[Nonviolenza] Telegrammi. 4100



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4100 del 10 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. In memoria di Peppino Impastato
2. Joanne Sheehan: Radici del femminismo nonviolento rivoluzionario di Barbara Deming
3. Maria G. Di Rienzo: Un profilo di Barbara Deming
4. Alcuni riferimenti utili
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. HIC ET NUNC. IN MEMORIA DI PEPPINO IMPASTATO

Il 9 maggio 1978 la mafia assassinava Peppino Impastato.
Ma i suoi compagni non ne accettarono la morte e vollero tenerlo vivo rivendicandone e proseguendone la lotta, le idee, la testimonianza, e smascherarono e sconfissero il tentativo dei poteri dominanti di assassinarlo per la seconda volta con un depistaggio osceno ed infame.
Non riuscirono a resuscitarlo, poiche' questo non e' possibile, ma a tenerlo vivo si'. E cosi' Peppino Impastato e' ancora vivo, e ancora lotta insieme a noi ogni volta che le oppresse e gli oppressi insorgono nonviolentemente contro i poteri criminali, contro il regime della rapina e della corruzione, contro la violenza mafiosa e fascista e schiavista e razzista e stragista e maschilista che ancora opprime e devasta l'umanita' e il mondo.
Ogni volta che una persona o un movimento lotta per la liberazione di tutte le persone, li' e' Peppino Impastato che vive ancora.
Ogni volta che una persona o un movimento lotta in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani, li' e' Peppino Impastato che vive ancora.
Ogni volta che una persona condivide il suo pane con un'altra persona e s'adopera affinche' nessuno debba piu' avere fame e paura, affinche' nessuno sia piu' vittima dell'ingiustizia, affinche' nessuno sia piu' calpestato, affinche' tutto il bene e tutti i beni siano condivisi fra tutte le persone, li' e' Peppino Impastato che vive ancora.
Ogni volta che tu resisti alla menzogna e all'oppressione, al disordine costituito, alla dittatura della violenza, con te c'e' Peppino Impastato che vive ancora.
In questo 9 maggio 2021 noi lo ricordiamo ancora, e nelle nostre necessarie lotte nonviolente qui e adesso lo sentiamo vivo, lo teniamo in vita, lotta insieme a noi.
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Cosi' anche nel ricordo di Peppino Impastato ancora una volta ripetiamo che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Occorre opporsi a tutti i poteri criminali.
Occorre opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta nonviolenta per la comune liberazione, per la comune salvezza, per il bene comune dell'umanita', per la difesa di quest'unico mondo vivente di cui tutte e tutti siamo parte e custodi.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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Una minima notizia su Peppino Impastato
Giuseppe Impastato, nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile"; fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Tra le raccolte di scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2002, 2008. Tra le opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994; AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo); Umberto Santino (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato. Le sentenze di condanna dei mandanti del delitto Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2008; Giovanni Impastato e Franco Vassia, Resistere a mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato, Stampa Alternativa, Viterbo 2009.
Naturalmente sono fondamentali le molte altre ottime pubblicazioni del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"; per contatti: Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, sito: www.centroimpastato.it
Ugualmente fondamentale l'attivita' dell'"Associazione casa memoria Felicia e Peppino Impastato"; per contatti: corso Umberto I 220, 90045 Cinisi (Pa), sito: www.peppinoimpastato.com
Si vedano anche almeno i libri dedicati a Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Giuseppe Impastato che lo ha sostenuto nella sua lotta, lotta che ha proseguito dopo l'uccisione del figlio; e' deceduta nel dicembre 2004. Opere di Felicia Bartolotta Impastato: La mafia in casa mia, intervista di Anna Puglisi e Umberto Santino, La Luna, Palermo 1987. Tra le opere su Felicia Bartolotta Impastato: Anna Puglisi e Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005; Cfr. anche il profilo scritto da Anna Puglisi per l'Enciclopedia delle donne e ripubblicato anche in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 311.
Fondamentali sono anche le opere di Umberto Santino, presidente del "Centro Impastato" di Palermo, e tra esse cfr. almeno: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Vari suoi testi sono nel sito del Centro Impastato: www.centroimpastato.com cui si rinvia.

2. MAESTRE. JOANNE SHEEHAN: RADICI DEL FEMMINISMO NONVIOLENTO RIVOLUZIONARIO DI BARBARA DEMING
[Dal sito del Centro studi "Sereno Regis" di Torino (www.serenoregis.org) riprendiamo questa traduzione di un intervento apparso su "Waging Nonviolence, War Resisters" il 29 aprile 2021.
Joanne Sheehan e' formatrice di azione diretta nonviolenta e cofondatrice della War Resister League New England]

I primi scritti trascurati dell'autrice e attivista Barbara Deming fanno luce sulla storia e sulle radici del femminismo nonviolento rivoluzionario e sul processo di trasformazione personale. Questo articolo e' stato adattato da un discorso su "La nonviolenza rivoluzionaria di Barbara Deming: un approccio a due mani" che Joanne Sheehan ha tenuto con Ynestra King, la quale sta scrivendo un libro proprio su Barbara Deming.
