traduzione in fenomeni fisici (suoni, movimenti, combinazioni di linee e colori, ecc.). La lingua, dunque, e' una forma di conoscenza e insieme attivita' creativa, arte.
Da questa primaria identificazione di lingua / intuizione, arte ed espressione discendono alcune conseguenze. In primo luogo, dato il carattere intuitivo, fantastico e metaforico della lingua risultano infondate le concezioni logiche / logistiche del linguaggio (dominanti nel Settecento, riproposte dal positivismo e operanti nella redazione delle grammatiche) e le stesse categorie e classificazioni grammaticali nulla hanno a che vedere con le categorie della logica (una frase logicamente contraddittoria come questa tavola rotonda e' quadrata e' grammaticalmente corretta: cfr. Problemi di estetica, 1909, III, 5) e risultano astrazioni a scopo pratico (didattico). E astrazione e' la stessa nozione di parola (come quella di vocabolario, "raccolta di astrazioni"), che ha esistenza individuale e concreta solo nell'"organismo estetico" in cui e' inserita.
Inoltre, dato che il linguaggio e' realta' vivente in perenne fluire, le norme grammaticali, le leggi fonetiche (centro metodologico e operativo del modello storico-comparativo dominante nella linguistica positivistica), le stesse lingue storico-naturali e i loro vocaboli e in ogni caso la scienza linguistica altro non sono se non costruzioni secondarie, prive di fondamento logico e in larga misura trasposizioni in indicazioni precettistiche delle abitudini e degli ideali linguistici di un dato periodo (in particolare, viene criticata come infondata l'idea della lingua-modello, che in Italia era stata alla base dell'intera questione della lingua e al centro della proposta fiorentinistica di Manzoni). Alla linguistica, che si risolve nell'estetica, pertiene quindi lo stesso campo d'indagine della critica letteraria, cioe' la descrizione e lo studio estetico degli autori, da esercitare rifiutando (secondo i suggerimenti di Vossler 1942) ogni forma di critica stilistica "estrinseca" (cioe' tecnicistica).
In questa concezione della lingua e della linguistica, fortemente condizionata dalle sue premesse antinaturalistiche e antipositivistiche (Cavaciuti 1959; Deneckere 1984), finiva, pero', per non trovare posto la varieta' dei linguaggi non artistici, ininfluente forse per gli studi estetici ma assolutamente centrale in qualunque indagine linguistica. Un tentativo (speculare a quello gia' esperito con l'esame della letteratura in rapporto all'estetica) di integrare questo aspetto della lingua nella sua filosofia del linguaggio fu fatto da Croce solo nel 1941, discutendo alcune opere di Giulio Bertoni (Discorsi di varia filosofia, I, pp. 235-250). Riconosciuta, al di fuori della sfera dell'"esteticita'", la nozione, empirica e pedagogica, della "lingua dei linguisti", questa viene qualificata come "istituto" (cioe' costume, convenzione, istituzione sociale). In quanto entita' dello spirito pratico, la lingua-istituto eccede la sfera dell'individuale e, essendo la concretizzazione di convenzioni vigenti in una comunita' o epoca storica, e' suscettibile di normalizzazione e correzione secondo norme sancite da codificazioni grammaticali e/o accettate per uso e consuetudine; la storia linguistica e' la storia di tali fenomeni e processi.
Peraltro (come rilevato da Nencioni 1946) in tale revisione della linguistica crociana non veniva superata la sua principale difficolta': le convenzioni di cui si compone la lingua come istituto sono indispensabili per intendere i valori estetici dei testi artistici, e dunque anteriori a essi. Inoltre, la distinzione tra la lingua come espressione poetica e la lingua come istituto (pur accostabile alla dicotomia saussuriana langue / parole e al concetto di sistema elaborato da Charles Bally) risultava inutilizzabile anche in una prospettiva di pragmatica linguistica, in quanto non graduabile secondo i diversi usi o funzioni della lingua. Per tali difficolta', nonostante le correzioni e le integrazioni proposte da Devoto (1951), la dottrina linguistica crociana perse rapidamente seguito ed influenza.
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Fonti
Croce, Benedetto (1908-1983), Opere, Bari, Laterza, 75 voll.
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Studi
Bacchelli, Riccardo (1953), Lo scrittore, in Omaggio a Benedetto Croce. Saggi sull'uomo e sull'opera, Torino, Edizioni Radio Italiana, pp. 95-102 (rist. in Id., Saggi critici, Milano, Mondadori, 1962, pp. 79-83).
Cavaciuti, Santino (1959), La teoria linguistica di Benedetto Croce, Milano, Marzorati.
Cecchi, Emilio (1951), Croce in un volume, "Corriere della sera", 16 nov. (rist. in Id., Letteratura italiana del Novecento, a cura di P. Citati, Milano, Mondadori, 1972, 2 voll., pp. 181-187).
Cilento, Vincenzo (1953), Classicita' di Croce, in Benedetto Croce, a cura di F. Flora, Milano, Malfasi, pp. 9-23.
Colussi, Davide (2007), Tra grammatica e logica. Saggio sulla lingua di Benedetto Croce, Pisa - Roma, F. Serra.
Contini, Gianfranco (1972), L'influenza culturale di Benedetto Croce, in Id., Altri esercizi (1942-1971), Torino, Einaudi, pp. 31-70.
Debenedetti, Giacomo (1922), Sullo 'stile' di Benedetto Croce, "Primo tempo" 4-5, pp. 99-105.
Deneckere, Marcel (1984), Benedetto Croce et la linguistique, Antwerpen, Universiteit Antwerpen, 2 voll.
Devoto, Giacomo (1951), I fondamenti della storia linguistica, Firenze, Sansoni.
Emery, Luigi (1920), La forma letteraria di un filosofo, "Poesia ed arte" 2, 2 (rist. in L'opera filosofica, storica e letteraria di Benedetto Croce 1942, pp. 252-259).
Flora, Francesco (1952), Benedetto Croce, in Id., Scrittori italiani contemporanei, Pisa, Nistri-Lischi, pp. 31-76.
