[Nonviolenza] Telegrammi. 4134



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4134 del 13 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Nel ricordo di Anne Frank
2. Emanuele Pellegrini: Carlo Ludovico Ragghianti
3. Paolo Arena: Leggere "La Nera" di Dino Buzzati, e forse un ripensamento in coda
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. NEL RICORDO DI ANNE FRANK

Il 12 giugno 1929 nasceva Anna Frank, che per ogni persona senziente e pensante e' indimenticabile esempio dell'umanita' innocente e perseguitata.
La testimonianza di Anne Frank, poco piu' che una bambina, e' un appello fermo e ineludibile all'umanita' intera affinche' nessuno sia mai piu' aggredito, nessuno sia mai piu' perseguitato, nessuno sia mai piu' ucciso.
La testimonianza di Anne Frank, poco piu' che una bambina, e' la denuncia nitida e intransigente di tutti i fascismi, di tutte le oppressioni, di tutte le violenze.
La testimonianza di Anne Frank, poco piu' che una bambina, ti convoca alla lotta nonviolenta contro la disumanita', ti convoca alla lotta nonviolenta per salvare tutte le vite, ti convoca alla lotta nonviolenta che ad ogni violenza si oppone.
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Una minima notizia su Anne Frank
Annelies Marie Frank nacque il 12 giugno 1929 a Francoforte; emigro' con la famiglia in Olanda nel 1933. Dal 1942 al 1944 visse segregata nell'alloggio segreto per sfuggire ai  nazisti. A seguito della segnalazione di una spia tutti i rifugiati nell'alloggio furono arrestati; deportata ad Auschwitz, poi trasferita a Bergen Belsen, vi mori' nel marzo 1945 (poche settimane dopo le truppe inglesi liberavano i sopravvissuti del campo).
Opere di Anne Frank: il Diario (in italiano edito da Einaudi e negli Oscar Mondadori; ovviamente l'edizione di riferimento e' adesso la nuova edizione integrale, Einaudi, Torino 1993, 2003; edizione critica: Diari, Einaudi, Torino 2002) fu trovato nell'alloggio segreto e consegnato dopo la guerra al padre, unico sopravvissuto della famiglia; fu pubblicato nel 1947. Cfr. anche i Racconti, Cappelli, 1966, poi Racconti dell'alloggio segreto, Einaudi, Torino 1983.
Tra le opere su Anne Frank: Melissa Muller, Anne Frank. Una biografia, Einaudi, Torino 2000; C. Ann Lee, Storia di Anne Frank, Rizzoli, Milano 1998; segnaliamo anche il lavoro di Willy Lindwer, Gli ultimi sette mesi di Anna Frank, Newton Compton, Roma 1989, 1995; e la testimonianza di Miep Gies, Si chiamava Anne Frank, Mondadori, Milano 1988. Alcuni recenti libri illustrati rivolti ai lettori piu' giovani sono quelli di Menno Metselaar, Ruud van der Rol (et alii), La storia di Anne Frank, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2010; Sid Jacobson, Ernie Colon, Anne Frank. La biografia a fumetti, Rcs, Milano 2011, Mondadori, MIlano 2017; e Ari Folman, David Polonsky, Anne Frank - Diario, Einaudi, Torino 2017, Gedi, Roma 2018.
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Anche nel ricordo di Anna Frank, qui e adesso, occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.

2. MAESTRI. EMANUELE PELLEGRINI: CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI
[Dal Dizionario biografico degli italiani, Vol. 86 (2016), nel sito www.treccani.it]

Carlo Ludovico Ragghianti nacque a Lucca il 18 marzo 1910 da Francesco, geometra, e da Maria Cesari, secondogenito dopo la sorella Erminia (1908-1991). In questa citta', appartata ma nobilitata da un patrimonio culturale straordinario "per la sua varieta' e complessita'" (Archivio Ragghianti, Carte personali, Relazione per il concorso 1947-1948) nonche' da una solida tradizione erudita viva nelle figure di Eugenio Lazzareschi e Augusto Mancini, svolse gli studi giovanili. Analizzo' approfonditamente la letteratura francescana, grazie alla mediazione del predicatore barnabita Giovanni Semeria, e risorgimentale, in particolare il Giuseppe Mazzini dei Doveri dell'Uomo; conobbe e frequento' artisti locali come Arturo Daniele, a cui dedico' la prima pubblicazione (1928). Bastonato dai fascisti per la sua opposizione al regime, fu costretto a trasferirsi a Firenze, dove nel 1927 conobbe Eugenio Montale, al quale dovette la prima apertura sulla coeva cultura europea, a partire dalla lettura di Marcel Proust e James Joyce.