La maggior parte di coloro che conoscono l'autrice e attivista Barbara Deming la conoscono per il suo classico articolo del 1968 "On Revolution and Equilibrium" ("Sulla rivoluzione e l'equilibrio"). La Deming descriveva la nonviolenza come un approccio a due mani, sottolineando il peso e l'autorevolezza della ribellione insieme al rispetto per la vita degli antagonisti.
Negli anni '70 e '80 gli scritti e l'attivismo di Barbara Deming sul femminismo e la nonviolenza le hanno fatto guadagnare un nuovo e grande seguito. Tuttavia, i suoi primi scritti rimangono in gran parte trascurati e meritano perciò maggiore attenzione, in quanto offrono una visione [piu' completa] della sua crescita e ci sfidano a guardare anche alla nostra.
Quanto profondamente stiamo esplorando il potere della nonviolenza rivoluzionaria in contesti di violenza? Quanto seriamente prendiamo il processo di formazione e training nonviolento? Cosa significa agire in solidarietà? Cosa significa essere “parte” l’uno con l’altro?
L'introduzione di Barbara al movimento e all'azione nonviolenta avvenne dopo che un'amica le presto' una copia della rivista Liberation della New Left. Conteneva un articolo su Cuba e L'Avana, citta' che lei aveva da poco visitato come giornalista e dove aveva incontrato Fidel Castro.
Nell'ultima pagina c'era un annuncio di un programma di training per "peacermakers" (pacificatori) di 16 giorni che la incuriosi'. Cosi', nell'agosto 1960, all'eta' di 43 anni, ando' a New London – Connecticut, pensando di partecipare al training per "forse un giorno".
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"La nonviolenza e' un'esplorazione appena iniziata"
Scrivendo dell'esperienza, mesi dopo, in un articolo del dicembre 1960 per The Nation intitolato "The Peacemakers", Barbara disse: "Avevo letto Gandhi con entusiasmo nell'ultimo anno. Non mi aspettavo di essere impressionata dalle persone che avrei trovato a New London. Ho supposto blandamente che se fossero stati, in effetti, impressionanti, avrei dovuto in qualche modo sentirne parlare gia' molto prima". Ma ecco, Barbara ne rimase effettivamente impressionata e si trattenne per tutti i 16 giorni del training, cambiando completamente la sua vita.
Barbara commento' molte delle conversazioni di quei giorni dicendo: "[Queste persone] sostengono con una certa eloquenza che i loro mezzi per combattere un avversario non sono solo potenti, ma gli unici mezzi coerenti con il nostro credo professato nella santita' della vita umana".
Il quarto Peacemaker Training Program annuale fu spostato in seguito nell'area di New London/Groton per unirsi al Comitato per l'Azione Nonviolenta, o CNVA, che al tempo era impegnato in una campagna nonviolenta estiva dal titolo "Polaris Action".
Il CNVA infatti aveva una tradizione di addestramento nonviolento in preparazione alle sue campagne di disarmo. "Polaris Action" [nello specifico] si opponeva alla costruzione di sottomarini a propulsione atomica, che erano in grado di lanciare missili nucleari a lungo raggio, in atto presso la General Dynamics Electric Boat. Questa nuova location del training diede quindi l'opportunita' ai partecipanti all'addestramento di impegnarsi [concretamente] in volantinaggio, azioni di picchettaggio e discussioni con il personale militare e civile dell'area. La brochure del training infatti prometteva: "[I partecipanti] avranno un'opportunita' senza precedenti per un addestramento realistico in una situazione di conflitto".
Come ho scritto Barbara in "Le radici della nonviolenza rivoluzionaria negli Stati Uniti si trovano nella grande comunita' nera", la nonviolenza ha cominciato ad essere esplorata sistematicamente alla fine degli anni '30 e '40 come metodo per smantellare la segregazione. Molti dei "docenti" del Peacemaker Training Program erano coinvolti gia' in quelle battaglie, provenivano infatti dall'Harlem Ashram e avevano partecipato al Congress of Racial Equality, o CORE, nei due decenni precedenti.
Il corpo docente del training era composto da 25 persone – attivisti, autori, artisti e formatori – inclusi due indiani. Bianchi e neri lavoravano insieme. Erano impegnati a sviluppare l'azione nonviolenta, dato che molti di loro erano gia' stati arrestati in passato per le loro azioni contro la seconda guerra mondiale, le armi nucleari e la segregazione. Essi includevano:
- Richard Gregg, il cui libro del 1934 "Il potere della nonviolenza" era nella lista delle letture;
- Ralph Templin, uno dei fondatori dell'Ashram di Harlem nel 1940;
- Ruth Reynolds, che aveva trascorso del tempo all'Ashram di Harlem ed era attiva nella promozione dell'indipendenza di Porto Rico;
- Wally Nelson, che era stato uno dei primi formatori nonviolenti del CORE;
- Juanita Morrow Nelson, che – come studentessa alla Howard University – partecipo' a una protesta contro la mensa nel 1943, molto prima dei sit-in all'inizio del 1960 (lei e Wally furono co-fondatori di The Peacemakers);
- Marjory Swann, che aveva partecipato ad un addestramento del CORE nel 1942 ed era una co-fondatrice del CNVA;
- Il reverendo Fred Shuttlesworth che era stato aggredito a Birmingham, Alabama, per la sua leadership e il suo ruolo negli sforzi di de-segregazione;
- Anne Braden, ora ben nota per il suo lavoro antirazzista come donna bianca del Sud.
