[Nonviolenza] Telegrammi. 4108



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4108 del 18 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Un incontro di riflessione e di testimonianza nella Giornata internazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia
2. Jean-Marie Muller: Riflessione sulla violenza (parte seconda e conclusiva)
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. UN INCONTRO DI RIFLESSIONE E DI TESTIMONIANZA NELLA GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO L'OMOFOBIA, LA LESBOFOBIA, LA BIFOBIA E LA TRANSFOBIA

Ricorrendo oggi, 17 maggio 2021, la Giornata internazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si e' svolto in mattinata un incontro di riflessione e di testimonianza a sostegno della sollecita approvazione di una legge in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dalla vigente normativa per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
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Il disegno di legge Zan - con le ovviamente necessarie correzioni proposte da larga parte del movimento femminista - puo' essere la base per tale legge, legge che va approvata al piu' presto per contribuire a far cessare i crimini d'odio che attualmente minacciano, feriscono e talvolta distruggono la vita di tante persone che nessun torto commettono e solo sono animate da una scelta d'amore per se', per le altre persone, per l'umanita'.
Ogni persona ragionevole sa che una lunga e tremenda persecuzione deve finalmente cessare. Significativo e' che autorevoli rappresentanti di una istituzione religiosa che per secoli ha essa stessa ferocemente perseguitato innumerevoli persone per i loro piu' intimi sentimenti d'amore finalmente si siano espresse per far cessare quella persecuzione e proprio ieri un autorevole rapresentante di essa ha espresso il suo sostegno all'approvazione di una legge contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
Ad opporsi a una legge saggia e necessaria restano quindi oggi nel nostro paese solo alcuni fanatici, e con essi i soliti teppisti, razzisti e nazisti, e i politicanti all'inseguimento del loro voto e sempre pronti alle piu' basse opere, proni all'adorazione della violenza e presti alla commissione di ogni violenza su chi percepiscono come piu' debole e piu' indifeso.
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Le parole odierne del Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica anche quest'oggi ha voluto esprimere con ferme parole il comune sentire di un popolo civile e solidale. Dal sito del Quirinale integralmente le riportiamo:
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
"La Giornata internazionale contro l'omofobia, la transfobia e la bifobia e' l'occasione per ribadire il rifiuto assoluto di ogni forma di discriminazione e di intolleranza e, dunque, per riaffermare la centralita' del principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Le attitudini personali e l'orientamento sessuale non possono costituire motivo per aggredire, schernire, negare il rispetto dovuto alla dignita' umana, perche' laddove cio' accade vengono minacciati i valori morali su cui si fonda la stessa convivenza democratica.
La societa' viene arricchita dal contributo delle diversita'. Disprezzo, esclusione nei confronti di cio' che si ritiene diverso da se', rappresentano una forma di violenza che genera regressione e puo' spingere verso fanatismi inaccettabili.
La ferita inferta alla singola persona offende la liberta' di tutti. E purtroppo non sono pochi gli episodi di violenza, morale e fisica che, colpendo le vittime, oltraggiano l'intera societa'. Solidarieta', rispetto, inclusione, come ha dimostrato anche l'opera di contrasto alla pandemia, sono vettori potenti di coesione sociale e di sicurezza".
Cosi' il Presidente della Repubblica.
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Nel corso dell'incontro presso la struttura nonviolenta viterbese sono stati letti e commentati il testo del disegno di legge Zan e numerosi interventi di movimenti, associazioni, militanti ed intellettuali femministe che sostenendo pienamente la proposta di legge hanno ragionevolmente proposto alcune necessarie ed ovvie correzioni ad alcune parti non sufficientemente meditate di essa.
E' stata anche data lettura di un testo recante alcune riflessioni svolte un anno fa, testo che si ripropone in calce, insieme ad alcune altre riflessioni di anni precedenti.
Nella parte conclusiva dell'incontro sono stati letti e commentati alcuni testi di Audre Lorde, di Kate Millett, di Adrienne Rich, di Alice Walker, di Monique Wittig.
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Riconoscere tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
Contrastare con tutti i mezzi necessari e adeguati l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
Difendere la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Opporsi ad ogni violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
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Allegato primo. Alcune riflessioni svolte un anno fa, il 17 maggio 2020
Il pregiudizio e la persecuzione di cui tanti esseri umani continuano ad essere vittima per la loro identita' e il loro orientamento sessuale non lede solo la loro liberta' e dignita' di persone, ma viola la liberta' e la dignita' dell'umanita' intera.
Non vi e' speranza di liberazione per l'umanita' se non si riconosce ad ogni essere umano il suo diritto ad essere la persona che sente di essere e ad avere le relazioni umane che desidera avere nel rispetto dell'eguale liberta' e dignita' di ogni persona.
Nulla e' piu' criminale che opprimere una persona per il semplice fatto di essere la persona che e', per il semplice fatto di amare qualcuno.
Nel lungo cammino che dalla violenza e dal dolore porta alla liberta' e alla solidarieta' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e sostiene e conforta, la lotta contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, costituisce qui e adesso un impegno cruciale e ineludibile.
