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[Nonviolenza] Telegrammi. 4132
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4132
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Thu, 10 Jun 2021 17:17:05 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4132 dell'11 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. La memoria di Giacomo Matteotti e dei fratelli Rosselli sia di guida per ogni persona di volonta' buona
2. Loredana Garlati: Pietro Verri
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. MAESTRI. LA MEMORIA DI GIACOMO MATTEOTTI E DEI FRATELLI ROSSELLI SIA DI GUIDA PER OGNI PERSONA DI VOLONTA' BUONA
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo ha commemorato oggi, giovedi' 10 giugno 2021, Giacomo Matteotti, di cui ricorre l'anniversario dell'uccisione per mano fascista
Ed ha commemorato Carlo e Nello Rosselli, di cui ricorreva ieri l'anniversario dell'uccisione per mano fascista.
Il 9 giugno 1937 i sicari fascisti assassinavano Carlo e Nello Rosselli a Bagnoles-de-l'Orne, in Francia.
Il 10 giugno 1924 i sicari fascisti assassinavano Giacomo Matteotti a Roma.
La memoria di Matteotti e dei fratelli Rosselli sia di guida per ogni persona di volonta' buona: ancora e sempre occorre opporsi a tutte le uccisioni, opporsi a tutte le violenze, adoperarsi per difendere la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
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Una minima notizia su Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti, nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885, laureato in giurisprudenza, militante socialista, pubblico amministratore, organizzatore dei lavoratori, parlamentare, oppositore fierissimo del fascismo, il 10 giugno 1924 a Roma venne sequestrato ed assassinato dai sicari fascisti. Tra le riflessioni e testimonianze in sua memoria particolarmente commovente il saggio commemorativo pubblicato da Piero Gobetti nello stesso 1924, dapprima su "La rivoluzione liberale" poi in opuscolo. In esso leggiamo anche la seguente lapidaria definizione di Matteotti: "Egli rimane come l'uomo che sapeva dare l'esempio". Dall'Enciclopedia Treccani, II supplemento (1949), riprendiamo la seguente voce a Matteotti dedicata redatta da Arturo Codignola: "Uomo politico, nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885. Laureatosi in giurisprudenza, milito' fino dalla gioventu' nel Partito socialista italiano, nelle file del quale sali' ben presto a posti di alta responsabilita' per le doti intellettuali e per l'integerrimo carattere. Deputato di Ferrara e di Padova per le Legislature XXV, XXVI e XXVII, al seguito di F. Turati, si dedico', nell'attivita' parlamentare, prevalentemente a problemi economici e finanziari. Con l'avvento del fascismo al potere egli, prima e dopo la sua assunzione a segretario generale del Partito socialista, avvenuta nel 1924, rappresento' la piu' dura ed inesorabile opposizione al fascismo, del quale smaschero' gli intenti autoritari. Alla Camera dei deputati, nella seduta del 30 maggio 1924, M. denuncio' implacabilmente il regime di violenza instaurato dal nuovo governo; si apprestava, nella seduta successiva, a portare altri elementi di accusa, quando, il 10 giugno, a Roma, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, fu aggredito da tali Amerigo Dumini, Albino Volpi, Augusto Malacria, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola che, dopo averlo percosso, lo trascinarono nell'interno di una automobile di proprieta' di F. Filippelli (direttore del giornale fascista Il Corriere italiano), dove lo pugnalarono; la sua salma fu quindi sepolta nella macchia della Quartarella, nel comune di Riano Flaminio, dove fu rintracciata solo il 15 agosto seguente. Apparve subito evidente come il grave delitto dovesse attribuirsi alla torbida temperie di violenza caratteristica del nuovo regime; mandanti furono ritenuti Benito Mussolini, Emilio De Bono e Giovanni Marinelli. La rivolta morale della nazione costrinse il governo ad arrestare vari esecutori materiali del delitto e ad inscenare il processo di Chieti, che si concluse lasciando impuniti i maggiori responsabili. Dopo la fine della seconda Guerra mondiale, nel gennaio 1947, si inizio' la revisione del processo, ove non poterono essere giudicati quelli che erano stati ritenuti i mandanti e alcuni degli esecutori del delitto, essendo nel frattempo deceduti anche il Volpi e il Malacria. La sentenza si ebbe il 4 aprile: Amerigo Dumini, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola, quest'ultimo latitante, furono condannati all'ergastolo, pena tramutata in 30 anni di reclusione per un sopraggiunto condono". Tra le opere su Giacomo Matteotti: dal Dizionario biografico degli italiani riprendiamo la sezione "Fonti e bibliografia" dell'articolo redatto da Mauro Canali a Matteotti dedicato: "Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione Polizia politica, Fascicoli personali, bb. 28B, 61A; la documentazione dell'istruttoria del processo Matteotti e' conservata in Arch. di Stato di Roma, Tribunale civile e penale di Roma, Corte d'Assise, bb. 457-467. Un quadro dettagliato delle fonti e degli studi sul M. fino al 1974 si trova in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, 1853-1943, Roma 1977, III, pp. 370-384 (S. Caretti). Si veda inoltre: Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, III, 1917-1926, a cura di F. Pedone, Milano 1963, ad indicem. Successivamente sono apparsi due volumi di carteggi, entrambi curati da S. Caretti: G. Matteotti, Lettere a Velia, Pisa 1986; V. Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, ibid. 2000. Fra i numerosi studi si vedano: A.G. Casanova, M. Una vita per il socialismo, Milano 1974; Studi e ricerche su G. M., a cura di L. Bedeschi, Urbino 1979; C. Carini, G. M. Idee giuridiche e azione politica, Firenze 1984; G. M. a sessant'anni dalla morte. Atti del Convegno di studi, Rovigo... 1984, Napoli 1985; G. M. (1885-1985). Scritti e discorsi, testimonianze, contributi, a cura di C. Modena, Roma 1985; M. dal Polesine a Montecitorio. Atti del Seminario di studi, Rovigo... 1985, Napoli 1990; M.: il mito, a cura di S. Caretti, Pisa 1994; L. Maragna, G. M. sindaco di Villamarzana (1912-1914), Ferrara 1994; E. Orlando, Il dossier Matteotti, Milano 1994; G. Capecelatro, La banda del Viminale. Passione e morte di G. M. nelle carte del processo, Milano 1996; M. Canali, Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Bologna 1997; V. Zaghi, G. M., Verona 2001; F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, pp. 222, 311 s., 436 s.; M. Canali, Il delitto Matteotti, Bologna 2004; G. Tamburrano, G. M. Storia di un doppio assassinio, Torino 2004; S. Caretti, Il delitto Matteotti. Storia e memoria, Manduria-Bari-Roma 2004; G. Mayda, Il pugnale di Mussolini. Storia di Amerigo Dumini, sicario di M., Bologna 2004; Omaggio a M. nell'ottantesimo anniversario della morte (1924-2004), a cura di M. Monaco, Roma 2005; Socialismi e liberta'. G. M. tra antifascismo e democrazia. Atti del Convegno, Torino... 2004, a cura di W. Bonapace, Asti 2006".
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Una minima notizia su Carlo Rosselli
Carlo Rosselli nacque nel 1899, insieme al fratello Nello - come lui grande intellettuale e limpido antifascista - fu assassinato dai sicari dell'organizzazione fascista dei cagoulards a Bagnoles-de-l'Orne, in Francia, nel 1937. Dal sito www.ossimoro.it riportiamo per estratti la seguente scheda: "16 novembre 1899: Carlo Rosselli nasce a Roma. Il padre Giuseppe Emanuele era compositore e musicologo. La madre, Amelia Pincherle, una scrittrice e autrice affermata di teatro. Sia la famiglia Rosselli che la famiglia Pincherle avevano preso parte al movimento per l'indipendenza e l'unita' nazionale. 1911: Muore il padre. 27 marzo 1916: Il fratello Aldo muore in combattimento nella prima guerra mondiale sui monti della Carnia. Ricevera' la medaglia d'argento alla memoria. 1918: Carlo e' nominato sottotenente e inviato in zona di guerra. 1920: Conosce Claudio Treves, Filippo Turati e Gaetano Salvemini. 1921: Si laurea in scienze politiche con la tesi "Il sindacalismo". 1922: A Roma il XIX congresso del partito socialista decreta l'espulsione dei riformisti di Treves, Turati e Matteotti. Rosselli si schiera con la corrente riformista che da' luogo al partito socialista unitario. Conosce Piero Gobetti e il gruppo di giovani intellettuali che pubblicano il settimanale "La Rivoluzione Liberale". Conosce inoltre Luigi Einaudi, Pasquale Jannacone e Achille Loria. Prende parte alla ristretta attivita' del Circolo di Cultura fiorentino, promosso da Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Ludovico Limentani, Piero Jahier e l'avvocato Alfredo Nicoli, nel cui studio si tenevano le riunioni. 1923: Conosce Gaetano Mosca. Si laurea in legge discutendo la tesi "Prime linee di una teoria economica dei sindacati". Si trasferisce a Londra qualche mese per approfondire il problema trattato nella tesi di laurea. 1924: All'indomani del delitto Matteotti si iscrive al partito socialista unitario. E' chiamato all'Istituto superiore del Commercio di Genova ad insegnare Istituzioni di Economia Politica. I fascisti devastano la sede del Circolo di Cultura fiorentino. 1925: Fonda con il fratello Nello, Salvemini ed Ernesto Rossi il bollettino clandestino "Non Mollare". Casa Rosselli e' devastata dai fascisti. 1926: Carlo e' aggredito dagli squadristi genovesi. A luglio e' costretto a lasciare l'insegnamento. Sposa l'inglese Marion Cave a cui era legato da molti anni. "Il Quarto Stato" e' soppresso. I dirigenti socialisti si convincono della necessita' di costituire un'organizzazione per l'espatrio. Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Riccardo Bauer preparano la fuga di decine di socialisti, tra i quali Treves, Saragat e Turati. 