L'uso dell'azione nonviolenta al tempo era ancora in fase sperimentale negli Stati Uniti. L'opuscolo del training riportava infatti [come esempi] il Montgomery Bus Boycott, che ebbe luogo dal dicembre 1955 al gennaio 1957, cosi' come l'uso dell'azione diretta nonviolenta nei sit-down contro la mensa universitaria, iniziati sei mesi prima.
"Questi sono piccoli inizi, ma danno la speranza che un nuovo metodo si stia evolvendo per sfidare l'ingiustizia e il degrado umano senza finire per imporre nuove ingiustizie e causare nuovo degrado, come i movimenti rivoluzionari hanno fatto troppo spesso in passato".
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Il programma del training
Dopo alcune discussioni iniziali preliminari, la formazione a cui Barbara partecipo' si dedico' alla pianificazione e realizzazione di una semplice azione nonviolenta in un giorno e mezzo del training. Questa fase e' stata seguita da quattro giorni di approfondimento dal titolo "Una considerazione sulla violenza", una sessione che ha esaminato la violenza economica, la violenza politica, la violenza psicologica e la violenza sociale [a livello teorico e pratico], e ha chiesto [ai partecipanti] "qual e' la natura della violenza e qual e' la base della nostra opposizione ad essa?".
Successivamente, il training ha concentrato una sessione di due giorni sul tema "Resistenza alla vecchia societa'", con sottotitolo: "I sit-in alle mense e altre forme di resistenza alla dominazione razzista. Attivita' contro la guerra. Anticolonialismo". Si sono anche discusse e valutate "forme di resistenza passate e presenti".
Ancora, otto giorni del training sono stati dedicati a "Lo sviluppo di relazioni libere e nonviolente". Una sessione che includeva categorie sul lavoro, sul processo creativo, il sesso, i bambini, l'educazione, il cibo, il crimine e la punizione, cosi' come discussioni sulla condivisione, le comunita' intenzionali e le cooperative di lavoratori.
La formazione nel complesso comprendeva momenti di discussione, tempi di silenzio, azione e riflessione. I partecipanti non erano sempre tutti d'accordo, ma hanno continuato ad ascoltare e a parlare e ad esplorare il potere della nonviolenza.
Barbara ha trovato questa comunita' estremamente stimolante e accogliente.
La sua esperienza ci ricorda che i corsi di formazione e le discussioni sulla nonviolenza rivoluzionaria continuano ad essere necessari – cosi' come prendersi il tempo sufficiente per prepararsi alle azioni nonviolente, comprendere il contesto attuale della violenza in modo da poter capire meglio la nonviolenza, e analizzare la "vecchia societa'" e il "normale" a cui non vogliamo tornare.
Ne abbiamo bisogno per vedere il quadro generale invece di lavorare su progetti isolati, e per sviluppare e approfondire cio' per cui siamo a favore, non solo cio' per cui siamo contro.
Come Barbara disse piu' tardi: "La nonviolenza e' un'esplorazione che e' appena iniziata". Esplorare richiede disciplina, resistenza, creativita' e relazioni di fiducia con gli altri, all'interno di questa esplorazione. E' un lavoro, ed e' quello che dobbiamo fare per affrontare e combattere la supremazia bianca, la misoginia, il militarismo, l'ingiustizia e la violenza di ogni tipo.
Dopo la sua esperienza al Peacemaker Training Program nell'agosto 1960, Barbara inizio' a partecipare a svariate campagne nonviolente. Ha anche scritto su di esse in molte pubblicazioni, tra cui Liberation, dove in seguito e' diventata la prima redattrice donna. (Anche altri due redattori di Liberation, David Dellinger e Roy Finch, parteciparono allo stesso training frequentato da Barbara).
Nel maggio 1961, Barbara si uni' alla Camminata da San Francisco a Mosca per una settimana, prima di dirigersi in Europa. Organizzata dalla CNVA in risposta alle proteste dei lavoratori dei sottomarini di Groton, i quali dissero agli attivisti di "andare a dirlo ai russi", essi portarono la richiesta di disarmo attraverso ben tre continenti.
Gli articoli di Barbara [che ne parlano] non sono semplicemente la storia di cio' che e' successo, ma sono riflessioni oneste. In "Da San Francisco a Mosca: perche' marciamo" scrisse: "Perche' stiamo camminando? Il volantino che abbiamo distribuito lungo la strada lo chiede retoricamente, ed io voglio rispondere nella mia testa, o nelle mie ossa, proprio a questa domanda".
Barbara ha ascoltato e osservato mentre camminava insieme agli attivisti, scrivendo le sue intuizioni in modo che noi potessimo impararne da tutto questo, anni dopo.