Allievo dal 1928 alla Scuola normale superiore di Pisa, diretta da Giovanni Gentile, entro' in contatto con il vivacissimo gruppo di studiosi raccolti attorno a questo istituto, che impresse una svolta decisiva alla sua formazione. Il confronto serrato con personalita' come Aldo Capitini e Delio Cantimori contribui' alla sua definitiva maturazione etica, intellettuale e politica. Non meno rilevante il ruolo dello stesso Gentile, il quale non solo tollero' l'antifascismo dichiarato del giovane allievo e il suo crocianesimo, ma ne supporto' l'esordio di studioso, prima accettando il saggio dedicato a Giorgio Vasari nei Rendiconti dell'Accademia dei Lincei (1933), quindi favorendo la pubblicazione della Critica d'Arte.
La rivista, fondata nel 1935 da Ragghianti con Ranuccio Bianchi Bandinelli, fu pubblicata dalla casa editrice Sansoni, diretta dal figlio di Gentile, Federico, che ne divenne direttore responsabile. Unica nel suo genere, affrontava temi di arte figurativa dall'antico alla contemporaneita'. Si proponeva di rinnovare gli studi partendo dalla filosofia crociana: il nome e' infatti esplicito richiamo a La Critica di Benedetto Croce, conosciuto da Ragghianti personalmente nel 1932 grazie alla mediazione di Enrico Alpino. La rivista visse di gravi turbolenze interne e instabilita' organizzative, dovute ai difficili rapporti tra i direttori scientifici e Gentile, fino al 1938, quando alla direzione venne aggregato Roberto Longhi, che vi avrebbe lavorato sino alla definitiva rottura, occorsa nel 1940.
Nel 1933 apparve su La Critica crociana lo studio sui Carracci, in cui Ragghianti introduceva il concetto di "prosa" nel linguaggio figurativo. Come gia' quello su Vasari, anche questo saggio prendeva le mosse dalla tesi discussa all'Universita' di Pisa con Matteo Marangoni, direttore e rinnovatore dell'Istituto di storia dell'arte.
Il riconoscimento dell'autonomia delle arti visive da qualsiasi altra modalita' espressiva, proprio del metodo di Marangoni, in questo lavoro si salda con la definizione della personalita' artistica e del rapporto linguaggio-espressione di Croce.
Il quadro dei saggi iniziali si completo' con Cinematografo rigoroso, pubblicato nel 1933 su CineConvegno, documentata e pionieristica rivendicazione del cinema come arte, nonche' avvio di uno dei filoni di ricerca principali e di piu' duratura fortuna nella sua opera.
Risultato vincitore di un posto alla scuola di perfezionamento di Roma, si trasferi' in questa citta' nei primi mesi del 1933, e vi conobbe Licia Collobi, poi sposa e compagna di vita e di lavoro, con cui ebbe quattro figli. Il passaggio romano non lascio' tracce sensibili nel completamento della sua formazione; lo lascio' invece sia dal punto di vista politico, sia per le prospettive di carriera. Fu infatti a Roma che Ragghianti fini' nel casellario politico della polizia fascista: proprio in questi anni, e quindi con maggiore intensita' a partire dal viaggio del 1939 a Londra, dove entro' in contatto con l'ambiente del Warburg Institute e con la redazione del Burlington Magazine, intreccio' il suo lavoro di studioso con l'attivita' cospirativa. Forse grazie alla mediazione di Giulio Carlo Argan e di Longhi, l'antifascista Ragghianti ricevette dal ministero guidato da Giuseppe Bottai, quello dell'Educazione nazionale, l'incarico di redigere le schede di catalogo delle opere d'arte delle province di Modena, Verona e Rovigo, essenziale per la sopravvivenza sua e della sua famiglia, data la forzata esclusione dai concorsi pubblici come non tesserato. Lasciata dunque Roma, si sposto' prima a Modena e poi, dopo la saltuaria permanenza nel Veneto, a Bologna.
Questa sua "massacrante attivita' di schedarolo" (R. Longhi, Archivio Ragghianti, La Critica d'Arte) gli consenti' un ulteriore affinamento dell'occhio e una presa di coscienza diretta del lavoro dell'amministrazione statale per le Belle arti.
La residenza a Bologna impresse una radicale svolta alla sua azione politica. Da qui, infatti, Ragghianti comincio' a tessere i legami tra le varie cellule antifasciste che tra il 1941 e il 1942 avrebbero dato vita al Partito d'azione, alla scrittura del cui programma contribui' in modo diretto. In questi stessi mesi le Arti Grafiche di Bergamo gli affidarono la direzione della rivista Emporium, ma nella primavera del 1942 fu arrestato e incarcerato alle Murate di Firenze, dove scrisse il Profilo della critica d'arte in Italia (pubblicato nel 1948), ragionata sintesi dell'ultimo mezzo secolo di studi sulle arti figurative, e Direttive L (Liberta'), decisivo contributo alla cospirazione. Scarcerato e incarcerato di nuovo nel 1943, venne definitivamente rilasciato a luglio con il crollo del regime. Assunse la presidenza del Comitato toscano di liberazione nazionale, non senza contrasti con l'anima liberalsocialista. Guido' la resistenza di Firenze nell'agosto del 1944 e per primo, utilizzando il Corridoio Vasariano, raggiunse le truppe alleate sull'altra sponda dell'Arno.