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Lottare nonviolentemente affinche' in tutto il mondo cessino le persecuzioni
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta', al riconoscimento e alla riconoscenza per i doni che ogni umana esistenza arreca all'umanita' intera.
Occorre quindi che sia impegno di tutte e tutti la lotta nonviolenta necessaria e urgente affinche' in nessun luogo del mondo nessuna persona sia piu' vittima di pregiudizi, di abusi e di persecuzioni per la sua identita' e il suo orientamento sessuale.
Occorre quindi anche che nelle relazioni internazionali le istituzioni sovrannazionali ed i paesi retti da ordinamenti democratici e quindi rispettosi dei diritti umani di tutti gli esseri umani premano in modo nitido e intransigente sui governi dei paesi che ancora criminalmente perseguitano persone per la loro identita' e il loro orientamento sessuale affinche' queste persecuzioni cessino immediatamente. Chi non si oppone a un crimine ne e' complice.
Lo stesso impegno che va posto contro la guerra, contro il razzismo, contro il maschilismo, contro qualsiasi forma di oppressione e di schiavitu', va posto contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
E' gia' fascista, e' gia' nazista, un paese, un regime e un'ideologia che perseguita un essere umano per la sua identita' e il suo orientamento sessuale.
E' dovere di ogni persona senziente e pensante e di ogni civile istituto lottare nonviolentemente per far cessare tutti i pregiudizi, tutti gli abusi, tutte le persecuzioni.
E' dovere di ogni persona senziente e pensante e di ogni civile istituto impegnarsi per far cessare per sempre l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia; impegnarsi per far cessare per sempre ogni violenza che nega i diritti umani di tutti gli esseri umani, che nega l'umanita' dell'umanita'.
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Le parole del Presidente della Repubblica
Oggi, in questa Giornata internazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, sagge parole sono state pronunciate dal Presidente della Repubblica italiana.
Ci e' grato riproporle con vivo consentimento qui di seguito, riprendendole dal sito del Quirinale (www.quirinale.it).
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "La ricorrenza del 17 maggio e' stata scelta, in ambito internazionale, per promuovere il contrasto alle discriminazioni, la lotta ai pregiudizi e la promozione della conoscenza riguardo a tutti quei fenomeni che, per mezzo dell'omofobia, della transfobia e della bifobia, perpetrano continue violazioni della dignita' umana.
Le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalita' umana che trovano, invece, specifica tutela nella nostra Costituzione e nell'ordinamento internazionale.
E' compito dello Stato garantire la promozione dell'individuo non solo come singolo, ma anche nelle relazioni interpersonali e affettive. Perche' cio' sia possibile, tutti devono essere messi nella condizione di esprimere la propria personalita' e di avere garantite le basi per costruire il rispetto di se'. La capacita' di emancipazione e di autonomia delle persone e' strettamente connessa all'attenzione, al rispetto e alla parita' di trattamento che si riceve dagli altri.
Operare per una societa' libera e matura, basata sul rispetto dei diritti e sulla valorizzazione delle persone, significa non permettere che la propria identita' o l'orientamento sessuale siano motivo di aggressione, stigmatizzazione, trattamenti pregiudizievoli, derisioni nonche' di discriminazioni nel lavoro e nella vita sociale".
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Con la scelta della nonviolenza per i diritti umani di tutti gli esseri umani
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Siamo una sola umanita', composta di persone tutte diverse e tutte eguali in dignita' e diritti, in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Rispetto per ogni persona e per l'umanita' intera.
Opporsi alla violenza con la scelta della nonviolenza: che e' riconoscimento e riconoscenza.
Opporsi alla violenza con la scelta della nonviolenza: che e' forza della verita'.
Opporsi alla violenza con la scelta della nonviolenza: che e' rispetto per la vita.
Opporsi alla violenza con la scelta della nonviolenza: che e' vittoria per il mondo vivente tutto.
Opporsi alla violenza con la scelta della nonviolenza: che e' la forza dell'amore.
In questa giornata riaffermiamo l'umanita' dell'umanita'.
In questa giornata riaffermiamo il dovere di lottare nonviolentemente per inverare i diritti di tutte le persone.
In questa giornata riaffermiamo il dovere di agire nei confronti delle altre persone cosi' come vorremmo che le altre persone agissero verso di noi.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la liberazione comune, per il bene comune dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Agisci tu contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
Agisci tu per la dignita', la liberta' e la felicita' di tutti gli esseri umani.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.
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Allegato secondo. Alcune riflessioni di alcuni anni fa (2014)
Nella Giornata internazionale contro l'omofobia queste due semplici verita' mettera' conto enunciare ancora una volta: che l'umanita' si compone di persone tutte diverse l'una dall'altra; e che tutte le persone sono eguali in dignita' e diritti.
Regola aurea della morale e' di agire nei confronti delle altre persone cosi' come si vorrebbe che le altre persone agissero nei nostri confronti.
Rispettare la vita, la dignita' e i diritti altrui e' il primo dovere per la civile convivenza.
Ed il rispetto dell'altra persona e' il contrario dell'indifferenza, e' l'impegno all'aiuto reciproco, alla condivisione dei beni, alla promozione della liberta' di ciascuno, della giustizia che e' la condizione per la liberta' di tutti, della solidarieta' che riconosce la diversita' delle scelte e delle condizioni e che reca piu' aiuto a chi piu' ne ha bisogno.