I suoi rapporti con la comunita' CNVA, che rimase nel Connecticut, crebbero cosi' profondamente che nel 1962 lei e la sua compagna Mary Meigs fornirono un sostegno in denaro per una fattoria che divenne il Voluntown Peace Trust, cioe' una vera e propria base per il CNVA. Anche se Barbara non si era ancora dichiarata lesbica a quel punto, era la benvenuta nella comunita', nella quale entrambe infatti furono coinvolte.
Il suo primo arresto fu nel 1962, presso la Commissione per l'Energia Atomica, in un'azione che includeva Judith Malina del Living Theatre – che aveva incontrato al Peacemaker Training – e A.J. Muste, leader pacifista radicale e cofondatore del CNVA, che la invito' nel Comitato Esecutivo Nazionale del CNVA.
Barbara si uni' a passeggiate e campagne che sempre piu' spesso affrontarono il tema della violenza della societa' e dello Stato. In un articolo per Liberation intitolato "1962 Southern Peace Walk: due questioni o una sola?" scrisse delle molestie e della violenza che gli attivisti incontrarono in una marcia per la pace nel Tennessee come risultato alla decisione della CNVA di unirsi alla marcia. Barbara noto' che un camminatore la descrisse come "un'integrazione simbolica" – con solo una persona di colore tra i 13 giovani uomini e donne che si erano impegnati a camminare per l'intera distanza. Eppure, questo commento fu sufficiente per attirare la rabbia razzista e cambiare la reazione alla marcia nel Sud.
Credendo che le lotte per il disarmo e i diritti civili dovessero essere le stesse, Barbara ha citato il formatore del movimento per i diritti civili James Lawson – che parlo' ai camminatori per l'occasione – dicendo: "Quello che c'e' dietro e' uno sforzo per costruire una comunita' per tutti noi... la comunita' amata. Io dico che questo lavoro e' legato al lavoro per la pace. Potrebbe essere un prototipo per parlare al mondo intero... e la camminata per la pace e' collegata al compito di costruire la comunita' qui... i movimenti sono collegati tra loro, in un certo senso sono una stessa impresa".
Questa connessione di lotte era un aspetto importante delle convinzioni e dell'approccio di Barbara, che ha continuato a sviluppare quando piu' tardi ha collegato la nonviolenza al femminismo. Eppure, in quella passeggiata e in altre, mancarono le opportunita' di sostenere gli attivisti per i diritti civili, cosa di cui lei si rammaricava apertamente!
I neri delle comunita' locali si univano per brevi tratti della marcia, e offrivano ospitalita' nelle loro chiese. Barbara ha scritto di una notte in cui dei giovani della zona si sono messi a lanciare sassi contro la chiesa dove stavano dormendo. Quattro degli attivisti uscirono fuori e – illuminandosi con delle torce per mostrare che erano disarmati – li invitarono a parlare. In questo senso, i disarmati erano disarmanti. I sette o otto uomini del posto uscirono dal bosco e parlarono allora di relazioni razziali. Tuttavia, gli attivisti scoprirono che non potevano parlare di questioni di guerra e di pace allo stesso tempo, nonostante la connessione teorica delle questioni.
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"Con il passare dei giorni, ho smesso di temere i miei compagni di cella e ho iniziato a fare amicizia con loro. Dopo un po' di tempo questo ha smesso di essere difficile ed e' diventato anzi naturale. Ogni donna li' dentro era malata e in difficolta'"
Nel 1963, Barbara ando' a Birmingham durante la campagna per la de-segregazione delle strutture pubbliche. Uno degli organizzatori, il reverendo Fred Shuttlesworth, aveva partecipato al suo stesso programma di formazione per peacemakers.
Presto pero' Barbara si trovo' in carcere per il fatto di essersi schierata dalla parte delle masse dei giovani neri che chiedevano "il diritto di essere trattati come esseri umani". Come scrisse in "In the Birmingham Jail": "Il direttore mi aveva presentato alle mie compagne di cella, con stridente indignazione, e le aveva incoraggiate a 'rimettermi in riga' a loro piacimento".
Anche se aveva paura, Barbara trovo' il modo di comunicare, di ascoltare e rispondere. "Con il passare dei giorni, ho smesso di temere le mie compagne di cella e ho iniziato a fare amicizia con loro. Dopo un po' di tempo questo ha smesso di essere difficile ed e' diventato anzi naturale. Ogni donna li' dentro era malata e in difficolta'".
Anche se Barbara ha poi abbandonato in pochi anni la concezione della nonviolenza come approccio a due mani, in prigione in quell'occasione ha chiaramente messo in pratica quest'idea – rifiutando di considerare come "altre" [quindi "estranee"] le donne sue compagne di cella, a prescindere da quanto cariche d'odio e violente apparissero.
Essendo chiaramente contraria al razzismo, trasformo' la sua paura in solidarieta' compassionevole.
