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[Nonviolenza] Telegrammi. 4115
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4115
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Mon, 24 May 2021 18:40:29 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4115 del 25 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Ripetiamo ancora una volta...
2. Jean-Marie Muller, La nonviolenza come esigenza politica (parte seconda e conclusiva)
3. Alcuni riferimenti utili
4. La prima politica e' il disarmo
5. Piccolo dittico delle armi e del disarmo
6. In quanto le armi
7. Del non uccidere argomento primo
8. Poiche' vi e' una sola umanita'
9. Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: LA NONVIOLENZA COME ESIGENZA POLITICA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo ottavo: "La nonviolenza come esigenza politica" (pp. 157-182). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.serenoregis.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]
Le religioni sono scese a patti con l'impero della violenza
Fino ad oggi, le grandi religioni storiche hanno svolto un ruolo primario nella formazione delle culture e delle civilta' e hanno profondamente impresso il loro segno nella costruzione delle comunita' politiche. Ma e' d'obbligo riconoscere che esse hanno misconosciuto l'esigenza filosofica di nonviolenza e si sono legate alle ideologie dominanti della violenza necessaria, legittima e rispettabile. Patteggiando con l'impero della violenza, hanno ignorato i valori etici, spirituali, metafisici – senza dubbio bisognerebbe dire anche teologici – e politici della nonviolenza. Non soltanto hanno riconosciuto la violenza come un diritto naturale dell'uomo nel quadro della legittima difesa dei suoi interessi, ma, in molte circostanze, sono arrivate a sacralizzare la violenza apportandole l'appoggio del loro Dio. Quando la religione ha benedetto la violenza, la violenza non e' diventata sacra, ma la religione e' diventata sacrilega. La religione ne e' uscita profondamente infangata, ma doveva essere gia' infangata per patteggiare con la violenza.
Con l'insegnamento rigido di un discorso dogmatico chiuso, le religioni hanno spesso disposto gli uomini all'intolleranza verso gli altri piuttosto che alla benevolenza. Cosi' hanno alimentato i nazionalismi comunitaristi che professano la discriminazione, l'esclusione e la violenza. Quante volte la storia e' arrivata a dare ragione a Freud quando crede di poter affermare: "Bisogna che una religione, anche se si dice religione d'amore, sia dura e senza amore per tutti quelli che non le appartengono. In fondo, ciascuna religione e', si', una religione d'amore per tutti quelli che ingloba, ma ciascuna tende verso la crudelta' e l'intolleranza verso quelli che non le appartengono" (1). Lungo la storia, la certezza che Dio era "con loro" ha convinto molti gruppi che era giusto e necessario combattere a morte gli altri gruppi. Anche oggi, dappertutto nel mondo, dei credenti, idolatri della loro religione, si mobilitano per fare la guerra agli infedeli.
Cosi', il corpo dottrinale delle religioni e' stato corrotto dall'ideologia della violenza. Questa sacralizzazione religiosa della violenza e' stata spesso un fattore decisivo che e' giunto a darle libero corso nella storia degli uomini, dei popoli e delle nazioni. Cosi', le religioni hanno contribuito potentemente a chiudere la cultura politica dei popoli nell'ideologia della violenza. Piu' precisamente, la storia dell'Occidente e' segnata da numerose crociate, guerre di religione, guerre coloniali e guerre "giuste" che, tutte, sono state legittimate dalla religione cristiana. Il simbolo della croce, simbolo della morte nonviolenta di Gesu' di Nazareth contro il quale i poteri stabiliti si erano coalizzati, ha preso la forma di una spada e e' divenuta simbolo della violenza dei cristiani.
Senza dubbio, non compete alla filosofia pronunciarsi sulla esistenza di Dio; ma, se la filosofia non consente di conoscere il vero Dio, permette almeno di identificare i falsi dei – e questo e' gia' decisivo. La ragione ci insegna, in effetti, che gli dei che fanno patti con la violenza degli uomini, che la garantiscono e talvolta la comandano, abitano sicuramente il pantheon dei falsi dei. Cosi', il "dio degli eserciti" e' sicuramente un falso dio. Il vero Dio non puo' essere che un "Dio disarmato". Quando un uomo fa dire a un dio che appoggia la violenza, questa non e' sicuramente parola di Dio. E' la parola di un uomo su Dio, ed e' la parola di un uomo che si inganna parlando di Dio. L'uomo ha sempre bisogno di giustificare la sua violenza e, quando crede in un dio, ha bisogno di convincersi che il suo dio giustifica la sua violenza. Cosi', non solamente gli autori di molti testi pretesi sacri si sono ingannati nel credere che Dio giustificasse la violenza del loro popolo, ma hanno ingannato e continuano a ingannare tutti quanti si ispirano ai loro testi per giustificare la propria violenza.
Simone Weil lamentava che la "pulizia filosofica" della religione cattolica non era mai stata fatta. In realta', e' la pulizia filosofica di tutte le religioni che non e' mai stata fatta e che deve essere fatta (2). Tocca, in effetti, alla filosofia giudicare la religione, e, se il principio di nonviolenza e' il vero fondamento della filosofia, e' affermando il primato di questo principio su ogni considerazione "religiosa" che quella pulizia deve essere intrapresa. Cio' non puo' non condurre a una rottura radicale con tutte le dottrine religiose della guerra giusta e della violenza legittima. Ma gli uomini "religiosi" avranno il coraggio di compiere una tale rottura che mette in causa la loro "tradizione"? Non sarebbe certamente ragionevole avere la certezza che possa essere data una risposta positiva a questa domanda.
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I partiti politici
Una delle caratteristiche della democrazia parlamentare e' di essere dominata dall'influenza/esproprio dei partiti politici. Essi sono una delle espressioni maggiori della liberta' di associazione riconosciuta ai cittadini dallo Stato di diritto. In teoria, essi hanno la funzione di permettere a tutti i membri della societa' di partecipare direttamente alla vita politica secondo la diversita' delle loro opinioni. La Costituzione francese della V Repubblica ha riconosciuto per la prima volta il ruolo dei partiti politici che "concorrono all'espressione del suffragio" (articolo 4) (3). Si puo' misurare il ruolo svolto dai partiti politici in favore della democrazia se si constata cio' che avviene nelle societa' in cui lo Stato ne rifiuta l'esistenza: e' immediatamente l'ingranaggio totalitario.
Conviene tuttavia domandarsi se l'organizzazione dei partiti politici permette ai cittadini di esercitare pienamente il loro potere nella comunita' politica. Dall'alba della democrazia moderna, Moisei Ostrogorski, uno dei pionieri della sociologia politica, ha messo in evidenza i limiti e le insufficienze dei partiti politici. Analizzando la creazione e lo sviluppo dei partiti politici in Gran Bretagna all'inizio del Novecento, Ostrogorski nota la loro propensione a irreggimentare i loro aderenti facendo prevalere il conformismo. "L'adesione al partito – egli scrive – diventa in larga misura un oggetto di devozione, una fede con una ortodossia e quasi un culto. (...) gli aderenti al partito erano provvisti tutti in blocco di uno stock di convinzioni che li dispensava da ogni sforzo personale. "We now think in battalions" (noi ora pensiamo in battaglioni), come diceva un osservatore penetrante, un operaio di Northumberland. Ogni tentativo per affermare la liberta' e l'indipendenza del pensiero politico era ormai repressa, perche' ogni divergenza di opinioni era un attentato all'unita' del partito" (4). Ostrogorski ritiene che i metodi di organizzazione e funzionamento dei partiti, fabbricando e imponendo un'opinione stereotipata su tutti i temi, "hanno inaridito il pensiero politico e prodotto la cancellazione dell'individualita' a tutti i livelli, fino alla sfera della leadership" (5). Egli denuncia pure "i metodi elettorali che consistono soprattutto nell'ipnotizzare l'elettore"; di conseguenza, le consultazioni nazionali non esprimono realmente la volonta' dei cittadini (6). Ostrogorski sottolinea ancora che l'eletto, invece di essere un rappresentante dei suoi elettori, e' piuttosto un delegato del suo partito. "Il deputato – egli constata – siede ormai in Parlamento meno per questa o quella circoscrizione che per uno o l'altro partito" (7).
Ostrogorski si chiede come "risollevare le possibilita' morali del cittadino", che si trova "compresso dal partito rigido come da una morsa" (8). Cio' non e' possibile – risponde – che mettendo termine al sistema dei partiti, perche' l'esperienza ha dimostrato che esso non risponde alle esigenze della democrazia, e che, in definitiva, esso impoverisce la vita politica. Per questo, bisogna anzitutto che i membri del popolo sovrano si riapproprino del loro "potere di intimidazione sociale", bisogna cioe' che, invece di essere intimiditi dai governanti, siano loro a intimidirli (9). A questo scopo, Ostrogorski propone di eliminare dalla politica i partiti rigidi e permanenti, che hanno lo scopo di prendere il potere statale, e di sostituirli con delle associazioni di cittadini formate in vista di una determinata rivendicazione politica. Secondo lui, un tale metodo di organizzazione e di azione e' in grado di rivitalizzare la democrazia e di ridare agli individui la possibilita' pratica di esercitare i loro poteri di cittadini.