Nominato nel giugno del 1945 sottosegretario della Pubblica Istruzione con delega alle Belle Arti del governo Parri, si trovo' a dover fronteggiare i problemi relativi alla ricostruzione e soprattutto alla tutela dei monumenti nonche' alla restituzione delle biblioteche e delle opere d'arte. Si impegno' attivamente per l'autonomia del sottosegretariato e per il rafforzamento dei presidi di tutela territoriali rispetto al governo centrale. Uscito pulito da un'indagine promossa dallo stesso Ferruccio Parri e dal ministro Manlio Brosio in seguito ad accuse mossegli dall'Ufficio recuperi opere d'arte proprio per la questione della restituzione, Ragghianti rassegno' le dimissioni dall'incarico prima della fine del governo, nel dicembre del 1945.
Rientrato a Firenze, lascio' la politica per dedicarsi agli studi, non senza tracce di un intimo dissidio tra la vita attiva della politica e la vita contemplativa della ricerca, evidenti in molte sue lettere datate agli anni del dissolversi del Partito d'azione e della teorizzazione della Terza Forza, di cui fu strenuo sostenitore.
Riuscito vincitore al concorso 'riparatore' per la cattedra universitaria del 1948 e nominato professore di storia dell'arte moderna all'Universita' di Pisa e di estetica e metodo critico alla Scuola normale, combino' il lavoro di ricerca con un'instancabile attivita' di promozione di cultura. Grazie alla fondazione dello Studio italiano di storia dell'arte, successivo alla riorganizzazione dell'Istituto di studi sul Rinascimento, di cui nel 1945 era stato nominato commissario, e alla connessa creazione della La Strozzina nel 1949, pote' contare su una struttura organizzativa che divenne il terminale di tutte queste operazioni.
Organizzo' il primo convegno internazionale di arti figurative (1948); fondo' e promosse, con Max Ascoli, la CADMA (Commissione Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato) per la promozione dell'artigianato artistico italiano in particolare in America (1948-50); organizzo' una serie di mostre di artisti italiani contemporanei in varie citta' della Germania (1950); riattivo' la Critica d'Arte presso l'editore Sansoni (1949-50); riprese una serie di collaborazioni con alcuni editori italiani, come le Edizioni U[omo] di Firenze, per cui diresse le collane Quaderni d'arte e Saggi di critica d'arte (1946), come Einaudi, presso cui fondo' il premio per la critica d'arte e la connessa collana Biblioteca d'arte (1949), e come Neri Pozza, per cui diresse la Biblioteca di cultura (1953); inizio' infine una fattiva collaborazione con quotidiani e settimanali rimasta poi costante per il resto della sua vita.
Firenze divenne il centro propulsivo della sua azione culturale, e le mostre d'arte, organizzate a palazzo Strozzi senza soluzione di continuita' per un quarantennio, divennero lo strumento principale di ricostruzione del tessuto civile locale e nazionale. Queste mostre spaziano nei vari versanti delle arti visive, dagli oggetti ("La casa italiana nei secoli", 1948) alla fotografia ("Cartier Bresson", 1952), all'architettura, con una triade di fondamentali esposizioni monografiche ("Richard Wright", 1951; "Le Corbusier", 1963; "Aalto", 1965). Rivolse una particolare attenzione alla produzione artistica contemporanea ("La collezione Peggy Guggenheim", 1949; "De Pisis", 1952), fino a progettare una biennale fiorentina, poi non realizzata.
Nel 1948 e nel 1950 partecipo' come commissario alla Biennale di Venezia e firmo' il primo critofilm su Lorenzo il Magnifico, in occasione della mostra a questi dedicata (1948; oggi perduto), suggestiva crasi tra critica d'arte e pellicola cinematografica, che incarna al meglio la sua ricerca sul linguaggio artistico come linguaggio della visione.
Conclusa l'edizione delle Vite vasariane nel 1949, pubblico' nel 1951 L'arte e la critica, saggio della raggiunta maturita', in cui il crocianesimo si trasforma in una personale metodologia applicata all'universo del visivo, chiara ma esclusiva e a volte autoreferenziale, che fonda la dorsale del suo percorso critico nel trentennio successivo.
Mosso da un radicale intento di divulgazione della cultura, fondo' nel 1952 la rivista SeleArte, con il fondamentale sostegno di Adriano Olivetti, finanziatore di altre iniziative ragghiantiane, tra cui gli stessi critofilm, ultimo dei quali e' il Michelangiolo del 1964.
