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[Nonviolenza] Telegrammi. 4095
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4095
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Tue, 4 May 2021 17:48:06 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4095 del 5 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. In digiuno per far cessare l'orrore della strage degli innocenti nel Mediterraneo
2. Luana D'Orazio
3. Mao Valpiana: Un necrologio, un biglietto e un obiettore per caso
4. Alcuni riferimenti utili
5. Davide Del Bono presenta "Cittadinanza" di Etienne Balibar
6. Davide Del Bono presenta "Fanon postcoloniale. I dannati della terra oggi" a cura di Miguel Mellino
7. Cinque raccolte di racconti di Omero Dellistorti: "Il cugino di Mazzini", "Due dure storie", "Storie nere dall'autobiografia della nazione", "Paesani" e "Lo scrittore di romanzi gialli"
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. INIZIATIVE. IN DIGIUNO PER FAR CESSARE L'ORRORE DELLA STRAGE DEGLI INNOCENTI NEL MEDITERRANEO
Come tutti i primi mercoledi' del mese anche questo mercoledi' 5 maggio le persone che partecipano al "Digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti" digiuneranno, digiuneremo, per denunciare l'orrore della strage degli innocenti nel Mediterraneo, l'orrore dei lager libici dei quali il governo italiano e' complice, l'orrore della schiavitu' e dell'apartheid nel nostro paese.
Digiuneranno, digiuneremo, per chiedere che l'Italia torni alla legalita', alla civilta', all'umanita', al rispetto del primo di tutti i doveri: il dovere di non uccidere, il dovere di salvare le vite.
Ed anche chi scrive queste righe ancora una volta prendera' parte a questo giorno di digiuno mensile. Che e' ben misera cosa, ma almeno vuol essere un grido di dolore e di denuncia, di scandalo e di appello a quanti chiudono gli occhi dinanzi alla strage in corso, una strage che possiamo e dobbiamo far cessare con un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze che costringa chi ci governa a rispettare finalmente il dovere sancito dalla Costituzione della repubblica italiana - cosi' come dalla Dichiarazione universale dei diritti umani - di rispettare e difendere i diritti di tutti gli esseri umani e primo fra tutti il diritto alla vita.
Dobbiamo soccorrere, accogliere, assistere tutte le persone bisognose di aiuto, tutte le persone in fuga dall'orrore, tutte le persone in pericolo di morte.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
Torniamo a ripeterlo una volta ancora.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid.
E quindi qui ed ora occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro.
E quindi qui ed ora occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia.
E quindi qui ed ora occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
E quindi qui ed ora occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Cosi' come occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. E quindi qui ed ora occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera; e quindi qui ed ora occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere; e quindi qui ed ora occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Cosi' come occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Cosi' come occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
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In calce si allega l'appello di padre Alex Zanotelli che chiama al digiuno del 5 maggio.
* * *
L'appello di padre Alex Zanotelli: Stragi e crimini di stato
Il 5 maggio, primo mercoledi' del mese, dalle ore 15 alle 18, saremo in Piazza Montecitorio a Roma, davanti al Parlamento italiano, per esprimere la dimensione politica del Digiuno di giustizia, portato avanti da tre anni, una volta al mese, e il Digiuno a staffetta promosso dal Cantiere della Casa Comune.
Mai come in questo momento c'e' bisogno di alzare la voce, di gridare la nostra indignazione per quanto sta avvenendo nel Mediterraneo dove, tra il 21 e il 22 aprile, sono naufragati due barconi: uno con 130 migranti, l'altro con 40. Tutte le autorita' libiche, italiane, maltesi e della UE erano state avvertite gia' dal 20 aprile, ma nessuno ha voluto aiutarli. Abbiamo lasciato annegare 170 persone, li abbiamo condannati a morte. "E' una vergogna!", ha detto Papa Francesco.