Molti anni dopo, Simone Weil, in un testo scritto a Londra nel 1943 per i servizi di France Libre, fara' ugualmente una critica radicale del sistema dei partiti coincidendo con molte delle analisi fatte in precedenza da Ostrogorski. Secondo lei, il partito politico e' l'esempio stesso del gruppo sociale in cui "il collettivo domina gli esseri pensanti" (10). Simone Weil ne da' due definizioni che, ai suoi occhi, sono equivalenti: "Un partito politico e' una macchina per fabbricare della passione collettiva. Un partito politico e' una organizzazione costruita in modo tale da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne sono membri" (11). Questa pressione esercita una tale influenza sull'individuo che questo ha le piu' grandi difficolta' a resisterle. Ci vuole per questo una forza di carattere eccezionale che manca purtroppo alla maggior parte dei cittadini. Il partito politico che, di sua natura, non e' che un mezzo, diventa il fine di se' stesso. Non ha altro obiettivo che il proprio sviluppo. Percio', "ogni partito politico, in germe e nelle aspirazioni, e' totalitario" (12). Simone Weil si indigna per il fatto che un membro di partito, che sarebbe deciso, davanti a qualche problema politico o sociale, a non ascoltare altro che la voce interiore della sua coscienza, verrebbe probabilmente escluso dal suo partito o, almeno, non potrebbe essere indicato dal partito per alcuna elezione e non potrebbe dunque mai essere un eletto della nazione. Di fatto, dato il quasi monopolio esercitato dai partiti nella vita politica, quell'uomo si troverebbe nell'impossibilita' di intervenire efficacemente negli affari pubblici. Quanto a quelli che vogliono partecipare direttamente alla gestione della comunita' politica, devono rassegnarsi a "passare sotto il laminatoio dei partiti" (13). Ma, il piu' delle volte, gli uomini accettano di piegarsi alla disciplina di partito perche' questo, in definitiva, gli permette di non pensare, e "non c'e' niente di piu' confortevole del non pensare" (14).
Simone Weil ritiene che la rinuncia ad ogni autonomia di pensiero, di giudizio e di azione da parte degli eletti, e' contraria allo spirito della Rivoluzione francese. La gente del 1789 – afferma - "non avrebbe mai creduto possibile che un rappresentante del popolo potesse abdicare alla sua dignita' al punto da diventare il membro disciplinato di un partito" (15). In una vera democrazia, i candidati dovrebbero presentarsi ai loro elettori affermando le loro convinzioni, le loro analisi, i loro propositi. In seguito, "gli eletti si assoceranno e si dissoceranno secondo il gioco naturale e mobile delle affinita'" (16). Certo, un tale processo di decisione e di gestione nella condotta degli affari pubblici si rivelerebbe molto complesso, molto piu' difficile di quello che risulta dal gioco dei partiti, eppure, questo, a forza di semplificare la democrazia, non finisce per sopprimerla? La democrazia non e' mai semplice. Simone Weil non vede dunque che dei vantaggi nella soppressione dei partiti che asserviscono le intelligenze e finiscono per stabilire una vera "oppressione spirituale e mentale" (17).
Ella pone due condizioni perche' un "raggruppamento di idee" non eserciti alcuna costrizione sul pensiero dei suoi membri: bisogna, da una parte, che "la scomunica non vi esista" e, dall'altra parte, che "vi sia realmente una circolazione di idee" (18). Bisogna cosi' che gli ambienti dove gli uomini si riuniscono per scambiarsi delle idee siano mantenuti "allo stato fluido" (19). E' questa fluidita' che distingue un raggruppamento di idee, che puo' essere fonte di arricchimento per ognuno, da un partito politico, che impoverisce l'individuo privandolo della sua autonomia di pensiero e di azione.
In definitiva, se l'intenzione di Simone Weil di sopprimere i partiti politici sembra poco realista, la sua analisi del loro malfunzionamento non e' nulla di meno che grande chiaroveggenza. Nessun dubbio che il monolitismo che i partiti si impongono sterilizzi la riflessione al loro interno e, in fin dei conti, all'interno di tutta la societa'. Esiste dentro i partiti, per la struttura stessa della loro organizzazione, una pesante tendenza per la quale la disciplina finisce per mettere a mal partito la liberta' di pensiero. Le democrazie sono malate di questa mancanza di democrazia intellettuale all'interno dei partiti politici.
Vaclav Havel, quando ancora non era altro che un dissidente di fronte al regime totalitario della Cecoslovacchia e rifletteva sul modello politico che meglio conviene allo sviluppo della democrazia, ricusava il sistema dei partiti avanzando degli argomenti simili a quelli di Ostrogorski e di Simone Weil. "Tutto questo insieme statico di partiti di massa – scriveva –, che agisce politicamente in maniera cosi' interessata, questi partiti dominati da degli apparati professionistici che scaricano il cittadino di ogni responsabilita' concreta e individuale (...) puo' difficilmente essere considerato come la via grazie alla quale l'individuo avrebbe qualche prospettiva di ritrovarsi se' stesso" (20). Egli vedeva nel sistema dei partiti che "ricompensa con dei privilegi l'obbedienza ad un gruppo che si batte per il potere", l'inizio "della burocratizzazione, della corruzione e dell'antidemocrazia" (21). Per rivivificare il tessuto connettivo della democrazia, Vaclav Havel pensa alla creazione di "strutture aperte, di piccole dimensioni e dinamiche", che "dovrebbero esistere in un dialogo vivo sui bisogni reali da cui esse sono nate, e scomparire con la scomparsa di quei bisogni" (22). Queste strutture, al contrario dei partiti politici formalizzati, dovrebbero permettere ai cittadini di riflettere non anzitutto sulle soluzioni tecniche che devono essere apportate ai problemi politici, ma sui valori etici che devono essere a fondamento del progetto politico che conviene mettere in atto. "Si tratta dunque – afferma Havel – di riabilitare valori come la fiducia, l'apertura, la responsabilita', la solidarieta', l'amore. Io credo in strutture orientate non verso l'aspetto "tecnico" dell'esercizio del potere, ma sul suo significato" (23).
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Rifiutare il primato dell'economia sulla politica
Oggi, la piazza pubblica in cui gli uomini hanno l'abitudine di riunirsi, e' il mercato, la fiera commerciale; pero', non sono i cittadini che vi si riuniscono, ma i produttori, i mercanti e i consumatori. Cio' che spinge l'individuo verso la piazza del mercato e', secondo l'espressione di Hannah Arendt, "il desiderio di vedere dei prodotti e non di vedere degli uomini" (24).
L'uomo deve anzitutto far fronte alla necessita' di soddisfare i bisogni della vita biologica: nutrirsi, vestirsi, ripararsi in un'abitazione. Questi bisogni non sono in alcun modo disprezzabili e l'uomo non puo' pretendere di liberarsi dalla necessita' di soddisfarli. Si illuderebbe se sperasse di essere un giorno libero dalla necessita' del lavoro. Del resto, l'inattivita' e l'ozio generano noia e questo e' gia' un tempo morto. L'obbligo quotidiano di soddisfare i bisogni vitali e' una struttura essenziale dell'esistenza umana, e la necessita' di lavorare che ne risulta da' senso al tempo. Ma l'attivita' economica dell'uomo si e' trovata prigioniera di un "ordine mercantile" che nega fondamentalmente il cittadino riducendo l'individuo allo stato di produttore/consumatore. Fino ad ora, l'attivita' del lavoratore ha occupato l'essenziale della vita dell'individuo e ha privato il cittadino del tempo della riflessione filosofica e dell'azione politica. Il lavoratore ha talmente dominato il cittadino che la vita politica della comunita' politica si e' trovata gravemente atrofizzata. Ne risulta, paradossalmente, che gli individui che non esercitano un'attivita' professionale remunerata non beneficiano di un riconoscimento sociale. Questo e' particolarmente vero per le donne.
L'homo faber – quello che fabbrica degli strumenti - ha soppiantato l'homo sapiens – quello che ri-flette e ricerca la saggezza. Certo, questo non puo' disprezzare quello: non soltanto non esisterebbe senza di lui, ma c'e' gia' molta intelligenza nell'uomo che inventa degli strumenti per migliorare le sue condizioni di vita. Ma la fatica dell'homo faber deve permettere all'homo sapiens – nella stessa persona - di avere il tempo per ri-flettere non solamente sull'efficacia degli strumenti, ma soprattutto sul senso della vita. Ora, precisamente, ancora oggi, la fabbricazione degli strumenti prende tanto di quel tempo all'uomo che non ha piu' il tempo per cercare la saggezza che da' senso e trascendenza alla sua vita.
La grande preoccupazione degli stessi uomini politici e' troppo spesso organizzare lo spazio economico e raramente costruire lo spazio politico. Il primato dato all'economico sul politico ha generato una organizzazione della societa' che la rinchiude in conflitti di interessi essenzialmente economici. L'azione politica viene pervertita perche' viene messa anch'essa al servizio di interessi economici. Eppure, l'agire politico si distingue profondamente dal fare economico. La discussione politica non ha per oggetto soltanto il decidere i mezzi necessari per vivere insieme, ma anche e soprattutto il chiarire le ragioni del vivere insieme. Ora, il dibattito politico ha abbandonato l'interrogativo: "perche' agire?", per preoccuparsi soprattutto della questione: "come fare?". Cosi', a causa del primato dell'economico sul politico, il potere politico si e' degradato a potere amministrativo e burocratico. Per rivitalizzare la democrazia e' importante riabilitare e rinnovare il dibattito e l'azione politica messi a mal partito dall'economismo.