Rivista tascabile, basata su una informazione agile e con un ricco apparato illustrativo che informa su tutte le manifestazioni artistiche, SeleArte venne pubblicata fino al 1966 e raggiunse uno straordinario successo di pubblico (con punte di 55.000 copie vendute). Da SeleArte avrebbe preso le mosse una delle piu' importanti denunce di Ragghianti contro l'incuria del patrimonio culturale, che avrebbe dato vita alla prima commissione d'indagine (commissione Marangone). Durata dal 1954 al 1956, sarebbe stata la base per la successiva commissione Franceschini (1964-66), di cui pure Ragghianti fece parte, salvo dimettersi prima della fine dei lavori.
Durante il sesto e il settimo decennio del secolo fu animato da un tangibile sforzo riformista: nel 1957 fondo' il Gabinetto dei disegni e delle stampe dell'Universita' di Pisa, ricca collezione di grafica soprattutto novecentesca che fu anche centro promotore di ricerca ed esposizioni; nel 1964 fondo' e diresse la Societa' italiana di archeologia e storia dell'arte, per favorire la collaborazione tra l'amministrazione delle Belle arti e l'Universita'. Sono sempre questi gli anni in cui difese l'istruzione pubblica a tutti i livelli e al contempo indago' la qualita' dell'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole di vario ordine, per proporre ipotesi di riforma che toccavano in particolare l'Universita'.
Presidente per due mandati dell'ADESSPI (Associazione per la Difesa E lo Sviluppo della Scuola Pubblica Italiana), propose l'organizzazione di scuole di settore come la Scuola speciale di studi di storia dell'arte a Pisa e lavoro' per l'inclusione delle arti visive nei settori di ricerca del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche).
In questi stessi anni, mentre si registrano i suoi studi-testimonianza sul Partito d'azione e sulla stagione della Resistenza (Una lotta nel suo corso e Disegno della Liberazione italiana, entrambi del 1954), si avvicino' ai radicali e alle battaglie del Mondo di Mario Pannunzio. Dopo i fatti ungheresi del 1956, lavoro' per l'unita' della Sinistra: fondo' e diresse (con Carlo Antoni, Leo Valiani e Bruno Visentini) la rivista Criterio (1956-58), per iscriversi poi, con la moglie Licia, al Partito socialista italiano, salutato in particolare da Sandro Pertini ("non vi considero neofiti del socialismo, perche' socialisti siete sempre stati", lettera del 10 gennaio 1961, Archivio Ragghianti, Carteggio).
Nel 1966 fu di nuovo in prima linea per il salvataggio di Firenze dalle conseguenze dell'alluvione: alla subitanea organizzazione di una raccolta fondi, che si attiro' alcune critiche, fece seguire diverse iniziative culturali per ridare vita alla citta'.
La mostra "Arte moderna in Italia 1915-1935" (1967), rivisitazione dell'arte nel periodo fascista e tra i primi tentativi di storicizzazione filologica del fenomeno delle avanguardie, si associava all'istituzione di un museo di arte contemporanea a Firenze, a sua volta basato sulla donazione di opere e collezioni alla citta'.
Nonostante questa intensa azione politica e civile, la sua produzione scientifica si mantenne costante, sia con i contributi apparsi soprattutto su SeleArte e su Critica d'Arte, sia con importanti monografie tra cui Pittori di Pompei (1963), ma soprattutto Mondrian o l'arte del ventesimo secolo, uno dei suoi libri piu' riusciti, che gli valse il premio Viareggio nel 1962. Con il 1968, anno in cui dette l'avvio alla pubblicazione de L'arte in Italia, un'opera prevista in dieci volumi, dalla preistoria all'eta' contemporanea, di cui pero' solo due pubblicati (dal V al XIII secolo), e con l'avvento dei movimenti di contestazione, Ragghianti ritenne fosse venuta meno la possibilita' di riforma delle istituzioni pubbliche. Fondo' quindi, nel 1968, l'UIA (Universita' Internazionale dell'Arte), con sedi a Firenze e Venezia, e lascio' definitivamente l'Universita' di Pisa e la Scuola normale nel 1976.
Questa fase coincise con un convinto isolamento, che contribui' al silenzio gravato sulla sua opera, nonostante alcuni saggi e iniziative originali: la monografia su Brunelleschi (1977), la fondazione della rivista Sound-Sonda (1978-80), espressione del centro studi APAVOCA (Art Process And Visual Objects Computer Analysis), pionieristica riflessione sull'applicazione dell'informatica alle arti visive, il Centro di studi di storia delle arti africane (1979), cui si legano la rivista Critica d'Arte africana e l'importante mostra "Tesori dell'antica Nigeria" tenuta a palazzo Strozzi (1984), tra i primi esempi di studio storico e filologico dell'arte nera, e infine il Centro di studi per la museologia (1970), a cui va collegata la collana Musei d'Italia (1972).