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"Ora che sono entrata in questo loro mondo, ci vivo anche io. Ma sono in grado di andarmene"
Riflettendo sulle sue numerose esperienze in "Appunti da Birmingham", Barbara ha scritto: "una parte di me ora vive in quell'altro mondo" dove ha visto la casa bombardata del reverendo A.D. King, e la paura e il coraggio di cui e' stata testimone al Gaston Motel, la sede del movimento che e' stata anch'essa bombardata. "Ora che sono entrata in questo loro mondo, ci vivo anch'io. Ma sono in grado di andarmene". Racconta la loro storia, non la sua, consapevole del suo privilegio bianco.
Successivamente Barbara si uni' alla Quebec to Guantanamo Walk del 1964. La marcia fu fermata ad Albany, Georgia – una citta' con una lunga storia di conflitti razziali – dal capo della polizia Laurie Pritchett; egli infatti rifiuto' di permettere a neri e bianchi di camminare insieme in centro alla citta', distribuendo volantini. Arrestati e imprigionati, i camminatori hanno quindi intrapreso una campagna di protesta di due mesi, durante la quale 26 persone sono state incarcerate, alcune per quasi la totalita' del tempo. C'erano tensioni rispetto all'obiettivo dei camminatori pacifici e la lotta del movimento di Albany per la giustizia razziale. Dopo due mesi, finalmente, Pritchett permise loro di camminare insieme attraverso il centro della citta', prima di andarsene via in altri luoghi.
Gli articoli in proposito di Barbara, pubblicati su Liberation e in seguito inclusi nel libro del 1966 "Prison Notes" (Appunti dalla prigione), riportano la storia personale della loro prigionia e le riflessioni sugli obiettivi e le strategie dell'azione nonviolenta, cosi' come la difficolta' di mantenere la nonviolenza in quel carcere. E' una storia potente di "traditori della razza" bianchi che passano da alleati a complici, e l'inferno che i prigionieri neri hanno dovuto sopportare.
La ricerca della verita' e la solidarieta' compassionevole di Barbara sono continuate con i viaggi nel Vietnam del Sud e del Nord nel 1966 e nel 1967. Quando ricevette il War Resisters League Peace Award nel 1967, racconto' la sua storia, della paura di unirsi al viaggio nell'aprile 1966 a Saigon. Quella paura all'inizio le rese impossibile offrirsi volontaria. Ha descritto nei suoi testi il processo che la vide coinvolta nel trovare il coraggio di decidere di andare, cosi': le paure "mi hanno insegnato di nuovo a riconoscere la nostra interdipendenza".
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"E poi, se non stiamo tutti insieme, aiutando sempre chi viene isolato per essere punito, la nostra efficacia finira'"
In "The Temptations of Power" – un discorso che tenne durante un tour di conferenze nell'inverno/primavera del 1967, poi pubblicato nel 1971 in "Revolution and Equilibrium" – Barbara scrisse di cio' che vide nel Vietnam del Nord e di come fosse cercare di riferire cio' che si vedeva, spiegando come entrambi fossero argomenti dolorosi.
Barbara ha portato tutta se stessa nel suo attivismo e nella sua scrittura. Condivideva apertamente le sue domande ed esplorazioni. Non pretendeva che lei, o qualcun altro, avesse tutte le risposte. Portava e porta sempre i lettori attraverso il processo, e cosi' facendo ci invita ancora oggi a fare lo stesso. Esponendo la sua vulnerabilita' e affrontandola, diventa piu' forte.
Da li' a pochi anni, questo modo di fare si sarebbe visto come un approccio femminista – dimostrando come il politico e' personale, e il personale e' politico.
Nel 1967 parlo' della "necessita' di diventare piu' audaci, e quindi piu' efficaci", anche se questo avrebbe portato piu' repressione da parte dei governi.
"E allora se non stiamo tutti insieme, aiutando sempre chi viene isolato per essere punito, la nostra efficacia finira'... Dobbiamo certamente essere franchi l'uno con l'altro quando non siamo d'accordo", disse alla War Resisters League.
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"Avremo bisogno di ognuno di noi. Siamo tutti parte l'uno dell'altro".

3. TESTIMONIANZE. MARIA G. DI RIENZO: UN PROFILO DI BARBARA DEMING
[Riproponiamo questo intervento che gia' pubblicammo ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 569 del 17 aprile 2003, e nuovamente ringraziamo Maria G. Di Rienzo.
