[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 87



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 87 del 20 maggio 2021

In questo numero:
1. L'Italia non ha ancora ratificato il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari
2. Setsuko Thurlow: Discoso di ricezione del Premio Nobel per la Pace del 2017
3. Beatrice Fihn: Discorso di ricezione del Premio Nobel per la Pace del 2017
4. La prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly
5. La prima lettera di Claude Eatherly a Guenther Anders

1. L'ORA. L'ITALIA NON HA ANCORA RATIFICATO IL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

L'Italia non ha ancora ratificato il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017.
Cosa si attende ancora?

2. MEMORIA. SETSUKO THURLOW: DISCORSO DI RICEZIONE DEL PREMIO NOBEL PER LA PACE DEL 2017
[Riproponiamo il seguente discorso. Domenica 10 dicembre 2017 l'Ican ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per il suo lavoro, volto a garantire un trattato sul divieto delle armi nucleari. L'Ican "riceve il premio per il suo lavoro finalizzato a portare l'attenzione sulle catastrofiche conseguenze di qualsiasi uso delle armi atomiche e per i suoi sforzi fondamentali per giungere a un trattato che proibisca tali armi", aveva scritto a ottobre il presidente del Comitato Nobel norvegese nelle motivazioni dell'assegnazione del premio alla Ong. Setsuko Thurlow ha ricevuto il premio a nome della Ong Ican (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) insieme alla direttrice dell'organizzazione, Beatrice Fihn. Setsuko Thurlow, sopravvissuta il 6 agosto 1945 alla bomba di Hiroshima, ha raccontato l'orribile esperienza vissuta quando era una ragazzina tredicenne. Traduzione dall'inglese di Matilde Mirabella]

Vostra Maesta',
illustri membri del Comitato Nobel norvegese,
miei colleghi attivisti, qui e in tutto il mondo,
signore e signori,
e' un grande privilegio accettare questo premio, insieme a Beatrice, a nome di tutte le persone straordinarie che formano il movimento Ican. Ognuno di voi mi da' la grandissima speranza che possiamo - e lo faremo - porre fine all'era delle armi nucleari.
Parlo come membro della famiglia degli hibakusha - quelli di noi che, per una miracolosa casualita', sono sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Da oltre settant'anni lavoriamo per la totale abolizione delle armi nucleari.
Ci siamo alzati solidalmente con coloro che sono stati danneggiati dalla produzione e dalla sperimentazione di queste orribili armi in tutto il mondo. Persone provenienti da luoghi con nomi a lungo dimenticati, come Moruroa, Ekker, Semipalatinsk, Maralinga, Bikini. Persone le cui terre e i cui mari sono stati irradiati, i cui corpi sono stati usati per esperimenti, le cui culture sono state per sempre sconvolte.
Non ci siamo accontentati di essere vittime. Ci siamo rifiutati di aspettare un'istantanea fine ardente o il lento avvelenamento del nostro mondo. Ci siamo rifiutati di sederci pigramente nel terrore perche' le cosiddette grandi potenze ci hanno portato al passato crepuscolo nucleare e sconsideratamente vicini alla mezzanotte nucleare. Ci siamo alzati. Abbiamo condiviso le nostre storie di sopravvissuti. Abbiamo detto: l'umanita' e le armi nucleari non possono coesistere.
Oggi, voglio che voi sentiate in questa sala la presenza di tutti coloro che sono morti a Hiroshima e a Nagasaki. Voglio che voi sentiate, sopra e attorno a noi, una grande nuvola di un quarto di milione di anime. Ogni persona aveva un nome. Ogni persona era amata da qualcuno. Facciamo in modo che la loro morte non sia stata vana.
Avevo solo 13 anni quando gli Stati Uniti hanno lanciato la prima bomba atomica sulla mia citta', Hiroshima. Ricordo ancora vividamente quella mattina. Alle 8:15 ho visto un accecante flash bianco-bluastro dalla finestra. Ricordo di avere avuto la sensazione di galleggiare nell'aria.
Mentre riacquistavo coscienza nel silenzio e nelle tenebre, mi sono ritrovata immobilizzata dalle macerie dell'edificio crollato. Ho cominciato a sentire le deboli grida dei miei compagni di classe: "mamma, aiutami. Dio, aiutami".
Poi, improvvisamente, ho sentito delle mani toccarmi la spalla sinistra, e un uomo dire: "Non arrenderti! Continua a spingere! Sto cercando di liberarti. Vedi la luce che passa attraverso quell'apertura? Muoviti in quella direzione il piu' velocemente possibile". Appena sono strisciata fuori, le rovine hanno preso fuoco. La maggior parte dei miei compagni di classe sono morti bruciati vivi in quell'edificio. Ho visto tutto intorno a me una devastazione assoluta, inimmaginabile.
Processioni di figure spettrali che si trascinavano. Persone grottescamente ferite, sanguinanti, bruciate, annerite e gonfie. Pezzi dei loro corpi erano mancanti. Carne e pelle penzolavano dalle loro ossa. Alcuni avevano in mano i propri bulbi oculari. Qualcuno con il ventre esploso, aperto, con gli intestini che fuoriuscivano. Il disgustoso puzzo di carne umana bruciata riempiva l'aria.