Guenther, Werner (1927), Uber den Stil Benedetto Croce's, "Neue Schweizerische Rundschau" 27 feb. (trad. it. in L'opera filosofica, storica e letteraria di Benedetto Croce 1942, pp. 260-263).
L'opera filosofica, storica e letteraria di Benedetto Croce. Saggi di scrittori italiani e stranieri e bibliografia dal 1920 al 1941 (1942), Bari, Laterza.
Mengaldo, Pier Vincenzo (1994), Il Novecento, in Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni, Bologna, il Mulino.
Nencioni, Giovanni (1946), Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, Firenze, La Nuova Italia (nuova ed. Pisa, Scuola Normale Superiore, 1989).
Pancrazi, Pietro (1937), La "Vecchia Italia" di Croce, in Id., Scrittori italiani dal Carducci al D'Annunzio, Bari, Laterza, pp. 237-243.
Prezzolini, Giuseppe (1909), Benedetto Croce: con bibliografia, ritratto e autografo, Napoli, Ricciardi (rist. in Id., Quattro scoperte. Croce, Papini, Mussolini, Amendola, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1964, pp. 3-54).
Puppo, Mario (1964), Croce prosatore, in Id., Croce, D'Annunzio e altri saggi, Firenze, Olschki, pp. 75-87.
Tosto, Eugenio (1967), Una polemica linguistica agli inizi del Novecento: Croce e De Amicis, "Lingua nostra" 28, pp. 68-74.
Vossler, Karl (1942), Dialettica e carattere, in L'opera filosofica, storica e letteraria di Benedetto Croce 1942, pp. 22-27.
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a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
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Numero 116 del 18 giugno 2021
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Numero 116 del 18 giugno 2021
In questo numero:
1. Riccardo Faucci: Benedetto Croce economista
2. Domenico Proietti: Benedetto Croce scrittore e linguista
1. MAESTRI. RICCARDO FAUCCI: BENEDETTO CROCE ECONOMISTA
[Da Il contributo italiano alla storia del pensiero: economia (2012) nel sito www.treccani.it]
Joseph A. Schumpeter osserva che "la filosofia di Benedetto Croce [...] per noi ha un particolare interesse, sia perche' lo stesso Croce fu un po' economista, sia perche' egli e' legato, piu' che non sia il caso di qualsiasi altro filosofo, con alcuni aspetti del lavoro professionale degli economisti italiani" (1954; trad. it. III vol., 1990, p. 955). Questo giudizio non deve sorprendere. A parte i suoi scritti specificamente 'economici', Croce ha avuto a che fare per tutta la sua vita di studioso con le categorie di utile, di piacere e di pena considerate molle dell'azione in un significato molto vicino a quello benthamiano, nonostante il suo rifiuto della filosofia dell'utilitarismo. L'economia e' parte della nostra esperienza di vita, e la filosofia non puo' non considerarla.
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La vita
Nacque a Pescasseroli il 25 febbraio 1866 da Pasquale e da Luisa Sipari, il padre discendente di un'antica famiglia di funzionari borbonici, la madre, invece, di possidenti arricchitisi sotto il regno di Gioacchino Murat. I genitori e la sorella perirono nel terremoto di Casamicciola del 1883, in cui egli stesso subi' gravi traumi. Orfano, trovo' accoglienza, insieme al fratello minore Alfonso, a Roma presso il congiunto (e tutore) Silvio Spaventa. Si iscrisse alla facolta' di Giurisprudenza, ma fu presto attirato dalle lezioni che Antonio Labriola teneva nella facolta' di Filosofia. Interrotti senza rimpianto gli studi universitari, nel 1886 si trasferi' a Napoli, dove inizio' a collaborare a riviste di storia locale con lavori di carattere erudito.
Intorno al 1890 (cfr. B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, scritto nel 1915, ma edito nel 1918), l'insoddisfazione per questo tipo di ricerche lo indirizzo' verso questioni di respiro teorico. Nacquero cosi' i vari saggi raccolti in Materialismo storico ed economia marxistica (1900) e, a poca distanza di tempo, le sue maggiori opere filosofiche. A poco piu' di quarant'anni Croce, dal 1910 membro del Senato del Regno, era ormai il principale punto di riferimento per i giovani studiosi che rifiutavano l'eredita' positivistica tardo-ottocentesca e desideravano battere vie nuove.
Nel 1920-21 Giovanni Giolitti lo volle come ministro della Pubblica istruzione nel suo breve governo postbellico. Croce manifesto' benevolenza per il nascente movimento fascista, sottovalutandone la carica eversiva dell'ordinamento liberale. Solo a partire dal discorso del 3 gennaio 1925, in cui Benito Mussolini annunciava la trasformazione del fascismo in regime, Croce risolse di assumere un atteggiamento di netta opposizione. Scrisse il cosiddetto Manifesto degli intellettuali antifascisti. Durante il ventennio, subi' qualche "vessazione" (il termine e' suo) soprattutto editoriale, ma gli fu consentito di continuare a pubblicare la sua rivista, "La critica". Imperturbabile nella sua attivita' di studioso, diede forza al concetto di "religione della liberta'", con grande presa sui giovani antifascisti.
Caduto il regime, divenne ministro senza portafoglio e vicepresidente del Consiglio nei gabinetti Badoglio e Bonomi. Alla Costituente, pronuncio' un forte discorso contro la ratifica del trattato di pace, reclamando il diritto dell'Italia a mantenere le proprie colonie africane. Nel 1948 fu fra i membri di diritto del primo Senato repubblicano.
Negli operosi ultimi anni lo troviamo immerso in quel lavoro di studioso e organizzatore di cultura che sentiva piu' congeniale. Continuo' nel raccogliere i suoi scritti sparsi e fondo' a Napoli nel 1946 l'Istituto italiano per gli studi storici, formandovi alcuni dei maggiori storici del dopoguerra. Si spense a Napoli il 20 novembre 1952.
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La lettura di Marx: "sociologia comparata" e "paragone ellittico"
Il giovane Croce si avvicina al pensiero di Karl Marx, di cui coglie due tratti di indubbia rilevanza. Il primo consiste in quello che Croce chiama "metodo" o "canone storiografico", basato sulla ricerca dell'intima comprensione degli eventi tramite una particolare concezione dei fattori del progresso storico; il secondo, riguarda la trattazione del valore. Soffermiamoci su quest'ultimo aspetto.