Tutto questo avviene dopo la visita del Presidente Draghi a Tripoli che ha avuto il cinismo di congratularsi con il governo libico per i "salvataggi" dei migranti in mare! E dopo la visita della Ministra degli Interni Lamorgese che ha chiesto alle autorita' libiche il "rispetto dei diritti umani". Quali diritti? Quelli della Guardia Costiera libica, da noi finanziata, che cattura i migranti in fuga dall'inferno per riportarli nei lager libici dove sono sistematicamente torturati? Nel 2020 ne ha riportati in Libia ben 11.000. Siamo davanti a veri e propri crimini di Stato che gridano giustizia al cospetto di Dio e degli uomini (Corte di Giustizia Internazionale).
Tutto questo nel Mediterraneo sta avvenendo senza alcuna missione di soccorso da parte dell'Unione Europea (e' obbligata a farlo, per il diritto del mare!). Non solo, ma e' altrettanto grave che la Ministra degli Interni Lamorgese blocchi le navi salva-vite delle ONG nei porti italiani per futili ragioni, mentre i migranti affogano in mare.
Per questo, con il Digiuno di giustizia, noi chiediamo:
- all'Europa che metta in mare subito un'operazione tipo "Mare Nostrum" e di smetterla con la politica razzista di "esternalizzare le frontiere";
- al Governo italiano di non sostenere la Guardia Costiera libica dove si annidano criminali e trafficanti di esseri umani;
- al Parlamento italiano che si rifiuti di rifinanziare la Guardia Costiera libica;
- alla Ministra degli Interni che non blocchi nei porti, per futili ragioni, le navi salva-vite, mentre i migranti affogano in mare e di sospendare i respingimenti dei migranti che arrivano a Trieste.
Davanti a questo scenario facciamo nostra la recente dichiarazione dell'arcivescovo di Palermo C. Lorefice: "Di fronte all'ingiustizia sistemica, noi europei, invece di sentire l'obbligo di un risarcimento, chiudiamo le frontiere del nostro benessere grondante del sangue dei poveri, per impedire ad altri il diritto ad un'esistenza che non sia svuotata della sua stessa dignita'. Tutto questo e' scandaloso. Il tempo e' finito. Svegliamoci!".
p. Alex Zanotelli a nome del Digiuno di giustizia
Napoli, primo maggio 2021
2. LUTTI. LUANA D'ORAZIO
In un tragico incidente sul lavoro e' deceduta Luana D'Orazio, operaia.
Con dolore la ricordiamo, e rinnoviamo ancora una volta l'appello ad assumere tutti i provvedimenti necessari per garantire la sicurezza e far cessare l'ecatombe sui luoghi di lavoro.
Le vite umane vengono prima del profitto. Il lavoro deve essere un diritto, non una condanna alla sofferenza e alla morte.
3. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: UN NECROLOGIO, UN BIGLIETTO E Un OBIETTORE PER CASO
[Dal sito di "Azione nonviolenta" (www.azionenonviolenta.it).
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"); attualmente e' presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer Stiftung; fa parte del Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta istituito presso L'Ufficio nazionale del servizio civile; e' socio onorario del Premio nazionale "Cultura della pace e della nonviolenza" della Citta' di Sansepolcro; ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". E' stato fondamentale ideatore, animatore e portavoce dell'"Arena di pace e disarmo" del 25 aprile 2014 e coordina la campagna "Un'altra Difesa e' possibile". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]
Metto in relazione due fatti avvenuti negli stessi giorni ma in luoghi diversi, Vicenza e Bologna. L'occasione e' stata la festa della Liberazione dal nazifascismo, 76mo anniversario, 25 aprile 2021.
*
Fatto numero uno
Sul Giornale di Vicenza compare, nella pagina dei necrologi, un annuncio dal titolo "Sempre in noi presente". Foto in bianco e nero di S.E. Cav. Benito Mussolini (con tanto di sguardo torvo e mascella volitiva) cui segue il testo "Continuita' ideale R.S.I. e Fam. Caduti e Dispersi R.S.I. ti ricorderanno sempre con la recita del S. Rosario. Ci troveremo domani alle ore 19.00 nello spazio antistante la chiesa del cimitero Maggiore di Vicenza. Vicenza, 27 aprile 2021”.