Una delle sfide maggiori a cui siamo confrontati oggi e' l'immaginare una nuova organizzazione e una nuova strutturazione del nostro tempo, in modo che esso non sia piu' occupato principalmente dal lavoro. Grazie alle scoperte scientifiche e tecnologiche, la soddisfazione dei bisogni vitali degli uomini non richiede piu' che essi vi consacrino l'essenziale del loro tempo. Ma l'individuo, allora, si trova davanti un "tempo libero" che, spesso, lo inquieta e gli fa paura. Questo "tempo libero" gli appare allora come un "tempo vuoto", che lui non sa riempire. E non si tratta anzitutto di inventare dei nuovi divertimenti, delle nuove distrazioni che non servirebbero ad altro che a "passare il tempo", cioe' ad "ammazzarlo". Il concetto stesso di "civilta' dei divertimenti" deve essere respinto. Questo tempo libero dovrebbe permettere agli uomini di accedere di piu' alla liberta' del cittadino mediante la riflessione filosofica e l'azione politica. Niente sarebbe peggio del fatto che gli uomini fossero nello stesso tempo dei lavoratori privati del lavoro e dei cittadini privati della cittadinanza.
Una delle conseguenze piu' nefaste della strutturazione del tempo nella societa' dominata dall'economismo, e' che i lavoratori-cittadini non hanno, o ne hanno pochissimo, tempo di leggere. La lettura, infatti, e' il principale vettore di cultura. Un popolo in cui i cittadini non leggono, mentre le stesse tradizioni orali si impoveriscono, diventa un popolo senza cultura, vulnerabile alle ideologie. Certo, l'immagine, e specialmente l’'immagine televisiva, potrebbe avere un ruolo molto importante nell'accesso degli individui alla cultura, ma bisognerebbe anche che i criteri usati per definire i programmi televisivi non fossero puramente commerciali. Del resto, non pensiamo che una cultura dell'immagine debba sostituirsi a una cultura del libro. Nelle nostre societa', il deficit di lettura dei cittadini e' qualcosa di spaventoso. La grande maggioranza ignora tutto delle grandi opere letterarie e filosofiche che costituiscono, secondo l'espressione di Tolstoj, "il tesoro intellettuale e morale che l'umanita' ha accumulato" (25). Questo deficit di lettura e' un mancato guadagno di una tale importanza che sarebbe grave rassegnarvisi; urge quindi tentare di colmarlo. La cultura filosofica dei cittadini e' uno dei fondamenti essenziali della democrazia. Karl Popper pensava che "quella meraviglia che fu l'Atene del V secolo avanti Cristo sul piano culturale si spiega in gran parte con la creazione del mercato dei libri, creazione che spiega ugualmente la democrazia ateniese" (26). Bisogna dunque considerare che e' una grave disfunzione della democrazia il fatto che i dibattiti filosofici siano riservati ad una piccola cerchia di iniziati. Uno dei compiti piu' utili sarebbe creare luoghi e tempi che permettano a chiunque di iniziarsi alla lettura e alla discussione delle grandi opere letterarie e filosofiche.
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L'esigenza ecologica
Esiste un legame profondo, che non e' soltanto simbolico, tra il danno inflitto "alla natura" e la violenza fatta all'uomo. Il rispetto della natura e' un rispetto che l'uomo deve a se' stesso. L'uomo fa parte della natura, ma, piu' ancora, la natura fa parte della sua umanita'. Quando egli fa subire delle "violenze" al suo ambiente, ne subisce egli stesso i contraccolpi. La distruzione del suo "quadro di vita" attenta direttamente alla "qualita' della sua vita". L'uomo diventa letteralmente malato degli stessi danni che infligge alla natura. L'inquinamento dell'aria, dell'acqua e della terra fa direttamente violenza all'uomo, una violenza che puo' essere mortale. Dunque, il bisogno di rispettare e proteggere la natura non procede da qualche sentimentalismo, ma da una esigenza etica che fonda un imperativo politico.
Il rispetto della natura comincia con la sua conoscenza, ed e' l'eco/logia che ci permette di acquistarla. L'ecologia e' anzitutto lo studio degli ambienti e dei sistemi naturali in cui vivono gli esseri viventi. Questo studio permette poi di ricercare ed enunciare le regole e le norme a cui le attivita' dell'uomo – specialmente le attivita' economiche – devono sottomettersi per rispettare i ritmi e gli equilibri naturali di questi sistemi.
Le dottrine economiche dominanti si sono lasciate accecare dalla logica tirannica del produttivismo. Non hanno tenuto conto delle contraddizioni e dei vicoli ciechi in cui ci ha condotti il progresso tecnico abbandonato a se' stesso. Non hanno saputo distogliersi in tempo dalle illusioni scientiste apparse alla fine del XVIII secolo, che hanno fatto sperare un progresso sociale continuo come conseguenza ineluttabile di un progresso tecnico lineare. Oggi dobbiamo riconoscere il fallimento della concezione e della realizzazione scientiste del progresso industriale. Questo non significa che si debba bandire ogni innovazione tecnologica, facendo un'apologia fallace dei "bei tempi antichi". Ma significa che e' urgente padroneggiare lo sviluppo industriale delle nostre societa' e ridefinire i criteri con cui dobbiamo gestirlo. Dei limiti sono stati superati, delle soglie sono state passate, di modo che non e' piu' possibile sostenere che si tratti soltanto di alcuni eccessi particolari. E' il sistema stesso della produzione industriale che bisogna rimettere in causa per sottometterlo agli imperativi dell'ecologia. Produrre in un altro modo implica lavorare in un altro modo, consumare in un altro modo e, in definitiva, vivere in un altro modo, cioe' vivere meglio.
A lungo, molto a lungo, l'uomo ha dovuto proteggersi contro i pericoli di ogni genere che la natura faceva pesare su di lui; oggi, col potere tecnico che ha acquistato, e' l'uomo che fa pesare sulla natura dei gravi pericoli. Qui si tratta, come ha dimostrato il filosofo tedesco Hans Jonas nel suo libro Il principio responsabilita', di una situazione radicalmente nuova, che esige di ripensare i fondamenti stessi dell'etica che regola il potere di agire dell'uomo. Il fatto radicalmente nuovo e' che il potere acquistato dall'uomo sulla natura e' "in primo luogo un potere di distruzione" (27) e che, percio', "la promessa della tecnica moderna si e' rovesciata in minaccia" (28). Ormai noi sappiamo che la terra e' mortale. Certo, il peggio non e' certo, ma e' diventato possibile. Importa dunque tenere massimamente conto di questa possibilita'. "La solidarieta' di destino tra l'uomo e la natura, riscoperta attraverso il pericolo, ci fa ugualmente riscoprire la dignita' propria della natura e ci impone di rispettare la sua integrita' al di la' di un rapporto puramente utilitaristico" (29).
Ormai l'uomo deve guardare in faccia lo stato di vulnerabilita' in cui il suo potere ha messo la natura e ha bisogno di prendere coscienza che la natura e' diventata l'oggetto della sua responsabilita'. Una volta, la responsabilita' dell'uomo nel suo agire non riguardava che l'avvenire immediato, oggi si estende nella durata e raggiunge l'avvenire piu' lontano. L'uomo ha dunque l'obbligo di agire in modo che in avvenire la vita umana sulla terra sia ancora possibile. "Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo tipo di soggetto agente, suonerebbe press'a poco cosi': "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in negativo: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilita' futura di tale vita" (30).
Di fronte al suo nuovo potere di agire, l'uomo ha l'obbligo di definire le regole di una nuova etica che tenga conto delle conseguenze a lungo termine della sua azione, di un'etica che deve essere una "etica del futuro" (31), o, piu' precisamente, una "etica della responsabilita' per il futuro" (32). Ma, perche' la volonta' accetti di rispondere all'appello dell'obbligo etico, non basta che questo sia fondato sulla ragione, occorre che lo sia su un sentimento: "E' – afferma Hans Jonas – il sentimento di responsabilita'" (33). Secondo lui, "si tratta di una responsabilita' metafisica in se' e per se', dal momento che l'uomo e' diventato un pericolo non soltanto per se' stesso, ma per l'intera biosfera" (34).
Cosi', gli uomini sono costretti a stipulare con la natura un contratto che permetta loro di vivere in simbiosi con essa: e' quello che Michel Serres chiama "il contratto naturale". "Cio' significa: al contratto esclusivamente sociale aggiungere la stipulazione di un contratto naturale di simbiosi e di reciprocita'. (...) Contratto di armistizio nella guerra oggettiva, (...) contratto di simbiosi: la simbiosi ammette il diritto dell'ospite, mentre il parassita – che e' il nostro statuto attuale – condanna a morte quello che egli sfrutta/saccheggia e abita senza prendere coscienza che, alla fine, condanna se' stesso a scomparire" (35). Un simile contratto fa della natura "un soggetto di diritto" (36) che conviene rispettare come tale.