1927: Carlo Rosselli e Parri vengono arrestati per l'espatrio di Turati. Rosselli viene condannato a cinque anni di confino a Lipari per l'intervento diretto di Mussolini. 1930: Viene fondato a Parigi il movimento rivoluzionario antifascista "Giustizia e Liberta'". Volo Bassanesi. L'episodio che ebbe il Cantone Ticino come centro della vicenda e' all'origine di una splendida Lettera aperta all'onorevole Motta, che Alberto Tarchiani e Carlo Rosselli pubblicarono su "Libera Stampa". Esce a Parigi l'edizione francese di Socialismo liberale. 1930-'32: Numerose attivita' antifasciste tra cui la pubblicazione dei "Quaderni di Giustizia e Liberta'". 29 marzo 1932: Muore Filippo Turati. 11 giugno 1933: Muore Claudio Treves. 1934: A Parigi la Concentrazione antifascista si scioglie a causa del profondo dissidio operativo e ideologico tra Giustizia e Liberta' e il Partito socialista, ormai orientato ad un'alleanza con i comunisti. 1935: La questione abissina e' uno dei temi centrali degli scritti di Rosselli ("Perche' siamo contro la guerra d'Africa?"). 1936: Carlo arriva in Spagna per combattere a fianco delle truppe repubblicane. 9 giugno 1937: Carlo e Nello Rosselli sono assassinati a Bagnoles-de-l'Orne, ad opera di affiliati dell'organizzazione terroristica di destra La Cagoule, su preciso mandato dei vertici supremi del regime fascista italiano. Opere di Carlo Rosselli: Socialismo liberale, Einaudi, Torino 1997; Scritti dall'esilio I. "Giustizia e Liberta'" e la Concentrazione antifascista (1929-1934), a cura di Costanzo Casucci, Einaudi, Torino 1988; Scritti dall'esilio II. Dallo scioglimento della Concentrazione antifascista alla guerra di Spagna (1934-1937), a cura di C. Casucci, Einaudi, Torino 1992; Liberal Socialism, edito da Nadia Urbinati, Princeton University Press 1994; Oggi in Spagna, domani in Italia, Einaudi, Torino 1967; Scritti politici e autobiografici, a cura di Z. Ciuffoletti e V. Caciulli, Lacaita, Manduria 1992; Il "Quarto Stato" di Nenni e Rosselli, SugarCo, Milano 1977; Scritti politici, a cura di Z. Ciuffoletti e P. Bagnoli, Guida, Napoli 1988. Epistolari: I Rosselli. Epistolario familiare, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Mondadori, Milano 1997; Politica e affetti familiari. Lettere dei Rosselli ai Ferrero (1917-1943), a cura di Marina Calloni e Lorella Cedroni, Feltrinelli, Milano 1997; Dall'esilio. Lettere alla moglie 1929-1937, a cura di Costanzo Casucci, Passigli, Firenze 1997; Lettere a Carlo Rosselli e altri scritti di "Giustizia e Liberta'", di Emilio Lussu, a cura di Manlio Brigaglia, Ed. Libreria Dessi', Sassari 1979. Opere su Carlo Rosselli: Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1973; Nicola Tranfaglia, Carlo Rosselli, dall'interventismo a "Giustizia e Liberta'", Laterza, Bari 1968; Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, Torino 1999; Alessandro Levi, Ricordi dei fratelli Rosselli, La Nuova Italia, Firenze 1947; Stanislao G. Pugliese, Carlo Rosselli: Socialist Heretic and Antifascist Exile, Harvard University Press, 1999; Aldo Rosselli, La famiglia Rosselli. Una tragedia italiana, Bompiani, Milano 1983; Franco Invernici, L'alternativa di "Giustizia e Liberta'". Economia e politica nei progetti del gruppo di Carlo Rosselli, Franco Angeli, Milano 1987; Giovanna Angelini, L'altro socialismo, Franco Angeli, Milano 1999; Santi Fedele, E verra' un'altra Italia. Politica e cultura nei "Quaderni di Giustizia e Liberta'", Franco Angeli, Milano 1992; Zeffiro Ciuffoletti, Paolo Bagnoli (a cura di), Il pensiero politico di Carlo Rosselli, Guida, Napoli 1988; Paolo Bagnoli, Rosselli, Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo, La Nuova Italia, Firenze 1996; Giovanni Spadolini, Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero, Passigli, Firenze 1990; Salvo Mastellone, Carlo Rosselli e "la rivoluzione liberale del socialismo", Olschki, Firenze 1999".
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Una minima notizia su Nello Rosselli
Nello Rosselli nacque nel 1900, insieme al fratello Carlo - come lui grande intellettuale e limpido antifascista - fu assassinato dai sicari dell'organizzazione fascista dei cagoulards a Bagnoles-de-l'Orne, in Francia, nel 1937. Su Nello Rosselli dal sito dell'Anpi di Roma riprendiamo la seguente scheda a cura di Alessandra Campagnan: "Sabatino Rosselli, detto Nello, nacque a Roma il 29 novembre 1900. I genitori, Giuseppe Emanuele e Amelia Pincherle, appartenevano a famiglie della borghesia agiata ebraica con trascorsi risorgimentali: Mazzini era morto sotto il nome di Mr. Brown in casa dei nonni paterni e un nonno materno aveva partecipato alla difesa della repubblica di Venezia nel 1849. Nei primi anni del secolo Amelia coi tre figli, Aldo (morto durante la prima guerra mondiale), Carlo e Nello, si trasferi' a Firenze, entrando ben presto in contatto con gli ambienti culturali piu' vivaci e aperti della citta'. Nel 1917 a Firenze venne fondato, soprattutto per iniziativa di Nello, il giornale per studenti "Noi giovani", sul quale Carlo Rosselli comincio' a scrivere i suoi articoli politici. Nel 1920, insieme ad altri giovani tra i quali il fratello, Piero Calamandrei, Alfredo e Nello Niccoli, Nello fondo' il Circolo di Cultura, luogo di libero dibattito e ricerca sotto l'alto magistero di Gaetano Salvemini. Il Circolo venne chiuso d'autorita' nel 1925. Nel 1923 Nello discusse con Gaetano Salvemini la tesi di laurea "Mazzini e il movimento operaio dal 1861 al 1872", primo passo di quella che avrebbe potuto essere una brillante carriera di studioso del Risorgimento. Studioso di profondi sentimenti liberali, nel 1924 aderi' alla fondazione dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa da Giovanni Amendola, e nel 1925 partecipo' col fratello Carlo, Gaetano Salvemini, Nello Traquandi e altri alla fondazione del primo giornale antifascista clandestino "Non mollare". Sempre nel 1924 e' da ricordare la sua partecipazione al Convegno Ebraico di Livorno: per Nello Rosselli, ebreo non ortodosso e non osservante, l'ebraismo non si realizzava nel rispetto formale dei riti e delle tradizioni, ma era fondamento del suo impegno di vita, per cui non sentiva contrasto tra l'essere ebreo e l'essere italiano. Continuava intanto la sua attivita' di studioso testimoniata dalla pubblicazione, tra il 1923 e il 1927, di numerosi articoli su riviste storiche italiane e del saggio Mazzini e Bakunin. Il 3 giugno 1927 venne arrestato e condannato a cinque anni di confino a Ustica, ma nel 1928 venne rilasciato, forse perche' le sue idee liberali non venivano considerate troppo pericolose dal regime. Tuttavia nell'estate del 1929, dopo la fuga da Lipari del fratello, venne nuovamente arrestato e condannato a cinque anni di confino a Ustica e Ponza. Da qui trasse ispirazione per le pagine piu' belle del saggio Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, che fu poi pubblicato nel 1932. Rilasciato, riprese la sua vita di studioso, con la possibilita' di ottenere il passaporto per recarsi all'estero a compiere le sue ricerche. Cosi' avvenne anche nel mese di maggio 1937: il passaporto gli fu dato con una sollecitudine che ad alcuni amici, fra cui Calamandrei, apparve sospetta. Evidentemente attraverso Nello si sperava di arrivare a Carlo che, per curare una flebite contratta durante la guerra di Spagna, si era recato alle terme di Bagnoles-de-l'Orne in Normandia. Insieme col fratello, il 9 giugno 1937, venne assassinato a Bagnoles-de-l'Orne e i loro corpi furono ritrovati l'11 giugno. Nel 1946 la casa editrice Einaudi pubblico' la raccolta di Saggi sul Risorgimento italiano e altri scritti, in cui sono compresi anche gli scritti minori. Accanto all'attivita' di studioso e di antifascista e' da ricordare anche quella di pittore di grande sensibilita', come testimonia la mostra di suoi quadri allestita nella Sala d'Armi di Palazzo Vecchio nella primavera del 1990". Tra le opere di Nello Rosselli: Mazzini e Bakunin (1927); Carlo Pisacane nel Risorgimento Italiano (1932); Saggi sul Risorgimento e altri scritti (postumo, 1946). Epistolari: I Rosselli. Epistolario familiare, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Mondadori, Milano 1997; Politica e affetti familiari. Lettere dei Rosselli ai Ferrero (1917-1943), a cura di Marina Calloni e Lorella Cedroni, Feltrinelli, Milano 1997. Opere su Nello Rosselli: ovviamente cfr. anche Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1973; Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, Torino 1999; Alessandro Levi, Ricordi dei fratelli Rosselli, La Nuova Italia, Firenze 1947; Aldo Rosselli, La famiglia Rosselli. Una tragedia italiana, Bompiani, Milano 1983; Giovanni Spadolini, Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero, Passigli, Firenze 1990.
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Nel ricordo di Giacomo Matteotti e dei fratelli Carlo e Nello Rosselli ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. STORIA. LOREDANA GARLATI: PIETRO VERRI
[Da Il contributo italiano alla storia del pensiero: Diritto (2012) nel sito www.treccani.it]
Pochi uomini hanno legato il proprio nome a una citta' e a un'epoca come Pietro Verri, la cui parabola esistenziale e intellettuale si consuma all'interno della settecentesca Milano dei lumi. Anima inquieta e al tempo stesso razionalmente critica, Verri incarna lo spirito di un'eta' che, come lui, fu contraddittoria e percorsa da fremiti diversi, in costante equilibrio fra difesa della tradizione e spinte riformiste. Fu personalita' complessa e dai molteplici interessi: dal diritto alla filosofia, dalla politica economica a quella finanziaria. Imbevuto di cultura illuministica francese, aderi' per lungo tempo ai programmi asburgici, coniugando il duplice volto di un Illuminismo lombardo che come su tratto originale ebbe quello di essere ora a servizio del potere ora in opposizione a esso.