Cosi', con una bomba la mia amata citta' e' stata cancellata. La maggior parte dei suoi abitanti erano civili che sono stati inceneriti, vaporizzati, carbonizzati - tra questi, membri della mia famiglia e 351 miei compagni di scuola.
Nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi molte altre migliaia di persone sarebbero morte, spesso in modi arbitrari e misteriosi, a causa degli effetti a posteriori delle radiazioni. Ancora oggi le radiazioni uccidono i sopravvissuti.
Ogni volta che ricordo Hiroshima, la prima immagine che mi viene in mente e' quella del mio nipotino di quattro anni, Eiji - il suo piccolo corpo trasformato in un irriconoscibile pezzo di carne fusa. Ha continuato a chiedere acqua con un filo di voce finche' la morte non lo ha liberato dall'agonia.
Per me, e' diventato la rappresentazione di tutti i bambini innocenti del mondo, minacciati come sono, proprio in questo momento, dalle armi nucleari. Ogni secondo di ogni giorno, le armi nucleari mettono in pericolo tutti coloro che amiamo e tutto cio' che ci sta a cuore. Non dobbiamo piu' continuare a tollerare questa follia.
Attraverso la nostra agonia e alla lotta per la pura sopravvivenza - e per ricostruire la nostra vita dalle ceneri - noi hibakusha ci siamo convinti di dover mettere in guardia il mondo da queste armi apocalittiche. Ancora e ancora, abbiamo condiviso le nostre testimonianze.
Ma alcuni tuttavia rifiutavano di vedere Hiroshima e Nagasaki come delle atrocita' - come crimini di guerra. Hanno accettato la propaganda secondo cui si trattava di "bombe buone" che avevano posto fine a una "guerra giusta". E' stato questo mito che ha portato alla disastrosa corsa agli armamenti nucleari, una corsa che continua ancora oggi.
Nove nazioni minacciano ancora di incenerire intere citta', di distruggere la vita sulla terra, di rendere il nostro bel mondo inabitabile per le generazioni future. Lo sviluppo delle armi nucleari non significa l'elevazione di un paese alla grandezza, ma la sua discesa alle profondita' piu' oscure della depravazione. Queste armi non sono un male necessario; sono il male ultimo.
Il sette luglio di quest'anno sono stata travolta dalla gioia, quando la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo ha votato a favore dell''adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Dopo essere stata testimone del peggio dell'umanita', quel giorno sono stata tesimone del suo meglio. Noi hibakusha abbiamo aspettato il bando per settantadue anni. Che questo sia l'inizio della fine delle armi nucleari.
Ogni leader responsabile firmera' questo trattato. E la storia giudichera' duramente coloro che lo respingeranno. Le loro astratte teorie non devono piu' mascherare la realta' genocida delle loro pratiche. Il "deterrente" non deve piu' essere considerato altro che un deterrente al disarmo. Non vivremo piu' sotto una nuvola di paura a forma di fungo.
Ai funzionari delle nazioni dotate di armi nucleari - e ai loro complici sotto il cosiddetto "ombrello nucleare" - dico questo: ascoltate la nostra testimonianza. Date retta al nostro avvertimento. E sappiate che le vostre azioni sono importanti. Ognuno di voi e' parte integrante di un sistema di violenza che mette in pericolo il genere umano. Facciamo in modo di stare tutti all'erta sulla banalita' del male.
A ogni presidente e primo ministro di ogni nazione del mondo, vi imploro: aderite a questo trattato; eliminate per sempre la minaccia dell'annientamento nucleare.
Quando ero una ragazzina di 13 anni, intrappolata nelle macerie, ho continuato a spingere. Ho continuato a muovermi verso la luce. E sono sopravvissuta. Ora la nostra luce e' il trattato di divieto. A tutti in questa sala e a tutti quelli che nel mondo stanno ascoltando, ripeto quelle parole che ho sentito rivolgermi nelle rovine di Hiroshima: "Non mollate! Continuare a spingere! Vedete la luce? Muovetevi verso di essa".
Stasera, mentre marciamo per le strade di Oslo con le torce accese, seguiamoci l'un l'altro fuori dalla notte buia del terrore nucleare. Non importa quali ostacoli dobbiamo affrontare, continueremo a muoverci e continueremo a spingere e a condividere questa luce con altri. Questa e' la nostra passione e il nostro impegno affinche' il nostro prezioso unico mondo sopravviva.

3. MEMORIA. BEATRICE FIHN: DISCORSO DI RICEZIONE DEL PREMIO NOBEL PER LA PACE DEL 2017
[Riproponiamo il seguente discorso. Domenica 10 dicembre 2017 l'Ican ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per il suo lavoro, volto a garantire un trattato sul divieto delle armi nucleari. L'Ican "riceve il premio per il suo lavoro finalizzato a portare l'attenzione sulle catastrofiche conseguenze di qualsiasi uso delle armi atomiche e per i suoi sforzi fondamentali per giungere a un trattato che proibisca tali armi", aveva scritto a ottobre il presidente del comitato del Nobel nelle motivazioni dell'assegnazione del premio alla Ong. Beatrice Fihn ha ricevuto il premio a nome della ong Ican - International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (di cui e' direttrice esecutiva), insieme a Setsuko Thurlow. Traduzione dall'inglese di Matilde Mirabella]

Vostre Maesta',
membri del Comitato Nobel norvegese,
stimati ospiti,
oggi e' un grande onore accettare il Premio Nobel per la Pace 2017 a nome delle migliaia di persone ispiratrici che hanno preso parte alla Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari (Ican).