*
Note
1. Sigmund Freud, Essais de psychanalyse, Paris, Petite Bibliotheque Payot, 1981, p. 160.
2. Simone Weil, Cahiers II, Paris, Plon, 1953, p. 264; tr. it. cit.
3. Cfr art. 49 della Costituzione italiana (n.d.t.).
4. Moisei Ostrogorski, La democratie et les partis politiques, op. cit., p. 45-46.
5. Ibidem, p. 47.
6. Ibidem, p. 71.
7. Ibidem, p. 74.
8. Ibidem, p. 101.
9. Idbidem, p. 181.
10. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, Paris, Gallimard, 1957, p. 132. Sulla critica dei partiti politici, vedi anche, in traduzione italiana: Nota sulla soppressione dei partiti politici, traduzione di Giancarlo Gaeta, in Diario, n. 6, 1988, pp. 3-30; La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano, traduzione di Franco Fortini, Ed. Leonardo, Milano 1996, pp. 35-39.
11. Ibidem.
12. Ibidem, p. 131.
13. Ibidem, p. 141.
14. Ibidem, p. 143.
15. Simone Weil, L'enracinement, op. cit., p. 42; tr. it. citata, p. 35.
16. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, op. cit., p. 144.
17. Ibidem, p. 141.
18. Simone Weil, L'enracinement, op. cit., p. 46; tr. it. citata, p. 38 e 39.
19. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, op. cit., p. 145.
20. Vaclav Havel, Essais politiques, Paris, Calmann-Levy, 1989, p. 217.
21. Vaclav Havel, Interrogatoire a' distance, Paris, Editions de l'Aube, 1989, p. 21.
22. Vaclav Havel, Essais politiques, op. cit., p. 154.
23. Ibidem, p. 153. Questa critica dei partiti e questa proposta alternativa e' stata, nel pensiero italiano, caratteristica di Aldo Capitini, con la sua esperienza dei Cos, Centri di Orientamento Sociale (n.d.t.).
24. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, op, cit., p. 271; tr. it. cit., p. 154.
25. Lev Tolstoj, La vraie vie, Paris, Bibliotheque Charpentier, Eugene Pasquelle, 1923, p. 103; tr. it. La vera vita, Manca editrice, Genova, 1991.
26. Karl Popper, op. cit., p. 97.
27. Hans Jonas, Le principe de responsabilite'. Une ethique pour la civilisation technologique, Paris, Le Cerf, 1993, p. 190; tr. it. di Paola Rinaudo dall'originale Das Prinzip Verantwortung, Insel Verlag, Frankfurt am Main, 1979, Il principio responsabilita'. Un'etica per la civilta' tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. 177.
28. Ibidem, p. 13; tr. it. cit., p. XXVII.
29. Ibidem, p. 188; tr. it. cit., p. 176.
30. Ibidem, p. 30-31; tr. it. cit., p. 16.
31. Ibidem, p. 50; tr. it. cit., p. 35-36.
32. Ibidem, p. 133; tr. it. cit., p. 118.
33. Ibidem, p. 123; nella tr. it. cit. si vedano le pp. 108-111.
34. Ibidem, p. 187; tr. it. cit., p. 175.
35. Michel Serres, Le contrat naturel, Paris, Flammarion, 1992, coll. Champs, p. 67.
36. Ibidem.
3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
4. REPETITA IUVANT. LA PRIMA POLITICA E' IL DISARMO
La prima politica e' il disarmo
sostituire all'arte dell'uccidere
quella severa di salvare le vite
Senza disarmo il mondo tutto muore
senza disarmo le nuvole si ghiacciano
le lacrime diventano veleno
si crepano i marmi ne escono draghi
Senza disarmo ogni parola mente
senza disarmo ogni albero si secca
l'aria non porta piu' i suoni
la polvere colma i polmoni
Senza disarmo piovono scorpioni
senza disarmo in ogni piatto e' vomito
dal rubinetto esce sale e vetro
le scarpe stritolano le ossa dei piedi
Solo il disarmo frena le valanghe
solo il disarmo risana le ferite
solo il disarmo salva le vite
Salvare le vite e' il primo dovere
salvare le vite
il primo dovere
5. REPETITA IUVANT. PICCOLO DITTICO DELLE ARMI E DEL DISARMO
I.
Le armi sanno a cosa servono
le armi non sbagliano la mira
le armi odiano le persone
quando le ammazzano poi vanno all'osteria
a ubriacarsi e a cantare fino all'alba
Le armi bevono il sangue
le armi mettono briglie e sella alle persone
poi le cavalcano fino a sfiancarle
affondano gli speroni per godere dei sussulti
della carne che soffre
Le armi non sentono ragione
una sola cosa desiderano: uccidere
e poi ancora uccidere
uccidere le persone
tutte le persone
Le armi la sanno lunga
fanno bella figura in televisione
sorridono sempre
parlano di cose belle
promettono miliardi di posti di lavoro
e latte e miele gratis per tutti
Le armi hanno la loro religione
hanno la scienza esatta degli orologi
hanno l'arte sottile del pennello
e del bulino e la sapienza grande
di trasformare tutto in pietra e vento
e della loro religione l'unico
articolo di fede dice: nulla
e nulla e nulla e nulla e nulla e nulla
e tutto ha da tornare ad esser nulla
Le armi ci guardano dal balcone
mentre ci affaccendiamo per le strade
ci fischiano e poi fanno finta di niente
ci gettano qualche spicciolo qualche caramella
cerini accesi mozziconi scampoli
di tela e schizzi di vernice e polpette
con dentro minuscole schegge di vetro
Sanno il francese hanno tutti i dischi
raccontano di quando in mongolfiera
e delle proprieta' nelle colonie d'oltremare
e delle ville tutte marmi e stucchi
t'invitano nel loro palco all'opera
ti portano al campo dei miracoli
Sanno le armi come farsi amare
e passo dopo passo addurti dove
hanno allestito la sala del banchetto
II.
Senza disarmo i panni stesi non si asciugano
senza disarmo la pizza diventa carbone
senza disarmo hai freddo anche con tre cappotti
Senza disarmo il fazzoletto ti strappa la mano
senza disarmo la maniglia della porta ti da' la scossa
senza disarmo le scarpe ti mangiano i piedi
Senza disarmo l'aria t'avvelena
senza disarmo il caffe' diventa sterco
senza disarmo dallo specchio uno ti spara
Senza disarmo il letto e' tutto spine
senza disarmo scordi tutte le parole
senza disarmo e' buio anche di giorno
Senza disarmo ogni casa brucia
senza disarmo quel che tocchi ghiaccia
senza disarmo tutto e' aceto e grandine
Senza disarmo la guerra non finisce
Senza disarmo finisce l'umanita'
6. REPETITA IUVANT. IN QUANTO LE ARMI
In quanto le armi servono a uccidere
le persone, l'esistenza delle armi
e' gia' una violazione dei diritti umani.
Solo il disarmo salva le vite
solo il disarmo rispetta e difende gli esseri umani
solo il disarmo riconosce e restituisce
umanita' all'umanita'.
Solo con il disarmo
la civilta' rinasce
il sole sorge ancora
fioriscono i meli
tornano umani gli esseri umani.
7. REPETITA IUVANT. DEL NON UCCIDERE ARGOMENTO PRIMO
Si assomigliano come due fratelli
Abele e Caino, nessuno dei due
sa chi sara' la vittima, chi l'assassino.
Non c'e' netto un confine
tra bene e male
e l'occhio non distingue
zucchero e sale.
In questo laborioso labirinto
che non ha uscita
non esser tu del novero di quelli
che ad altri strappano la breve vita.
Mantieni l'unica vera sapienza:
come vorresti esser trattato tu
le altre persone tratta.
Da te l'umanita' non sia disfatta.
Sull'orlo dell'abisso scegli sempre
di non uccidere, di opporti a ogni uccisione,
ad ogni guerra, ogni arma, ogni divisa:
ogni plotone e' di esecuzione.
Non c'e' netto un confine
tra bene e male
e l'occhio non distingue
zucchero e sale.
Si assomigliano come due fratelli
Abele e Caino, nessuno dei due
sa chi sara' la vittima, chi l'assassino.
8. REPETITA IUVANT. POICHE' VI E' UNA SOLA UMANITA'
Poiche' vi e' una sola umanita'
noi dichiariamo che ogni essere umano
abbia rispetto e solidarieta'
da chiunque altro sia essere umano.
Nessun confine puo' la dignita'
diminuire umana, o il volto umano
sfregiare, o denegar la qualita'
umana propria di ogni essere umano.
Se l'edificio della civilta'
umana ha un senso, ed esso non e' vano,
nessuno allora osi levar la mano
contro chi chiede ospitalita'.
Se la giustizia e se la liberta'
non ciancia, bensi' pane quotidiano
hanno da essere, cosi' il lontano
come il vicino merita pieta'.
Nel condividere e' la verita'
ogni volto rispecchia il volto umano
nel mutuo aiuto e' la felicita'
ogni diritto e' un diritto umano.
Se vero e' che tutto finira'
non prevarra' la morte sull'umano
soltanto se la generosita'
sara' la legge di ogni essere umano.
La nonviolenza e' questa gaia scienza
che lotta per salvar tutte le vite
la nonviolenza e' questa lotta mite
e intransigente contro ogni violenza.
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Marie Luise Knott, Hannah Arendt. Un ritratto controcorrente, Cortina, Milano 2012, pp. 124, euro 15.