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La vita
Verri nasce a Milano il 12 dicembre 1728 da nobile famiglia. Un'infanzia infelice, caratterizzata dal difficile rapporto con i genitori, e in particolare con il padre Gabriele, ne segnera' profondamente l'esistenza. Solo con il fratello Alessandro instaurera' un legame affettivo, destinato tuttavia a incrinarsi quando, alla morte del padre, i due saranno divisi da violenti litigi per questioni ereditarie.
Dopo aver frequentato diversi istituti religiosi, approda al gesuitico Collegio de' nobili a Parma, mostrando sempre scarso interesse per gli studi, in particolare per le scienze giuridiche, di cui il padre, nel 1749, fresco di nomina senatoria, gli impartisce personalmente a viva forza delle lezioni, con esiti infausti: Pietro, a differenza di molti coetanei, non si addottorera' mai in legge.
Nel 1751-52 riveste l'ufficio di Protettore dei carcerati, organo preposto alla difesa dei diritti dei detenuti, un'esperienza condivisa successivamente anche da Alessandro e da cui nascera' l'ispirazione di Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria.
Dopo una giovinezza trascorsa tra ozi letterari (l'ingresso nell'Accademia dei Trasformati non plachera' la sua sete di conoscenza) e amorosi (una relazione con Vittoria Ottoboni coniugata Serbelloni gli varra' la richiesta di imprigionamento da parte del padre), nel 1759 parte per la guerra dei Sette anni, ma, insofferente dell'ambiente militare, si trasferisce poco dopo a Vienna, dove partecipa alla vita di corte. Sono gli anni della scoperta della temperie illuminista, della maturazione intellettuale verso i temi della politica, dell'economia e della giustizia, grazie anche a incontri decisivi, come quello con Henry Lloyd, un militare gallese anticonvenzionale dalla vasta cultura.
Tornato a Milano nel 1761, fonda l'Accademia dei Pugni e il periodico "Il Caffe'", di breve durata ma dagli intensi effetti. Nel 1765, astro emergente della politica milanese, siede sia nel Supremo consiglio di economia sia in una giunta destinata a riformare la Ferma generale (il sistema di appalti per la riscossione delle imposte), e avanza proposte di riforma in tema di liberalizzazione di commercio, regalie e dazio. L'impegno profuso non trova tuttavia il riconoscimento sperato: nel 1771, abolito il Consiglio di economia, Verri vede frustrata l'ambizione di divenire presidente del nuovo Magistrato camerale, di cui entra a far parte inizialmente come semplice consigliere. La delusione provoca un senso di estraniamento dalla politica e di indifferenza verso gli impegni pubblici, cui fa da contraltare una fitta produzione pubblicistica.
Nel 1776 sposa la nipote Maria Castiglioni, che gli donera' l'amata figlia Teresa, a cui dedichera' uno dei suoi capolavori biografici. Dopo la precoce scomparsa di Maria, si unisce in matrimonio nel 1782 con Vincenza Melzi d'Eril.
L'ascesa al trono imperiale di Giuseppe II, nel 1780, ne risveglia la sopita passione politica: promosso alla sospirata presidenza del Magistrato camerale, Verri ripone molte speranze nel nuovo imperatore austriaco. Tuttavia, nel 1786, con la radicale trasformazione giuseppina dell'apparato giudiziario, parziale attuazione di quei programmi riformistici da lui stesso agognati, viene precocemente giubilato. Lo sconcerto provoca in lui uno stato di totale apatia, da cui si scuotera' solo con lo scoppio della Rivoluzione francese, verso la quale mostrera' un atteggiamento mutevole nel tempo: dall'adesione entusiasta alla condanna alla condivisione moderata. La morte lo coglie il 28 giugno 1797 a Milano, durante una riunione notturna della municipalita', in cui sedeva per volonta' di Napoleone Bonaparte, estrema testimonianza di un'esistenza frenetica guidata dalla passione civile.
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I magnifici anni Sessanta: l'Accademia dei Pugni e "Il Caffe'"
"Pietro Verri, patrizio illuminato, e' incarnazione dell'illuminismo lombardo forse ancor piu' della figura di Cesare Beccaria" (Cavanna 1999, p. 106), interprete impagabile di un'epoca di transizione e di vivacita' intellettuale. Fu il grande accusatore della situazione in cui versava il diritto nel Settecento: la scienza giuridica era monopolizzata dall'interpretazione dei giuristi, a fronte della scarsa o insufficiente produzione legislativa. Verri affondo' i suoi colpi contro una giustizia dominata dall'arbitrio e dalla mancanza di certezza.
L'insofferenza verso il sistema di diritto comune veniva da lontano, dai primi approcci con il diritto giustinianeo negli anni parmensi e dall'esercizio compiuto, sotto la guida pedante e metodica del padre, su pandette e voluminosi tomi. L'effetto fu un odio viscerale verso la giurisprudenza e tutto cio' che essa rappresentava, ossia l'ambiente familiare e sociale da cui egli proveniva e al quale reagi' con un costante anelito riformatore.
Dopo l'esperienza viennese, Verri tornava a Milano forte dell'incontro con l'eclettico Lloyd e delle letture di Montesquieu e Claude-Adrien Helvetius, pronto a trasformare in azione le idee politiche ed economiche apprese. I formidabili anni Sessanta del XVIII sec. lo videro al centro della vita culturale milanese. Con un gruppo di giovani aristocratici fondo' l'Accademia dei Pugni, di cui fu l'indiscusso leader: il curioso appellativo, che prendeva spunto da una gustosa diceria secondo la quale egli e Beccaria si erano presi violentemente a pugni per risolvere una non meglio precisata questione, divenne una gloriosa insegna, emblema della lotta senza quartiere ingaggiata dai membri di quell'informale sodalizio contro le storture e i pregiudizi diffusi. Gli affiliati fecero delle tematiche giuridiche l'oggetto primo delle loro riflessioni, nella convinzione che la riforma del diritto costituisse il parametro per misurare la capacita' dello Stato di attuare i dettami e i valori della nuova filosofia.
All'Accademia egli affianco' la pubblicazione de "Il Caffe'", un periodico di cui fu l'ideatore e l'anima: la rivista abbandonava il sapere erudito a favore di una cultura cosmopolita di rottura. A questa "vivace spicciola enciclopedia", felice appellativo in ragione della varieta' dei temi trattati e dei nuovi toni polemici e satirici, conferiva un'unita' di fondo l'impegno comune dei redattori in una guerra incessante contro la stolidita' della tradizione e la cieca osservanza delle regole praticata in tutti i campi dello scibile e in tutti i settori della vita sociale. E' l'uscita dallo stato di 'minorita'' predicato da Immanuel Kant; e' la nascita dell'Ecole de Milan, che da citta' periferica del multietnico impero asburgico assurse a centro di diffusione dell'Illuminismo europeo.
Il diritto occupa un posto di primo piano nei programmi di Verri: se vale la formula, ereditata dagli scozzesi attraverso la mediazione di Helvetius, per la quale la maggior felicita' possibile va divisa con la maggior uguaglianza possibile, mirabile sintesi tra utilitarismo e egualitarismo (che attraverso Jeremy Bentham si trasmettera' al radicalismo filosofico del Sette e Ottocento), e' il diritto lo strumento di realizzazione di tale traguardo e del raggiungimento del bene comune, cui la politica deve tendere, grazie a una elite pensante in grado di educare la massa attraverso la legge (una posizione, questa, che avvicina Verri a Gaetano Filangieri). Ma e' un diritto che va rifondato ab imis: da qui la sfida al sistema giuridico vigente e alle vecchie leggi romane a favore di una semplificazione delle norme e di 'codici' nuovi che mandino in soffitta le imbalsamate proposte di un Ludovico Antonio Muratori o di un Giuseppe Pasquale Cirillo.
Nell'ambiente colto e raffinato dell'Accademia, tra discussioni, meditazioni e letture, prende corpo il manifesto dell'Illuminismo giuridico penale: Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764, in contemporanea all'uscita del primo numero del "Caffe'". Molto si e' discusso sull'effettiva paternita' dell'opera, rivendicata con orgoglio ferito da Pietro all'indomani dell'amara rottura con l'irriconoscente amico Beccaria. Se la lettera scritta da Alessandro nel 1803 al biografo di Pietro, Isidoro Bianchi, fuga ogni dubbio, e' altrettanto vero che senza Pietro Dei delitti non avrebbe mai visto la luce. A lui va il merito della scelta del tema, dell'incitazione costante verso l'indolente Beccaria, della paziente 'pulizia' stilistica e sistemazione organica del manoscritto e della sanguigna difesa del pamphlet, stilata insieme al fedele Alessandro all'indomani delle corrosive accuse del monaco vallombrosano Ferdinando Facchinei, il quale, per tutta risposta, rivolse la sua penna velenosa contro le Meditazioni sulla felicita' (1763) di Pietro, ritenendole erroneamente, per somiglianza di stile e di contenuti, un prodotto della stessa mano dei Delitti.
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Il pensiero giuridico di Verri: le istanze riformiste
Ma il trittico che esprime al meglio l'ideologia giuridica verriana e' composto dall'Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763), dalle Osservazioni sulla tortura (1776-77) e dal saggio, pubblicato sul "Caffe'" nel 1765, Sulla interpretazione delle leggi. I primi due scritti rimarranno inediti fino all'Ottocento per volonta' dello stesso Verri, che temeva di inimicarsi il Senato e i concittadini, rendendo pubblici i suoi "pensieri pericolosi a dirsi" nonche' i dissapori con il genitore.
Nella parodistica Orazione panegirica, declamata all'Accademia, Verri, con fine ironia e sarcasmo, lancia un atto di accusa in cui si condensano i cardini illuministici della dottrina penale. L'orazione e' pronunciata da un magistrato che, con trasparente finzione, loda l'antico e disprezza ogni novita'. In controluce non e' difficile scorgere in quell'apologeta cieco e sordo ai richiami del nuovo la detestata figura paterna: la battaglia sociale diventa veicolo per dare voce a personali e mai sopiti rancori. La simulata requisitoria si rivolge soprattutto contro i "libercoli oltremontani", traviatori di gioventu', e verso Inghilterra e Prussia, ree di avere abolito la tortura, favorendo cosi' la corruzione dei costumi. Al contrario, Milano viene esaltata come isola felice, in cui la tradizione impera, a dispetto di quanto accade nel resto d'Europa, grazie soprattutto all'onnipotente Senato, padrone della legge e capace di giudicare come Dio.