Insieme abbiamo portato la democrazia al disarmo e stiamo ridando forma alla legge internazionale.
Piu' di tutti ringraziamo umilmente il Comitato Nobel norvegese per aver riconosciuto il nostro lavoro e aver dato impulso alla nostra cruciale causa.
Vogliamo dare riconoscimento a coloro che hanno donato cosi' generosamente a questa campagna il loro tempo e le loro energie.
Vogliamo ringraziare i coraggiosi ministri degli esteri, i diplomatici, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, i funzionari delle Nazioni Unite, gli accademici e gli esperti con i quali abbiamo collaborato per avanzare nel nostro obiettivo comune.
E ringraziamo tutti coloro che si impegnano per debellare dal mondo questa terribile minaccia.
In dozzine di luoghi del mondo - dentro silos con missili sepolti nella nostra terra, su sottomarini che navigano attraverso i nostri oceani, e a bordo di aerei che volano in alto nei nostri cieli - si trovano 15.000 oggetti di distruzione dell'umanita'.
Forse e' l'enormita' di questo fatto, forse e' l'inimmaginabile scala delle conseguenze, che porta molti semplicemente ad accettare questa truce realta', a continuare con le proprie vite quotidiane senza pensare ai folli strumenti che ci circondano.
Perche' e' follia permettere a noi stessi di essere governati da queste armi. Molti dei critici di questo movimento insinuano che siamo noi quelli irrazionali, gli idealisti senza criterio di realta'. Quegli stati dotati di armi nucleari non molleranno mai le loro armi.
Ma noi rappresentiamo la sola scelta razionale. Rappresentiamo quelli che rifiutano di accettare le armi nucleari come ospiti fissi del nostro mondo, quelli che rifiutano di tenere il proprio destino legato a poche righe di un codice di lancio.
La nostra e' la sola realta' possibile. L'alternativa e' impensabile.
La storia delle armi nucleari avra' una fine, e dipende da noi quale sara' questa fine.
Sara' la fine delle armi nucleari, o sara' la nostra fine?
Una di queste cose accadra'.
L'unica via di azione razionale e' quella di smettere di vivere nella condizione per cui la nostra distruzione reciproca dipende da un mero capriccio impulsivo.
Oggi io voglio parlare di tre cose: paura, liberta' e futuro.
Per ammissione di coloro stessi che le posseggono, la reale utilita' delle armi nucleari sta nella loro abilita' nel provocare paura. Quando fanno riferimento al loro effetto "deterrente", i sostenitori delle armi nucleari celebrano la paura come arma di guerra. Si gonfiano il petto dichiarandosi pronti a sterminare, in un lampo, innumerevoli migliaia di vite umane.
Il Premio Nobel William Faulkner, accettando il suo premio nel 1950, disse: "Rimane solo la questione di quando mi faranno saltare in aria". Ma da allora, questa paura universale ha lasciato il posto a qualcosa di ancora piu' pericoloso: la negazione.
Andata e' la paura dell'Armageddon in un istante, andato e' l'equilibrio tra due blocchi che e' stato utilizzato come giustificazione per la deterrenza, andati sono i rifugi dalle piogge radioattive.
Ma una cosa rimane: le migliaia e migliaia di testate nucleari che ci hanno riempiti di questa paura.
Il rischio per l'uso delle armi nucleari e' oggi anche maggiore che alla fine della guerra fredda. Ma a differenza della guerra fredda, oggi ci troviamo di fronte a molti piu' Stati dotati di armi nucleari, a terroristi e a guerre cibernetiche. Tutto questo ci rende meno sicuri.
Imparare a vivere con la cieca accettazione di queste armi e' stato il nostro grande errore seguente.
La paura e' razionale. La minaccia e' reale. Abbiamo evitato la guerra nucleare non grazie a una prudente leadership, ma per pura fortuna. Prima o poi, se non agiamo, la nostra fortuna si esaurira'.
Un momento di panico o di disattenzione, un commento frainteso o un ego ferito, potrebbero facilmente condurci all'inevitabile distruzione di intere citta'. Un'escalation militare calcolata potrebbe portare all'assassinio indiscriminato di massa di civili.
Se si utilizzasse solo una piccola parte delle armi nucleari odierne, fumo e fuliggine delle tempeste di fuoco si depositerebbero in alto nell'atmosfera - raffreddando, oscurando e prosciugando la superficie terrestre per oltre un decennio.
Eliminerebbero le colture alimentari, mettendo a rischio per fame miliardi di persone.
Eppure continuiamo a vivere nella negazione di questa minaccia esistenziale.