*
Riedizioni
- Luciano Dottarelli, Musonio l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita, Annulli Editori, Grotte di Castro (Vt) 2015, 2021, pp. 182, euro 13.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4115 del 25 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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Numero 4115 del 25 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
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Sommario di questo numero:
1. Ripetiamo ancora una volta...
2. Jean-Marie Muller, La nonviolenza come esigenza politica (parte seconda e conclusiva)
3. Alcuni riferimenti utili
4. La prima politica e' il disarmo
5. Piccolo dittico delle armi e del disarmo
6. In quanto le armi
7. Del non uccidere argomento primo
8. Poiche' vi e' una sola umanita'
9. Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: LA NONVIOLENZA COME ESIGENZA POLITICA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo ottavo: "La nonviolenza come esigenza politica" (pp. 157-182). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.serenoregis.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]
Le religioni sono scese a patti con l'impero della violenza
Fino ad oggi, le grandi religioni storiche hanno svolto un ruolo primario nella formazione delle culture e delle civilta' e hanno profondamente impresso il loro segno nella costruzione delle comunita' politiche. Ma e' d'obbligo riconoscere che esse hanno misconosciuto l'esigenza filosofica di nonviolenza e si sono legate alle ideologie dominanti della violenza necessaria, legittima e rispettabile. Patteggiando con l'impero della violenza, hanno ignorato i valori etici, spirituali, metafisici – senza dubbio bisognerebbe dire anche teologici – e politici della nonviolenza. Non soltanto hanno riconosciuto la violenza come un diritto naturale dell'uomo nel quadro della legittima difesa dei suoi interessi, ma, in molte circostanze, sono arrivate a sacralizzare la violenza apportandole l'appoggio del loro Dio. Quando la religione ha benedetto la violenza, la violenza non e' diventata sacra, ma la religione e' diventata sacrilega. La religione ne e' uscita profondamente infangata, ma doveva essere gia' infangata per patteggiare con la violenza.
Con l'insegnamento rigido di un discorso dogmatico chiuso, le religioni hanno spesso disposto gli uomini all'intolleranza verso gli altri piuttosto che alla benevolenza. Cosi' hanno alimentato i nazionalismi comunitaristi che professano la discriminazione, l'esclusione e la violenza. Quante volte la storia e' arrivata a dare ragione a Freud quando crede di poter affermare: "Bisogna che una religione, anche se si dice religione d'amore, sia dura e senza amore per tutti quelli che non le appartengono. In fondo, ciascuna religione e', si', una religione d'amore per tutti quelli che ingloba, ma ciascuna tende verso la crudelta' e l'intolleranza verso quelli che non le appartengono" (1). Lungo la storia, la certezza che Dio era "con loro" ha convinto molti gruppi che era giusto e necessario combattere a morte gli altri gruppi. Anche oggi, dappertutto nel mondo, dei credenti, idolatri della loro religione, si mobilitano per fare la guerra agli infedeli.
Cosi', il corpo dottrinale delle religioni e' stato corrotto dall'ideologia della violenza. Questa sacralizzazione religiosa della violenza e' stata spesso un fattore decisivo che e' giunto a darle libero corso nella storia degli uomini, dei popoli e delle nazioni. Cosi', le religioni hanno contribuito potentemente a chiudere la cultura politica dei popoli nell'ideologia della violenza. Piu' precisamente, la storia dell'Occidente e' segnata da numerose crociate, guerre di religione, guerre coloniali e guerre "giuste" che, tutte, sono state legittimate dalla religione cristiana. Il simbolo della croce, simbolo della morte nonviolenta di Gesu' di Nazareth contro il quale i poteri stabiliti si erano coalizzati, ha preso la forma di una spada e e' divenuta simbolo della violenza dei cristiani.
Senza dubbio, non compete alla filosofia pronunciarsi sulla esistenza di Dio; ma, se la filosofia non consente di conoscere il vero Dio, permette almeno di identificare i falsi dei – e questo e' gia' decisivo. La ragione ci insegna, in effetti, che gli dei che fanno patti con la violenza degli uomini, che la garantiscono e talvolta la comandano, abitano sicuramente il pantheon dei falsi dei. Cosi', il "dio degli eserciti" e' sicuramente un falso dio. Il vero Dio non puo' essere che un "Dio disarmato". Quando un uomo fa dire a un dio che appoggia la violenza, questa non e' sicuramente parola di Dio. E' la parola di un uomo su Dio, ed e' la parola di un uomo che si inganna parlando di Dio. L'uomo ha sempre bisogno di giustificare la sua violenza e, quando crede in un dio, ha bisogno di convincersi che il suo dio giustifica la sua violenza. Cosi', non solamente gli autori di molti testi pretesi sacri si sono ingannati nel credere che Dio giustificasse la violenza del loro popolo, ma hanno ingannato e continuano a ingannare tutti quanti si ispirano ai loro testi per giustificare la propria violenza.
Simone Weil lamentava che la "pulizia filosofica" della religione cattolica non era mai stata fatta. In realta', e' la pulizia filosofica di tutte le religioni che non e' mai stata fatta e che deve essere fatta (2). Tocca, in effetti, alla filosofia giudicare la religione, e, se il principio di nonviolenza e' il vero fondamento della filosofia, e' affermando il primato di questo principio su ogni considerazione "religiosa" che quella pulizia deve essere intrapresa. Cio' non puo' non condurre a una rottura radicale con tutte le dottrine religiose della guerra giusta e della violenza legittima. Ma gli uomini "religiosi" avranno il coraggio di compiere una tale rottura che mette in causa la loro "tradizione"? Non sarebbe certamente ragionevole avere la certezza che possa essere data una risposta positiva a questa domanda.
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I partiti politici
Una delle caratteristiche della democrazia parlamentare e' di essere dominata dall'influenza/esproprio dei partiti politici. Essi sono una delle espressioni maggiori della liberta' di associazione riconosciuta ai cittadini dallo Stato di diritto. In teoria, essi hanno la funzione di permettere a tutti i membri della societa' di partecipare direttamente alla vita politica secondo la diversita' delle loro opinioni. La Costituzione francese della V Repubblica ha riconosciuto per la prima volta il ruolo dei partiti politici che "concorrono all'espressione del suffragio" (articolo 4) (3). Si puo' misurare il ruolo svolto dai partiti politici in favore della democrazia se si constata cio' che avviene nelle societa' in cui lo Stato ne rifiuta l'esistenza: e' immediatamente l'ingranaggio totalitario.
Conviene tuttavia domandarsi se l'organizzazione dei partiti politici permette ai cittadini di esercitare pienamente il loro potere nella comunita' politica. Dall'alba della democrazia moderna, Moisei Ostrogorski, uno dei pionieri della sociologia politica, ha messo in evidenza i limiti e le insufficienze dei partiti politici. Analizzando la creazione e lo sviluppo dei partiti politici in Gran Bretagna all'inizio del Novecento, Ostrogorski nota la loro propensione a irreggimentare i loro aderenti facendo prevalere il conformismo. "L'adesione al partito – egli scrive – diventa in larga misura un oggetto di devozione, una fede con una ortodossia e quasi un culto. (...) gli aderenti al partito erano provvisti tutti in blocco di uno stock di convinzioni che li dispensava da ogni sforzo personale. "We now think in battalions" (noi ora pensiamo in battaglioni), come diceva un osservatore penetrante, un operaio di Northumberland. Ogni tentativo per affermare la liberta' e l'indipendenza del pensiero politico era ormai repressa, perche' ogni divergenza di opinioni era un attentato all'unita' del partito" (4). Ostrogorski ritiene che i metodi di organizzazione e funzionamento dei partiti, fabbricando e imponendo un'opinione stereotipata su tutti i temi, "hanno inaridito il pensiero politico e prodotto la cancellazione dell'individualita' a tutti i livelli, fino alla sfera della leadership" (5). Egli denuncia pure "i metodi elettorali che consistono soprattutto nell'ipnotizzare l'elettore"; di conseguenza, le consultazioni nazionali non esprimono realmente la volonta' dei cittadini (6). Ostrogorski sottolinea ancora che l'eletto, invece di essere un rappresentante dei suoi elettori, e' piuttosto un delegato del suo partito. "Il deputato – egli constata – siede ormai in Parlamento meno per questa o quella circoscrizione che per uno o l'altro partito" (7).
Ostrogorski si chiede come "risollevare le possibilita' morali del cittadino", che si trova "compresso dal partito rigido come da una morsa" (8). Cio' non e' possibile – risponde – che mettendo termine al sistema dei partiti, perche' l'esperienza ha dimostrato che esso non risponde alle esigenze della democrazia, e che, in definitiva, esso impoverisce la vita politica. Per questo, bisogna anzitutto che i membri del popolo sovrano si riapproprino del loro "potere di intimidazione sociale", bisogna cioe' che, invece di essere intimiditi dai governanti, siano loro a intimidirli (9). A questo scopo, Ostrogorski propone di eliminare dalla politica i partiti rigidi e permanenti, che hanno lo scopo di prendere il potere statale, e di sostituirli con delle associazioni di cittadini formate in vista di una determinata rivendicazione politica. Secondo lui, un tale metodo di organizzazione e di azione e' in grado di rivitalizzare la democrazia e di ridare agli individui la possibilita' pratica di esercitare i loro poteri di cittadini.