Il fatto che la teoria del valore di Marx sbocchi nella teoria del "sopravalore" o plusvalore la rende diversa da tutte le altre, in quanto implica un procedimento che non si ritrova negli economisti borghesi. E' il procedimento sociologico-comparativo. Il plusvalore, infatti, e' cio' che risulta dal raffronto o "paragone ellittico", in quanto non esplicitato, fra un'economia di puro lavoro e un'economia in cui accanto al lavoro ci sono altri fattori produttivi.
L'operazione con cui Marx deduce il plusvalore da tale raffronto fra due societa', una ipotetica e astratta, l'altra concreta e reale, non puo' dar luogo ad altro che a una costruzione mentale. Gia' Werner Sombart aveva definito il plusvalore un "fatto del pensiero", non un dato empirico, e Croce aderisce a questa interpretazione (Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, 1897, p. 60).
Non sembra dubbio che per Croce il "paragone ellittico" pone le basi per un raffronto qualitativo fra tipi di societa'. Di piu', esso possiede un elemento morale di indubbia efficacia propagandistica. Il capitalismo e' il contrario di una societa' di uomini eguali, che vivono tutti del proprio lavoro; quella societa', che il moralista e agitatore Marx promette che sara' realizzata con il socialismo (B. Croce, Sulla forma scientifica del materialismo storico, 1896, p. 32 nota).
In quanto concetto qualitativo, il plusvalore e' estraneo alla teoria economica in senso stretto. Ma proprio per questo la sua eventuale confutazione richiede strumenti non meramente logico-formali. In altri termini, esso resta come "[...] un dardo acuminato nel fianco della societa' borghese, e nessuno e' riuscito a strapparvelo. Ci vuole ben altra radice medica che non i ragionamenti del Boehm-Bawerk e simili critici, per sanare la piaga" (Sulla forma scientifica del materialismo storico, cit., p. 33 nota).
Questa frecciata contro la Scuola austriaca, altrove da Croce considerata il punto piu' alto dell'evoluzione dell'economia politica (cfr., per es., Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900), 1937, in A. Labriola, La concezione materialistica della storia, nuova ed. con un'aggiunta di B. Croce sulla critica del marxismo in Italia dal 1895 al 1900, 1942, p. 293), non deve sembrare contraddittoria. Dato che la scienza economica non e' scienza storica e neppure scienza morale, qualunque economista si ponga questioni di natura storica e/o morale deve uscire dalla sua scienza. Questo ha fatto Marx, trattando del profitto (meglio, del plusvalore) dal punto di vista "sociologico" (Per la interpetrazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., p. 78); quindi Eugen von Boehm-Bawerk avrebbe dovuto scendere sul medesimo terreno.
Qui pero' Croce non rileva che, finche' la produzione avviene tramite il solo lavoro, le merci si scambiano ai loro valori, e non si ha plusvalore; quando si ha l'appropriazione della terra e l'accumulazione di capitale – cioe' quando si passa alla societa' capitalistica – i prezzi non corrispondono piu' ai valori. Se lo avesse rilevato, non avrebbe potuto fare a meno di concludere che anche la trasformazione dei valori in prezzi – problema che ai suoi tempi era gia' sotto l'occhio degli economisti, a cominciare dal famigerato (per Croce) Achille Loria (cfr. A. Loria, Marx e la sua dottrina, 1902) – e' un esito analitico del "metodo comparativo" seguito da Marx. Quindi il "paragone ellittico" solleva anche questioni quantitative, nella misura in cui non si ferma a indagare la genesi del plusvalore, ma intende determinarne anche la grandezza.
Lo stesso Croce ha svolto anche un'indagine strettamente analitica – l'unica della sua stagione di 'economista' – intorno alla legge marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto. Questo scritto si propone di servirsi delle assunzioni dello stesso Marx ed e' da considerarsi correttamente impostato sul piano logico e largamente condivisibile nelle conclusioni. Come e' noto, nel libro III del Capitale Marx sostiene che l'aumento della composizione organica del capitale senza un corrispondente aumento del saggio di plusvalore fa diminuire il saggio di profitto. E' una tipica tautologia, in quanto, date le definizioni di saggio di plusvalore pv/v (dove pv e' il plusvalore e v e' il capitale variabile), di composizione organica del capitale c/v (dove c e' il capitale costante) e di saggio del profitto pv/(c+v), se pv/v resta invariato e c/v aumenta non puo' non ricavarsi la conclusione di Marx. Ma Croce obietta che il progresso tecnico svalorizza proprio c; inoltre il risparmio ottenuto di c grazie al progresso tecnico puo' dar luogo a un aumento dell'accumulazione e quindi a un aumento del saggio del profitto. Va bene che maggiore accumulazione puo' significare anche maggiori salari; ma allora l'effetto finale e' indeterminato (cfr. Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, 1899).
Considerando definitive le sue conclusioni – cosi' come, dal suo punto di vista, in effetti erano – Croce decise di comporre questi scritti in un libro, "come in una bara", e di "chiudere la parentesi marxista della sua vita" (Marxismo ed economia pura, 1899, p. 175). Per sua stessa ammissione, il marxismo aveva stimolato la sua riflessione in modo positivo. Ma osserviamo che il Marx di Croce e' un Marx dimidiato che, lungi dal portare avanti una critica dell'economia politica borghese, punta tutte le sue carte su un "paragone ellittico" di dubbia efficacia, se non un "artifice comparatif" (Les etudes relatives a' la theorie de l'histoire, en Italie, durant les quinze dernieres annees, 1902, p. 190); e che, quando ragiona da economista, difetta nell'analisi.
Resta in piedi il Marx profeta, se si vuole impiegare il linguaggio di Capitalism, socialism and democracy (1942) di Joseph A. Schumpeter; cioe' il banditore di un suggestivo verbo anticapitalistico, pieno di indignazione morale; e soprattutto il Marx "Machiavelli del proletariato" (Per la interpetrazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., p. 112), l'abile ideatore di parole d'ordine politiche atte a muovere i sentimenti delle masse. Quanto il moralismo possa andar d'accordo con il machiavellismo, non e' facile dire, e lo stesso Croce presto se ne convinse, togliendo a Marx la patente di moralista e lasciandogli solo quella di machiavellico.