Ma Faulkner nel suo discorso al Nobel ha anche lanciato una sfida a coloro che sono venuti dopo di lui. Solo in quanto voce dell'umanita', ha detto, possiamo sconfiggere la paura, possiamo aiutare l'umanita' a resistere.
Il compito di Ican e' di essere quella voce. La voce dell'umanita' e delle leggi umanitarie; far sentire la propria voce per conto dei civili. Dare voce a quella prospettiva umanitaria e' il modo in cui creeremo la fine della paura, la fine della negazione. E in definitiva, la fine delle armi nucleari.
Questo mi porta al secondo punto: la liberta'.
Come hanno affermato su questo palco, nel 1985, i Medici internazionali per la prevenzione della guerra nucleare, la prima organizzazione in assoluto contro le armi nucleari a vincere questo premio: "Noi medici dichiariamo l'indignazione del tenere in ostaggio il mondo intero. Protestiamo per l'oscenita' morale in baase alla quale ognuno di noi e' continuamente minacciato dall'estinzione".
Queste parole suonano ancora vere nel 2017.
Dobbiamo rivendicare la liberta' di non vivere la nostra vita come ostaggi dell'imminente annientamento.
Gli uomini - non le donne! - hanno creato le armi nucleari per controllare altri, ma invece siamo noi ad essere controllati da queste.
Ci hanno fatto false promesse: che rendendo cosi' impensabili le conseguenze dell'uso di queste armi, qualsiasi conflitto sarebbe risultato inattuabile; che ci avrebbe liberati dalla guerra.
Ma, lungi dall'impedire la guerra, queste armi ci hanno portato piu' volte sull'orlo del conflitto durante tutta la guerra fredda. E in questo secolo, queste armi continuano ad avvicinarci alla guerra e al conflitto.
In Iraq, Iran, Kashmir, Corea del Nord. La loro esistenza spinge altri a unirsi alla corsa nucleare. Non ci tengono al sicuro, causano conflitti.
Come lo stesso premio Nobel per la pace Martin Luther King Jr le ha definite da questo palco nel 1964, queste armi sono "sia genocide che suicide".
Sono la pistola del folle puntata permanentemente alla nostra tempia. Queste armi avrebbero dovuto tenerci liberi, ma ci negano le nostre liberta'.
E' un affronto alla democrazia essere governati da queste armi. Ma sono solo armi. Sono solo strumenti. Cosi' come sono state create dal contesto geopolitico, possono essere distrutte altrettanto facilmente collocandole in un contesto umanitario.
Questo e' il compito che Ican si e' prefissata - e il terzo punto di cui vorrei parlare, il futuro.
Oggi ho l'onore di condividere questo palco con Setsuko Thurlow, che ha scelto come proposito della sua vita quello di portare il testimone dell'orrore della guerra nucleare.
Lei e gli hibakusha all'inizio della storia erano li', e la nostra sfida collettiva e' di assicurarci che siano testimoni anche della sua fine.
Loro rivivono quel doloroso passato, ancora e ancora, perche' noi possiamo creare un futuro migliore.
Ci sono centinaia di organizzazioni che insieme, come Ican, stanno compiendo grandi passi avanti verso quel futuro.
Ci sono migliaia di instancabili attivisti che ogni giorno, in tutto il mondo, lavorano per raccogliere questa sfida.
Ci sono milioni di persone in tutto il mondo che si sono erse, spalla a spalla con quegli attivisti, per mostrare ad altre centinaia di milioni che un futuro diverso e' davvero possibile.
Chi afferma che quel futuro non e' possibile deve togliersi dal cammino di coloro che lo rendono una realta'.
Come culmine di questo sforzo popolare, attraverso l'azione della gente comune, quest'anno l'ipotetico e' avanzato verso il reale con 122 nazioni che hanno negoziato e concluso un trattato Onu per bandire queste armi di distruzione di massa.
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari rappresenta il sentiero da seguire in un momento di grande crisi globale. E' una luce in un periodo di buio.
E piu' ancora, ci da' una scelta.
Una scelta tra due finali: la fine delle armi nucleari o la nostra fine.
Non e' ingenuo credere nella prima possibilita'. Non e' irrazionale pensare che gli stati nucleari possano disarmarsi. Non e' idealistico credere nella vita che supera la paura e la distruzione; e' una necessita'.
Siamo tutti di fronte a questa scelta. E faccio appello a tutte le nazioni perche' aderiscano al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.
Stati Uniti, scegliete la liberta' piuttosto che la paura.
Russia, scegliete il disarmo piuttosto che la distruzione.
Gran Bretagna, scegliete la regola della legge piuttosto che l'oppressione.
Francia, scegliete i diritti umani piuttosto che il terrore.
Cina, scegliete la ragione piuttosto che l'irrazionalita'.
India, scegliete il senso piuttosto che il nonsenso.
Pakistan, scegliete la logica piuttosto che l'Armageddon.
Israele, scegliete il senso comune piuttosto che l'annientamento.
Corea del Nord, scegliere la saggezza piuttosto che la rovina.
Alle nazioni che credono di essere al riparo sotto l'ombrello delle armi nucleari, sarete complici della vostra stessa distruzione e della distruzione di altri in vostro nome?