Tra il 1975 e il 1979 l'editore Einaudi pubblico' Arti della visione, tre volumi che raccolgono i suoi piu' importanti studi di carattere teorico. Pronto ad accostarsi al neonato Giornale di Indro Montanelli, nel 1978 pubblico' Traversata di un trentennio. Testimonianza di un innocente, libro fondamentale per capire il percorso, umano e civile, di un 'resistente' che vedeva inattuate le proposte riformatrici della Costituente nonostante la continua battaglia contro tutte le ideologie (Marxismo perplesso, 1980).
Nel 1980, grazie al dono della sua biblioteca, istitui' a Lucca la fondazione, tutt'oggi operante, che porta il nome suo e della moglie Licia Collobi. Due libri dell'ultimo periodo possono essere eletti a vero testamento spirituale: L'uomo cosciente (1981), primo volume dell'edizione completa delle sue opere (non conclusa), che raccoglie due decenni di lavoro sull'arte paleostorica, e La critica della forma (1986), intesa vichianamente come "scienza nuova [...], conoscenza e possesso del linguaggio espressivo e comunicativo dell'uomo in termini visivi" (p. XI), la sintesi piu' compiuta e precisa del suo pensiero.
Mori' a Firenze il 3 agosto 1987.
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Opere. L'elenco delle pubblicazioni si trova in C.L. R. Bibliografia degli scritti, a cura di M.T. Leoni Zanobini, Firenze 1990.
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Fonti e bibliografia: La Fondazione e centro studi sull'arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca conserva la biblioteca, la fototeca e l'archivio Ragghianti che comprende le Carte personali, la serie La Critica d'Arte, e le lettere, nel Carteggio.
La bibliografia completa puo' essere ricostruita partendo dai seguenti studi: Omaggio a R. Critica d'arte in atto. Il ruolo delle riviste in Italia, oggi, a cura di C. Varese, Firenze 1997; C.L. R. e il carattere cinematografico della visione (catal., Lucca), Milano 2000; R. critico e politico. Atti del Convegno..., Cassino... 2002, a cura di R. Bruno, Milano 2004; C.L. R., pensiero e azione. Atti del Convegno..., Pisa-Lucca... 2010, a cura di M.T. Filieri et al., Lucca 2010; C.L. R. Un "uomo cosciente". Atti del Convegno..., Ferrara... 2009, a cura di R. Varese, in Critica d'Arte, LXXI (2010), 41-42; Studi su C.L. R., a cura di E. Pellegrini, in Predella, X (2010), 28.

3. LIBRI. PAOLO ARENA: LEGGERE "LA NERA" DI DINo BUZZATI, E FORSE Un RIPENSAMENTO IN CODA
[Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica, di storia linguistica dell'Italia contemporanea. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it]

Ripubblicato di recente "La Nera" di Dino Buzzati (Oscar Mondadori "Baobab", Mondadori, Milano 2020), a cura di Lorenzo Vigano', con interessanti apparati fotografici sia dalla cronaca dell'epoca che riproducenti taccuini ed appunti del Buzzati.
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"La Nera" raccoglie i pezzi del Buzzati giornalista di cronaca nera lungo tutta la sua carriera e su vicende disparate: dal piccolo crimine milanese degli esordi al grande fatto di rilevanza internazionale – passando dai soliti "delitti italiani", dalle vicende di personaggi famosi, dai grandi disastri piu' o meno naturali o artificiali e da altre storie per lo piu' di sangue che chiazzano la storia italiana del Novecento – spesso con denominazioni ormai canoniche scaturite proprio dalle titolazioni giornalistiche: "La tragedia di Albenga", "La sciagura di Superga", "L'alluvione del Polesine", "il delitto di eccetera", "Il mostro di eccetera".
Un giornalismo che anche nei suoi momenti piu' piccoli o piu' inquietanti non si sottrae all'indagine, al commento – alla sintesi strizzata da cui trarre comunque qualcosa, se non proprio un insegnamento almeno un'assoluzione dal semplice voyerismo.
Anche quando aderisce a certa retorica tipica del mezzo e del genere (aderisce poi o fonda?) - perche' poi se certe cose si dicono sempre e' pure perche' sono vere, funzionano: non c'e' nulla di nuovo da dire, nemmeno che non c'e' nulla di nuovo da dire: non e' la prima, non l'ultima volta che qualcuno viene ammazzato, che qualcuno soffre, che qualcuno e' avido; che la risacca dello squallore e della depravazione smangia via di qualche altro metro il litorale dell'umanita'.