L'essere umano e' relazionale: ogni io e' in relazione con molti tu, ed ogni tu e' a sua volta un io; l'umanita' e' il noi che comprende tutti gli esseri umani passati, presenti e venturi.
L'essere umano e' coscienza e corpo, ed ha bisogno del pane, delle rose, del riconoscimento da parte degli altri esseri umani, di un mondo vivibile di cui essere abitatore e parte.
Nella Giornata internazionale contro l'omofobia riconosciamo la pienezza e l'infinita' del bisogno d'amore e della capacita' d'amore dell'umanita', e riaffermiamo l'impegno ad opporci ad ogni violenza, l'impegno a volere il bene comune e ad agire per la felicita' di tutti.
Vi e' una sola umanita'.
E' quindi dovere e diritto di ogni persona senziente, che pensa pensieri, che ascolta il suo cuore, di limpido sguardo e di volontà buona impegnarsi contro il fascismo, il razzismo, il maschilismo, l'omofobia, contro tutte le persecuzioni, contro tutte le violazioni della dignita' umana, contro tutte le violenze. La liberta' e' indivisibile. Ognuno e' responsabile di tutto.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
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Allegato terzo. Alcune riflessioni di alcuni anni fa (2013)
Ricorre il 17 maggio la Giornata internazionale contro l'omofobia.
Essa interpella l'umanita' intera ad un necessario ed urgente impegno comune per far cessare discriminazioni e persecuzioni nei confronti degli esseri umani in relazione alle loro situazioni e scelte affettive e sessuali.
Cosi' come, anche meditando su tragiche esperienze storiche, l'umanita' ha sentito il dovere di opporsi alle discriminazioni e persecuzioni crudelmente inflitte prendendo a pretesto altri elementi caratterizzanti l'identita' di una persona, occorre che discriminazioni e persecuzioni cessino anche in riferimento all'orientamento sessuale e alle relazioni affettive.
La Costituzione della Repubblica Italiana all'art. 3 afferma limpidamente che "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Ed il Parlamento Europeo con la Risoluzione del 26 aprile 2007 sull'omofobia in Europa ha detto una parola definitiva ed enunciato un impegno cogente per far cessare la violenza omofoba, istituendo peraltro anche la Giornata del 17 maggio "quale Giornata internazionale contro l'omofobia" (art. 4).
Nella sfera della sessualita', e' fin banale dirlo un secolo dopo l'opera di Freud, si attua un profondo intreccio tra corporeita' e cultura, dimensione affettiva e pensiero logico e discorsivo, riconoscimento di se' e dell'altro e pratiche comunicative, vissuto esistenziale e trama relazionale, nessi infrapsichici ed interpersonali: forse nulla e' piu' intimamente e problematicamente costitutivo dell'identita' del singolo e nulla e' piu' sociale e culturale di tale sfera.
E non a caso sul legame riduzionista e sulla imposta confusione tra la sfera della sessualita' e quella della riproduzione si e' costituito ed agito per secoli un brutale dispositivo di repressione e controllo sociale su cui il pensiero e la prassi del movimento femminista di liberazione dell'umanita' ha saputo fare piena luce denunciandone la disumana violenza, e studiosi come Michel Foucault hanno condotto ricerche decisive da cui tutti abbiamo molto appreso.
La difesa della dignita' umana di tutti gli esseri umani richiede qui ed ora un impegno corale e persuaso contro la violenza omofoba cosi' come contro la violenza razzista, contro la violenza maschilista, contro la violenza totalitaria, contro la violenza sfruttatrice, mercificante, consumista, alienante, ecocida.

2. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: RIFLESSIONE SULLA VIOLENZA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo secondo: "Ri-flessione sulla violenza" (pp. 43-66). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

L'illusione di uccidere per vincere la morte
Nel suo libro Psicanalisi della situazione atomica, lo psichiatra e filosofo italiano Franco Fornari considera che noi assumiamo la vita e la morte con "una specie di cattiva fede" (30). Noi ci rifiutiamo di riconoscere "l'immanenza della morte in noi" e "ci rappresentiamo la morte come un fatto esteriore a noi stessi" (31): "in questo gioco della vita e della morte che si disputano la nostra esistenza, noi bariamo tenendo nascoste le carte della morte" (32).
L'angoscia della morte genera in noi la paura dell'altro, questo sconosciuto, questo straniero, indesiderabile, intruso. Di conseguenza, noi consideriamo l'altro come un nemico e gli attribuiamo l'intenzione di farci morire, quand'anche egli non manifesti nessuna ostilita' verso di noi. La paura crea il pericolo piu' spesso ancora di quanto il pericolo non crei la paura. L'uomo regredisce spesso nella situazione in cui si trovava quando, da piccolo, i rumori inoffensivi della notte gli facevano temere il peggio. Cosi', diventato l'altro colui che incarna la minaccia di morte che pesa su di noi, noi manteniamo l'illusione di sfuggire alla morte uccidendolo. "Allontanando da se' la morte - scrive Franco Fornari - gli uomini uccidono nella misura in cui, avendo posto la morte fuori da se stessi, la percepiscono come l'aggressione di un nemico che vuole ucciderli. E' per questo che ogni crimine e' ispirato dall'illusione di poter vincere la morte uccidendo il nemico" (33).