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Il 'principio' crociano del valore
Contemporaneamente alla lettura di Marx, "dalla primavera del 1895 a quella del 1896" (Memorie della mia vita, 1902, in appendice ad A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce 1885-1904, 1975, p. 400) egli s'impegna in uno studio a tappeto dell'economia politica borghese, spaziando da Adam Smith a David Ricardo ad Alfred Marshall ai marginalisti della scuola austriaca (Conversazioni critiche, serie I, 19423, p. 293) per cercare l'elemento comune a tutte le varie scuole e correnti, ed estrarne il concetto base della disciplina.
Sorprende che tale lettura degli economisti venga condotta senza alcuna contestualizzazione storica. Largamente influenzato da Maffeo Pantaleoni, che insegno' a Napoli fino al 1897 e con cui il giovane filosofo era entrato in amichevole rapporto (cfr. Michelini 1998), Croce afferma che tutte le storie delle scienze devono partire dal patrimonio di conoscenze attuale; anche se soggiunge che si deve fare anche la storia degli "errori" e non solo delle "verita'", perche' altrimenti il lavoro storico perde di spessore e si confonde con la teoria pura e semplice (cfr. Il giudizio economico e il giudizio tecnico, 1901, in Materialismo storico ed economia marxista, ed. 1927, pp. 193-99). Ma le ragioni per cui nel corso del tempo si sono alternati "errori" e "verita'" non sono spiegate storicamente.
Non e' peraltro ai singoli aspetti e scuole dell'economia politica che egli rivolge la sua attenzione, ma all'individuazione del "principio economico", senza il quale l'economia come scienza non puo' fondarsi. Il "principio economico" unificante, argomenta Croce, e' e non puo' essere altro che il Valore. Lamenta che "[...] ci sia ancora da elaborare filosoficamente il concetto di Valore, e che bisogni percorrere fino al fondo quella strada, che gli economisti puri hanno percorso solo fino a un certo punto. Si veda com'essi siano ancora perplessi tra i concetti di egoismo, legge del minimo mezzo, soggettivismo, psicologismo, edonismo, eudemonismo, e via dicendo. Trovare il fatto primo economico, l'elemento irriducibile che fa dell'economia una scienza indipendente, e' un problema non ancora risoluto" (Marxismo ed economia pura, 1899, rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica, 1927, p. 173).
Soltanto una volta individuato al proprio interno un principio originale e fondante, l'economia puo' legittimamente pretendere di diventare "pura" (Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., pp. 77-78). A Croce la locuzione "economia pura", allora corrente specie nella Scuola di Losanna, piace molto. Ma per lui la purezza non sta tanto nell'uso della matematica, e neppure, come avrebbe detto di li' a pochi anni Max Weber, nell'avalutativita', cioe' nell'indipendenza da giudizi di valore, bensi' – nientemeno – nel suo presentarsi come "teoria del giudizio economico in universale" (Conversazioni critiche, cit., p. 296).
Ne consegue che le differenti definizioni di valore date dagli economisti – sia quelle discendenti dall'adozione del postulato edonistico (Pantaleoni), sia quelle basate sul concetto di razionalita' della scelta (Pareto) – sono irrilevanti ai fini di una fondazione filosofica dell'economia, e possono al piu' servire per fini pratici di misurazione dei fenomeni economici.
Quest'insoddisfazione trova conferma nella discussione del 1900-01 con Vilfredo Pareto (cfr. rispettivamente B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, 1900; V. Pareto, Scritti teorici, a cura di G. Demaria, 1951). L'economista di Losanna ritiene che la scienza economica abbia fatto benissimo, nel corso del tempo, a liberarsi dell'ipoteca del "principio primo", che sa di metafisica, e ad affinare le sue tecniche specialistiche d'indagine, aventi a oggetto non gia' i "giudizi economici", ma semplicemente i "fatti economici", nella loro oggettivita' e neutralita'. Croce obietta che la raccomandazione di Pareto di studiare i "fatti" economici secondo l'ipotesi di razionalita' sa di meccanicismo, e meglio farebbe l'economista a partire dagli "atti" (cioe' dai giudizi) economici, da cui i fatti discendono.
Fra i primi economisti che in quegli anni sembrano essersi avvicinati alle posizioni crociane risulta Ulisse Gobbi, per il quale oggetto della scienza economica sono azioni volontarie, non fatti meccanici. Per Gobbi il fondamento teoretico della scienza economica e' il "giudizio di convenienza" su queste azioni (se esse siano o no congrue al raggiungimento del fine), che coincide con la "legge del minimo mezzo" o dell'impiego ottimale delle risorse. Gobbi, nella sua acuta memoria, anticipava Robbins distinguendo il giudizio tecnico, che prescinde dalla scelta, da quello economico, che sulla scelta e' basato (U. Gobbi, Sul principio della convenienza economica, "Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, Classe di scienze storiche e morali", 1900, 21, 3). Croce – pur apprezzando il ragionamento di Gobbi – obietta pero' che il "giudizio di convenienza" (da Croce chiamato "giudizio di valore", espressione non usata dall'economista lombardo) e' in se' contraddittorio, perche' confonde nientemeno che l'attivita' teoretica con quella pratica. Infatti il valore e' atto di volonta', non di conoscenza: "Un'azione non la voglio, perche' e' utile, ma e' utile, perche' la voglio" (Il giudizio economico e il giudizio tecnico, cit., p. 252). Il giudizio deve venire dopo l'atto. Sulla formazione dell'atto gli economisti non possono interferire.
Sarebbe ozioso domandarsi "chi fra i due ha avuto ragione". Si puo' azzardare che se Pareto ha posto le basi per una piu' rigorosa definizione di razionalita' economica, Croce ha colto la centralita' del problema della scelta in economia, anche se non si puo' chiedere a Croce di affrontare il problema dell'ordinamento delle preferenze (cfr. Montesano 2003, p. 203), ne', soprattutto, gli si puo' chiedere di fare a meno della dialettica valore-disvalore, e quindi scelta-non scelta, cruciale nella sua concezione dell'uomo (cfr. Sasso 1975, pp. 433 e segg.) ma, ci sembra, poco significativa nell'analisi economica del comportamento del consumatore.