La mattina stessa della pubblicazione del truce necrologio, arrivano le proteste ufficiali di Anpi e Aned, e di molti lettori del quotidiano locale. Il giorno seguente sul quotidiano di Vicenza compare una Nota del Comitato di redazione cui segue una Nota del Direttore.
Il Cdr "ritiene doveroso intervenire per tutelare la redazione" e sottolinea come "i giornalisti non abbiano niente a che fare con le scelte che riguardano quella sezione del giornale”. Il Direttore Luca Ancetti si sente in dovere di sottolineare che "dal punto di vista editoriale e' stata una decisione inopportuna" di cui si "assume la responsabilita'" e aggiunge che "non si ripetera'". Poi chiosa "A titolo personale: una preghiera non si nega a nessuno e il suo senso profondo è proprio perche' e' per tutti e non solo per i giusti. In secondo luogo non e' un annuncio a pagamento nella pagina dei defunti a riabilitare una figura come quella di Mussolini, gia' condannata dalla Storia".
*
Fatto numero due
Winelivery e' una piattaforma che permette di recapitare bevande a domicilio "Vini, birre e drink a casa tua, subito". Il sito pubblicizza che il servizio e' attivo in oltre 50 citta' d'Italia. Un cliente compila con l'apposita app un ordine di due bottiglie di vino da consegnare a Bologna, in via San Mamolo; e' un regalo e lo fa accompagnare da un biglietto, il cui testo si puo' digitare direttamente sulla app e poi viene trascritto a mano e allegato alla confezione che verrà recapitata. In questo caso viene scritto: "In questo giorno di lutto che il nostro Duce possa da lassu' guidare la rinascita". Il giorno di lutto e' appunto il 25 aprile. La consegna viene affidata a Luca Nisco, un rider (fattorino in moto) di 30 anni che prende in carico le bottiglie e il biglietto (di cui conosce il testo perché viene trascritto a mano, da chi raccoglie gli ordini, davanti a lui). Suona alla porta del destinatario, alla signora che apre consegna la busta-cadeaux, ma strappa il biglietto davanti a lei; “ma che c’era scritto?", chiede stupita; risposta: "Oscenita'". Il giorno dopo la piattaforma che recluta i corrieri per Winelivery invia una mail a Nisco: "Buongiorno Luca, la presente per informarti che l'offerente Winelivery ha annullato tutti i turni a te assegnati, segnalando un comportamento scorretto tenuto durante lo svolgimento di un job". Licenziato. Il caso rimbalza sui social e da li' sulla stampa locale e nazionale. L'azienda dice che il provvedimento preso è dovuto a “comportamenti che hanno violato la privacy di un cliente e azioni non in linea con gli standard di servizio e lesivi dell'immagine aziendale". Scatta la solidarieta', raccolta di fondi per Nisco e anche un annuncio di boicottaggio contro Winelivery. Si muove anche la politica, interviene l’Assessore Marco Lombardo del Comune di Bologna (Lavoro e Attività produttive) che chiede ai consumatori di fermare il boicottaggio e all’azienda di rivedere il provvedimento di licenziamento. Così avviene: Winelivery ci ripensa e annuncia il reintegro di Nisco “la nostra convinzione, come azienda e come cittadini, e' di assoluta condanna ai comportamenti che inneggiano qualsiasi fascismo" e anche di essere disponibile ad aderire alla "Carta di Bologna sui diritti dei riders".
Dopo aver ripreso il lavoro, alla domanda se lo rifarebbe, Luca Nisco risponde: "Il cuore mi dice di si', ma la ragione mi dice che potevo trovare una modalita' differente per evitare che quel messaggio arrivasse; comunque e' stato un gesto di protesta, ho interrotto un atto illegale".
Caso chiuso? No, c'e' una coda. Vittorio De Lorenzi, attivista politico di destra, ex Msi, destinatario del biglietto, scrive sulla sua pagina Facebook: "Al signore in questione posso dire che non finisce qui. La dedica privata di un amico d'infanzia non puo' essere strappata di fronte a mia moglie, in tal modo oltraggiata. La liberta' di pensiero e' un bene che va salvaguardato per tutti".