Maria G. Di Rienzo e' una prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005; (a cura di), Voci dalla rete. Come le donne stanno cambiando il mondo, Forum, Udine 2011. Cfr. il suo blog lunanuvola.wordpress.com Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]

1917: Barbara Deming nasce a New York. Anni '40: lavora per la Library of Congress. Scrive recensioni cinematografiche e racconti. Anni '50: scrive poesie. Comincia lo studio di Gandhi. 1960: visita Cuba e incontra Fidel Castro. Si unisce al Cna (Comitato per l'Azione Nonviolenta) e partecipa a dimostrazioni. 1961: partecipa alla marcia per la pace S. Francisco-Mosca; tiene conferenze in Europa per conto della International Peace Brigade; si unisce al digiuno per l'abolizione della Cia. 1962: primo arresto a New York durante una manifestazione contro i test nucleari. Chiede pubblicamente il disarmo unilaterale. Partecipa alla marcia della pace del sud (Nashville-Washington) contro il razzismo. 1963: arrestata durante una protesta antirazzista e durante una marcia per la pace e la liberta'. 1964: arrestata durante la marcia per la pace e la liberta' Quebec-Guantanamo viene detenuta ad Albany, Georgia. Scrive "Prison Notes" (Appunti dalla prigione). 1965-1967: viaggia nel Vietnam del nord e del sud per protestare contro la guerra. Di nuovo imprigionata per aver partecipato ad un'azione di protesta davanti al Pentagono. Scrive "We Are All Part of One Another" (Siamo tutti parte di ogni altro). 1968-1970: numerose azioni dirette nonviolente con vari gruppi. 1971-1972: e'' sempre piu' coinvolta nel movimento delle donne. Scrive "On Anger" (Sulla rabbia). 1973: si dichiara pubblicamente lesbica. 1974: discussione con l'attivista Bradford Lyttle sull'omosessualita' che diventera' il testo "The Purpose of Sexuality" (Lo scopo della sessualita'). 1975-1977: tiene conferenze sulla connessione fra femminismo e nonviolenza. Scrive "Remembering Who We Are" (Ricordando chi siamo). Anni '80: vive in comunita' femminili. 1983: arrestata per l'ultima volta durante il "Campo delle donne di Seneca Falls per un futuro di pace e giustizia", una protesta femminista contro l'arrivo dei missili Cruise in loco. Sostiene pubblicamente le donne di Greenham Common. 1984: muore di cancro alle ovaie in Florida.
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"Le azioni nonviolente non hanno lo scopo di far diventare gentili gli altri, ma di forzarli a consultare la propria coscienza. Non e' la vendetta il punto, il punto e' il cambiamento. Il problema e' nelle menti della maggior parte delle persone, il pensiero della vittoria e della punizione del nemico coincidono" (Barbara Deming).
La lotta di Barbara per l'amore, l'accettazione, la forza spirituale e la possibilita' di fare il proprio lavoro in una societa' che spesso implicava
come lei non fosse degna di queste cose, la sua tenacia contro ogni difficolta', sono davvero esemplari. I suoi convincimenti femministi e nonviolenti, tradotti in parole ed azioni, furono il fondamento della sua esistenza ed i suoi saggi suonano molto moderni al nostro orecchio. Barbara fu una "visionaria pragmatica", una donna capace di ampio sguardo: vedeva la comunita' umana non come un gruppo di individui atomizzati ma come qualcosa di intimamente unito e furono le sue tecniche di inclusione a rendere le azioni dirette nonviolente a cui partecipava cosi' efficaci. "Piu' a lungo ci ascoltiamo l'un l'altro con attenzione, maggior comunanza troviamo nelle nostre vite. Sempre che si sia cosi' attenti da scambiarci le storie delle nostre vite, e non semplicemente delle opinioni".
Poiche' fu un'attivista politica durante gli anni '60, Barbara avrebbe trovato immensamente piu' semplice scivolare nel modulo "noi contro di loro", una mentalita' che all'epoca era prevalente. Trovare un nemico da biasimare per i nostri problemi, e desiderare la sua cancellazione in quanto "altro", e' molto facile: Barbara scrisse, in "We are all part of one another", che questo e' anche il modo per distanziarci da noi stessi. "Noi non apparteniamo ad un altro, ma le nostre vite sono connesse. Apparteniamo ad un cerchio di altri". Questo convincimento non si limitava alle persone che lei poteva considerare amiche o alleate nelle lotte nonviolente, e Barbara esercito' il potere della compassione persino con i suoi carcerieri.
Ella riconosceva il potere negli individui (la parola individuo significa "indivisibile") che si riunivano in comunita' (l'indiviso non separato dalla cultura) e fu molto abile nel creare nei gruppi legami di appartenenza e condivisione.
La sua tecnica di protesta fu sempre la resistenza. Rendere difficile il lavoro agli oppressori era il modo di Barbara di rendersi visibile ad essi e di mostrare loro nel contempo la comune umanita': mostrandosi come inseparabile dalla propria cultura, parte del cerchio degli individui di cui anche l'oppressore fa parte, Barbara costringeva i suoi oppositori a confrontarsi con le somiglianze che potevano scorgere fra lei e se stessi ad un livello piu' profondo dello sguardo superficiale relativo al fronteggiamento.
Nel suo saggio del 1971 "On Anger", Barbara riconosce il dualismo come fondamento dell'oppressione. "La gente di colore ha forse fatto meglio, a questo proposito, delle donne: essi hanno riconosciuto congiuntamente la loro oppressione, che era piu' ovvia, e congiuntamente hanno riconosciuto di avere altri se' rispetto a quelli presentati ad essi dai loro dominatori. Le donne hanno dovuto, per la maggior parte, cercare di tener vivo il loro orgoglio in isolamento l'una dall'altra. Ed hanno troppo spesso nascosto la loro rabbia anche a loro stesse". L'istanza dei diritti civili, almeno in superficie, uni' neri di ogni genere e classe. Il femminismo ha avuto tempi piu' duri al riguardo.