Franco Fornari si riferisce ai propositi espressi da Freud in un testo scritto all'inizio della seconda guerra mondiale e intitolato Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte: "Quando una decisione - scrive lo psichiatra austriaco - avra' messo fine al selvaggio scontro di questa guerra, ognuno dei combattenti vittoriosi ritornera' felice al suo focolare, ritrovera' la moglie e i figli, senza essere occupato ne' turbato dal pensiero dei nemici che avra' ucciso nel corpo a corpo o con un'arma a lunga gittata" (34). Cosi' l'uomo civilizzato non prova alcun sentimento di colpa di fronte all'omicidio. Freud fa notare che non era cosi' per l'uomo primitivo. "Il selvaggio - egli nota - non e' affatto un omicida impenitente. Quando torna vincitore dal sentiero di guerra non ha il diritto di entrare nel proprio villaggio ne' di toccare la sua donna prima di aver espiato i suoi omicidi di guerra con delle penitenze spesso lunghe e penose" (35). Freud conclude sottolineando che l'uomo primitivo dava cosi' prova di una "delicatezza morale che si e' perduta presso di noi, uomini civilizzati" (36).
Il filosofo cinese Lao Tzu esprime, nel capitolo 31 del Tao Te King, il medesimo obbligo, per colui che ha dovuto, costretto dalla necessita', ricorrere alla violenza contro il suo avversario, di prendere il lutto: "Per quanto molto brillanti, le armi non sono mai altro che strumenti di infelicita'; coloro che vivono le hanno giustamente in orrore. E' per questo che l'uomo del Tao non se ne occupa. [...] Per il nobile non ci sono armi che siano felici: lo strumento della disgrazia non e' il suo strumento. Egli vi ricorre suo malgrado, se e' necessario, amando sopra ogni cosa la quiete e la pace; anche nella vittoria egli non gioisce; perche' per gioirne, bisogna amare l'uccidere e colui che si compiace del massacro degli uomini, che cosa puo' realizzare nel mondo degli uomini? [...] Duolo e lamento per il massacro degli uomini, rito funebre per accogliere il vincitore".
Queste considerazioni di Lao Tzu sull'obbligo del lutto per l'uomo che ha ucciso il suo avversario non devono essere guardate con la disinvoltura divertita che si presta volentieri agli aneddoti edificanti su usi e costumi di un tempo passato. Conviene non soltanto prenderli sul serio, ma bisogna prenderli alla lettera. L'uomo veramente "civilizzato", se si e' trovato preso nella trappola delle necessita' che lo ha costretto a uccidere il suo avversario, non trova alcun gusto nel festeggiare una qualunque vittoria, non cerca di discolparsi con una qualunque giustificazione, ma  vuole prendere il lutto per colui che e' morto per mano sua. Le asserzioni di Lao Tzu e di Freud sono inconfutabili: dopo l'uccisione del nemico, la "civilta'" deve portare il lutto, mentre la "barbarie" incita a festeggiare la vittoria. Infatti, per festeggiare questa vittoria, "bisogna amare uccidere".
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Le donne dietro la guerra
La guerra e' un affare di uomini. Non che le donne non ne siano coinvolte; al contrario, la guerra le riguarda direttamente, ma esse si sono tenute dietro la guerra, o, piu' esattamente, esse sono state tenute dietro la guerra, il piu' delle volte invisibili, come sono state tenute dietro gli uomini. Piu' degli uomini, probabilmente, le donne hanno sofferto della guerra, ma le loro sofferenze e le loro lacrime erano rassegnate, silenziose, come la loro vita. Anche quando hanno maledetto la guerra, non hanno protestato contro di essa. Fino ad oggi le donne hanno subito la violenza degli uomini senza osare rivoltarsi. Le donne sono state oppresse e dominate dagli uomini e, il piu' delle volte, esse gli sono state soggette. Generalmente, le donne hanno accettato le leggi degli uomini; hanno dunque accettato le leggi della guerra.
Cosi', le virtu' guerriere che fanno gli eroi appartengono gli uomini; esse sembrano mancare alle donne. Come se le donne non avessero le qualita' richieste per portare la spada e tener testa alla morte sui campi di battaglia, come se non fossero degne di condividere la gloria dei guerrieri e dovessero essere riservate per il loro riposo e la loro consolazione. Ma, rifiutando di sottomettersi al potere degli uomini, le donne rifiuteranno di imitare la loro violenza? Niente sarebbe peggio che se, in nome dell'uguaglianza, esse rivendicassero il loro posto nella guerra. Poiche' "danno la vita" agli esseri umani, le donne avrebbero forse una ripugnanza "naturale" a dare loro la morte? Guardando al loro statuto biologico, avrebbero esse una disposizione "naturale" a rifiutare la violenza e a preferire la nonviolenza? La violenza sarebbe dunque essenzialmente maschile e la nonviolenza essenzialmente femminile? Probabilmente e' meglio dire che la violenza e' essenzialmente maschile e che la nonviolenza e' essenzialmente maschile e femminile. Cosi', non e' certamente inutile sperare che, liberandosi dal giogo degli uomini, le donne portino un contributo decisivo alla cultura della nonviolenza. Ma importa ugualmente che l'uomo liberi l'elemento femminile che e' costitutivo del suo essere.