Resta, infatti, confermato il divario fra il concetto filosofico dell'Utile come "volizione dell'individuale" – mentre la morale e' "volizione dell'universale" (Filosofia della pratica. Economica ed etica, 1909, 19233, p. 236) – e il concetto (o meglio l'astrazione) dell'utile in economia, e quindi fra l'economia come attivita' umana, calata nella storia, e la scienza economica, che ha per schema l'uomo economico immutabile, corrispondente al punto materiale in fisica. L'utile nella vita pratica trascende di molto la nozione economica di utile: il primo e' tutt'uno con la vitalita' dello Spirito creatore del mondo intorno a se'; il secondo e' un concetto strumentale e meccanico. Il beffardo invito rivolto agli economisti, "calcolate, non pensate" (p. 251), sembra chiudere per sempre ogni dialogo.
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Croce-Einaudi: la rilevanza dei giudizi di valore in economia
Croce non manca di ammonire gli economisti circa l'imperfetta distinzione, pure all'interno della loro scienza, fra l'essere e il dover essere, fra la teoria e la politica economica. Del tutto correttamente, Croce distingue fra precetti di natura ideologico-politica e teorie economiche. I primi non possono essere confusi con le seconde. "Socialismo e liberismo si diranno bensi' scientifici per metafora o per iperbole, ma ne' l'uno ne' l'altro sono o possono esser mai deduzioni scientifiche" (Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, cit., p. 93). Purtroppo, rileva Croce, spesso gli economisti non rispettano tale distinzione.
Su questa base si svolge il dibattito con Luigi Einaudi. Se Croce e' un filosofo che marcia, seppure criticamente, verso l'economia, Einaudi compie il cammino inverso.
Nel giovane Einaudi i problemi economici sono parte di una piu' generale concezione umanistica e moralistica. Cosi', nel 1905 loda Thomas Carlyle per il suo romanticismo economico; nel 1915 scrive che la Grande guerra non era scoppiata per motivi economici, i quali nella storia contano ben poco, ma per motivi ideali; nel turbinoso dopoguerra fa propri i precetti di William Smart sulla "gioia nel lavoro"; in polemica con il fascismo esalta la "bellezza della lotta" sindacale come valore in se', oltre che come esigenza economica. Una visione dell'economia dominata da istanze che sono tutt'altro che il mero tornaconto.
Inoltre, Einaudi auspica un piu' giusto ordine internazionale, che vada oltre la miopia dell'interesse dei singoli Stati, mentre Croce irride alle "alcinesche seduzioni della Dea Giustizia e della Dea Umanita'" (prefazione del 1918 a B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, p. XIV). Infine, Einaudi e' un convinto federalista democratico, mentre Croce non si pronuncia nel merito.
Il dissenso teorico principale verte, pero', sul rapporto fra liberalismo politico (e filosofico) e liberalismo economico, o liberismo.
Nel 1927 Croce critica gli economisti che attribuiscono al liberismo "valore di regola o legge suprema della vita sociale", trasformando il liberismo da legittimo "principio economico" in illegittima teoria etica (Liberismo e liberalismo, 1927, rist. in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura di P. Solari, 19882, pp. 10-11). Queste considerazioni sembrano a Einaudi introdurre un elemento di vulnerabilita' nella scienza economica, accusata di dipendere da una premessa extrascientifica come il liberismo. Con puntiglio, Einaudi ribatte che il liberismo non e' un principio primo. E conferma la validita' dell'approccio astrattivo-deduttivo dell'economia come scienza (L. Einaudi, Dei concetti di liberismo economico e di borghesia e sulle origini materialistiche della guerra, "La riforma sociale", 1928, 39, pp. 501-16, rist. in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit.).
Sembrerebbe che le due posizioni fossero complementari piu' che contrapposte; e questa era anche l'impressione di Croce (cfr. B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit., pp. 46-47). Invece, pochi anni dopo Croce riprende il discorso, confermando che la liberta' empirica degli economisti non e' ne' puo' essere la Liberta' filosofica, dato che quest'ultima e' un principio di carattere universale che non patisce qualificazioni di tempo o di luogo. Sul piano storico, Croce riconosce che la Liberta' si e' meglio realizzata nell'Ottocento, specie in Europa occidentale, producendo anche un certo liberismo, seppure "temperato" (forse perche' un liberismo sfrenato sarebbe stato pregiudizievole a essa). Non sembra pero' interessato a cogliere un legame significativo fra i due fenomeni. Anche nel dopoguerra, in uno dei suoi ultimi interventi, egli ammette che "[...] nel corso del secolo decimonono [...] l'idea liberale si trova avvicinata e infine congiunta e fusa con l'idea economica del libero scambio", ma ribadisce che tale "fusione e unione in teoria deve essere negata" (Dieci conversazioni, 1993, p. 77).
Il seguito della discussione e' sempre piu' nel segno di Einaudi. Croce – che sembra concentrarsi sul proprio ragionamento senza dare riconoscimenti al suo interlocutore, se non per lettera – trova nelle posizioni einaudiane la conferma che nessun economista, neppure quelli piu' dotati o piu' vicini alle sue posizioni, hanno o possono avere autentica mente filosofica. A Einaudi nel 1944 Croce assegna il compito di scrivere il programma per il rinato Partito liberale, "per dare ad esso concretezza non solo nel campo morale" – terreno che evidentemente riteneva di sua esclusiva spettanza – "ma anche in quello economico" (B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit., p. 105). Implicitamente, Croce intendeva attribuire uno spazio di autonomia intellettuale, predefinito e limitato, al piu' eminente economista italiano del tempo.
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Opere
Sulla forma scientifica del materialismo storico, "Atti dell'Accademia Pontaniana", 1896 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900).
Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, "Atti dell'Accademia Pontaniana", 1897 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900).
Marxismo ed economia pura, "Rivista italiana di sociologia", 1899 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900, 1907 (2)).
Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, "Atti della Accademia Pontaniana", 1899 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900, 1907 (2)).
Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900 (edd. accresciute 1907; Bari 1918, 1927, 1941; ed. critica a cura di M. Rascaglia, S. Zoppi Garampi, con nota al testo di P. Craveri, 2 voll., Napoli 2001).
Il giudizio economico e il giudizio tecnico. Osservazioni a una memoria del prof. Gobbi, "Atti dell'Accademia Pontaniana", 1901 (rist. in Id., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Milano-Palermo 1900).
Les etudes relatives a' la theorie de l'histoire, en Italie, durant les quinze dernières annees, "Revue de synthese historique", dicembre 1902, 15 (rist. in Id., Primi saggi, Bari 1927).
Memorie della mia vita (1902), in appendice ad A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce 1885-1904, Napoli 1975.
Filosofia della pratica. Economica ed etica, Bari 1909, 1923 (3).
Contributo alla critica di me stesso, Napoli 1918 (rist. in Id., Filosofia, poesia, storia. Pagine tratte da tutte le opere, Milano-Napoli 1951).
Liberismo e liberalismo, "La critica", 1927 (rist. in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura di P. Solari, Milano-Napoli 1957, pp. 11-75).
Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Da lettere e ricordi personali (1937), in appendice ad A. Labriola, La concezione materialistica della storia, nuova ed. con un'aggiunta di B. Croce sulla critica del marxismo in Italia dal 1895 al 1900, Bari 1942.
Conversazioni critiche, serie I, Bari 1942 (3).
Etica e politica, aggiuntovi il Contributo alla critica di me stesso, III ed. riveduta, Bari 1945.
Filosofia, poesia, storia. Pagine tratte da tutte le opere, Milano-Napoli 1951.
Dieci conversazioni con gli alunni dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, Bologna 1993.
Si veda inoltre:
B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura di P. Solari, con introduzione di G. Malagodi, Milano-Napoli 1988 (2).
L. Einaudi, B. Croce, Carteggio (1902-1953), a cura di L. Firpo, Torino 1988.
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Bibliografia
J. A. Schumpeter, History of economic analysis, ed. E. Boody Schumpeter, New York-London 1954 (trad. it. nuova ed. con intr. di G. Lunghini, 3 voll., Torino 1990).
G. Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli 1975.
P. Craveri, K.E. Loenne, G. Patrizi, Croce Benedetto, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, XXXI vol., Roma 1985, ad vocem.
L. Michelini, Idealismo e marginalismo. Lettere di Maffeo Pantaleoni a Benedetto Croce (1897-1924), "Il pensiero economico italiano", 1998, 2, pp. 9-37.
A. Montesano, Croce e la scienza economica, "Economia politica", 2003, 2, pp. 201-24.
2. MAESTRI. DOMENICO PROIETTI: BENEDETTO CROCE SCRITTORE E LINGUISTA
[Dall'Enciclopedia dell'Italiano (2010), nel sito www.treccani.it]
1. La vita
Nacque a Pescasseroli (L'Aquila) il 25 febbraio 1866. Compiuti gli studi medio-superiori a Napoli, scampo' al terremoto di Casamicciola (luglio 1883), in cui perse i genitori e la sorella, e fu accolto a Roma in casa dello zio, il filosofo Silvio Spaventa. Qui si dedico' a ricerche erudite e conobbe il filosofo Antonio Labriola. Stabilitosi definitivamente a Napoli nel 1886, pubblico' ricerche sulla storia e la cultura napoletane ma venne orientandosi sempre piu' decisamente verso la filosofia. Elaboro' cosi' un sistema neoidealistico (la cosiddetta filosofia dello spirito) basato su una forma di storicismo 'assoluto' (Estetica, 1902; Filosofia della pratica, 1908; Logica, 1909; Teoria e storia della storiografia, 1917), da lui stesso in seguito sottoposto a cospicue integrazioni (La poesia, 1936; La storia come pensiero e come azione, 1938).
Nel 1902, fondo', insieme a Giovanni Gentile, la rivista "La Critica", che diresse per quasi un cinquantennio, esercitando un'influenza profonda sulla cultura italiana del tempo. Inflessibile oppositore del fascismo, fu ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio e nel primo governo Bonomi (aprile-luglio 1944) e membro dell'Assemblea Costituente. Mori' a Napoli il 20 novembre 1952.
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2. La fortuna di Croce scrittore
Sin dalla pubblicazione della Logica (recepita come il libro piu' caratteristico nella definizione del suo metodo filosofico, se non proprio come il suo "vero capolavoro"; Contini 1972: 47), si susseguirono interventi di scrittori e critici italiani e stranieri sulla sua prosa e sulle sue qualita' di scrittore. Premessa condivisa era che "per intendere il Croce scrittore" fosse necessario "il riferimento perenne al sistema del suo pensiero" (Flora 1952: 58).
Di fatto, pero', si trattava di caratterizzazioni parziali, impostate su formule generalizzanti quale quella, fortunata (e gia' crociana), di "poeta della filosofia" (Prezzolini 1909; Debenedetti 1922; Flora 1952), oppure di profili o bozzetti impostati su motivi e atteggiamenti ritenuti centrali e/o caratterizzanti, quali la "serena alacrita'" e, conseguentemente, la conduzione non aspra della polemica (Emery 1920; Vossler 1942), la 'classicita'' dello stile (Guenther 1927; Cilento 1953) e la capacita' di evocare e descrivere ambienti, fatti e persone (Pancrazi 1937; Cecchi 1951; Bacchelli 1953). Ostacoli a una considerazione complessiva e organica erano, a parte obiecti, il continuo svilupparsi dell'opera di Croce, la sua estensione su campi disciplinari differenti e soprattutto la difficolta' a mettere in rapporto e spiegare i caratteri linguistico-stilistici della sua prosa con le posizioni fondamentali del suo pensiero (soprattutto estetico e linguistico).