Sulla interpretazione delle leggi e' lo scritto giuridico di maggior spessore teorico: in esso si riassume la polemica antigiurisprudenziale in atto e si avverte l'eco neppure troppo lontana del pensiero di Montesquieu e di Jean-Jacques Rousseau. Il punto di partenza e' montesquieuiano: il principio di separazione dei poteri comporta la distinzione tra i ruoli di legislatore e di giudice, il primo identificato con il sovrano, sia esso un uomo solo, un gruppo o una nazione (si percepisce qui l'innesto rousseauiano), a seconda della forma di governo, il secondo inteso come mero esecutore letterale della legge. Il legislatore esprime un comando, il giudice lo fa eseguire: un'inversione di funzioni e la trasformazione del giudice in legislatore mettono in pericolo la stabilita' sociale e la liberta' politica. E' evidente l'avversione per ogni attivita' interpretativa creatrice di ius novum: Verri si spinge fino a fornire una definizione di interpretazione, intesa come la sostituzione dell'opinione dell'interprete alla volonta' di chi scrive la legge.
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Contro la tortura: il processo Piazza-Mora
L'opera giuridica verriana piu' vibrante rimane pero' Osservazioni contro la tortura. Prendendo le mosse dal processo celebrato nel 1630 contro innocenti cittadini, sospettati di aver diffuso la peste mediante malefiche unzioni, questo testo svolge una veemente invettiva contro il processo inquisitorio e l'uso della tortura.
Venuto in possesso, grazie al segretario di Sanita' Giovanni Grassini, intimo amico di famiglia, dei verbali del processo, Pietro fu folgorato dalla vicenda del commissario di Sanita' Guglielmo Piazza e del barbiere Gian Giacomo Mora, atrocemente torturati e condannati a morte tra indicibili strazi per essere stati giudicati colpevoli l'uno di aver sparso il morbo, l'altro di averlo fabbricato.
Se e' presumibile che Pietro abbia abbozzato il lavoro gia' nel 1762-63, mettendolo poi generosamente a disposizione di Beccaria per la stesura del suo pamphlet, fu solo nel 1776 che lo organizzo' nella forma definitiva. In quell'anno l'imperatrice Maria Teresa aveva provveduto ad abolire la tortura e a limitare fortemente la pena di morte nelle province austriache e boeme, e aveva invitato Milano ad adeguarsi alle nuove direttive di governo. Il Senato affido' proprio a Gabriele Verri il compito di redigere la risposta da inviare a Vienna. L'austero senatore, nella celebre consulta del 19 aprile, intono' un peana a favore della tortura, considerata efficace strumento di lotta contro la criminalita' dilagante e di conservazione della pace sociale. Fu questa la molla che indusse Pietro a una definitiva resa dei conti con il padre e con i valori da lui impersonati: il tramite furono le Osservazioni.
Nel lungo saggio, gli atti processuali si intrecciano con le riflessioni scarne e sferzanti di Verri, in un racconto-verita' in cui sono i fatti e i protagonisti a parlare. Dopo la esasperata descrizione del clima di superstizione e di fanatismo di cui era stata preda la Milano spagnola fiaccata dalla peste, narrazione strumentale all'esaltazione di un Settecento dominato dalla luce della ragione vittoriosa sulle tenebre dell'ignoranza, l'attenzione si sposta sul sistema giudiziario e sulla criminalistica dell'eta' di mezzo, responsabile, a suo dire, di aver favorito, giustificato, legalizzato l'impiego della tortura, canonizzandola entro precise regole e raffinandone le tecniche applicative: la colpa di quel terribile errore-orrore giudiziario viene dunque addossata completamente ai giuristi.
Pur tra qualche iperbole, qualche imprecisione storica e un uso non sempre corretto delle fonti, lo scopo dell'opera e' indiscutibilmente nobile: dimostrare l'inutilita' della tortura, non gia' mezzo per scoprire la verita', come sosteneva la dottrina del tempo, ma per allontanarsi da essa, mediante confessioni estorte. Ingiusta nei delitti certi e inutile in quelli certi: e' un'affermazione che si fonda sulla presunzione di non colpevolezza e ribalta la prospettiva entro cui si muovevano le pratiche inquisitorie.
Se e' vero che l'opera riprende argomentazioni ormai consolidate nella letteratura riformista, da Christianus Thomasius in poi, difettando in cio' di originalita', e' tuttavia innegabile che la passione, la chiarezza, la sincera indignazione ne giustificano il successo e le numerose edizioni succedutesi senza sosta fino ai giorni nostri.
Edita solo nel 1804, l'opera suscitera' un dialogo a distanza con Alessandro Manzoni, il quale, nella Storia della colonna infame (1840), rovescera' l'assunto verriano, attribuendo la colpa di quel processo non gia' ai vizi dei tempi e delle leggi, ma alla malvagita' degli uomini chiamati a giudicare. Se Verri condanna senza appello i giuristi, Manzoni punta un implacabile dito accusatore contro i giudici, responsabili di una condotta deliberatamente fraudolenta. Per Manzoni il governo di buone leggi e' nulla senza un'opera di educazione morale dell'uomo, mostrando una visione lontana dalla pedagogia della felicita' di cui si era nutrito utopisticamente l'Illuminismo.
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Un sovrano demiurgo in aiuto alle riforme: da Giuseppe II a Napoleone
Verri si illuse per lungo tempo sul possibile connubio fra aspirazioni riformatrici dei philosophes milanesi e potere assoluto: milito' contro il sistema imperante ambendo al tempo stesso di farne parte. Le istanze promosse in quella straordinaria primavera che fu l'Illuminismo lombardo sembrarono accolte dal governo asburgico: umanita' della pena, certezza del diritto, realizzazione di codici, primato della legislazione, interpretazione meccanica della legge, abolizione della tortura e, insieme, di quell'organo giudiziario che ne era stato fiero difensore, il Senato.
Tuttavia la spinta localistica, che voleva gli intellettuali lombardi partecipi di quel processo di trasformazione, fu frustrata dal dirigismo e dal centralismo giuseppino, che calo' dall'alto la riorganizzazione dell'apparato burocratico-giudiziario e del diritto vigente, estromettendone proprio uno dei suoi piu' fervidi propugnatori. "Si': Giuseppe II ha esautorato l'elite e ha spento consapevolmente i lumi lombardi per poter condurre a termine la sua opera" (Cavanna 1999, p. 135).
Le numerose torsioni del percorso intellettuale di Verri (dal dispotismo illuminato al costituzionalismo sostenuto nella breve stagione rivoluzionaria) si conclusero, in singolare coerenza, con un ritorno all'antica figura del demiurgo monarca assoluto: dopo Giuseppe II, Napoleone, affiancato da un classe pensante in grado di educare la massa, un tema cui Pietro rimarra' a suo modo sempre fedele. L'indole di Verri, ribelle ed eternamente fiduciosa nei 'progressi della ragione', causa di perenne insoddisfazione verso l'esistente, seppe cosi' incarnare al meglio la vibrante eta' dei lumi, tra speranze e delusioni.
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Opere
Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763), pubblicata in: C.A. Vianello, L''Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese' del Verri tra le fonti del libro 'Dei delitti e delle pene', "Giornale storico della letteratura italiana", 1938, 334, pp. 60-75; C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di F. Venturi, Torino 1965, pp. 127-46; P. Verri, Osservazioni sulla tortura, a cura di G. Barbarisi, Milano 1993, pp. 165-79.
Sulla interpretazione delle leggi (1765), da ultimo in Il Caffe', a cura di G. Francioni, S. Romagnoli, Torino 1993, pp. 695-704.
Osservazioni sulla tortura (1776-1777), da ultimo in Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, VI vol., Scritti politici e della maturita', a cura di C. Capra, Roma 2010, pp. 37-141.
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Bibliografia
I. Bianchi, Elogio storico di Pietro Verri, Cremona 1803.
M. Fubini, Pietro Verri e il 'Caffe'', in La cultura illuministica in Italia, a cura di M. Fubini, Torino 1957, pp. 102-119.
N. Valeri, Pietro Verri, Firenze 1969.
F. Venturi, Settecento riformatore, I vol., Da Muratori a Beccaria (1730-1764), Torino 1969, pp. 645-747.
A. Marongiu, Muratori, Beccaria, Pietro Verri e la scienza del diritto, "Rivista italiana di diritto e procedura penale", n.s., 1975, 3, pp. 744-76.
G. di Renzo Villata, Giuristi, cultura giuridica e idee di riforma nell'eta' di Beccaria, in Cesare Beccaria tra Milano e l'Europa, Convegno di studi per il CCL anniversario della nascita, Roma-Bari 1990, pp. 225-78.
G. Barbarisi, Introduzione a P. Verri, Osservazioni sulla tortura, a cura di G. Barbarisi, Milano 1993, pp. 5-35.
Pietro Verri e il suo tempo. Milano, 9-1 ottobre 1997, a cura di C. Capra, I vol., Bologna 1999 (in partic. A. Cavanna, Da Maria Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio di Pietro Verri, pp. 105-45; M.A. Cattaneo, Pietro Verri e la riforma penale, pp. 271-88; G.P. Massetto, Pietro e Alessandro Verri in aiuto di Cesare Beccaria: la risposta alle 'Note' del Facchinei, pp. 289-351; G. Imbruglia, Il conflitto e la liberta'. Pietro Verri da 'Il Caffe'' alla 'Storia di Milano', pp. 447-87; C. Capra, "La mia anima e' stata sempre repubblicana". Pietro Verri da patrizio a cittadino, pp. 519-40).
C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna 2002.
A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, II vol., Milano 2005, pp. 181-89.
G. Barbarisi, Nota introduttiva a P. Verri, Osservazioni sulla tortura (1776-1777), in Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, VI vol., Scritti politici e della maturita', a cura di C. Capra, Roma 2010, pp. 1-36.
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Aldo Alessandro Mola, Monarchia o repubblica? Quel 2 giugno 1946, Societa' europea di edizioni, Milano 2021, 2 voll., pp. 314 + 282, euro 8,50 + 8,50.