*
La catena dei fatti
Due casi simili hanno avuto epiloghi diversi. La differenza l'ha fatta una singola persona che ha messo in atto una azione che non era prevista e ha modificato la catena degli eventi.
Sono tanti i protagonisti, attivi o passivi, delle due vicende.
Nel caso del necrologio c'e' chi l'ha pensato, commissionato, pagato, e c'e' chi l'ha ricevuto, trascritto, impaginato, poi c'e' chi ha corretto la pagina, chi l'ha mandata in stampa, e quindi chi ha seguito tutti i passaggi tipografici fino all'uscita del giornale in edicola. Ognuno ha fatto il proprio mestiere senza farsi troppe domande. Poi ci sono coloro che hanno protestato, lettori e associazioni antifasciste, e alla fine il Comitato di Redazione che si è sostanzialmente chiamato fuori e il Direttore che si e' assunto la responsabilita', ma si e' anche autoassolto minimizzando l'episodio.
Nel caso del biglietto c'e' chi ha scritto il testo, chi l'ha ricevuto, letto e trascritto a mano. Poi c'e' chi doveva consegnarlo ma ha fatto la sua obiezione di coscienza e messo in atto una non collaborazione, strappandolo. Seguono gli altri protagonisti: il destinatario del biglietto che subito ha protestato con l'azienda; i dirigenti dell'azienda che hanno preso la decisione del licenziamento; il clamore sollevato dai social e dalle associazioni antifasciste; i giornalisti che hanno dato fiato con articoli e interviste; l'assessore che ha cercato una soluzione politica, e infine di nuovo i dirigenti dell'azienda che hanno modificato il loro atteggiamento, trovando una conclusione positiva.
La catena del comando prosegue indisturbata fino a che non trova un anello che si oppone. E' in questo caso che l'anello piu' debole della catena e' anche il piu' forte perche' puo' romperla.
*
Mettersi in gioco
A Vicenza tutto e' filato liscio. Nessuno e' uscito dal proprio ruolo, ognuno ha messo la propria tessera del mosaico al posto giusto, e la banalita' del male ha trovato la strada spianata. A Bologna invece una coscienza si e' attivata per rompere il gioco. Cos'altro poteva fare il rider? Aveva modalita' diverse per mettere in atto la sua non collaborazione con il male, senza rischiare il suo posto di lavoro? Sarebbe stata altrettanto efficace una sua denuncia verbale o è stata decisiva la forza del gesto? Perche' tra i tanti attori di questi fatti e' stato l'unico a non fingere di non vedere?
Su questi due casi si puo' impostare un gioco di ruolo: studiare i contesti degli avvenimenti, individuare i protagonisti attivi e passivi, analizzare il ruolo di ciascuno, degli osservatori, dell'informazione, dell'opinione pubblica; e infine capire se noi, nella nostra realta', siamo esecutori passivi e distratti di uno statu quo o possiamo essere protagonisti di un cambiamento in meglio.
Anche una piccola obiezione di coscienza, fatta nel momento e nel modo giusto, puo' avere un grande effetto. In fondo ogni nostra azione e' una scelta tra la collaborazione con il male o con il bene. Ognuno di noi e' attore di un copione che puo' essere cambiato da un gesto intenzionale o da una omissione volontaria.
Essere obiettori per caso, puo' fare la differenza tra la banalita' del bene e quella del male.
4. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
5. LIBRI. DAVIDE DEL BONO PRESENTA "CITTADINANZA" DI ETIENNE BALIBAR
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 4, n. 1]
Etienne Balibar, Cittadinanza, Bollati Boringhieri, 2012, pp. 178.
*
In Cittadinanza, breve testo del 2012, Etienne Balibar articola un ulteriore frammento della propria riflessione sulla crisi della forma politica moderna e sulla possibilita' dell'apertura di nuovi spazi (soprattutto europei) di cittadinanza post-nazionale e poststatuale. Per farlo individua, a guida dell'argomentazione, la tensione antinomica tra le nozioni di democrazia e cittadinanza, una relazione che – precisa – si e' sempre data in figure storicamente determinate.