A tutte le nazioni: scegliete la fine delle armi nucleari piuttosto che la nostra fine!
Questa e' la scelta che il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari rappresenta. Unitevi a questo Trattato.
Noi cittadini viviamo sotto l'ombrello delle menzogne. Queste armi non ci tengono al sicuro, stanno contaminando la nostra terra e la nostra acqua, avvelenando i nostri corpi e tenendo in ostaggio il nostro diritto alla vita.
A tutti i cittadini del mondo: state con noi e chiedete ai vostri governi di schierarsi con l'umanita' e di firmare questo trattato. Non ci fermeremo fino a quando tutti gli Stati non avranno aderito, dalla parte della ragione.
Oggi nessuna nazione si vanta di essere uno Stato dotato di armi chimiche.
Nessuna nazione sostiene che sia accettabile, in circostanze estreme, usare il gas nervino sarin.
Nessuna nazione proclama il diritto di scatenare sul suo nemico la peste o la polio.
Questo perche' sono state stabilite norme internazionali, le percezioni sono cambiate.
E ora, alla fine, abbiamo un'inequivocabile norma contro le armi nucleari.
Enormi passi avanti non cominciano mai con un accordo universale.
Con ogni nuovo firmatario e con il passare degli anni, questa nuova realta' prendera' piede.
Questa e' la via da seguire. C'e' un solo modo per impedire l'uso di armi nucleari: proibirle ed eliminarle.
Le armi nucleari, come le armi chimiche, le armi biologiche, le munizioni a grappolo e le mine antiuomo, ora sono illegali. La loro esistenza e' immorale. La loro abolizione e' nelle nostre mani.
La fine e' inevitabile. Ma questa fine sara' la fine delle armi nucleari o la nostra fine? Dobbiamo sceglierne una.
Siamo un movimento per la razionalita'. Per la democrazia. Per la liberta' dalla paura.
Siamo attivisti di 468 organizzazioni che lavorano per salvaguardare il futuro, e rappresentiamo la maggioranza morale: i miliardi di persone che scelgono la vita anziche' la morte, che insieme vedranno la fine delle armi nucleari.
Grazie.

4. MEMORIA. LA PRIMA LETTERA DI GUENTHER ANDERS A CLAUDE EATHERLY
[Riproponiamo ancora una volta il testo della prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly, del 3 giugno 1959, riprendendola dalla corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp. 27-34), nella classica traduzione di Renato Solmi.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire. Opere di Guenther Anders: Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilita', Bollati Boringhieri, Torino 2004; Brevi scritti sulla fine dell'uomo, Asterios, Trieste 2016; Discesa all'Ade, Bollati Boringhieri, Torino 2008; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990; Dopo Holocaust, 1979, Bollati Boringhieri, Torino 2014; Essere o non essere. Dario di Hiroshima e Nagasaki, Einaudi, Torino 1961; Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Il mondo dopo l'uomo. Tecnica e violenza, Mimesis, Milano-Udine 2008 (nuova edizione in diversa traduzione di Stato di necessita' e legittima difesa); La battaglia delle ciliegie. La mia storia d'amore con Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2012; La catacomba molussica, Lupetti, Milano 2008; L'odio e' antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006; Lo sguardo dalla torre, Mimesis, Milano-Udine 2012; L'uomo e' antiquato. I. Considerazioni sull'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale, Il Saggiatore, Milano 1963; L'uomo e' antiquato. II. Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Noi figli di Eichmann, La Giuntina, Firenze 1995; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Stato di necessita' e legittima difesa. Violenza si' o no: una critica del pacifismo, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997; Tesi sull'eta' atomica, Edizioni del Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1991; Uomo senza mondo. Scritti sull'arte e la letteratura, Spazio Libri Editori, Ferrara 1991; Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, Linea d'ombra, Milano 1992; Hannah Arendt, Guenther Stern-Anders, Le Elegie duinesi di R. M. Rilke, Asterios, Trieste 2014, 2019; Hannah Arendt - Guenther Anders, Scrivimi qualcosa di te. Lettere e documenti, Carocci, Roma 2017. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato Solmi.
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6 agosto del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile, considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Dopo l'incontro con il filosofo Guenther Anders si impegno' nella denuncia dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e antinucleare. La corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e il 1961 e' raccolta nel libro La coscienza al bando: il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi ripubblicato col titolo Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Linea d'ombra, Milano 1992. Un fondamentale saggio su Claude Eatherly, scritto da Renato Solmi, "Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima", puo' essere ora letto in Renato Solmi, Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007, alle pp. 577-621.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta, e' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]

Al signor Claude R. Eatherly
ex maggiore della A. F.
Veterans' Administration Hospital
Waco, Texas
3 giugno 1959
Caro signor Eatherly,
Lei non conosce chi scrive queste righe. Mentre Lei e' noto a noi, ai miei amici e a me. Il modo in cui Lei verra' (o non verra') a capo della Sua sventura, e' seguito da tutti noi (che si viva a New York, a Tokio o a Vienna) col cuore in sospeso. E non per curiosita', o perche' il Suo caso ci interessi dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici ne' psicologi. Ma perche' ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. La tecnicizzazione dell'esistenza: il fatto che, indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti, non potremmo approvare - questo fatto ha trasformato la situazione morale di tutti noi. La tecnica ha fatto si' che si possa diventare "incolpevolmente colpevoli", in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno avanzato dei nostri padri.
Lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiche' Lei e' uno dei primi che si e' invischiato in questa colpa di nuovo tipo, una colpa in cui potrebbe incorrere - oggi o domani - ciascuno di noi. A Lei e' capitato cio' che potrebbe capitare domani a noi tutti. E' per questo che Lei ha per noi la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore.
Probabilmente tutto questo non Le piace. Vuole stare tranquillo, your life is your business. Possiamo assicurarLe che l'indiscrezione piace cosi' poco a noi come a Lei, e La preghiamo di scusarci. Ma in questo caso, per la ragione che ho appena detto, l'indiscrezione e' - purtroppo - inevitabile, anzi doverosa. La Sua vita e' diventata anche il nostro business. Poiche' il caso (o comunque vogliamo chiamare il fatto innegabile) ha voluto fare di Lei, il privato cittadino Claude Eatherly, un simbolo del futuro, Lei non ha piu' diritto di protestare per la nostra indiscrezione. Che proprio Lei, e non un altro dei due o tre miliardi di Suoi contemporanei, sia stato condannato a questa funzione di simbolo, non e' colpa Sua, ed e' certamente spaventoso. Ma cosi' e', ormai.
E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. Poiche' tutti noi dobbiamo vivere in quest'epoca, in cui potremmo incorrere in una colpa del genere: e come Lei non ha scelto la sua triste funzione, cosi' anche noi non abbiamo scelto quest'epoca infausta. In questo senso siamo quindi, come direste voi americani, "on the same boat", nella stessa barca, anzi siamo i figli di una stessa famiglia. E questa comunita', questa parentela, determina il nostro rapporto verso di Lei. Se ci occupiamo delle Sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a cui e' capitata la disgrazia di fare realmente cio' che ciascuno di noi potrebbe essere costretto a fare domani; come fratelli che sperano di poter evitare quella sciagura, come Lei oggi spera, tremendamente invano, di averla potuta evitare allora.
Ma allora cio' non era possibile: il meccanismo dei comandi funziono' perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque lo ha fatto. Ma poiche' lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da Lei, che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se fossimo al Suo posto. Vede che Lei ci e' estremamente prezioso, anzi indispensabile. Lei e', in qualche modo, il nostro maestro.
Naturalmente Lei rifiutera' questo titolo. "Tutt'altro, dira', poiche' io non riesco a venire a capo del mio stato".
*
Si stupira', ma e' proprio questo "non" a far pencolare (per noi) la bilancia. Ad essere, anzi, perfino consolante. Capisco che questa affermazione deve suonare, sulle prime, assurda. Percio' qualche parola di spiegazione.
Non dico "consolante per Lei". Non ho nessuna intenzione di volerLa consolare. Chi vuol consolare dice, infatti, sempre: "La cosa non e' poi cosi grave"; cerca, insomma, di impicciolire l'accaduto (dolore o colpa) o di farlo sparire con le parole. E' proprio quello che cercano di fare, per esempio, i Suoi medici. Non e' difficile scoprire perche' agiscano cosi'. In fin dei conti sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la condanna morale di un'azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a cui, anzi, non deve neppure venire in mente la possibilita' di questa condanna; e che percio' devono difendere in ogni caso l'irreprensibilita' di un'azione che Lei sente, a ragione, come una colpa. Ecco perche' i Suoi medici affermano: "Hiroshima in itself is not enough to explain your behaviour", cio' che in un linguaggio meno lambiccato significa: "Hiroshima e' meno terribile di quanto sembra"; ecco perche' si limitano a criticare, invece dell'azione stessa (o "dello stato del mondo" che l'ha resa possibile), la Sua reazione ad essa; ecco perche' devono chiamare il Suo dolore e la Sua attesa di un castigo una "malattia" ("classical guilt complex"); ed ecco perche' devono considerare e trattare la Sua azione come un "self-imagined wrong", un delitto inventato da Lei. C'e' da stupirsi che uomini costretti dal loro conformismo e dalla loro schiavitu' morale a sostenere l'irreprensibilita' della Sua azione, e a considerare quindi patologico il Suo stato di coscienza, che uomini che muovono da premesse cosi' bugiarde ottengano dalle loro cure risultati cosi' poco brillanti? Posso immaginare (e La prego di correggermi se sbaglio) con quanta incredulita' e diffidenza, con quanta repulsione Lei consideri quegli uomini, che prendono sul serio solo la Sua reazione, e non la Sua azione. Hiroshima-self-imagined!
Non c'e' dubbio: Lei la sa piu' lunga di loro. Non e' senza ragione che le grida dei feriti assordano i Suoi giorni, che le ombre dei morti affollano i Suoi sogni. Lei sa che l'accaduto e' accaduto veramente, e, non e' un'immaginazione. Lei non si lascia illudere da costoro. E nemmeno noi ci lasciamo illudere. Nemmeno noi sappiamo che farci di queste "consolazioni".