Una caratterizzazione complessiva del Croce scrittore basata su rilievi linguistico-stilistici e impostata su una scansione cronologica delle opere e' fornita da Puppo (1964), che valorizza anche la riflessione crociana sulla prosa concettuale nel saggio Teoria della distinzione e delle quattro categorie spirituali (1946) e, soprattutto, da Contini (1972): le "qualita'" di Croce scrittore, dichiarato uno dei vertici della prosa saggistica novecentesca per la sua capacita' di "maneggia[re] la cosa letteraria e adotta[re] la tecnica pubblicistica dei letterati" (p. 66), sono messe in costante rapporto con la "mutabilita' organica" (p. 33) del suo pensiero e considerate come uno dei fattori decisivi della sua "azione cosi' rapida e diretta sulla cultura generale" italiana (p. 66). Dopo la lunga stagione di oblio toccata all'opera di Croce nel secondo dopoguerra, l'ampia monografia di Colussi (2007), in cui sono messi a frutto anche i rilievi di Mengaldo (1994), ricostruisce nei suoi tratti essenziali l'itinerario linguistico-stilistico del filosofo, tenendo anche conto degli influssi degli autori da lui prediletti (Giambattista Vico, G.W.F. Hegel, K.W.F. Schlegel, Giosue' Carducci, Francesco De Sanctis) e soprattutto dell'assiduo lavoro di correzione a cui sottoponeva i suoi lavori in occasione delle loro ristampe.
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3. Caratteri della prosa crociana
Il tratto che risulta costante e caratteristico nella lunga parabola della prosa crociana e' uno stile raffinatamente antiquato, caratterizzato da grafie ed espressioni della tradizione letteraria e piu' in sintonia con il gusto di Graziadio Isaia Ascoli che con gli orientamenti di Alessandro Manzoni (e dei manzoniani fino a Edmondo De Amicis, con cui Croce ebbe una polemica nel 1905-06; Tosto 1967). Tale "arcaicizzare o non modernizzare" (Mengaldo 1994: 360), da inquadrare in una piu' generale tendenza alla "sintesi fra aulico e colloquiale" (ivi: 184), si esplica caratteristicamente in una serie di tratti grafico-fonetici, che tendono ad accentuarsi nell'ultimo trentennio di attivita' di Croce (Colussi 2007: 283-286). Tra questi spiccano: l'uso di i prostetico (per iscritto, per ispiegare, non isfuggiva); la presenza costante di grafie univerbate (cfr. univerbazione) di stampo letterario quali sibbene e dipoi; l'assenza di dittongo in forme quali tepido (e derivati), petrificare (e derivati, secondo l'esempio di De Sanctis, che attingeva al ted. petrifizieren, usato da Hegel e Schlegel) e soprattutto nei derivati di queto (quetamente, quetato, ecc.); forme quali gittare, quistione, formola (d'uso corrente in De Sanctis), coltura (invece di cultura), eguale ed eguaglianza, rettorica (per falsa etimologia, gia' presente in Vico).
Nel lessico, "rilevato e personalissimo" (Mengaldo 1994: 185), spiccano gli aggettivi con i suffissi -istico (arbitraristico, astrattistico, marxistico, matematicistico / matematistico, praticistico) e -oso (perlopiu' di stampo vichiano: attuoso, dilettoso, fervoroso, sensuoso, ecc.), la ricca serie di nomi in -mento (colorimento, inveramento, oscillamento, logicizzamento, razionalizzamento, schematizzamento, ecc.) e la forte produttivita' del prefisso pseudo, a partire da pseudoconcetto (pseudoespressione, pseudostoria).
Si segnalano infine latinismi (aliato, amplitudine, desidia, non estranei a Gabriele D'Annunzio) e veri e propri 'crocianismi' (banausico, interpetre, medesimezza, scissura). Tra le formazioni verbali, d'uso caratteristico risultano i suffissati, tipici del lessico filosofico, in -izzare (dialettizzare, empiricizzare, estetizzare, logicizzare) e -ficare (corporificare, entificare).
Piu' articolato il panorama della morfosintassi, in cui tratti di "distanziamento dalla modernita'" (Colussi 2007: 285) convivono, entro un "periodare unificante e riposato" (Mengaldo 1994: 184), con forme e costrutti orientati verso la semplificazione e l'oralita'. Tra i primi si possono indicare i seguenti: l'uso, crescente nelle opere piu' tarde, delle forme preposizionali sur + vocale (gia' eliminata da Manzoni) e di merce' (anche seguita da di); la serie pel, pei e collo, colla, cogli, colle; diverse peculiarita' nella scelta degli avverbi (oltre al cultismo insiememente tipico di Vico e ricorrente in Antonio Labriola, i modali altrimente, parimente e del pari); e l'uso costante dei costrutti verbali vi ha e ci e'.
Di maggior profondita' e rivolti verso l'accettazione di un uso medio della lingua risultano i tratti di aggiornamento e semplificazione: a cominciare, a livello verbale, dal mantenimento della labiodentale nell'imperfetto indicativo (facevano e non faceano) e contestualmente dall'adozione generalizzata del tipo analogico in -o nella prima persona sing. (io scrivevo invece di io scrive[v]a) e della forma siano (in luogo di sieno) nella terza persona pl. del congiuntivo presente. E non mancano altri tratti essenziali dell'italiano medio quali l'uso (a partire dalle opere della maturita') di lui, lei e loro in funzione di soggetto e il ricorso a costruzioni con dislocazione e ripresa pronominale.
Comunque, il livello in cui con maggiore decisione e costanza si rivela la tendenza di Croce verso un registro colloquiale e un andamento che mima il parlato della pagina scritta e' quello della connessione testuale. Sin dalle sue prime opere, infatti, ricorrono i principali segnali testuali caratteristici della pubblicistica e della saggistica piu' disinvolta e vivace: congiunzioni o locuzioni congiunzionali testuali quali comunque e per cui assoluti, se(n)nonche', semmai / casomai, sicche', solo (che); avverbi 'frasali' (effettivamente, teoricamente, precisamente, probabilmente, ecc.) ed elementi affini (quali i gerundi di transizione discorsiva: concludendo, riassumendo, ecc.); e segnali discorsivi quali allora o dunque.