Barbara fu incarcerata durante la marcia per la pace e la liberta' Quebec-Washington-Guantanamo, che protestava contro le azioni statunitensi a Cuba. Il gruppo fu arrestato per aver "tenuto una parata senza autorizzazione". Barbara, tramite la noncooperazione, rese difficile alle autorita' carcerarie ignorare la sua umanita' o meglio, l'umanita' che esse condividevano con lei. Non lascio' che le guardie carcerarie si sostituissero alla sua volonta': "Nessuno ha bisogno di stampare in un manuale per le guardie che il prigioniero deve essere spazzato via dall'esistenza per il bene della societa': questo principio magico si afferra per istinto".
Le azioni a cui partecipava con il Comitato per l'Azione Nonviolenta le diedero il senso che un individuo poteva agire ed avere peso, oltre ad esaltare la straordinaria spontaneita' con cui Barbara riusciva a creare "comunita' amanti" fra gli attivisti, che combinavano la forza dell'individuo con quella del gruppo, facendo coesistere liberta' e responsabilita'. "L'unica scelta che ci rende capaci di mantenere la nostra visione e di non spaventarci sino a desiderare di ritirarci, e' l'abbandono del concetto del nominare i nemici, e l'adozione di un concetto familiare alla tradizione nonviolenta: nominare i comportamenti che sono oppressivi, nominare l'abuso di potere, che e' detenuto ingiustamente e va distrutto, ma non nominare una sola persona con il desiderio di distruggerla".
La disobbedienza civile fu il modo in cui Barbara esercito' il proprio potere nei confronti dello stato. Spesso i diritti individuali, che dovrebbero garantire protezione, possono essere usati contro le stesse persone che dovrebbero essere protette (la restrizione degli spazi d'azione e della liberta' di scelta in nome della sicurezza) E dando questo potere all'autorita', noi spesso vittimizziamo noi stessi. Le politiche strettamente identitarie possono condurci allo stesso punto. Per poter agire efficacemente, Barbara doveva agire unitamente ad altri, ma sapeva che le categorie identitarie cadevano con facilita' nel dualismo e nell'opposizione binaria "noi/loro", e percio' il legame doveva essere costruito su altri fondamenti.
Nel maggio 1963, Barbara fu portata in prigione a Birmingham, nell'Alabama, per essersi unita ad un gruppo di dimostranti di colore che stavano raccogliendo firme "senza autorizzazione", per ottenere il diritto collettivo ad essere trattati come gli esseri umani che erano. Durante le marce in cui si univa alla gente di colore contro il razzismo, questo era il suo intervento: "Sto protestando perche' esiste una classificazione che parla di cittadini di seconda classe, e sto protestando in mio nome. Non lo faccio per altruismo. Lo faccio perche' nella mia anima c'e' una qualche conoscenza di cosa significa essere nera".
In quegli anni Barbara capi' come essere una donna fosse essere comunque una cittadina di seconda classe. Piu' tardi, il dichiararsi lesbica le insegno' che si poteva ulteriormente "scendere" nella scala sociale. "Tutte le oppressioni prendono l'avvio dal sistema sessuale di classi, che e' il modello per ogni altro sistema oppressivo, e finche' non resistiamo e ci opponiamo a questo, non avremo successo nell'eliminare davvero gli altri".
Ella riconobbe che andare alla radice del problema era piu' efficace che tentare di potarne le cime: la questione non era la sua sofferenza personale, non era la sofferenza dei neri, e non era neppure dare degli ignoranti o degli assassini ai leader politici degli Usa, la questione concerneva l'umanita' di ciascuna e ciascuno di noi.
Le teorie femministe dell'epoca apparivano a volte molto astratte, nell'affermare un'universalita' della solidarieta' tra donne: nella sua "Lettera al Wisp (Women Strike for Peace, ovvero Donne in sciopero per la pace)", dell'aprile 1963, Barbara sostiene che la verita' delle donne sta nel "qui ed ora" della loro esistenza quotidiana, culturalmente resa triviale. Ella suggerisce di non distogliere gli occhi dalle verita' che scopriamo in noi stesse, dalle loro implicazioni radicali: "Scava a fondo per la verita' e quando l'hai trovata, assieme al coraggio di dare ad essa riconoscimento, allora agisci in suo nome. La funzione della storia e' il registrare queste verita'".
Barbara sostenne le donne del Wisp quando esse incapparono nella repressione del Comitato federale sulle attivita' antiamericane. Durante le udienze, il presidente Doyle apriva le sessioni con frasi che riflettevano esattamente il dominio patriarcale che Barbara aveva cominciato a sfidare. "Le donne parlavano delle cose di cui avevano fatto esperienza diretta, come la loro preoccupazione per i bambini, ed il comitato parlava da una grande distanza, con certe frasi portentose che tacciavano le donne di 'un eccessivo desiderio di pace', il quale implicava 'adeguata preparazione difensiva' e 'minava la forza nazionale' servendo 'i piani aggressivi del comunismo mondiale'. Il comitato diceva queste cose come se esse fossero realta' immutabili. Non si erano accorti che la rapidita' dei mutamenti nel mondo prosciugava quelle parole da tutti i loro significati primari".