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Colpevolezza e responsabilita'
L'uomo uccide per sfuggire all'angoscia della morte, ma, uccidendo, si trova davanti all'angoscia dell'omicidio. E' per questo che, nello stesso momento in cui uccide il suo nemico, l'uomo ha bisogno di giustificare il suo omicidio per negare il sentimento di colpa che si impadronisce di lui. Questo processo di giustificazione ha come conseguenza che l'uomo commette la violenza senza sentirla come tale. Egli puo' uccidere senza avere l'impressione di essere violento.
In realta' il bisogno imperativo che l'uomo prova di giustificare la propria violenza, manifesta che egli ha coscienza che essa non e' giusta.
E' per il fatto che egli si sente colpevole che ha bisogno di discolparsi e di protestare la sua innocenza giustificandosi. Egli ricorrera' dunque a dei sotterfugi che produrranno una deformazione e un indurimento della sua coscienza morale e cosi' potra' continuare ad agire senza sentirsi colpevole. Tutti i sistemi di legittimazione della violenza non sono nient'altro che dei sistemi di difesa dell'uomo che vuole proteggersi contro il sentimento di colpa che prova davanti alla propria violenza. Dire che la violenza ferisce l'umanita' di colui che la esercita non e' limitarsi ad affermare un principio metafisico astratto, ma e' esprimere una realta' psicologica che si inscrive nel vissuto dell'uomo violento. La violenza traumatizza letteralmente (traumatizzare, per la sua etimologia, significa ferire) colui che vi si abbandona. L'uomo ferisce se' stesso con la propria violenza, egli si ferisce nel piu' profondo del proprio essere e bisogna che si rivesta di una spessa corazza per non sentirne il dolore. La colpevolezza, piu' o meno repressa o piu' o meno confessata, dell'uomo che usa violenza contro il suo simile provoca in lui dell'angoscia. Le giustificazioni della violenza che gli sono offerte dall'ideologia dominante, hanno per scopo di permettergli di rassicurarsi e tranquillizzarsi. Se egli interiorizza queste giustificazioni, e' capace di convincersi che non ha fatto altro che il suo dovere e non soltanto puo' avere la coscienza tranquilla, ma puo' sentirsi fiero del compito che ha compiuto. Al contrario, se, malgrado tutto, egli ha coscienza che queste giustificazioni non sono che propaganda e che non puo' esserne soddisfatto, egli si trova solo di fronte al suo grave crimine, in preda ad una sofferenza che puo' invaderlo interamente. Questa sofferenza provocata dal trauma psichico subito puo' diventare mortale, cioe' egli puo' impazzirne. Appartengono alla guerra delle ferite che non si portano a tracolla. Cosi', gli attori e le vittime della violenza si trovano chiusi insieme nello stesso processo di avvilimento e di distruzione.
Poiche' si sente colpevole verso le vittime della propria violenza, l'uomo prova il bisogno di rigettarne la colpa sulla vittima stessa. Per rendersi innocente, l'individuo proietta il suo sentimento di colpa sul proprio nemico. E' lui il responsabile, e' lui il colpevole: "E' colpa sua". Anzitutto: "E' lui che ha cominciato!". E' sempre l'altro che ha cominciato. La violenza e' sempre una risposta alla violenza dell'altro-che-ha-cominciato. Allora: "Non ha altro che quel che si merita"; "Aveva solo da solo non cominciare". "Gli fa bene". Eh, no! Non e' proprio un far bene: fare violenza non e' mai fare bene a qualcuno, non e' mai fare il bene. Che l'altro abbia cominciato non e' una ragione per continuare. Se l'altro ha avuto torto nel cominciare, io non ho certamente ragione nel continuare. Se io continuo, ricomincera' per forza un raddoppiamento della violenza. E saremo l'uno e l'altro presi dentro una spirale di violenze senza fine.
La legittimazione dell'omicidio che l'individuo si appresta a commettere si accompagna necessariamente alla criminalizzazione di colui che egli si prepara ad uccidere. La tesi della legittima difesa trova qui il suo fondamento. E' sempre per difendersi contro colui che vuole ucciderlo che l'individuo diventa omicida. E' obbligato ad uccidere per non essere ucciso e potere cosi' continuare a difendere i valori "sacri" della sua causa. Allora l'omicidio non e' piu' sentito come una colpa, ma come un atto di coraggio che merita di essere onorato come tale. Questo cambiamento, questa inversione di senso dell'atto omicida caratterizza la perversione omicida dell'uomo alienato da cio' che abbiamo chiamato l'"ideologia della violenza".
Il sentimento di colpa non deve precipitare l'uomo in una cattiva coscienza morbosa, ma deve fargli prendere coscienza della sua colpa allo scopo di inventare un nuovo comportamento che rispecchi la dinamica della vita che e' in lui. Il sentimento di colpa di fronte alla violenza e' la sorgente della responsabilita' personale dell'individuo; esso deve generare un bisogno di riparazione e non di giustificazione.