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Riedizioni
- Dino Messina, 2 giugno 1946. La battaglia per la repubblica, Rcs, Milano 2016, 2021, pp. 288, euro 9,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4132 dell'11 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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Numero 4132 dell'11 giugno 2021
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. La memoria di Giacomo Matteotti e dei fratelli Rosselli sia di guida per ogni persona di volonta' buona
2. Loredana Garlati: Pietro Verri
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. MAESTRI. LA MEMORIA DI GIACOMO MATTEOTTI E DEI FRATELLI ROSSELLI SIA DI GUIDA PER OGNI PERSONA DI VOLONTA' BUONA
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo ha commemorato oggi, giovedi' 10 giugno 2021, Giacomo Matteotti, di cui ricorre l'anniversario dell'uccisione per mano fascista
Ed ha commemorato Carlo e Nello Rosselli, di cui ricorreva ieri l'anniversario dell'uccisione per mano fascista.
Il 9 giugno 1937 i sicari fascisti assassinavano Carlo e Nello Rosselli a Bagnoles-de-l'Orne, in Francia.
Il 10 giugno 1924 i sicari fascisti assassinavano Giacomo Matteotti a Roma.
La memoria di Matteotti e dei fratelli Rosselli sia di guida per ogni persona di volonta' buona: ancora e sempre occorre opporsi a tutte le uccisioni, opporsi a tutte le violenze, adoperarsi per difendere la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
*
Una minima notizia su Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti, nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885, laureato in giurisprudenza, militante socialista, pubblico amministratore, organizzatore dei lavoratori, parlamentare, oppositore fierissimo del fascismo, il 10 giugno 1924 a Roma venne sequestrato ed assassinato dai sicari fascisti. Tra le riflessioni e testimonianze in sua memoria particolarmente commovente il saggio commemorativo pubblicato da Piero Gobetti nello stesso 1924, dapprima su "La rivoluzione liberale" poi in opuscolo. In esso leggiamo anche la seguente lapidaria definizione di Matteotti: "Egli rimane come l'uomo che sapeva dare l'esempio". Dall'Enciclopedia Treccani, II supplemento (1949), riprendiamo la seguente voce a Matteotti dedicata redatta da Arturo Codignola: "Uomo politico, nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885. Laureatosi in giurisprudenza, milito' fino dalla gioventu' nel Partito socialista italiano, nelle file del quale sali' ben presto a posti di alta responsabilita' per le doti intellettuali e per l'integerrimo carattere. Deputato di Ferrara e di Padova per le Legislature XXV, XXVI e XXVII, al seguito di F. Turati, si dedico', nell'attivita' parlamentare, prevalentemente a problemi economici e finanziari. Con l'avvento del fascismo al potere egli, prima e dopo la sua assunzione a segretario generale del Partito socialista, avvenuta nel 1924, rappresento' la piu' dura ed inesorabile opposizione al fascismo, del quale smaschero' gli intenti autoritari. Alla Camera dei deputati, nella seduta del 30 maggio 1924, M. denuncio' implacabilmente il regime di violenza instaurato dal nuovo governo; si apprestava, nella seduta successiva, a portare altri elementi di accusa, quando, il 10 giugno, a Roma, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, fu aggredito da tali Amerigo Dumini, Albino Volpi, Augusto Malacria, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola che, dopo averlo percosso, lo trascinarono nell'interno di una automobile di proprieta' di F. Filippelli (direttore del giornale fascista Il Corriere italiano), dove lo pugnalarono; la sua salma fu quindi sepolta nella macchia della Quartarella, nel comune di Riano Flaminio, dove fu rintracciata solo il 15 agosto seguente. Apparve subito evidente come il grave delitto dovesse attribuirsi alla torbida temperie di violenza caratteristica del nuovo regime; mandanti furono ritenuti Benito Mussolini, Emilio De Bono e Giovanni Marinelli. La rivolta morale della nazione costrinse il governo ad arrestare vari esecutori materiali del delitto e ad inscenare il processo di Chieti, che si concluse lasciando impuniti i maggiori responsabili. Dopo la fine della seconda Guerra mondiale, nel gennaio 1947, si inizio' la revisione del processo, ove non poterono essere giudicati quelli che erano stati ritenuti i mandanti e alcuni degli esecutori del delitto, essendo nel frattempo deceduti anche il Volpi e il Malacria. La sentenza si ebbe il 4 aprile: Amerigo Dumini, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola, quest'ultimo latitante, furono condannati all'ergastolo, pena tramutata in 30 anni di reclusione per un sopraggiunto condono". Tra le opere su Giacomo Matteotti: dal Dizionario biografico degli italiani riprendiamo la sezione "Fonti e bibliografia" dell'articolo redatto da Mauro Canali a Matteotti dedicato: "Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione Polizia politica, Fascicoli personali, bb. 28B, 61A; la documentazione dell'istruttoria del processo Matteotti e' conservata in Arch. di Stato di Roma, Tribunale civile e penale di Roma, Corte d'Assise, bb. 457-467. Un quadro dettagliato delle fonti e degli studi sul M. fino al 1974 si trova in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, 1853-1943, Roma 1977, III, pp. 370-384 (S. Caretti). Si veda inoltre: Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, III, 1917-1926, a cura di F. Pedone, Milano 1963, ad indicem. Successivamente sono apparsi due volumi di carteggi, entrambi curati da S. Caretti: G. Matteotti, Lettere a Velia, Pisa 1986; V. Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, ibid. 2000. Fra i numerosi studi si vedano: A.G. Casanova, M. Una vita per il socialismo, Milano 1974; Studi e ricerche su G. M., a cura di L. Bedeschi, Urbino 1979; C. Carini, G. M. Idee giuridiche e azione politica, Firenze 1984; G. M. a sessant'anni dalla morte. Atti del Convegno di studi, Rovigo... 1984, Napoli 1985; G. M. (1885-1985). Scritti e discorsi, testimonianze, contributi, a cura di C. Modena, Roma 1985; M. dal Polesine a Montecitorio. Atti del Seminario di studi, Rovigo... 1985, Napoli 1990; M.: il mito, a cura di S. Caretti, Pisa 1994; L. Maragna, G. M. sindaco di Villamarzana (1912-1914), Ferrara 1994; E. Orlando, Il dossier Matteotti, Milano 1994; G. Capecelatro, La banda del Viminale. Passione e morte di G. M. nelle carte del processo, Milano 1996; M. Canali, Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Bologna 1997; V. Zaghi, G. M., Verona 2001; F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, pp. 222, 311 s., 436 s.; M. Canali, Il delitto Matteotti, Bologna 2004; G. Tamburrano, G. M. Storia di un doppio assassinio, Torino 2004; S. Caretti, Il delitto Matteotti. Storia e memoria, Manduria-Bari-Roma 2004; G. Mayda, Il pugnale di Mussolini. Storia di Amerigo Dumini, sicario di M., Bologna 2004; Omaggio a M. nell'ottantesimo anniversario della morte (1924-2004), a cura di M. Monaco, Roma 2005; Socialismi e liberta'. G. M. tra antifascismo e democrazia. Atti del Convegno, Torino... 2004, a cura di W. Bonapace, Asti 2006".
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Una minima notizia su Carlo Rosselli
Carlo Rosselli nacque nel 1899, insieme al fratello Nello - come lui grande intellettuale e limpido antifascista - fu assassinato dai sicari dell'organizzazione fascista dei cagoulards a Bagnoles-de-l'Orne, in Francia, nel 1937. Dal sito www.ossimoro.it riportiamo per estratti la seguente scheda: "16 novembre 1899: Carlo Rosselli nasce a Roma. Il padre Giuseppe Emanuele era compositore e musicologo. La madre, Amelia Pincherle, una scrittrice e autrice affermata di teatro. Sia la famiglia Rosselli che la famiglia Pincherle avevano preso parte al movimento per l'indipendenza e l'unita' nazionale. 1911: Muore il padre. 27 marzo 1916: Il fratello Aldo muore in combattimento nella prima guerra mondiale sui monti della Carnia. Ricevera' la medaglia d'argento alla memoria. 1918: Carlo e' nominato sottotenente e inviato in zona di guerra. 1920: Conosce Claudio Treves, Filippo Turati e Gaetano Salvemini. 1921: Si laurea in scienze politiche con la tesi "Il sindacalismo". 1922: A Roma il XIX congresso del partito socialista decreta l'espulsione dei riformisti di Treves, Turati e Matteotti. Rosselli si schiera con la corrente riformista che da' luogo al partito socialista unitario. Conosce Piero Gobetti e il gruppo di giovani intellettuali che pubblicano il settimanale "La Rivoluzione Liberale". Conosce inoltre Luigi Einaudi, Pasquale Jannacone e Achille Loria. Prende parte alla ristretta attivita' del Circolo di Cultura fiorentino, promosso da Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Ludovico Limentani, Piero Jahier e l'avvocato Alfredo Nicoli, nel cui studio si tenevano le riunioni. 1923: Conosce Gaetano Mosca. Si laurea in legge discutendo la tesi "Prime linee di una teoria economica dei sindacati". Si trasferisce a Londra qualche mese per approfondire il problema trattato nella tesi di laurea. 1924: All'indomani del delitto Matteotti si iscrive al partito socialista unitario. E' chiamato all'Istituto superiore del Commercio di Genova ad insegnare Istituzioni di Economia Politica. I fascisti devastano la sede del Circolo di Cultura fiorentino. 1925: Fonda con il fratello Nello, Salvemini ed Ernesto Rossi il bollettino clandestino "Non Mollare". Casa Rosselli e' devastata dai fascisti. 1926: Carlo e' aggredito dagli squadristi genovesi. A luglio e' costretto a lasciare l'insegnamento. Sposa l'inglese Marion Cave a cui era legato da molti anni. "Il Quarto Stato" e' soppresso. I dirigenti socialisti si convincono della necessita' di costituire un'organizzazione per l'espatrio. Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Riccardo Bauer preparano la fuga di decine di socialisti, tra i quali Treves, Saragat e Turati. 