La prima figura della dialettica innescata dall'antinomia, motore della trasformazione dell'istituzione politica, e', secondo Balibar, la politeia degli antichi Greci. Tradotta con la formula "costituzione di cittadinanza", essa era in grado di comporre la reciprocita' e la circolazione dell'autorita' (arche') tra i titolari del diritto di cittadinanza da una parte e l'organizzazione delle funzioni di amministrazione e di governo dall'altra. A prezzo di una limitazione radicale che escludeva i non-uguali per natura, reciprocita' e alternanza delle cariche definivano il nucleo delle funzioni di cittadinanza nel senso dell'uguale liberta'.
Al contrario – continua Balibar – la forma statale moderna ha subordinato la cittadinanza al funzionamento dello stato nazionale, depotenziando proprio il carattere tipico della nozione di politeia. Oggi che questo stesso modello ha esaurito molta della sua tenuta si rivela, paradossalmente, l'utilita' teorica della nozione antica. Non che la crisi della forma statale renda di per se' necessario un rilancio della cittadinanza in senso democratico; essa pero' nemmeno lo impedisce.
Nella contraddizione aperta dalla crisi il filosofo francese avanza allora, in modo problematico, la propria ipotesi di lavoro: cercare nell'attualita' politica lo spazio per una costituzione di cittadinanza aperta, transnazionale, espansiva, post-nazionale e post-statuale, sul modello della politeia, "ma scontando il rovesciamento o l'inversione della maggior parte dei presupposti su cui quest'ultima si fondava" (p. 22).
Definito attraverso il riferimento alla politeia il nucleo teorico del problema, Balibar individua la base su cui articolare la genealogia di due affermazioni storiche della cittadinanza: la cittadinanza moderna tipica della forma statale, nata con le rivoluzioni borghesi (nel terzo capitolo), e la sua sovrapposizione alla cittadinanza sociale (nel quarto).
La doppia unita' di concetti (dell'uomo e del cittadino, di liberta' e uguaglianza) a cui le rivoluzioni borghesi si sono riferite per emanciparsi dal dominio ha caratterizzato l'egaliberta' come un valore sempre segnato dal conflitto. Sebbene i diritti affermati dalle rivoluzioni siano infatti rivendicati sulla base della loro universalita', essi sono stati conquistati attraverso forme di emancipazione insurrezionale. Anche l'apparentemente pacificata equazione tra comunita' nazionale e cittadinanza rivela allora un nucleo essenzialmente precario, fondato sull'oscillazione continua tra istituzione e insurrezione; un nucleo che dall'interno continua ad erodere la stabilita' dell'istituzione, muovendosi verso nuovi spazi da conquistare.
Anche la nascita della cittadinanza sociale nel XX secolo reca un segno antinomico molto simile. Affermati secondo un programma di riduzione delle disuguaglianze realizzato su scala del corpo politico dello stato, i diritti della cittadinanza sociale si rivelano molto fragili e segnati dal conflitto: non e', infatti, la concessione filantropica dello stato borghese a produrli, ma il rapporto tra insurrezione e costituzione e, in questo caso, il socialismo, nato come programma di riforme ad alimentare continuamente il conflitto all'interno dell'istituzione.
Nella ricostruzione genealogica avviata dal filosofo francese, allora, due aspetti in particolare declinano la tensione antinomica tra cittadinanza e democrazia: il carattere intrinsecamente conflittuale dell'istituzione di cittadinanza e la dinamica dell'esclusione che ne e' al centro.
Nella somma dei processi che definiscono la cittadinanza la questione dell'esclusione (trattata nel quinto capitolo) e' da sempre fondamentale, se e' vero che una metafora territoriale soggiace costantemente alla costituzione della cittadinanza.