Leggere "La Nera" di Buzzati – l'Ur-nera della cultura italiana: ci trovi dal Gadda del "Pasticciaccio" (o il contrario?) all'abominevole fotocronaca di cose tipo "La Notte" - ci trovi garbata erudizione, un bel po' dei pensieri migliori che si potessero pensare su quei media e ci trovi la letteratura – casi rari, unicorni quelli che fanno bene "tutti e due i generi"; ed anche interno ai due mondi – l'arte, praticata con competenza e liberta'; il mestiere (non secondo) praticato con esperienza, rispetto, curiosita' e certo anche consapevolezza del pubblico, cioe' anche dei toni e degli argomenti "caldi" del momento – e anche col dovere di informare e partecipare dei fatti veramente di pubblica (presunta) rilevanza, come i grandi lutti a seguito dei disastri. Spesso proprio quei casi dove non c'e' informazione se non nel commento – se va bene.
E' persino una lezione di storia "La Nera" di Buzzati: le catastrofi spesso colpose, gli amati "misteri d'Italia", i soliti ammazzamenti piu' o meno di famiglia, piu' o meno di affari – gli scatenamenti delle passioni umane e delle potenze della natura – cose del mondo che sembrano andare fuori controllo, ma che sono sempre le stesse: e anche la nera sembra che ci sia stata sempre; che sempre ci sia interessato andare a sapere come e perche' qualcuno ammazza qualcun altro, andare a curiosare tra le lamiere contorte e sui cigli delle strade lunghe e diritte.
Scrive e fonda un genere in pratica, pur non inventandosi nulla da zero, ma con estrema consapevolezza e lucidita', in un contesto che in base ad una certa vulgata conosciamo tutti: l'impossibilita' di rappresentare il crimine durante il fascismo (la nera in altri paesi e' un genere affermato, anche fotograficamente, da tempo), l'Italia che ha voglia di riscoprirsi, di riconoscersi – e che lo fa tornando al cinema, e poi con la televisione, la rivista, il rotocalco e intanto gli anni d'oro del fotogiornalismo, del reportage (che spesso nasconde una nera esotista) e si diffondono i tascabili economici con romanzi e romanzetti eccetera; e tutto si irrora di sugo rosso e di grappa e per questo in Italia non hai la letteratura di Chandler, Spillane, Hammett, ma avrai Scerbanenco e Carletto Manzoni – non hai Wegee ma poi hai "La Notte"; come se fosse provinciale anche l'orrore.
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Rileggere il corpus della "Nera" di Buzzati perche' e' un classico, cioe' un'opera di un altro tempo che pero' ci interroga sempre sul tempo in cui ci relazioniamo con lei.
Ma i media nel frattempo hanno occupato questo territorio in pianta stabile e in qualche decennio le vene del crimine e del delitto sono state piu' che prosciugate e ormai il mainstream rifonde qualche dente d'oro di cui si appropria in una maniera che sarebbe vigliacca e spudorata se qualcuno se ne accorgesse. Eppure il classico e' ancora efficace, le radici oscure della nostra attrazione per certi argomenti non sono solo affare di mercato e Buzzati forse lo sapeva: a questo serve certa retorica, certe ripetizioni, certi topoi, certe sintesi efficacissime che ancora oggi non sono del tutto da buttare: "mamma e' morta, e io ho le scarpe piene di sangue". E certe cose che ci sembrano scontate: "Nel caso dell'assassinio di mondane, tutti sanno, non e' certo nella malavita che si deve cercare il responsabile. Bensi' nella buona societa', fra gli integerrimi padri di famiglia" (riletta in giorni in cui ormai sono gli stessi padri della famiglia tradizionale ad occuparsi di persona di "quella cosa"); con tutti i suoi evidenti limiti: se non l'avesse scritta lui su un quotidiano (per lo piu' reazionario) di una certa epoca, non lo avrebbe scritto nessuno. Li' tutti potevano leggerlo: certo quelli che sentivano un prurito inquietante pensando a certe cose, ma volendo si puo' anche leggere che non e' certo una novita' che siano le Maddalene a farsi carico di tutto l'orrore della normalita' pur essendo le innocenti in questa societa' degenerata? Che effetto ci fanno quelle storie raccontate con il linguaggio di allora ma percepite con la sensibilita' di oggi? Per lo piu' abominevole, lo stesso che dovrebbero farci provare le storie di oggi, ma ormai la nera mainstream si scomoda solo per i grandi fatti o per quei delitti che nascono gia' mediatizzati: la vittima era bella, ricca, famosa, mamma o infante; o in cui e' il colpevole a godere di fama: "mostro", "animale", "villain".
E poi certo gli anni d'oro dei Serial Killer, quel pugno di decadi del Novecento in cui sembravano condensarsi crudelta' impossibili da comprendere (se non, come ci insegnano le serie tv piu' popolari, con un'accetta freudiana ben smussata perche' nessuno si faccia male accidentalmente – nessuno accidentalmente si tagli il pipino). I media adorano i cosiddetti Serial Killer perche' essi giustificano qualunque cosa, permettono qualunque sproloquio, autorizzano chiunque a qualunque opinione, giustificano qualunque sete di sangue.