1927: Carlo Rosselli e Parri vengono arrestati per l'espatrio di Turati. Rosselli viene condannato a cinque anni di confino a Lipari per l'intervento diretto di Mussolini. 1930: Viene fondato a Parigi il movimento rivoluzionario antifascista "Giustizia e Liberta'". Volo Bassanesi. L'episodio che ebbe il Cantone Ticino come centro della vicenda e' all'origine di una splendida Lettera aperta all'onorevole Motta, che Alberto Tarchiani e Carlo Rosselli pubblicarono su "Libera Stampa". Esce a Parigi l'edizione francese di Socialismo liberale. 1930-'32: Numerose attivita' antifasciste tra cui la pubblicazione dei "Quaderni di Giustizia e Liberta'". 29 marzo 1932: Muore Filippo Turati. 11 giugno 1933: Muore Claudio Treves. 1934: A Parigi la Concentrazione antifascista si scioglie a causa del profondo dissidio operativo e ideologico tra Giustizia e Liberta' e il Partito socialista, ormai orientato ad un'alleanza con i comunisti. 1935: La questione abissina e' uno dei temi centrali degli scritti di Rosselli ("Perche' siamo contro la guerra d'Africa?"). 1936: Carlo arriva in Spagna per combattere a fianco delle truppe repubblicane. 9 giugno 1937: Carlo e Nello Rosselli sono assassinati a Bagnoles-de-l'Orne, ad opera di affiliati dell'organizzazione terroristica di destra La Cagoule, su preciso mandato dei vertici supremi del regime fascista italiano. Opere di Carlo Rosselli: Socialismo liberale, Einaudi, Torino 1997; Scritti dall'esilio I. "Giustizia e Liberta'" e la Concentrazione antifascista (1929-1934), a cura di Costanzo Casucci, Einaudi, Torino 1988; Scritti dall'esilio II. Dallo scioglimento della Concentrazione antifascista alla guerra di Spagna (1934-1937), a cura di C. Casucci, Einaudi, Torino 1992; Liberal Socialism, edito da Nadia Urbinati, Princeton University Press 1994; Oggi in Spagna, domani in Italia, Einaudi, Torino 1967; Scritti politici e autobiografici, a cura di Z. Ciuffoletti e V. Caciulli, Lacaita, Manduria 1992; Il "Quarto Stato" di Nenni e Rosselli, SugarCo, Milano 1977; Scritti politici, a cura di Z. Ciuffoletti e P. Bagnoli, Guida, Napoli 1988. Epistolari: I Rosselli. Epistolario familiare, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Mondadori, Milano 1997; Politica e affetti familiari. Lettere dei Rosselli ai Ferrero (1917-1943), a cura di Marina Calloni e Lorella Cedroni, Feltrinelli, Milano 1997; Dall'esilio. Lettere alla moglie 1929-1937, a cura di Costanzo Casucci, Passigli, Firenze 1997; Lettere a Carlo Rosselli e altri scritti di "Giustizia e Liberta'", di Emilio Lussu, a cura di Manlio Brigaglia, Ed. Libreria Dessi', Sassari 1979. Opere su Carlo Rosselli: Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1973; Nicola Tranfaglia, Carlo Rosselli, dall'interventismo a "Giustizia e Liberta'", Laterza, Bari 1968; Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, Torino 1999; Alessandro Levi, Ricordi dei fratelli Rosselli, La Nuova Italia, Firenze 1947; Stanislao G. Pugliese, Carlo Rosselli: Socialist Heretic and Antifascist Exile, Harvard University Press, 1999; Aldo Rosselli, La famiglia Rosselli. Una tragedia italiana, Bompiani, Milano 1983; Franco Invernici, L'alternativa di "Giustizia e Liberta'". Economia e politica nei progetti del gruppo di Carlo Rosselli, Franco Angeli, Milano 1987; Giovanna Angelini, L'altro socialismo, Franco Angeli, Milano 1999; Santi Fedele, E verra' un'altra Italia. Politica e cultura nei "Quaderni di Giustizia e Liberta'", Franco Angeli, Milano 1992; Zeffiro Ciuffoletti, Paolo Bagnoli (a cura di), Il pensiero politico di Carlo Rosselli, Guida, Napoli 1988; Paolo Bagnoli, Rosselli, Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo, La Nuova Italia, Firenze 1996; Giovanni Spadolini, Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero, Passigli, Firenze 1990; Salvo Mastellone, Carlo Rosselli e "la rivoluzione liberale del socialismo", Olschki, Firenze 1999".
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Una minima notizia su Nello Rosselli
Nello Rosselli nacque nel 1900, insieme al fratello Carlo - come lui grande intellettuale e limpido antifascista - fu assassinato dai sicari dell'organizzazione fascista dei cagoulards a Bagnoles-de-l'Orne, in Francia, nel 1937. Su Nello Rosselli dal sito dell'Anpi di Roma riprendiamo la seguente scheda a cura di Alessandra Campagnan: "Sabatino Rosselli, detto Nello, nacque a Roma il 29 novembre 1900. I genitori, Giuseppe Emanuele e Amelia Pincherle, appartenevano a famiglie della borghesia agiata ebraica con trascorsi risorgimentali: Mazzini era morto sotto il nome di Mr. Brown in casa dei nonni paterni e un nonno materno aveva partecipato alla difesa della repubblica di Venezia nel 1849. Nei primi anni del secolo Amelia coi tre figli, Aldo (morto durante la prima guerra mondiale), Carlo e Nello, si trasferi' a Firenze, entrando ben presto in contatto con gli ambienti culturali piu' vivaci e aperti della citta'. Nel 1917 a Firenze venne fondato, soprattutto per iniziativa di Nello, il giornale per studenti "Noi giovani", sul quale Carlo Rosselli comincio' a scrivere i suoi articoli politici. Nel 1920, insieme ad altri giovani tra i quali il fratello, Piero Calamandrei, Alfredo e Nello Niccoli, Nello fondo' il Circolo di Cultura, luogo di libero dibattito e ricerca sotto l'alto magistero di Gaetano Salvemini. Il Circolo venne chiuso d'autorita' nel 1925. Nel 1923 Nello discusse con Gaetano Salvemini la tesi di laurea "Mazzini e il movimento operaio dal 1861 al 1872", primo passo di quella che avrebbe potuto essere una brillante carriera di studioso del Risorgimento. Studioso di profondi sentimenti liberali, nel 1924 aderi' alla fondazione dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa da Giovanni Amendola, e nel 1925 partecipo' col fratello Carlo, Gaetano Salvemini, Nello Traquandi e altri alla fondazione del primo giornale antifascista clandestino "Non mollare". Sempre nel 1924 e' da ricordare la sua partecipazione al Convegno Ebraico di Livorno: per Nello Rosselli, ebreo non ortodosso e non osservante, l'ebraismo non si realizzava nel rispetto formale dei riti e delle tradizioni, ma era fondamento del suo impegno di vita, per cui non sentiva contrasto tra l'essere ebreo e l'essere italiano. Continuava intanto la sua attivita' di studioso testimoniata dalla pubblicazione, tra il 1923 e il 1927, di numerosi articoli su riviste storiche italiane e del saggio Mazzini e Bakunin. Il 3 giugno 1927 venne arrestato e condannato a cinque anni di confino a Ustica, ma nel 1928 venne rilasciato, forse perche' le sue idee liberali non venivano considerate troppo pericolose dal regime. Tuttavia nell'estate del 1929, dopo la fuga da Lipari del fratello, venne nuovamente arrestato e condannato a cinque anni di confino a Ustica e Ponza. Da qui trasse ispirazione per le pagine piu' belle del saggio Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, che fu poi pubblicato nel 1932. Rilasciato, riprese la sua vita di studioso, con la possibilita' di ottenere il passaporto per recarsi all'estero a compiere le sue ricerche. Cosi' avvenne anche nel mese di maggio 1937: il passaporto gli fu dato con una sollecitudine che ad alcuni amici, fra cui Calamandrei, apparve sospetta. Evidentemente attraverso Nello si sperava di arrivare a Carlo che, per curare una flebite contratta durante la guerra di Spagna, si era recato alle terme di Bagnoles-de-l'Orne in Normandia. Insieme col fratello, il 9 giugno 1937, venne assassinato a Bagnoles-de-l'Orne e i loro corpi furono ritrovati l'11 giugno. Nel 1946 la casa editrice Einaudi pubblico' la raccolta di Saggi sul Risorgimento italiano e altri scritti, in cui sono compresi anche gli scritti minori. Accanto all'attivita' di studioso e di antifascista e' da ricordare anche quella di pittore di grande sensibilita', come testimonia la mostra di suoi quadri allestita nella Sala d'Armi di Palazzo Vecchio nella primavera del 1990". Tra le opere di Nello Rosselli: Mazzini e Bakunin (1927); Carlo Pisacane nel Risorgimento Italiano (1932); Saggi sul Risorgimento e altri scritti (postumo, 1946). Epistolari: I Rosselli. Epistolario familiare, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Mondadori, Milano 1997; Politica e affetti familiari. Lettere dei Rosselli ai Ferrero (1917-1943), a cura di Marina Calloni e Lorella Cedroni, Feltrinelli, Milano 1997. Opere su Nello Rosselli: ovviamente cfr. anche Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1973; Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, Torino 1999; Alessandro Levi, Ricordi dei fratelli Rosselli, La Nuova Italia, Firenze 1947; Aldo Rosselli, La famiglia Rosselli. Una tragedia italiana, Bompiani, Milano 1983; Giovanni Spadolini, Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero, Passigli, Firenze 1990.
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Nel ricordo di Giacomo Matteotti e dei fratelli Carlo e Nello Rosselli ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. STORIA. LOREDANA GARLATI: PIETRO VERRI
[Da Il contributo italiano alla storia del pensiero: Diritto (2012) nel sito www.treccani.it]
Pochi uomini hanno legato il proprio nome a una citta' e a un'epoca come Pietro Verri, la cui parabola esistenziale e intellettuale si consuma all'interno della settecentesca Milano dei lumi. Anima inquieta e al tempo stesso razionalmente critica, Verri incarna lo spirito di un'eta' che, come lui, fu contraddittoria e percorsa da fremiti diversi, in costante equilibrio fra difesa della tradizione e spinte riformiste. Fu personalita' complessa e dai molteplici interessi: dal diritto alla filosofia, dalla politica economica a quella finanziaria. Imbevuto di cultura illuministica francese, aderi' per lungo tempo ai programmi asburgici, coniugando il duplice volto di un Illuminismo lombardo che come su tratto originale ebbe quello di essere ora a servizio del potere ora in opposizione a esso.