Molti anni dopo, Simone Weil, in un testo scritto a Londra nel 1943 per i servizi di France Libre, fara' ugualmente una critica radicale del sistema dei partiti coincidendo con molte delle analisi fatte in precedenza da Ostrogorski. Secondo lei, il partito politico e' l'esempio stesso del gruppo sociale in cui "il collettivo domina gli esseri pensanti" (10). Simone Weil ne da' due definizioni che, ai suoi occhi, sono equivalenti: "Un partito politico e' una macchina per fabbricare della passione collettiva. Un partito politico e' una organizzazione costruita in modo tale da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne sono membri" (11). Questa pressione esercita una tale influenza sull'individuo che questo ha le piu' grandi difficolta' a resisterle. Ci vuole per questo una forza di carattere eccezionale che manca purtroppo alla maggior parte dei cittadini. Il partito politico che, di sua natura, non e' che un mezzo, diventa il fine di se' stesso. Non ha altro obiettivo che il proprio sviluppo. Percio', "ogni partito politico, in germe e nelle aspirazioni, e' totalitario" (12). Simone Weil si indigna per il fatto che un membro di partito, che sarebbe deciso, davanti a qualche problema politico o sociale, a non ascoltare altro che la voce interiore della sua coscienza, verrebbe probabilmente escluso dal suo partito o, almeno, non potrebbe essere indicato dal partito per alcuna elezione e non potrebbe dunque mai essere un eletto della nazione. Di fatto, dato il quasi monopolio esercitato dai partiti nella vita politica, quell'uomo si troverebbe nell'impossibilita' di intervenire efficacemente negli affari pubblici. Quanto a quelli che vogliono partecipare direttamente alla gestione della comunita' politica, devono rassegnarsi a "passare sotto il laminatoio dei partiti" (13). Ma, il piu' delle volte, gli uomini accettano di piegarsi alla disciplina di partito perche' questo, in definitiva, gli permette di non pensare, e "non c'e' niente di piu' confortevole del non pensare" (14).
Simone Weil ritiene che la rinuncia ad ogni autonomia di pensiero, di giudizio e di azione da parte degli eletti, e' contraria allo spirito della Rivoluzione francese. La gente del 1789 – afferma - "non avrebbe mai creduto possibile che un rappresentante del popolo potesse abdicare alla sua dignita' al punto da diventare il membro disciplinato di un partito" (15). In una vera democrazia, i candidati dovrebbero presentarsi ai loro elettori affermando le loro convinzioni, le loro analisi, i loro propositi. In seguito, "gli eletti si assoceranno e si dissoceranno secondo il gioco naturale e mobile delle affinita'" (16). Certo, un tale processo di decisione e di gestione nella condotta degli affari pubblici si rivelerebbe molto complesso, molto piu' difficile di quello che risulta dal gioco dei partiti, eppure, questo, a forza di semplificare la democrazia, non finisce per sopprimerla? La democrazia non e' mai semplice. Simone Weil non vede dunque che dei vantaggi nella soppressione dei partiti che asserviscono le intelligenze e finiscono per stabilire una vera "oppressione spirituale e mentale" (17).
Ella pone due condizioni perche' un "raggruppamento di idee" non eserciti alcuna costrizione sul pensiero dei suoi membri: bisogna, da una parte, che "la scomunica non vi esista" e, dall'altra parte, che "vi sia realmente una circolazione di idee" (18). Bisogna cosi' che gli ambienti dove gli uomini si riuniscono per scambiarsi delle idee siano mantenuti "allo stato fluido" (19). E' questa fluidita' che distingue un raggruppamento di idee, che puo' essere fonte di arricchimento per ognuno, da un partito politico, che impoverisce l'individuo privandolo della sua autonomia di pensiero e di azione.
In definitiva, se l'intenzione di Simone Weil di sopprimere i partiti politici sembra poco realista, la sua analisi del loro malfunzionamento non e' nulla di meno che grande chiaroveggenza. Nessun dubbio che il monolitismo che i partiti si impongono sterilizzi la riflessione al loro interno e, in fin dei conti, all'interno di tutta la societa'. Esiste dentro i partiti, per la struttura stessa della loro organizzazione, una pesante tendenza per la quale la disciplina finisce per mettere a mal partito la liberta' di pensiero. Le democrazie sono malate di questa mancanza di democrazia intellettuale all'interno dei partiti politici.
Vaclav Havel, quando ancora non era altro che un dissidente di fronte al regime totalitario della Cecoslovacchia e rifletteva sul modello politico che meglio conviene allo sviluppo della democrazia, ricusava il sistema dei partiti avanzando degli argomenti simili a quelli di Ostrogorski e di Simone Weil. "Tutto questo insieme statico di partiti di massa – scriveva –, che agisce politicamente in maniera cosi' interessata, questi partiti dominati da degli apparati professionistici che scaricano il cittadino di ogni responsabilita' concreta e individuale (...) puo' difficilmente essere considerato come la via grazie alla quale l'individuo avrebbe qualche prospettiva di ritrovarsi se' stesso" (20). Egli vedeva nel sistema dei partiti che "ricompensa con dei privilegi l'obbedienza ad un gruppo che si batte per il potere", l'inizio "della burocratizzazione, della corruzione e dell'antidemocrazia" (21). Per rivivificare il tessuto connettivo della democrazia, Vaclav Havel pensa alla creazione di "strutture aperte, di piccole dimensioni e dinamiche", che "dovrebbero esistere in un dialogo vivo sui bisogni reali da cui esse sono nate, e scomparire con la scomparsa di quei bisogni" (22). Queste strutture, al contrario dei partiti politici formalizzati, dovrebbero permettere ai cittadini di riflettere non anzitutto sulle soluzioni tecniche che devono essere apportate ai problemi politici, ma sui valori etici che devono essere a fondamento del progetto politico che conviene mettere in atto. "Si tratta dunque – afferma Havel – di riabilitare valori come la fiducia, l'apertura, la responsabilita', la solidarieta', l'amore. Io credo in strutture orientate non verso l'aspetto "tecnico" dell'esercizio del potere, ma sul suo significato" (23).
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Rifiutare il primato dell'economia sulla politica
Oggi, la piazza pubblica in cui gli uomini hanno l'abitudine di riunirsi, e' il mercato, la fiera commerciale; pero', non sono i cittadini che vi si riuniscono, ma i produttori, i mercanti e i consumatori. Cio' che spinge l'individuo verso la piazza del mercato e', secondo l'espressione di Hannah Arendt, "il desiderio di vedere dei prodotti e non di vedere degli uomini" (24).
L'uomo deve anzitutto far fronte alla necessita' di soddisfare i bisogni della vita biologica: nutrirsi, vestirsi, ripararsi in un'abitazione. Questi bisogni non sono in alcun modo disprezzabili e l'uomo non puo' pretendere di liberarsi dalla necessita' di soddisfarli. Si illuderebbe se sperasse di essere un giorno libero dalla necessita' del lavoro. Del resto, l'inattivita' e l'ozio generano noia e questo e' gia' un tempo morto. L'obbligo quotidiano di soddisfare i bisogni vitali e' una struttura essenziale dell'esistenza umana, e la necessita' di lavorare che ne risulta da' senso al tempo. Ma l'attivita' economica dell'uomo si e' trovata prigioniera di un "ordine mercantile" che nega fondamentalmente il cittadino riducendo l'individuo allo stato di produttore/consumatore. Fino ad ora, l'attivita' del lavoratore ha occupato l'essenziale della vita dell'individuo e ha privato il cittadino del tempo della riflessione filosofica e dell'azione politica. Il lavoratore ha talmente dominato il cittadino che la vita politica della comunita' politica si e' trovata gravemente atrofizzata. Ne risulta, paradossalmente, che gli individui che non esercitano un'attivita' professionale remunerata non beneficiano di un riconoscimento sociale. Questo e' particolarmente vero per le donne.
L'homo faber – quello che fabbrica degli strumenti - ha soppiantato l'homo sapiens – quello che ri-flette e ricerca la saggezza. Certo, questo non puo' disprezzare quello: non soltanto non esisterebbe senza di lui, ma c'e' gia' molta intelligenza nell'uomo che inventa degli strumenti per migliorare le sue condizioni di vita. Ma la fatica dell'homo faber deve permettere all'homo sapiens – nella stessa persona - di avere il tempo per ri-flettere non solamente sull'efficacia degli strumenti, ma soprattutto sul senso della vita. Ora, precisamente, ancora oggi, la fabbricazione degli strumenti prende tanto di quel tempo all'uomo che non ha piu' il tempo per cercare la saggezza che da' senso e trascendenza alla sua vita.
La grande preoccupazione degli stessi uomini politici e' troppo spesso organizzare lo spazio economico e raramente costruire lo spazio politico. Il primato dato all'economico sul politico ha generato una organizzazione della societa' che la rinchiude in conflitti di interessi essenzialmente economici. L'azione politica viene pervertita perche' viene messa anch'essa al servizio di interessi economici. Eppure, l'agire politico si distingue profondamente dal fare economico. La discussione politica non ha per oggetto soltanto il decidere i mezzi necessari per vivere insieme, ma anche e soprattutto il chiarire le ragioni del vivere insieme. Ora, il dibattito politico ha abbandonato l'interrogativo: "perche' agire?", per preoccuparsi soprattutto della questione: "come fare?". Cosi', a causa del primato dell'economico sul politico, il potere politico si e' degradato a potere amministrativo e burocratico. Per rivitalizzare la democrazia e' importante riabilitare e rinnovare il dibattito e l'azione politica messi a mal partito dall'economismo.