Alcune caratteristiche spaziali, come territorio, residenza, proprieta' del suolo, sono infatti al contempo determinazioni costitutive della cittadinanza, servono a identificare una frontiera in grado di definire, all'interno, i cittadini ed escludere, all'esterno, i non cittadini. Tuttavia, come mostra il caso delle rivolte causate dalle segregazioni etniche nel ghetto urbano delle banlieues parigine, dove la maggioranza dei giovani disoccupati di origine africana era formata da cittadini francesi, formalmente titolari dei diritti di cittadinanza, esistono anche forme di esclusione interna, che trascrivono la condizione di straniero all'interno dei confini della comunita' politica.
E' evidente allora che, da una parte, il rifiuto della diseguaglianza di status tipico dell'universalismo della cittadinanza moderna non solo non elimina forme di esclusione, ma conferisce loro un carattere ancora piu' radicale trascrivendole all'interno dello spazio formalmente garantito dei diritti di cittadinanza. D'altra parte, la dinamica che esclude ed include non descrive regole certe e situazioni fisse, ma e', ancora una volta, risultato di conflitti, di una relazione dinamica tra momenti di inclusione e momenti di esclusione.
Al carattere conflittuale delle acquisizioni democratiche, aspetto sottolineato ripetutamente nel corso del testo e decisivo nell'articolazione della proposta conclusiva, Balibar dedica il sesto capitolo. Cio' che il costituzionalismo moderno cerca di eludere, la manifestazione ricorrente di una conflittualita' che eccede le regole della rappresentazione, non puo' essere ignorato.
Non e' infatti possibile eliminare il rapporto che lega istituzione (di cittadinanza) e conflitto, ammette il filosofo. Si deve semmai riconoscere che il carattere costitutivamente conflittuale della politica realizza un equilibrio aleatorio che oscilla tra i due poli di una cittadinanza senza conflitto e di un conflitto senza istituzione. Proprio quest'oscillazione impedisce l'istituzione del conflitto come soluzione del problema e trascrive la storia della cittadinanza democratica come la storia delle evoluzioni da una regolazione ad un'altra che, a volte in modo progressivo, ampliano l'uguale liberta', a volte in modo regressivo, la riducono.
Negli ultimi due capitoli del testo, infine, Balibar volge piu' da vicino il suo sguardo all'attualita'. Sulla base di alcune analisi di Wendy Brown sulla teoria neoliberale, che sottolineano come essa estenda i criteri di redditivita' a spazi che la costituzione nazional-sociale considerava estranei al calcolo economico (istruzione, ricerca scientifica, qualita' dei servizi pubblici) e superi l'autonomia che il liberalismo classico conferiva alla sfera economica rispetto a quella politica, il filosofo francese descrive la nascita di una forma politica paradossale, in grado di neutralizzare ogni conflittualita' nel criterio dell'utilita' quantificabile e di controllare i soggetti attraverso la gestione dei loro spazi di liberta' in una dinamica di complessiva dedemocratizzazione di qualsiasi forma di cittadinanza attiva.
Questa, che appare un'evoluzione irreversibile, assume in molte analisi toni apocalittici: al neoliberalismo corrisponderebbe la fine di qualsiasi forma di politica, all'esaltazione di un'etica individualista lo smantellamento di qualsiasi istituzione di sicurezza sociale.
Piu' complessa la posizione di Balibar. Non e' possibile limitarsi a registrare la crisi, ne' si puo' continuare a discutere di inclusioni comunitarie ed esclusione interna, individualismo negativo e positivo e in generale degli effetti della posizione neoliberale, senza riferirsi alla crisi della rappresentanza nei sistemi politici contemporanei. Occorre cioe' ritornare alla questione fondamentale posta da Hobbes all'alba della modernita' politica: quella di una procedura collettiva di acquisizione della potenza nella forma del suo trasferimento o della sua comunicazione. Ma, invece che dall'alto, occorre porla dal basso, riaprendo la dialettica tra potere costituente e potere costituito, tra insurrezione e costituzione, se si vuole che la possibilita' di istituire la cittadinanza al di la' del monopolio politico statale renda produttivo il legame originario con il processo di acquisizione democratica, descritto lungo tutto il testo.