No, io dicevo per noi. Per noi il fatto che Lei non riesce a "venire a capo" dell'accaduto, e' consolante. E questo perche' ci mostra che Lei cerca di far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire) della Sua azione; e perche' questo tentativo, anche se dovesse fallire, prova che Lei ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando viva la Sua coscienza ha mostrato che questo e' possibile, e che dev'essere possibile anche per noi. E sapere questo (e noi lo sappiamo grazie a Lei) e', per noi, consolante.
"Anche se dovesse fallire", ho detto. Ma il Suo tentativo deve necessariamente fallire. E precisamente per questo.
Gia' quando si e' fatto torto a una persona singola (e non parlo di uccidere), anche se l'azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti, e' tutt'altro che semplice "venirne a capo". Ma qui si tratta di ben altro. Lei ha la sventura di aver lasciato dietro di se' duecentomila morti. E come sarebbe possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come sarebbe possibile pentirsi di 200.000 vittime?
Non solo Lei non lo puo', non solo noi non lo possiamo: non e' possibile per nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento restano inadeguati. L'inutilita' dei Suoi sforzi non e' quindi colpa Sua, Eatherly: ma e' una conseguenza di cio' che ho definito prima come la novita' decisiva della nostra situazione: del fatto, cioe', che siamo in grado di produrre piu' di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono cosi' enormi che non siamo piu' attrezzati per concepirli. Al di la', cioe', di cio' che possiamo dominare interiormente, e di cui possiamo "venire a capo". Non si faccia rimproveri per il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. Ci mancherebbe altro! Il pentimento non puo' riuscire. Ma il fallimento stesso dei Suoi sforzi e' la Sua esperienza e passione di ogni giorno; poiche' al di fuori di questa esperienza non c'e' nulla che possa sostituire il pentimento, e che possa impedirci di commettere di nuovo azioni cosi tremende. Che, di fronte a questo fallimento, la Sua reazione sia caotica e disordinata, e' quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire che e' un segno della Sua salute morale. Poiche' la Sua reazione attesta la vitalita' della Sua coscienza.
*
Il metodo usuale per venire a capo di cose troppo grandi e' una semplice manovra di occultamento: si continua a vivere come se niente fosse; si cancella l'accaduto dalla lavagna della vita, si fa come se la colpa troppo grave non fosse nemmeno una colpa. Vale a dire che, per venirne a capo, si rinuncia affatto a venirne a capo. Come fa il Suo compagno e compatriota Joe Stiborik, ex radarista sull'Enola Gay, che Le presentano volentieri ad esempio perche' continua a vivere magnificamente e ha dichiarato, con la miglior cera di questo mondo, che "e' stata solo una bomba un po' piu' grossa delle altre". E questo metodo e' esemplificato, meglio ancora, dal presidente che ha dato il "via" a Lei come Lei lo ha dato al pilota dell'apparecchio bombardiere; e che quindi, a ben vedere, si trova nella Sua stessa situazione, se non in una situazione ancora peggiore. Ma egli ha omesso di fare cio' che Lei ha fatto. Tant'e' che alcuni anni fa, rovesciando ingenuamente ogni morale (non so se sia venuto a saperlo), ha dichiarato, in un'intervista destinata al pubblico, di non sentire i minimi "pangs of conscience", che sarebbe una prova lampante della sua innocenza; e quando poco fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, ha tirato le somme della sua vita, ha citato, come sola mancanza degna di rimorso, il fatto di essersi sposato dopo i trenta. Mi pare difficile che Lei possa invidiare questo "clean sheet". Ma sono certo che non accetterebbe mai, da un criminale comune, come una prova d'innocenza, la dichiarazione di non provare il minimo rimorso. Non e' un personaggio ridicolo, un uomo che fugge cosi' davanti a se stesso? Lei non ha agito cosi', Eatherly; Lei non e' un personaggio ridicolo. Lei fa, pur senza riuscirci, quanto e' umanamente possibile: cerca di continuare a vivere come la stessa persona che ha compiuto l'azione. Ed e' questo che ci consola. Anche se Lei, proprio perche' e' rimasto identico con la Sua azione, si e' trasformato in seguito ad essa.
Capisce che alludo alle Sue violazioni di domicilio, falsi e non so quali altri reati che ha commesso. E al fatto che e' o passa per demoralizzato e depresso. Non pensi che io sia un anarchico e favorevole ai falsi e alle rapine, o che dia scarso peso a queste cose. Ma nel Suo caso questi reati non sono affatto "comuni": sono gesti di disperazione. Poiche' essere colpevole come Lei lo e' ed essere esaltati, proprio per la propria colpa, come "eroi sorridenti", dev'essere una condizione intollerabile per un uomo onesto; per porre termine alla quale si puo' anche commettere qualche scorrettezza. Poiche' l'enormita' che pesava e pesa su di Lei non era capita, non poteva essere capita e non poteva essere fatta capire nel mondo a cui Lei appartiene, Lei doveva cercare di parlare ed agire nel linguaggio intelligibile costi', nel piccolo linguaggio della petty o della big larceny nei termini della societa' stessa. Cosi' Lei ha cercato di provare la Sua colpa con atti che fossero riconosciuti come reati. Ma anche questo non Le e' riuscito.