Una delle sfide maggiori a cui siamo confrontati oggi e' l'immaginare una nuova organizzazione e una nuova strutturazione del nostro tempo, in modo che esso non sia piu' occupato principalmente dal lavoro. Grazie alle scoperte scientifiche e tecnologiche, la soddisfazione dei bisogni vitali degli uomini non richiede piu' che essi vi consacrino l'essenziale del loro tempo. Ma l'individuo, allora, si trova davanti un "tempo libero" che, spesso, lo inquieta e gli fa paura. Questo "tempo libero" gli appare allora come un "tempo vuoto", che lui non sa riempire. E non si tratta anzitutto di inventare dei nuovi divertimenti, delle nuove distrazioni che non servirebbero ad altro che a "passare il tempo", cioe' ad "ammazzarlo". Il concetto stesso di "civilta' dei divertimenti" deve essere respinto. Questo tempo libero dovrebbe permettere agli uomini di accedere di piu' alla liberta' del cittadino mediante la riflessione filosofica e l'azione politica. Niente sarebbe peggio del fatto che gli uomini fossero nello stesso tempo dei lavoratori privati del lavoro e dei cittadini privati della cittadinanza.
Una delle conseguenze piu' nefaste della strutturazione del tempo nella societa' dominata dall'economismo, e' che i lavoratori-cittadini non hanno, o ne hanno pochissimo, tempo di leggere. La lettura, infatti, e' il principale vettore di cultura. Un popolo in cui i cittadini non leggono, mentre le stesse tradizioni orali si impoveriscono, diventa un popolo senza cultura, vulnerabile alle ideologie. Certo, l'immagine, e specialmente l’'immagine televisiva, potrebbe avere un ruolo molto importante nell'accesso degli individui alla cultura, ma bisognerebbe anche che i criteri usati per definire i programmi televisivi non fossero puramente commerciali. Del resto, non pensiamo che una cultura dell'immagine debba sostituirsi a una cultura del libro. Nelle nostre societa', il deficit di lettura dei cittadini e' qualcosa di spaventoso. La grande maggioranza ignora tutto delle grandi opere letterarie e filosofiche che costituiscono, secondo l'espressione di Tolstoj, "il tesoro intellettuale e morale che l'umanita' ha accumulato" (25). Questo deficit di lettura e' un mancato guadagno di una tale importanza che sarebbe grave rassegnarvisi; urge quindi tentare di colmarlo. La cultura filosofica dei cittadini e' uno dei fondamenti essenziali della democrazia. Karl Popper pensava che "quella meraviglia che fu l'Atene del V secolo avanti Cristo sul piano culturale si spiega in gran parte con la creazione del mercato dei libri, creazione che spiega ugualmente la democrazia ateniese" (26). Bisogna dunque considerare che e' una grave disfunzione della democrazia il fatto che i dibattiti filosofici siano riservati ad una piccola cerchia di iniziati. Uno dei compiti piu' utili sarebbe creare luoghi e tempi che permettano a chiunque di iniziarsi alla lettura e alla discussione delle grandi opere letterarie e filosofiche.
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L'esigenza ecologica
Esiste un legame profondo, che non e' soltanto simbolico, tra il danno inflitto "alla natura" e la violenza fatta all'uomo. Il rispetto della natura e' un rispetto che l'uomo deve a se' stesso. L'uomo fa parte della natura, ma, piu' ancora, la natura fa parte della sua umanita'. Quando egli fa subire delle "violenze" al suo ambiente, ne subisce egli stesso i contraccolpi. La distruzione del suo "quadro di vita" attenta direttamente alla "qualita' della sua vita". L'uomo diventa letteralmente malato degli stessi danni che infligge alla natura. L'inquinamento dell'aria, dell'acqua e della terra fa direttamente violenza all'uomo, una violenza che puo' essere mortale. Dunque, il bisogno di rispettare e proteggere la natura non procede da qualche sentimentalismo, ma da una esigenza etica che fonda un imperativo politico.
Il rispetto della natura comincia con la sua conoscenza, ed e' l'eco/logia che ci permette di acquistarla. L'ecologia e' anzitutto lo studio degli ambienti e dei sistemi naturali in cui vivono gli esseri viventi. Questo studio permette poi di ricercare ed enunciare le regole e le norme a cui le attivita' dell'uomo – specialmente le attivita' economiche – devono sottomettersi per rispettare i ritmi e gli equilibri naturali di questi sistemi.
Le dottrine economiche dominanti si sono lasciate accecare dalla logica tirannica del produttivismo. Non hanno tenuto conto delle contraddizioni e dei vicoli ciechi in cui ci ha condotti il progresso tecnico abbandonato a se' stesso. Non hanno saputo distogliersi in tempo dalle illusioni scientiste apparse alla fine del XVIII secolo, che hanno fatto sperare un progresso sociale continuo come conseguenza ineluttabile di un progresso tecnico lineare. Oggi dobbiamo riconoscere il fallimento della concezione e della realizzazione scientiste del progresso industriale. Questo non significa che si debba bandire ogni innovazione tecnologica, facendo un'apologia fallace dei "bei tempi antichi". Ma significa che e' urgente padroneggiare lo sviluppo industriale delle nostre societa' e ridefinire i criteri con cui dobbiamo gestirlo. Dei limiti sono stati superati, delle soglie sono state passate, di modo che non e' piu' possibile sostenere che si tratti soltanto di alcuni eccessi particolari. E' il sistema stesso della produzione industriale che bisogna rimettere in causa per sottometterlo agli imperativi dell'ecologia. Produrre in un altro modo implica lavorare in un altro modo, consumare in un altro modo e, in definitiva, vivere in un altro modo, cioe' vivere meglio.
A lungo, molto a lungo, l'uomo ha dovuto proteggersi contro i pericoli di ogni genere che la natura faceva pesare su di lui; oggi, col potere tecnico che ha acquistato, e' l'uomo che fa pesare sulla natura dei gravi pericoli. Qui si tratta, come ha dimostrato il filosofo tedesco Hans Jonas nel suo libro Il principio responsabilita', di una situazione radicalmente nuova, che esige di ripensare i fondamenti stessi dell'etica che regola il potere di agire dell'uomo. Il fatto radicalmente nuovo e' che il potere acquistato dall'uomo sulla natura e' "in primo luogo un potere di distruzione" (27) e che, percio', "la promessa della tecnica moderna si e' rovesciata in minaccia" (28). Ormai noi sappiamo che la terra e' mortale. Certo, il peggio non e' certo, ma e' diventato possibile. Importa dunque tenere massimamente conto di questa possibilita'. "La solidarieta' di destino tra l'uomo e la natura, riscoperta attraverso il pericolo, ci fa ugualmente riscoprire la dignita' propria della natura e ci impone di rispettare la sua integrita' al di la' di un rapporto puramente utilitaristico" (29).
Ormai l'uomo deve guardare in faccia lo stato di vulnerabilita' in cui il suo potere ha messo la natura e ha bisogno di prendere coscienza che la natura e' diventata l'oggetto della sua responsabilita'. Una volta, la responsabilita' dell'uomo nel suo agire non riguardava che l'avvenire immediato, oggi si estende nella durata e raggiunge l'avvenire piu' lontano. L'uomo ha dunque l'obbligo di agire in modo che in avvenire la vita umana sulla terra sia ancora possibile. "Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo tipo di soggetto agente, suonerebbe press'a poco cosi': "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in negativo: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilita' futura di tale vita" (30).
Di fronte al suo nuovo potere di agire, l'uomo ha l'obbligo di definire le regole di una nuova etica che tenga conto delle conseguenze a lungo termine della sua azione, di un'etica che deve essere una "etica del futuro" (31), o, piu' precisamente, una "etica della responsabilita' per il futuro" (32). Ma, perche' la volonta' accetti di rispondere all'appello dell'obbligo etico, non basta che questo sia fondato sulla ragione, occorre che lo sia su un sentimento: "E' – afferma Hans Jonas – il sentimento di responsabilita'" (33). Secondo lui, "si tratta di una responsabilita' metafisica in se' e per se', dal momento che l'uomo e' diventato un pericolo non soltanto per se' stesso, ma per l'intera biosfera" (34).
Cosi', gli uomini sono costretti a stipulare con la natura un contratto che permetta loro di vivere in simbiosi con essa: e' quello che Michel Serres chiama "il contratto naturale". "Cio' significa: al contratto esclusivamente sociale aggiungere la stipulazione di un contratto naturale di simbiosi e di reciprocita'. (...) Contratto di armistizio nella guerra oggettiva, (...) contratto di simbiosi: la simbiosi ammette il diritto dell'ospite, mentre il parassita – che e' il nostro statuto attuale – condanna a morte quello che egli sfrutta/saccheggia e abita senza prendere coscienza che, alla fine, condanna se' stesso a scomparire" (35). Un simile contratto fa della natura "un soggetto di diritto" (36) che conviene rispettare come tale.