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Ho finito ora di vedere un telefilm in cui un imbalsamatore psicopatico estraeva gli occhi dalle vittime sgozzate e li metteva nei suoi animali impagliati; non ho sentito niente: addirittura stavo mangiando mentre questi improbabili apollo del FBI tutti bellissimi, psicologissimi, coltissimi e tiratori sceltissimi acchiappavano questo povero paesano che poi, stringi stringi, voleva come tutti solo un po' di attenzione.
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Ma leggendo le pagine di Buzzati su fatti orribili (il caso di Rina Fort, ad esempio – un vero cult, o altri omicidi) l'orrore e' ancora li' perche' l'autore lo restituisce con mezzi adeguati, che seppure indulgono in qualche trucco del mestiere per tenere concentrato il lettore, non esulano mai dal fatto, non omettono mai la separazione tra reale, probabile, immaginario. Pennellate di un ritrattista, di un osservatore e conoscitore dei fatti umani: "Ha ancora negli occhi un poco a mandorla, nel taglio del viso a zigomi alti, nel muso vagamente da meticcia, nelle labbra rilevate, una certa bellezza soda e popolana. Solo la bocca ha qualcosa di pesante, sornione e lontanamente animalesco". Oggi cosi' non si potrebbe scrivere o forse si' o forse non si poteva scrivere nemmeno allora; qualcuno si sentirebbe giustamente offeso, chi vorrebbe leggere l'opinione di un autore sul rapporto tra aspetto fisico, portamento, facolta' cognitive e colpevolezza in fatti di sangue o tendenza ad esserne vittima; l'accetta sbozza e le schegge volate via sono di carne sanguinante.
"Per eccitare la curiosita' del pubblico e quindi vendere di piu', la bassa stampa che non va per il sottile ricorre a vecchie e quasi infallibili ricette" - dice, riferendosi alla stampa quella bassa certo, mica questa; ma essere venduti di piu' vuole anche dire essere letti di piu' e quindi meglio che nella salsa rossa ci sia pure qualche pezzettone succulento da addentare.
Il Buzzati della "Nera" non e' un incendiario, non e' un ideologo, non proprio un je-accusatore e forse non ha nemmeno intenzione di andare oltre al dire che le cose succedono e quelle quattro cose da dire bene, non ci si arriva al "che fare": esistono gli uomini, esiste il delitto, ci piace fare, ci piace guardare.
Questo e' il racconto e questo e' il commento; ma senza fraintendimenti, nemmeno quando il caso va oltre il delitto per cosi' dire passionale (anche se oggi diremmo che il passionale e' politico) – e comunque appunto e' un uomo assolutamente nel suo tempo, anche negli aspetti problematici; non sarebbe un problema se poi questo tempo non fosse ancora quel tempo.
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"Anche il piu' ottuso uomo della strada capisce che la favola era una favola sbagliata", frase con cui si puo' demolire una cospicua quantita' di retoriche: l'esaltazione del crimine (anche in certi prodotti audiovisivi a dir poco equivoci), il mito maschio del fare quello che va fatto (e che sospirone di sollievo tirano le mamme e i borghesi quando "almeno lui poi si e' ammazzato"), le ricorrenti retoriche antisistema, quelle pseudorivoluzionare eccetera. Tutte favole: una persona inserisce un oggetto a punta in un'altra persona, un traghetto affonda e i bambini affogano, un bel paesino di montagna viene travolto da una diga rotta, una povera campagnola viene convinta da un equivoco riccone a fare roba e poi viene ammazzata e via dicendo.
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Una nera che, nella parola scritta prima e ora sui medium visuali, assolve il ruolo di valvola di sfogo, di ambiente simulato: ma questo lo sapevamo tutti gia' prima che gli intrattenimenti visuali ci friggessero il cervello - e oramai quelli "multisensoriali", idea con cui la letteratura si stuzzica gia' da parecchio tempo – e anzi quelli "interattivi": tu pagheresti per "ammazzare" un robot realistico a forma di donna? E' gia' un po' che non e' solo piu' questione da "fantascienza" scritto facendo il segno delle virgolette con le dita.
Il suo senso di esistere e' questo: ma noi vogliamo ammazzare il capoufficio, quello che ci ha tagliato la strada con la macchina, la vicina gattara, la donna che mette in discussione la nostra potenza, la mamma che non si decide a svenare il malloppo, quel detestabile presentatore e i suoi fan, il collega che ostenta le sue fortune, lo stupido che ci sta davanti – chiunque abbia deciso di fare della sua vita qualcosa che non ci sta bene; vogliamo sfottere quello finito sotto una macchina, in una pressa industriale: ammazzarli tutti, vederli morire; e' quasi meglio che ci abbiano imprigionati in qualche schermo, perche' forse siamo colpevoli di un pre-crimine. Quante volte un delinquente e' "uno che si fa giustizia", uno che "almeno si assume le sue responsabilita'", "uno che gliela fa vedere finalmente", uno che "non ce la fa piu'" (sempre "uno", visto?). "Bene", "se l'e' cercata", "una volta tanto tocca pure a quelli".