Generalmente, l'individuo non ricorre alla violenza in maniera isolata, ma lo fa in seno al gruppo sociale a cui appartiene. Allora, la legittimazione della violenza gli e' data da questa comunita' che non soltanto la giustifica, ma la onora, la glorifica e la  sacralizza invocando la difesa dei suoi valori e dei suoi interessi. Il piu' delle volte, l'individuo aliena la sua responsabilita' personale nella collettivita'. Dal momento che questa giustifica l'omicidio presentandolo come l'ultimo mezzo di difesa dell'uomo civile contro i barbari, l'individuo non si sente responsabile della propria violenza. Non soltanto non prova alcuna colpevolezza, ma ne sente la fierezza.
Risulta un'altra conseguenza di questi processi di legittimazione della violenza: poiche' non vive piu' la violenza come tale, l'uomo perde la possibilita' di controllare la sua propria violenza. Una volta giustificata la violenza, non ci sono piu' limiti al suo sviluppo. Inoltre, la legittimazione della violenza provoca una reazione a catena per la quale tutte le violenze si trovano legittimate. Cosi', in definitiva, l'uomo non giudica la violenza per cio' che essa e' in realta', ma secondo la rappresentazione che se ne fa. Dal momento che questa gli fa apparire la violenza come un mezzo giusto e legittimo per combattere l'ingiustizia, egli non provera' alcuna ripugnanza ad uccidere. Le giustificazioni della violenza sono altrettante "derivazioni" (nel senso che Vilfredo Pareto ha dato a questa parola), cioe' delle costruzioni logiche superficiali che nascondono i sentimenti, i desideri e le passioni che sono i veri motivi delle azioni degli individui e dei gruppi sociali; lo scopo ricercato e' dare un'apparenza logica a delle azioni non logiche. Per giustificare la sua violenza l'uomo fabbrica e produce  dei falsi; l'uomo violento e' un falsificatore.
La violenza, per assicurare la sua presa sugli spiriti si appoggia su una propaganda. La violenza deve essere rivestita di prestigio e, come sottolineato da Simone Weil, "niente e' piu' essenziale a una politica di prestigio che la propaganda" (37). Certo, per giustificare la violenza non si possono invocare che delle cattive ragioni, ma, precisa Simone Weil, "dei pretesti impregnati di contraddizione e di menzogna sono tuttavia abbastanza plausibili quando sono i pretesti dei piu' forti. [...] Essi bastano per fornire una scusa alle adulazioni dei vili, al silenzio e alla sottomissione degli infelici e per permettere al vincitore di dimenticare che egli commette dei crimini" (38). Questi cattivi pretesti sono molto utili alla violenza perche' reprimono il pensiero che vorrebbe formulare un'obiezione di coscienza: "Questa arte di conservare le apparenze sopprime o diminuisce lo slancio che l'indignazione darebbe e permette al vincitore di non essere indebolito dall'esitazione" (39). La propaganda dunque ha la funzione di dare ragione a quelli che esercitano la violenza, perche' "bisogna essere realmente convinti che si ha sempre ragione, che si possiede non soltanto il diritto del piu' forte, ma anche il diritto puro e semplice, e questo anche quando non ce n'e' per nulla" (40). L'essenza stessa della propaganda e' la menzogna che imputa al nemico tutti i difetti, tutti i misfatti, tutti i crimini.
Nello stesso tempo la propaganda ha per scopo di convincere i membri di un gruppo che essi possiedono le qualita' di cui gli altri sono sprovvisti. "Infatti - scrive Raymond Rehnicer - la lotta intraspecifica non diventa possibile che quando ogni gruppo belligerante attinge la sua forza di sopravvivenza dalla convinzione ferma e inalterabile della propria superiorita' rispetto agli altri gruppi" (41). La propaganda ha cosi' per effetto di creare e mantenere uno "spirito di corpo" che assicura la coesione del gruppo. Forti di questa pretesa superiorita', i membri del gruppo saranno tanto piu' convinti che e' legittimo, addirittura necessario, combattere fino alla morte gli altri gruppi al fine di assicurare la sicurezza e la prosperita' del proprio gruppo.
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La sottomissione all'autorita'
L'uomo che esercita la violenza si trova non soltanto inserito, ma rinserrato nelle relazioni di dominio e di sottomissione, di comando e di obbedienza. Il piu' delle volte e' obbedendo agli ordini dell'autorita' supposta legittima nella collettivita' alla quale  appartiene, che l'individuo commette atti di violenza. E' per disciplina che l'uomo diventa torturatore, e' su comando che diventa uccisore. Per il soggetto obbediente, il comandamento universale della coscienza morale "Tu non ucciderai" si trova cancellato dal comandamento dell'autorita': "Tu ucciderai".