E' sempre condannato a passare per malato, anziche' per colpevole. E proprio per questo, perche' - per cosi' dire - non Le si concede la Sua colpa Lei e' e rimane un uomo infelice.
*
E ora, per finire, un suggerimento.
L'anno scorso ho visitato Hiroshima; e ho parlato con quelli che sono rimasti vivi dopo il Suo passaggio. Si rassicuri: non c'e' nessuno di quegli uomini che voglia perseguitare una vite nell'ingranaggio di una macchina militare (cio' che Lei era, quando, a ventisei anni, esegui' la Sua "missione"); non c'e' nessuno che La odi.
Ma ora Lei ha mostrato che, anche dopo essere stato adoperato come una vite, e' rimasto, a differenza degli altri, un uomo; o di esserlo ridiventato. Ed ecco la mia proposta, su cui Lei avra' modo di riflettere.
Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrera', come tutti gli anni, il giorno in cui "e' avvenuto". A quegli uomini Lei potrebbe inviare un messaggio, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei dicesse da uomo a quegli uomini: "Allora non sapevo quel che facevo; ma ora lo so. E so che una cosa simile non dovra' piu' accadere; e che nessuno puo' chiedere a un altro di compierla"; e: "La vostra lotta contro il ripetersi di un'azione simile e' anche la mia lotta, e il vostro 'no more Hiroshima' e' anche il mio 'no more Hiroshima`, o qualcosa di simile puo' essere certo che con questo messaggio farebbe una gioia immensa ai sopravvissuti di Hiroshima e che sarebbe considerato da quegli uomini come un amico, come uno di loro. E che cio' accadrebbe a ragione, poiche' anche Lei, Eatherly, e' una vittima di Hiroshima. E cio' sarebbe forse anche per Lei, se non una consolazione, almeno una gioia.
Col sentimento che provo per ognuna di quelle vittime, La saluto
Guenther Anders

5. MEMORIA. LA PRIMA LETTERA DI CLAUDE EATHERLY A GUENTHER ANDERS
[Riproponiamo il testo della prima lettera di Claude Eatherly a Guenther Anders, del 12 giugno 1959, riprendendola dalla corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp. 34-36), nella classica traduzione di Renato Solmi]

12 giugno 1959
Dear Sir,
molte grazie della Sua lettera, che ho ricevuto venerdi' della scorsa settimana.
Dopo aver letto piu' volte la Sua lettera, ho deciso di scriverLe, e di entrare eventualmente in corrispondenza con Lei, per discutere di quelle cose che entrambi, credo, comprendiamo. Io ricevo molte lettere, ma alla maggior parte non posso nemmeno rispondere. Mentre di fronte alla Sua lettera mi sono sentito costretto a rispondere e a farLe conoscere il mio atteggiamento verso le cose del mondo attuale.
Durante tutto il corso della mia vita sono sempre stato vivamente interessato al problema del modo di agire e di comportarsi. Pur non essendo, spero, un fanatico in nessun senso, ne' dal punto di vista religioso ne' da quello politico, sono tuttavia convinto, da qualche tempo, che la crisi in cui siamo tutti implicati esige un riesame approfondito di tutto il nostro schema di valori e di obbligazioni. In passato, ci sono state epoche in cui era possibile cavarsela senza porsi troppi problemi sulle proprie abitudini di pensiero e di condotta. Ma oggi e' relativamente chiaro che la nostra epoca non e' di quelle. Credo, anzi, che ci avviciniamo rapidamente a una situazione in cui saremo costretti a riesaminare la nostra disposizione a lasciare la responsabilita' dei nostri pensieri e delle nostre azioni a istituzioni sociali (come partiti politici, sindacati, chiesa o stato). Nessuna di queste istituzioni e' oggi in grado di impartire consigli morali infallibili, e percio' bisogna mettere in discussione la loro pretesa di impartirli. L'esperienza che ho fatto personalmente deve essere studiata da questo punto di vista, se il suo vero significato deve diventare comprensibile a tutti e dovunque, e non solo a me.
Se Lei ha l'impressione che questo concetto sia importante e piu' o meno conforme al Suo stesso pensiero, Le proporrei di cercare insieme di chiarire questo nesso di problemi, in un carteggio che potrebbe anche durare a lungo.
Ho l'impressione che Lei mi capisca come nessun altro, salvo forse il mio medico e amico.
Le mie azioni antisociali sono state catastrofiche per la mia vita privata, ma credo che, sforzandomi, riusciro' a mettere in luce i miei veri motivi, le mie convinzioni e la mia filosofia.
Guenther, mi fa piacere di scriverLe. Forse potremo stabilire, col nostro carteggio, un'amicizia fondata sulla fiducia e sulla comprensione. Non abbia scrupoli a scrivere sui problemi di situazione e di condotta in cui ci troviamo di fronte. E allora Le esporro' le mie opinioni.
RingraziandoLa ancora della Sua lettera, resto il Suo
Claude Eatherly

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Numero 87 del 20 maggio 2021
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