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Note
1. Sigmund Freud, Essais de psychanalyse, Paris, Petite Bibliotheque Payot, 1981, p. 160.
2. Simone Weil, Cahiers II, Paris, Plon, 1953, p. 264; tr. it. cit.
3. Cfr art. 49 della Costituzione italiana (n.d.t.).
4. Moisei Ostrogorski, La democratie et les partis politiques, op. cit., p. 45-46.
5. Ibidem, p. 47.
6. Ibidem, p. 71.
7. Ibidem, p. 74.
8. Ibidem, p. 101.
9. Idbidem, p. 181.
10. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, Paris, Gallimard, 1957, p. 132. Sulla critica dei partiti politici, vedi anche, in traduzione italiana: Nota sulla soppressione dei partiti politici, traduzione di Giancarlo Gaeta, in Diario, n. 6, 1988, pp. 3-30; La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano, traduzione di Franco Fortini, Ed. Leonardo, Milano 1996, pp. 35-39.
11. Ibidem.
12. Ibidem, p. 131.
13. Ibidem, p. 141.
14. Ibidem, p. 143.
15. Simone Weil, L'enracinement, op. cit., p. 42; tr. it. citata, p. 35.
16. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, op. cit., p. 144.
17. Ibidem, p. 141.
18. Simone Weil, L'enracinement, op. cit., p. 46; tr. it. citata, p. 38 e 39.
19. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, op. cit., p. 145.
20. Vaclav Havel, Essais politiques, Paris, Calmann-Levy, 1989, p. 217.
21. Vaclav Havel, Interrogatoire a' distance, Paris, Editions de l'Aube, 1989, p. 21.
22. Vaclav Havel, Essais politiques, op. cit., p. 154.
23. Ibidem, p. 153. Questa critica dei partiti e questa proposta alternativa e' stata, nel pensiero italiano, caratteristica di Aldo Capitini, con la sua esperienza dei Cos, Centri di Orientamento Sociale (n.d.t.).
24. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, op, cit., p. 271; tr. it. cit., p. 154.
25. Lev Tolstoj, La vraie vie, Paris, Bibliotheque Charpentier, Eugene Pasquelle, 1923, p. 103; tr. it. La vera vita, Manca editrice, Genova, 1991.
26. Karl Popper, op. cit., p. 97.
27. Hans Jonas, Le principe de responsabilite'. Une ethique pour la civilisation technologique, Paris, Le Cerf, 1993, p. 190; tr. it. di Paola Rinaudo dall'originale Das Prinzip Verantwortung, Insel Verlag, Frankfurt am Main, 1979, Il principio responsabilita'. Un'etica per la civilta' tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. 177.
28. Ibidem, p. 13; tr. it. cit., p. XXVII.
29. Ibidem, p. 188; tr. it. cit., p. 176.
30. Ibidem, p. 30-31; tr. it. cit., p. 16.
31. Ibidem, p. 50; tr. it. cit., p. 35-36.
32. Ibidem, p. 133; tr. it. cit., p. 118.
33. Ibidem, p. 123; nella tr. it. cit. si vedano le pp. 108-111.
34. Ibidem, p. 187; tr. it. cit., p. 175.
35. Michel Serres, Le contrat naturel, Paris, Flammarion, 1992, coll. Champs, p. 67.
36. Ibidem.
3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
4. REPETITA IUVANT. LA PRIMA POLITICA E' IL DISARMO
La prima politica e' il disarmo
sostituire all'arte dell'uccidere
quella severa di salvare le vite
Senza disarmo il mondo tutto muore
senza disarmo le nuvole si ghiacciano
le lacrime diventano veleno
si crepano i marmi ne escono draghi
Senza disarmo ogni parola mente
senza disarmo ogni albero si secca
l'aria non porta piu' i suoni
la polvere colma i polmoni
Senza disarmo piovono scorpioni
senza disarmo in ogni piatto e' vomito
dal rubinetto esce sale e vetro
le scarpe stritolano le ossa dei piedi
Solo il disarmo frena le valanghe
solo il disarmo risana le ferite
solo il disarmo salva le vite
Salvare le vite e' il primo dovere
salvare le vite
il primo dovere
5. REPETITA IUVANT. PICCOLO DITTICO DELLE ARMI E DEL DISARMO
I.
Le armi sanno a cosa servono
le armi non sbagliano la mira
le armi odiano le persone
quando le ammazzano poi vanno all'osteria
a ubriacarsi e a cantare fino all'alba
Le armi bevono il sangue
le armi mettono briglie e sella alle persone
poi le cavalcano fino a sfiancarle
affondano gli speroni per godere dei sussulti
della carne che soffre
Le armi non sentono ragione
una sola cosa desiderano: uccidere
e poi ancora uccidere
uccidere le persone
tutte le persone
Le armi la sanno lunga
fanno bella figura in televisione
sorridono sempre
parlano di cose belle
promettono miliardi di posti di lavoro
e latte e miele gratis per tutti
Le armi hanno la loro religione
hanno la scienza esatta degli orologi
hanno l'arte sottile del pennello
e del bulino e la sapienza grande
di trasformare tutto in pietra e vento
e della loro religione l'unico
articolo di fede dice: nulla
e nulla e nulla e nulla e nulla e nulla
e tutto ha da tornare ad esser nulla
Le armi ci guardano dal balcone
mentre ci affaccendiamo per le strade
ci fischiano e poi fanno finta di niente
ci gettano qualche spicciolo qualche caramella
cerini accesi mozziconi scampoli
di tela e schizzi di vernice e polpette
con dentro minuscole schegge di vetro
Sanno il francese hanno tutti i dischi
raccontano di quando in mongolfiera
e delle proprieta' nelle colonie d'oltremare
e delle ville tutte marmi e stucchi
t'invitano nel loro palco all'opera
ti portano al campo dei miracoli
Sanno le armi come farsi amare
e passo dopo passo addurti dove
hanno allestito la sala del banchetto
II.
Senza disarmo i panni stesi non si asciugano
senza disarmo la pizza diventa carbone
senza disarmo hai freddo anche con tre cappotti
Senza disarmo il fazzoletto ti strappa la mano
senza disarmo la maniglia della porta ti da' la scossa
senza disarmo le scarpe ti mangiano i piedi
Senza disarmo l'aria t'avvelena
senza disarmo il caffe' diventa sterco
senza disarmo dallo specchio uno ti spara
Senza disarmo il letto e' tutto spine
senza disarmo scordi tutte le parole
senza disarmo e' buio anche di giorno
Senza disarmo ogni casa brucia
senza disarmo quel che tocchi ghiaccia
senza disarmo tutto e' aceto e grandine
Senza disarmo la guerra non finisce
Senza disarmo finisce l'umanita'
6. REPETITA IUVANT. IN QUANTO LE ARMI
In quanto le armi servono a uccidere
le persone, l'esistenza delle armi
e' gia' una violazione dei diritti umani.
Solo il disarmo salva le vite
solo il disarmo rispetta e difende gli esseri umani
solo il disarmo riconosce e restituisce
umanita' all'umanita'.
Solo con il disarmo
la civilta' rinasce
il sole sorge ancora
fioriscono i meli
tornano umani gli esseri umani.
7. REPETITA IUVANT. DEL NON UCCIDERE ARGOMENTO PRIMO
Si assomigliano come due fratelli
Abele e Caino, nessuno dei due
sa chi sara' la vittima, chi l'assassino.
Non c'e' netto un confine
tra bene e male
e l'occhio non distingue
zucchero e sale.
In questo laborioso labirinto
che non ha uscita
non esser tu del novero di quelli
che ad altri strappano la breve vita.
Mantieni l'unica vera sapienza:
come vorresti esser trattato tu
le altre persone tratta.
Da te l'umanita' non sia disfatta.
Sull'orlo dell'abisso scegli sempre
di non uccidere, di opporti a ogni uccisione,
ad ogni guerra, ogni arma, ogni divisa:
ogni plotone e' di esecuzione.
Non c'e' netto un confine
tra bene e male
e l'occhio non distingue
zucchero e sale.
Si assomigliano come due fratelli
Abele e Caino, nessuno dei due
sa chi sara' la vittima, chi l'assassino.
8. REPETITA IUVANT. POICHE' VI E' UNA SOLA UMANITA'
Poiche' vi e' una sola umanita'
noi dichiariamo che ogni essere umano
abbia rispetto e solidarieta'
da chiunque altro sia essere umano.
Nessun confine puo' la dignita'
diminuire umana, o il volto umano
sfregiare, o denegar la qualita'
umana propria di ogni essere umano.
Se l'edificio della civilta'
umana ha un senso, ed esso non e' vano,
nessuno allora osi levar la mano
contro chi chiede ospitalita'.
Se la giustizia e se la liberta'
non ciancia, bensi' pane quotidiano
hanno da essere, cosi' il lontano
come il vicino merita pieta'.
Nel condividere e' la verita'
ogni volto rispecchia il volto umano
nel mutuo aiuto e' la felicita'
ogni diritto e' un diritto umano.
Se vero e' che tutto finira'
non prevarra' la morte sull'umano
soltanto se la generosita'
sara' la legge di ogni essere umano.
La nonviolenza e' questa gaia scienza
che lotta per salvar tutte le vite
la nonviolenza e' questa lotta mite
e intransigente contro ogni violenza.
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Marie Luise Knott, Hannah Arendt. Un ritratto controcorrente, Cortina, Milano 2012, pp. 124, euro 15.
*
Riedizioni
- Luciano Dottarelli, Musonio l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita, Annulli Editori, Grotte di Castro (Vt) 2015, 2021, pp. 182, euro 13.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4115 del 25 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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