Molte esperienze hanno dimostrato che l'uomo e' capace di infliggere delle violenze particolarmente crudeli ad altri uomini privi di difesa, senza altro motivo che la sottomissione all'autorita'. Questa e' una scoperta di cui siamo lontani dall'aver tratto tutte le conseguenze, specialmente riguardo ad un'etica dell'esercizio del potere. Tra queste esperienze, quelle effettuate dallo psicosociologo americano Stanley Milgram, e da lui riferite nel libro Sottomissione all'autorita' sono forse le piu' significative. Un laboratorio di psicologia apparentemente conduce una ricerca sulla memoria e,  piu' precisamente, sugli effetti della punizione sul processo di apprendimento. A questo scopo recluta con degli annunci pubblicati sulla stampa locale delle persone che accettano di partecipare a questa ricerca. Il ricercatore chiede a ciascuna di queste persone d'infliggere a un "allievo" delle punizioni sempre piu' severe, mediante delle scariche elettriche d'intensita' crescente, ogni volta che costui commette un errore. In realta' "l'allievo" e' un attore che non riceve nessuna scarica elettrica, ma che deve esprimere una sofferenza e una protesta sempre piu' forti. A settantacinque volts geme, a centocinquanta supplica che si arresti l'esperimento, a duecentottantacinque volts la sua sola reazione e' un grido di agonia. "Per il soggetto, precisa Milgram, la situazione non e' un gioco, ma un conflitto intenso e del tutto reale. Da una parte la sofferenza manifesta dell'allievo lo spinge a fermarsi. Dall'altra parte lo sperimentatore, che e' l'autorita' legittima di fronte alla quale egli si ritiene impegnato, gli ingiunge di continuare. Ogni volta che esita a somministrare una scarica elettrica, egli riceve l'ordine di continuare. Per trarsi fuori da una situazione insostenibile egli deve dunque rompere con l'autorita'" (42). Mentre nessuna persona ha rifiutato di partecipare all'esperimento, si trova che circa i due terzi accettano di continuarlo fino al livello dello shock elettrico piu' elevato dello stimolatore. Milgram riassume cosi' l'insegnamento essenziale del suo studio: "Delle persone normali, prive di ogni ostilita', possono, compiendo semplicemente il loro compito, divenire gli agenti di un atroce processo di distruzione. Inoltre, anche quando non e' loro piu' possibile ignorare gli effetti funesti delle loro attivita' professionali, se l'autorita' gli domanda di agire contro le norme fondamentali della morale, sono rari quelli che possiedono le risorse interiori necessarie per resisterle" (43).
L'obbedienza alle ingiunzioni e agli ordini dell'autorita' e' uno dei fattori principali del comportamento umano. "Possiamo constatare, scrive Hannah Arendt, che l'istinto di sottomissione ad un uomo forte tiene, nella psicologia dell'uomo, un posto importante almeno quanto la volonta' di potenza e, da un punto di vista politico, forse piu' significativo" (44). Tra tutte le regole sociali interiorizzate dall'individuo dalla sua piu' tenera eta', il rispetto dell'autorita' occupa un posto centrale e preponderante. Tutto concorre, nella sua educazione, a convincere il bambino che l'obbedienza e' un dovere e una virtu' e che, di conseguenza, la disobbedienza e' una cattiva azione ed una colpa. Tuttavia, questo condizionamento non e' mai totale e, diventando adulto, l'uomo acquisisce una certa relativa autonomia personale e si da' certe regole di condotta in funzione di certi criteri morali che ha scelto lui stesso. Ma quando si trova incorporato in una organizzazione gerarchica, il suo modo di comportamento viene profondamente cambiato. Egli rischia allora di perdere l'essenziale delle sue acquisizioni personali; la sua vita intellettuale, morale e spirituale puo' subire una notevole regressione. L'individuo si trova posto in una situazione di dipendenza rispetto agli altri membri della collettivita' e, piu' ancora, in rapporto al capo. Secondo Freud, "piuttosto che un 'animale gregario', l'uomo e' un animale di orda, cioe' un elemento costitutivo di un'orda condotta da un capo" (45). Egli precisa: "L'individuo rinuncia al suo ideale dell'io, a favore dell'ideale incarnato dal capo" (46). Nella sottomissione dell'individuo all'autorita', esiste nello stesso tempo una parte di costrizione, risultato di molteplici pressioni, e una parte di consenso – ed e' molto difficile dire qual e' la misura esatta di ognuna di queste due parti. La propensione dell'individuo alla sottomissione si trova fortemente rafforzata dalle ricompense che onorano l'obbedienza e dalle punizioni che sanzionano la disobbedienza.
L'uomo che esercita la violenza per obbedienza all'autorita' si accontenta generalmente di "fare il suo dovere". Egli non vuole considerare altro che il valore morale indiscutibile di questa regola di condotta, e si sforza di occultare l'immoralita' di cio' che fa. Il valore morale dell'obbedienza predomina sulla immoralita' dell'ordine. Il soggetto puo' allora convincersi che egli fa bene ad obbedire, anche se cio' che fa e' male. Mentre egli obbedisce, e' preoccupato anzitutto dallo scrupolo di eseguire come si deve l'ordine ricevuto, in maniera di soddisfare l'autorita' che gli ha dato fiducia. L'occupazione tecnica tende a cancellare nel soggetto ubbidiente ogni preoccupazione etica.