Da questo momento, la riflessione sul linguaggio assunse un grande peso negli scritti di Barbara. Il suo uso del linguaggio divenne un importante preludio all'azione; ella cercava un nuovo vocabolario nonviolento, che potesse rendere maggiormente comprensibile l'azione diretta a chi la guardava da fuori, un vocabolario che avrebbe reso descrivibile chiaramente la visione di una societa' nonviolenta.
Nel 1971, Barbara subi' gravi ferite in un incidente automobilistico. Impedita a viaggiare dalla propria condizione fisica, si dedico' all'attivismo scritto: nelle lettere aperte, scritte durante gli anni successivi, l'analisi politica e personale di Barbara raggiunge un'acutezza abbagliante, disegnando un'intera filosofia femminista della nonviolenza.
"Gandhi una volta dichiaro' che era stata sua moglie ad insegnargli involontariamente l'efficacia della nonviolenza. Chi meglio di una donna sa che le lotte possono essere vinte senza imporre forza fisica? Chi meglio di noi conosce il potere che risiede nella non-cooperazione?".
Il modo in cui questi scritti attraversano barriere di socializzazione, addestramenti ed abitudini e' sorprendentemente attuale. Barbara ha ora coscienza di quanto della sua esperienza e delle sue emozioni, come donna e come lesbica, sia stato tenuto da parte o riconosciuto ed espresso solo in analogia con la lotta contro il razzismo. Comincia a chiedere ai suoi compagni nella lotta contro la guerra di rigettare la trivializzazione delle donne e delle esperienze personali. Attraverso il femminismo, ella sostiene, possiamo tutte e tutti osare dar credito e valore a cio' che vediamo con i nostri occhi.
La sessualita', ad esempio, e' percepita come qualcosa di molto piu' ampio della ricerca di piacere: "La nostra sessualita' ci e' data in modo che noi si entri in comunione con qualcun altro. Rompe il nostro singolo se'. Senza sessualita', saremmo terribilmente isolati all'interno della nostra individualita'. Non potremmo far esperienza della comunita', non potremmo far esperienza nella nostra carne della verita' che noi siamo, tutti noi, membri di un cerchio di altri". La nostra sessualita', sosteneva Barbara, e' danneggiata dal tentativo di separarla in comportamenti preordinati come "maschili" e "femminili", e questa bugia ha indebolito le possibilita' di comunione: "Se la societa' non tentasse di farci tutti eterosessuali, e se il patriarcato fosse scomparso, la mia opinione e' che noi troveremmo completamente naturale essere attratti dal nostro stesso sesso".
Barbara pensava che il capitalismo avesse parte nel costruire le costrizioni di genere: la proprieta' privata della terra, attraverso la quale gli uomini
considerano il suolo e le donne dei semplici mezzi per la propria riproducibilita', era il fulcro di questo suo convincimento. Se nessuna persona potesse "possedere" la terra, nessuno avrebbe il diritto di inquinarla perche' di sua proprieta'.
Gli uomini, secondo Barbara, non avevano ancora tentato di diventare del tutto umani, ma di deificare se stessi. Cio' aveva costretto le donne, subordinate agli uomini, a cercare giustizia attraverso le autorita', in un sistema che non garantiva ad esse un'equita' di giudizio.
Barbara giunse alla convinzione che, se il mezzo per interpretare una cultura e' il linguaggio, cambiare quest'ultimo era lo strumento piu' efficace per vedere un cambiamento nella societa': se riconosciamo che i diritti, la proprieta', il denaro ed il sistema legale esistono come testi, mutare la natura generale del linguaggio esporrebbe le contraddizioni interne ad ognuno di questi sistemi. Lo spostamento del paradigma di lettura farebbe molto di piu' che aggiungere le donne all'ordine esistente, molto di piu' di una presa d'atto sull'esistenza di un ordine maschile e di un ordine femminile, ma ci costringerebbe a farci domande ben differenti da quelle usuali. Ci condurrebbe a quella visione del mondo per cui Barbara lotto' cosi' appassionatamente.
"Nessun essere umano dovrebbe essere pensato come altro da noi. La forma di lotta per arrivare a questo e' ancora largamente da inventare, ma esiste: e' la lotta nonviolenta. Non si puo' provare alle persone la nostra comune natura umana usando violenza contro di esse".
"Noi donne apparteniamo alla storia, anche noi. Voi uomini ci avete rubato da noi stesse. Noi non esistiamo perche' il vostro orgoglio possa nutrirsi di noi. Noi siamo cio' che siamo".
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Scritti di Barbara Deming utilizzati per questo testo:
- We Are All Part of One Another, Ed. Jane Meyerding, Philadelphia New Society, 1984.
- Running Away from Myself: A dream portrait of America drawn from the films of the forties. New York, Grossman, 1969.
- Prison Notes, New York, Grossman, 1966.

4. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Pier Luigi Lopalco, Epidemie. Le pandemie di ieri e di oggi e la lotta ai nuovi virus, Rcs, Milano 2021, pp. 120, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Gialli
- Ellery Queen, Uno studio in nero, Mondadori, Milano 1967, 2021, pp. 192, euro 5,90.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4100 del 10 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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