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La vita
Verri nasce a Milano il 12 dicembre 1728 da nobile famiglia. Un'infanzia infelice, caratterizzata dal difficile rapporto con i genitori, e in particolare con il padre Gabriele, ne segnera' profondamente l'esistenza. Solo con il fratello Alessandro instaurera' un legame affettivo, destinato tuttavia a incrinarsi quando, alla morte del padre, i due saranno divisi da violenti litigi per questioni ereditarie.
Dopo aver frequentato diversi istituti religiosi, approda al gesuitico Collegio de' nobili a Parma, mostrando sempre scarso interesse per gli studi, in particolare per le scienze giuridiche, di cui il padre, nel 1749, fresco di nomina senatoria, gli impartisce personalmente a viva forza delle lezioni, con esiti infausti: Pietro, a differenza di molti coetanei, non si addottorera' mai in legge.
Nel 1751-52 riveste l'ufficio di Protettore dei carcerati, organo preposto alla difesa dei diritti dei detenuti, un'esperienza condivisa successivamente anche da Alessandro e da cui nascera' l'ispirazione di Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria.
Dopo una giovinezza trascorsa tra ozi letterari (l'ingresso nell'Accademia dei Trasformati non plachera' la sua sete di conoscenza) e amorosi (una relazione con Vittoria Ottoboni coniugata Serbelloni gli varra' la richiesta di imprigionamento da parte del padre), nel 1759 parte per la guerra dei Sette anni, ma, insofferente dell'ambiente militare, si trasferisce poco dopo a Vienna, dove partecipa alla vita di corte. Sono gli anni della scoperta della temperie illuminista, della maturazione intellettuale verso i temi della politica, dell'economia e della giustizia, grazie anche a incontri decisivi, come quello con Henry Lloyd, un militare gallese anticonvenzionale dalla vasta cultura.
Tornato a Milano nel 1761, fonda l'Accademia dei Pugni e il periodico "Il Caffe'", di breve durata ma dagli intensi effetti. Nel 1765, astro emergente della politica milanese, siede sia nel Supremo consiglio di economia sia in una giunta destinata a riformare la Ferma generale (il sistema di appalti per la riscossione delle imposte), e avanza proposte di riforma in tema di liberalizzazione di commercio, regalie e dazio. L'impegno profuso non trova tuttavia il riconoscimento sperato: nel 1771, abolito il Consiglio di economia, Verri vede frustrata l'ambizione di divenire presidente del nuovo Magistrato camerale, di cui entra a far parte inizialmente come semplice consigliere. La delusione provoca un senso di estraniamento dalla politica e di indifferenza verso gli impegni pubblici, cui fa da contraltare una fitta produzione pubblicistica.
Nel 1776 sposa la nipote Maria Castiglioni, che gli donera' l'amata figlia Teresa, a cui dedichera' uno dei suoi capolavori biografici. Dopo la precoce scomparsa di Maria, si unisce in matrimonio nel 1782 con Vincenza Melzi d'Eril.
L'ascesa al trono imperiale di Giuseppe II, nel 1780, ne risveglia la sopita passione politica: promosso alla sospirata presidenza del Magistrato camerale, Verri ripone molte speranze nel nuovo imperatore austriaco. Tuttavia, nel 1786, con la radicale trasformazione giuseppina dell'apparato giudiziario, parziale attuazione di quei programmi riformistici da lui stesso agognati, viene precocemente giubilato. Lo sconcerto provoca in lui uno stato di totale apatia, da cui si scuotera' solo con lo scoppio della Rivoluzione francese, verso la quale mostrera' un atteggiamento mutevole nel tempo: dall'adesione entusiasta alla condanna alla condivisione moderata. La morte lo coglie il 28 giugno 1797 a Milano, durante una riunione notturna della municipalita', in cui sedeva per volonta' di Napoleone Bonaparte, estrema testimonianza di un'esistenza frenetica guidata dalla passione civile.
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I magnifici anni Sessanta: l'Accademia dei Pugni e "Il Caffe'"
"Pietro Verri, patrizio illuminato, e' incarnazione dell'illuminismo lombardo forse ancor piu' della figura di Cesare Beccaria" (Cavanna 1999, p. 106), interprete impagabile di un'epoca di transizione e di vivacita' intellettuale. Fu il grande accusatore della situazione in cui versava il diritto nel Settecento: la scienza giuridica era monopolizzata dall'interpretazione dei giuristi, a fronte della scarsa o insufficiente produzione legislativa. Verri affondo' i suoi colpi contro una giustizia dominata dall'arbitrio e dalla mancanza di certezza.
L'insofferenza verso il sistema di diritto comune veniva da lontano, dai primi approcci con il diritto giustinianeo negli anni parmensi e dall'esercizio compiuto, sotto la guida pedante e metodica del padre, su pandette e voluminosi tomi. L'effetto fu un odio viscerale verso la giurisprudenza e tutto cio' che essa rappresentava, ossia l'ambiente familiare e sociale da cui egli proveniva e al quale reagi' con un costante anelito riformatore.
Dopo l'esperienza viennese, Verri tornava a Milano forte dell'incontro con l'eclettico Lloyd e delle letture di Montesquieu e Claude-Adrien Helvetius, pronto a trasformare in azione le idee politiche ed economiche apprese. I formidabili anni Sessanta del XVIII sec. lo videro al centro della vita culturale milanese. Con un gruppo di giovani aristocratici fondo' l'Accademia dei Pugni, di cui fu l'indiscusso leader: il curioso appellativo, che prendeva spunto da una gustosa diceria secondo la quale egli e Beccaria si erano presi violentemente a pugni per risolvere una non meglio precisata questione, divenne una gloriosa insegna, emblema della lotta senza quartiere ingaggiata dai membri di quell'informale sodalizio contro le storture e i pregiudizi diffusi. Gli affiliati fecero delle tematiche giuridiche l'oggetto primo delle loro riflessioni, nella convinzione che la riforma del diritto costituisse il parametro per misurare la capacita' dello Stato di attuare i dettami e i valori della nuova filosofia.
All'Accademia egli affianco' la pubblicazione de "Il Caffe'", un periodico di cui fu l'ideatore e l'anima: la rivista abbandonava il sapere erudito a favore di una cultura cosmopolita di rottura. A questa "vivace spicciola enciclopedia", felice appellativo in ragione della varieta' dei temi trattati e dei nuovi toni polemici e satirici, conferiva un'unita' di fondo l'impegno comune dei redattori in una guerra incessante contro la stolidita' della tradizione e la cieca osservanza delle regole praticata in tutti i campi dello scibile e in tutti i settori della vita sociale. E' l'uscita dallo stato di 'minorita'' predicato da Immanuel Kant; e' la nascita dell'Ecole de Milan, che da citta' periferica del multietnico impero asburgico assurse a centro di diffusione dell'Illuminismo europeo.
Il diritto occupa un posto di primo piano nei programmi di Verri: se vale la formula, ereditata dagli scozzesi attraverso la mediazione di Helvetius, per la quale la maggior felicita' possibile va divisa con la maggior uguaglianza possibile, mirabile sintesi tra utilitarismo e egualitarismo (che attraverso Jeremy Bentham si trasmettera' al radicalismo filosofico del Sette e Ottocento), e' il diritto lo strumento di realizzazione di tale traguardo e del raggiungimento del bene comune, cui la politica deve tendere, grazie a una elite pensante in grado di educare la massa attraverso la legge (una posizione, questa, che avvicina Verri a Gaetano Filangieri). Ma e' un diritto che va rifondato ab imis: da qui la sfida al sistema giuridico vigente e alle vecchie leggi romane a favore di una semplificazione delle norme e di 'codici' nuovi che mandino in soffitta le imbalsamate proposte di un Ludovico Antonio Muratori o di un Giuseppe Pasquale Cirillo.
Nell'ambiente colto e raffinato dell'Accademia, tra discussioni, meditazioni e letture, prende corpo il manifesto dell'Illuminismo giuridico penale: Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764, in contemporanea all'uscita del primo numero del "Caffe'". Molto si e' discusso sull'effettiva paternita' dell'opera, rivendicata con orgoglio ferito da Pietro all'indomani dell'amara rottura con l'irriconoscente amico Beccaria. Se la lettera scritta da Alessandro nel 1803 al biografo di Pietro, Isidoro Bianchi, fuga ogni dubbio, e' altrettanto vero che senza Pietro Dei delitti non avrebbe mai visto la luce. A lui va il merito della scelta del tema, dell'incitazione costante verso l'indolente Beccaria, della paziente 'pulizia' stilistica e sistemazione organica del manoscritto e della sanguigna difesa del pamphlet, stilata insieme al fedele Alessandro all'indomani delle corrosive accuse del monaco vallombrosano Ferdinando Facchinei, il quale, per tutta risposta, rivolse la sua penna velenosa contro le Meditazioni sulla felicita' (1763) di Pietro, ritenendole erroneamente, per somiglianza di stile e di contenuti, un prodotto della stessa mano dei Delitti.
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Il pensiero giuridico di Verri: le istanze riformiste
Ma il trittico che esprime al meglio l'ideologia giuridica verriana e' composto dall'Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763), dalle Osservazioni sulla tortura (1776-77) e dal saggio, pubblicato sul "Caffe'" nel 1765, Sulla interpretazione delle leggi. I primi due scritti rimarranno inediti fino all'Ottocento per volonta' dello stesso Verri, che temeva di inimicarsi il Senato e i concittadini, rendendo pubblici i suoi "pensieri pericolosi a dirsi" nonche' i dissapori con il genitore.
Nella parodistica Orazione panegirica, declamata all'Accademia, Verri, con fine ironia e sarcasmo, lancia un atto di accusa in cui si condensano i cardini illuministici della dottrina penale. L'orazione e' pronunciata da un magistrato che, con trasparente finzione, loda l'antico e disprezza ogni novita'. In controluce non e' difficile scorgere in quell'apologeta cieco e sordo ai richiami del nuovo la detestata figura paterna: la battaglia sociale diventa veicolo per dare voce a personali e mai sopiti rancori. La simulata requisitoria si rivolge soprattutto contro i "libercoli oltremontani", traviatori di gioventu', e verso Inghilterra e Prussia, ree di avere abolito la tortura, favorendo cosi' la corruzione dei costumi. Al contrario, Milano viene esaltata come isola felice, in cui la tradizione impera, a dispetto di quanto accade nel resto d'Europa, grazie soprattutto all'onnipotente Senato, padrone della legge e capace di giudicare come Dio.