L'obbedienza strumentalizza colui che si sottomette agli ordini dell'autorita'. Il soggetto obbediente si rimette all'autorita' per decidere sulla sua condotta e sulla legittimita' di essa. Per l'individuo sottomesso, la legittimita' dell'ordine dato e' fondata sulla legittimita' dell'autorita', e la legittimita' dell'atto comandato e' fondata sulla legittimita' dell'ordine. Colui che obbedisce, poiche' agisce sotto la copertura dell'autorita', non si sente responsabile delle conseguenze dei suoi atti. Egli ne attribuisce tutta la responsabilita' all'autorita' stessa. Cosi', l'uomo e' capace di rinunciare ad ogni giudizio sulla propria condotta, col protesto di ubbidire agli ordini dei suoi superiori. "L'uomo, scrive Stanley Milgram, e' incline ad accettare le definizioni dell'azione fornite dall'autorita' legittima. Detto in altre parole: benche' il soggetto compia l'azione, egli permette all'autorita' di decidere del suo significato. E' questa abdicazione ideologica che costituisce il fondamento cognitivo essenziale dell'obbedienza" (47).
L'uomo trova nella sottomissione una certa sicurezza che dovrebbe abbandonare se prendesse il sentiero ripido della disobbedienza aperta. Anzitutto, l'obbedienza garantisce all'individuo il restare integrato nel gruppo, nella comunita', nella societa'. Rompere con l'autorita' e' escludersi dalla collettivita' nella quale si trovano i mezzi per vivere in un relativo benessere; rifiutare di obbedire e' esporsi sicuramente a subire tutti i dispiaceri della scomunica e dell'esclusione. Poi, e soprattutto, nel sottomettersi all'autorita' l'individuo ha il senso di essere da essa protetto. Piu' ancora, egli ha in qualche modo il senso di partecipare al potere al quale si sottomette. "La mia obbedienza, scrive Erich Fromm, mi integra al potere che io venero e questo mi da' un'impressione di forza" (48). Percio', rompere con il potere e' ritrovarsi senza potere, solo, abbandonato, debole, impotente, almeno fino a che il potere sia disfatto, cio' che richiede molto tempo. Nessuno ha la sicurezza di sopravvivere al potere che egli contesta, ma che si prepara a stroncarlo. Tuttavia, riguardo all'esigenza morale non puo' esservi alcun dubbio: quando c'e' conflitto tra l'esigenza della coscienza e l'obbligo del comando, l'individuo deve rompere con l'autorita' e rifiutarsi di obbedire. L'obiezione di coscienza e' allora la sola via che permette all'individuo di preservare la sua autonomia, la sua responsabilita' e la sua liberta'.
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Note
30. Franco Fornari, Psychanalyse de la situation atomique, Paris, Gallimard, 1969, p. 12; edizione originale italiana, Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano 1970.
31. Idem, ibidem, p. 12-13.
32. Idem, ibidem, p. 13.
33. Idem, ibidem, p. 23.
34. Sigmund Freud, Essais de psychanalyse, Paris, Petite Bibliotheque Payot, 1981, p. 34; traduzione italiana dall'originale contenuta in Freud e Einstein, Riflessioni a due sulle sorti del mondo, nuova edizione di Perche' la guerra?, prefazione di Ernesto Balducci, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 54.
35. Idem, ibidem.
36. Idem, ibidem, p. 35; traduzione italiana citata, p. 54.
37. Simone Weil, L'enracinement. Prelude a' une declaration des devoirs envers l'etre humain, Paris, Gallimard, 1962, pp. 33-34; tr. it. di Franco Fortini, La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano, Leonardo, Milano 1996.
38. Simone Weil, Ecrits de Londres et dernieres lettres, Paris, Gallimard, 1957, p. 40.
39. Simone Weil, Attente de Dieu, op. cit., p. 143; tr. it. di O. Nemi, Rusconi, Milano 1991.
40. Simone Weil, L'enracinement, op. cit., p. 33.
41. Raymond Rehnicer, L'adieu a' Sarajevo, Paris, Desclee de Brouwer, 1993, p. 42.
42. Stanley Milgram,  Soumission a' l'autorite', Paris, Calmann-Levy, 1974, p. 20; originale Stanley Milgram, Obedience to Authority. An Experimental View, Harper & Row, 1975; tr. it. S. Milgram, Obbedienza all'autorita', Bompiani, Milano 1975; S. Milgram, Obbedienza all'autorita', Einaudi, Torino 2003.
43. Idem, ibidem, p. 22.
44. Hannah Arendt, Du mensonge a' la violence, Essais de politique contemporaine, Paris, Calmann-Levy, 1969, p. 148.
45. Sigmund Freud, Essais de psychanalyse, op. cit., p. 148.
46. Idem, ibidem, p. 158.
47. Stanley Milgram,  Soumission a' l'autorite', op. cit., p. 181.
48. Erich Fromm, De la desobeissance, Paris, Robert Laffont, 1983, p. 17; tr. it. La disobbedienza e altri saggi, Mondadori, Milano.

3. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Paola Allavena, Massimo Locati, Angela Santoni, Sistema immunitario. Un meccanismo quasi perfetto, Rcs, Milano 2021, pp. 160, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riedizioni
- Nico Orengo, Di viole e liquirizia, Einaudi, Torino 2005, 2007, Gedi, Roma 2021, pp. 174, euro 9,90 (in supplemento a vari quotidiani).

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4108 del 18 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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