Di questi caratteri di fondo della sua prosa, del resto, appare ben consapevole lo stesso Croce, quando (Contributo alla critica di me stesso: par. II) dichiara il suo debito stilistico sin dagli anni giovanili verso "lo stile disinvolto" di Ferdinando Martini e dei giornali letterari di fine Ottocento o quando (Intorno alla mia teoria del diritto, "La Critica", XII, 1914, p. 448) cosi' caratterizza se' stesso come scrittore: "Nella mia forma espositiva e letteraria ho [...] preferito adottare [...] un modo disinvolto, descrittivo e popolare quale usarono i filosofi inglesi nel Settecento; e, nel tutto insieme, posso dire di aver tenuto una forma di esposizione che e' ben mia e bene italiana". Va osservato, infine, che l'attenzione agli aspetti stilistici che si riscontra qui e in tante altre pagine dedicate ad autori minori e minimi compare meno spesso nei saggi dedicati a scrittori e poeti di prima grandezza, nei quali la critica letteraria e' concepita ed esercitata, per esplicita dichiarazione dello stesso Croce (La letteratura della Nuova Italia, 1938, vol. V, pp. V-VII, 267), come applicazione ed esemplificazione delle sue teorie estetiche.
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4. Estetica e linguistica
Proprio il livello della conoscenza estetica, nucleo e insieme punto di partenza dell'intero sistema filosofico crociano mosso dal criterio della circolarita'-distinzione, a' il terreno in cui non solo coesistono, ma anzi vengono da Croce identificate (sin nel titolo dell'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale) l'estetica e la linguistica. Tale identificazione e' basata sul fatto che la conoscenza estetica (la prima delle quattro categorie del conoscere in cui si articola il sistema filosofico crociano) e' insieme intuizione (semplice o pura), fantasia, arte e soprattutto espressione.
L'intuizione, primo, aurorale grado della conoscenza umana, infatti, e' nella sua essenza arte e quindi espressione, non essendo concepibile un'intuizione priva di espressione (lo spirito umano nell'attivita' intuitiva "tanto intuisce quanto esprime": Estetica I, 1). In quanto espressione, pero', l'attivita' intuitiva e' anche lingua, ma va precisato che con questi tre sinonimi (intuizione, espressione e lingua) si deve intendere un fatto puramente interno, un'immagine, una creazione spirituale, indipendentemente dalla sua traduzione in fenomeni fisici (suoni, movimenti, combinazioni di linee e colori, ecc.). La lingua, dunque, e' una forma di conoscenza e insieme attivita' creativa, arte.
Da questa primaria identificazione di lingua / intuizione, arte ed espressione discendono alcune conseguenze. In primo luogo, dato il carattere intuitivo, fantastico e metaforico della lingua risultano infondate le concezioni logiche / logistiche del linguaggio (dominanti nel Settecento, riproposte dal positivismo e operanti nella redazione delle grammatiche) e le stesse categorie e classificazioni grammaticali nulla hanno a che vedere con le categorie della logica (una frase logicamente contraddittoria come questa tavola rotonda e' quadrata e' grammaticalmente corretta: cfr. Problemi di estetica, 1909, III, 5) e risultano astrazioni a scopo pratico (didattico). E astrazione e' la stessa nozione di parola (come quella di vocabolario, "raccolta di astrazioni"), che ha esistenza individuale e concreta solo nell'"organismo estetico" in cui e' inserita.
Inoltre, dato che il linguaggio e' realta' vivente in perenne fluire, le norme grammaticali, le leggi fonetiche (centro metodologico e operativo del modello storico-comparativo dominante nella linguistica positivistica), le stesse lingue storico-naturali e i loro vocaboli e in ogni caso la scienza linguistica altro non sono se non costruzioni secondarie, prive di fondamento logico e in larga misura trasposizioni in indicazioni precettistiche delle abitudini e degli ideali linguistici di un dato periodo (in particolare, viene criticata come infondata l'idea della lingua-modello, che in Italia era stata alla base dell'intera questione della lingua e al centro della proposta fiorentinistica di Manzoni). Alla linguistica, che si risolve nell'estetica, pertiene quindi lo stesso campo d'indagine della critica letteraria, cioe' la descrizione e lo studio estetico degli autori, da esercitare rifiutando (secondo i suggerimenti di Vossler 1942) ogni forma di critica stilistica "estrinseca" (cioe' tecnicistica).
In questa concezione della lingua e della linguistica, fortemente condizionata dalle sue premesse antinaturalistiche e antipositivistiche (Cavaciuti 1959; Deneckere 1984), finiva, pero', per non trovare posto la varieta' dei linguaggi non artistici, ininfluente forse per gli studi estetici ma assolutamente centrale in qualunque indagine linguistica. Un tentativo (speculare a quello gia' esperito con l'esame della letteratura in rapporto all'estetica) di integrare questo aspetto della lingua nella sua filosofia del linguaggio fu fatto da Croce solo nel 1941, discutendo alcune opere di Giulio Bertoni (Discorsi di varia filosofia, I, pp. 235-250). Riconosciuta, al di fuori della sfera dell'"esteticita'", la nozione, empirica e pedagogica, della "lingua dei linguisti", questa viene qualificata come "istituto" (cioe' costume, convenzione, istituzione sociale). In quanto entita' dello spirito pratico, la lingua-istituto eccede la sfera dell'individuale e, essendo la concretizzazione di convenzioni vigenti in una comunita' o epoca storica, e' suscettibile di normalizzazione e correzione secondo norme sancite da codificazioni grammaticali e/o accettate per uso e consuetudine; la storia linguistica e' la storia di tali fenomeni e processi.
Peraltro (come rilevato da Nencioni 1946) in tale revisione della linguistica crociana non veniva superata la sua principale difficolta': le convenzioni di cui si compone la lingua come istituto sono indispensabili per intendere i valori estetici dei testi artistici, e dunque anteriori a essi. Inoltre, la distinzione tra la lingua come espressione poetica e la lingua come istituto (pur accostabile alla dicotomia saussuriana langue / parole e al concetto di sistema elaborato da Charles Bally) risultava inutilizzabile anche in una prospettiva di pragmatica linguistica, in quanto non graduabile secondo i diversi usi o funzioni della lingua. Per tali difficolta', nonostante le correzioni e le integrazioni proposte da Devoto (1951), la dottrina linguistica crociana perse rapidamente seguito ed influenza.
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Fonti
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Studi
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 116 del 18 giugno 2021
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