Sulla interpretazione delle leggi e' lo scritto giuridico di maggior spessore teorico: in esso si riassume la polemica antigiurisprudenziale in atto e si avverte l'eco neppure troppo lontana del pensiero di Montesquieu e di Jean-Jacques Rousseau. Il punto di partenza e' montesquieuiano: il principio di separazione dei poteri comporta la distinzione tra i ruoli di legislatore e di giudice, il primo identificato con il sovrano, sia esso un uomo solo, un gruppo o una nazione (si percepisce qui l'innesto rousseauiano), a seconda della forma di governo, il secondo inteso come mero esecutore letterale della legge. Il legislatore esprime un comando, il giudice lo fa eseguire: un'inversione di funzioni e la trasformazione del giudice in legislatore mettono in pericolo la stabilita' sociale e la liberta' politica. E' evidente l'avversione per ogni attivita' interpretativa creatrice di ius novum: Verri si spinge fino a fornire una definizione di interpretazione, intesa come la sostituzione dell'opinione dell'interprete alla volonta' di chi scrive la legge.
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Contro la tortura: il processo Piazza-Mora
L'opera giuridica verriana piu' vibrante rimane pero' Osservazioni contro la tortura. Prendendo le mosse dal processo celebrato nel 1630 contro innocenti cittadini, sospettati di aver diffuso la peste mediante malefiche unzioni, questo testo svolge una veemente invettiva contro il processo inquisitorio e l'uso della tortura.
Venuto in possesso, grazie al segretario di Sanita' Giovanni Grassini, intimo amico di famiglia, dei verbali del processo, Pietro fu folgorato dalla vicenda del commissario di Sanita' Guglielmo Piazza e del barbiere Gian Giacomo Mora, atrocemente torturati e condannati a morte tra indicibili strazi per essere stati giudicati colpevoli l'uno di aver sparso il morbo, l'altro di averlo fabbricato.
Se e' presumibile che Pietro abbia abbozzato il lavoro gia' nel 1762-63, mettendolo poi generosamente a disposizione di Beccaria per la stesura del suo pamphlet, fu solo nel 1776 che lo organizzo' nella forma definitiva. In quell'anno l'imperatrice Maria Teresa aveva provveduto ad abolire la tortura e a limitare fortemente la pena di morte nelle province austriache e boeme, e aveva invitato Milano ad adeguarsi alle nuove direttive di governo. Il Senato affido' proprio a Gabriele Verri il compito di redigere la risposta da inviare a Vienna. L'austero senatore, nella celebre consulta del 19 aprile, intono' un peana a favore della tortura, considerata efficace strumento di lotta contro la criminalita' dilagante e di conservazione della pace sociale. Fu questa la molla che indusse Pietro a una definitiva resa dei conti con il padre e con i valori da lui impersonati: il tramite furono le Osservazioni.
Nel lungo saggio, gli atti processuali si intrecciano con le riflessioni scarne e sferzanti di Verri, in un racconto-verita' in cui sono i fatti e i protagonisti a parlare. Dopo la esasperata descrizione del clima di superstizione e di fanatismo di cui era stata preda la Milano spagnola fiaccata dalla peste, narrazione strumentale all'esaltazione di un Settecento dominato dalla luce della ragione vittoriosa sulle tenebre dell'ignoranza, l'attenzione si sposta sul sistema giudiziario e sulla criminalistica dell'eta' di mezzo, responsabile, a suo dire, di aver favorito, giustificato, legalizzato l'impiego della tortura, canonizzandola entro precise regole e raffinandone le tecniche applicative: la colpa di quel terribile errore-orrore giudiziario viene dunque addossata completamente ai giuristi.
Pur tra qualche iperbole, qualche imprecisione storica e un uso non sempre corretto delle fonti, lo scopo dell'opera e' indiscutibilmente nobile: dimostrare l'inutilita' della tortura, non gia' mezzo per scoprire la verita', come sosteneva la dottrina del tempo, ma per allontanarsi da essa, mediante confessioni estorte. Ingiusta nei delitti certi e inutile in quelli certi: e' un'affermazione che si fonda sulla presunzione di non colpevolezza e ribalta la prospettiva entro cui si muovevano le pratiche inquisitorie.
Se e' vero che l'opera riprende argomentazioni ormai consolidate nella letteratura riformista, da Christianus Thomasius in poi, difettando in cio' di originalita', e' tuttavia innegabile che la passione, la chiarezza, la sincera indignazione ne giustificano il successo e le numerose edizioni succedutesi senza sosta fino ai giorni nostri.
Edita solo nel 1804, l'opera suscitera' un dialogo a distanza con Alessandro Manzoni, il quale, nella Storia della colonna infame (1840), rovescera' l'assunto verriano, attribuendo la colpa di quel processo non gia' ai vizi dei tempi e delle leggi, ma alla malvagita' degli uomini chiamati a giudicare. Se Verri condanna senza appello i giuristi, Manzoni punta un implacabile dito accusatore contro i giudici, responsabili di una condotta deliberatamente fraudolenta. Per Manzoni il governo di buone leggi e' nulla senza un'opera di educazione morale dell'uomo, mostrando una visione lontana dalla pedagogia della felicita' di cui si era nutrito utopisticamente l'Illuminismo.
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Un sovrano demiurgo in aiuto alle riforme: da Giuseppe II a Napoleone
Verri si illuse per lungo tempo sul possibile connubio fra aspirazioni riformatrici dei philosophes milanesi e potere assoluto: milito' contro il sistema imperante ambendo al tempo stesso di farne parte. Le istanze promosse in quella straordinaria primavera che fu l'Illuminismo lombardo sembrarono accolte dal governo asburgico: umanita' della pena, certezza del diritto, realizzazione di codici, primato della legislazione, interpretazione meccanica della legge, abolizione della tortura e, insieme, di quell'organo giudiziario che ne era stato fiero difensore, il Senato.
Tuttavia la spinta localistica, che voleva gli intellettuali lombardi partecipi di quel processo di trasformazione, fu frustrata dal dirigismo e dal centralismo giuseppino, che calo' dall'alto la riorganizzazione dell'apparato burocratico-giudiziario e del diritto vigente, estromettendone proprio uno dei suoi piu' fervidi propugnatori. "Si': Giuseppe II ha esautorato l'elite e ha spento consapevolmente i lumi lombardi per poter condurre a termine la sua opera" (Cavanna 1999, p. 135).
Le numerose torsioni del percorso intellettuale di Verri (dal dispotismo illuminato al costituzionalismo sostenuto nella breve stagione rivoluzionaria) si conclusero, in singolare coerenza, con un ritorno all'antica figura del demiurgo monarca assoluto: dopo Giuseppe II, Napoleone, affiancato da un classe pensante in grado di educare la massa, un tema cui Pietro rimarra' a suo modo sempre fedele. L'indole di Verri, ribelle ed eternamente fiduciosa nei 'progressi della ragione', causa di perenne insoddisfazione verso l'esistente, seppe cosi' incarnare al meglio la vibrante eta' dei lumi, tra speranze e delusioni.
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Opere
Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763), pubblicata in: C.A. Vianello, L''Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese' del Verri tra le fonti del libro 'Dei delitti e delle pene', "Giornale storico della letteratura italiana", 1938, 334, pp. 60-75; C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di F. Venturi, Torino 1965, pp. 127-46; P. Verri, Osservazioni sulla tortura, a cura di G. Barbarisi, Milano 1993, pp. 165-79.
Sulla interpretazione delle leggi (1765), da ultimo in Il Caffe', a cura di G. Francioni, S. Romagnoli, Torino 1993, pp. 695-704.
Osservazioni sulla tortura (1776-1777), da ultimo in Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, VI vol., Scritti politici e della maturita', a cura di C. Capra, Roma 2010, pp. 37-141.
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Bibliografia
I. Bianchi, Elogio storico di Pietro Verri, Cremona 1803.
M. Fubini, Pietro Verri e il 'Caffe'', in La cultura illuministica in Italia, a cura di M. Fubini, Torino 1957, pp. 102-119.
N. Valeri, Pietro Verri, Firenze 1969.
F. Venturi, Settecento riformatore, I vol., Da Muratori a Beccaria (1730-1764), Torino 1969, pp. 645-747.
A. Marongiu, Muratori, Beccaria, Pietro Verri e la scienza del diritto, "Rivista italiana di diritto e procedura penale", n.s., 1975, 3, pp. 744-76.
G. di Renzo Villata, Giuristi, cultura giuridica e idee di riforma nell'eta' di Beccaria, in Cesare Beccaria tra Milano e l'Europa, Convegno di studi per il CCL anniversario della nascita, Roma-Bari 1990, pp. 225-78.
G. Barbarisi, Introduzione a P. Verri, Osservazioni sulla tortura, a cura di G. Barbarisi, Milano 1993, pp. 5-35.
Pietro Verri e il suo tempo. Milano, 9-1 ottobre 1997, a cura di C. Capra, I vol., Bologna 1999 (in partic. A. Cavanna, Da Maria Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio di Pietro Verri, pp. 105-45; M.A. Cattaneo, Pietro Verri e la riforma penale, pp. 271-88; G.P. Massetto, Pietro e Alessandro Verri in aiuto di Cesare Beccaria: la risposta alle 'Note' del Facchinei, pp. 289-351; G. Imbruglia, Il conflitto e la liberta'. Pietro Verri da 'Il Caffe'' alla 'Storia di Milano', pp. 447-87; C. Capra, "La mia anima e' stata sempre repubblicana". Pietro Verri da patrizio a cittadino, pp. 519-40).
C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna 2002.
A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, II vol., Milano 2005, pp. 181-89.
G. Barbarisi, Nota introduttiva a P. Verri, Osservazioni sulla tortura (1776-1777), in Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, VI vol., Scritti politici e della maturita', a cura di C. Capra, Roma 2010, pp. 1-36.
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Aldo Alessandro Mola, Monarchia o repubblica? Quel 2 giugno 1946, Societa' europea di edizioni, Milano 2021, 2 voll., pp. 314 + 282, euro 8,50 + 8,50.
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Riedizioni
- Dino Messina, 2 giugno 1946. La battaglia per la repubblica, Rcs, Milano 2016, 2021, pp. 288, euro 9,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4132 dell'11 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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