Quando leggiamo di un disastro siamo con le vittime (meglio: scampiamo di esserlo); ma di fronte ad un bell'omicidio siamo tutti di un sentimento. La nera unisce: siamo tutti dietro la stessa finestra e guardiamo loro, e quando uno di noi sparisce e lo ritroviamo dall'altra parte del vetro tocca pure a lui, mai visto, mai stato uno dei nostri: se e' morto ci sara' un motivo; se il dio lo ha punito facendolo accoltellare o finire in un dirupo e' perche' "chi dava a voi tanta giocondita' e' per tutto, e non turba mai la gioia de' suoi figli se non per prepararne loro una piu' certa e piu' grande" (A. Manzoni, "I promessi sposi" - il famoso "Addio ai monti").
Il trucco della nera fatta bene e' questo: un equilibrio di coinvolgimento, distanza, "signora mia", "meglio a lui che a me", "se lo meritava" e "poro cocco"; far credere che ci sia un ordine, un senso; che evitando certi comportamenti ed adottandone altri non si scampi il pericolo di morire male, ma senza dare il via libera al peggior relativismo (suvvia, si tratta sempre del "Corriere"); far sentire che la possibilita' del delitto, del dolore, possano toccare a tutti ma non per questo non si debba esser bravi cristiani.
Al sicuro sulla poltrona, col fernet e col toscano, in un'atmosfera questa si' alla Buzzati, un'atmosfera di male che bussa alla porta e trova un male peggiore.
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Quando si parla di Buzzati poi si dice sempre che i suoi articoli sembravano racconti, e che i racconti sembravano spesso articoli.
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Nel Novecento la societa' dello spettacolo si e' ingoiata anche l'informazione e la cronaca nera invera questa affermazione: essa e' sollazzo abietto travestito da informazione, finanche da sapere necessario.
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"Il deserto dei Tartari" - gia' vittima di un fatto di nera: reiterato stuprum scolastico per mezzo di tesina multidisciplinare: una tortura lenta, sconnessa, roba che nemmeno il cannibale di Cincinnati.
La vita e' vana attesa, cieca illusione, delusione, morte; ecco perche' ci piace divertirci leggendo della morte degli altri.
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Leggere "La nera" di Buzzati e riflettere sul modo in cui ci relazioniamo col crimine e con il delitto e col loro posto nella societa': "una torva passione che assume forme mostruose". Ma il male e' un flusso continuo che non riusciamo ad infilare nelle formine discrete di "crimine", "delitto", "reato", "disastro", "tragedia": sarebbe come cercare di inscatolare l'aria che ci circonda.
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Leggere la cronaca nera e' piu' abominevole che "farla", e anche piu' che scriverla: perche' e' vero che l'assassino di massa, manipolatore di mondi, stupratore seriale, guardone onanista e demiurgo sanguinario e' ovviamente lo Scrittore, ma egli e' al di sopra di ogni giudizio; l'autore si assume le sue responsabilita', ma il lettore rischia di essere un assassino per procura.
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Leggere "La Nera" di Buzzati: cioe' una raccolta retrospettiva di articoli di cronaca nera che si e' fatta letteratura, documento (nel senso che e' pure la sua forma-libro a dargli sicuramente un senso in parte diverso da quello originale); non gustarsi in tempo reale le miserabili spigolature necrofile del giornalismo un tanto al chilo che non sa di che parlare e non vede l'ora che cada un'altra funivia o che venga ammazzata un'altra ragazza "che voleva essere italiana". Perche' scrivere banalmente cronaca nera oggi come ieri e' facilissimo, mentre il difficile e' scrivere sulla cronaca nera, sui suoi autori e sui suoi lettori, sul suo senso, sui suoi mezzi e i suoi fini. La critica della cronaca nera.
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Forse bisognerebbe abolire la cronaca nera: congelarla e permettere che si legga solo dopo qualche decade, non permettere all'infamia di travestirsi da informazione.
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La cronaca nera di Buzzati che dal giornalismo diventa letteratura e' come il Colosseo che da luogo dove si trucidavano i poveracci diventa monumento; e la funzione buona di un monumento, e di un classico, non e' quella di affittarlo agli stilisti o alle popstar per farci le loro schifezze, ma quella di essere riletto continuamente, ripensato, conosciuto nel suo contesto originale e nel modo in cui ci ha accompagnato da li' in poi; cosa ci diceva ieri e cosa ci dice oggi.

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riedizioni
- Alessandro Barbero, Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell'impero romano, Laterza, Roma-Bari 2006, Gedi, Roma 2021, pp. XVIII + 334, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
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Fantascienza
- Nnedi Okorafor, Binti - la trilogia, Mondadori, Milano 2021, pp. 384, euro 9,90.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4134 del 13 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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