Sulla scorta delle analisi genealogiche con cui ha descritto il carattere insorgente della democrazia e in opposizione al funzionamento delle garanzie costituzionali, la provvisoria conclusione del filosofo francese si situa allora all'altezza della continua trasformazione delle pratiche di cittadinanza, tentando una sutura tra l'obiettivo negativo della resistenza e dell'opposizione ai regimi e alle legislazioni non democratiche – che pure e' momento decisivo del divenire della cittadinanza – e il momento positivo della continua invenzione democratica lungo un percorso costituente, perche' insorgente. Il risultato e' la descrizione di una funzione di movimento in cui l'insurrezione, aggredendo nuovi spazi di diritto, ha come contenuto forme di emancipazione collettiva.
In questo modo, sebbene piuttosto concisa, l'analisi che Balibar propone in Cittadinanza coglie al cuore uno dei problemi decisivi dell'attualita' politica. Particolarmente efficace risulta l'ipotesi alla base di tutto il lavoro, che definisce il carattere antinomico del rapporto che lega, costitutivamente, cittadinanza e democrazia. Altrettanto convincente la descrizione dell'attualita' politica (scissa tra l'opacita' della situazione istituzionale europea e la radicalizzazione di spazi di conflitto, della velocita' di comunicazione, di condivisione e di circolazione delle lotte per i diritti) come uno dei momenti in cui quella relazione e' particolarmente evidente.
Inevitabilmente piu' incerta la conclusione, per la sua natura di proposta non definitiva. E' infatti proprio registrando il dato di instabilita' descritto dalla sua analisi genealogica che Balibar cerca di elaborare un universale che dei diritti abbandoni il formalismo universalistico moderno. In questo senso egli propone di recuperare la nozione arendtiana di diritto ai diritti, estendendola pero' al di la' del campo limitato a cui era applicata. E cioe' passando da un'idea del potere costituito (per cui il diritto deriva dalla appartenenza ad uno stato nazione) a un'idea di potere costituente, in cui sia riaffermata la capacita' di rivendicare i propri diritti all'interno di uno spazio pubblico.
E' operazione evidentemente rischiosa quella di investire positivamente sull'intrascendibile elemento della conflittualita' che segna i rapporti politici per fondare una teoria della cittadinanza. E' aleatorio farlo descrivendo una funzione di movimento fondata sul carattere insorgente e conflittuale della democrazia, invece di elaborare la chiusura di un dispositivo formalmente coerente. Ed e' forse ancora piu' rischioso individuare come oggetto di questa operazione una pluralita' di pratiche di cittadinanza che aggrediscano spazi sempre maggiori di diritto, invece che elaborare una sintesi formalmente unitaria della potenza collettiva. Del resto, lavorare su dinamiche di cittadinanza collettive e plurali, ancorche' instabili e conflittuali, e' forse l'unico modo per evitare certe aporie del formalismo universalistico moderno.
6. LIBRI. DAVIDE DEL BONO PRESENTA "FANON POSTCOLONIALE. I DANNATI DELLA TERRA OGGI" A CURA DI MIGUEL MELLINO
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 4, n. 2 (2015)]
Miguel Mellino (a cura di), Fanon postcoloniale. I dannati della terra oggi, Ombre Corte, 2013, pp. 205.
*
Il volume Fanon postcoloniale raccoglie gli interventi del convegno internazionale "I dannati della terra cinquanta anni dopo", svoltosi a Napoli nel maggio 2011. A partire da prospettive anche molto diverse, gli articoli condividono un obiettivo: interrogarsi sulla forza che il gesto di pensiero di Fanon conserva nel presente. Come scrive Miguel Mellino nella Presentazione, in gioco non e' una ricostruzione filologica dell'archivio fanoniano, ma la messa a tema del supplemento di significazione che ne garantisce, ancora oggi, la produttivita'.
Esso infatti – prosegue Iain Chambers nel saggio che apre la serie, Il ritmo del tempo: sempre Fanon – indica una delle ferite aperte dell'Occidente, una costante interruzione della sua temporalita' prodotta dall'irruzione di un ritmo e di un tempo altri. Un'irruzione, a lungo indicata da Fanon, che si riattualizza ogni volta che un soggetto colonizzato, elemento esterno alla soggettivita' europea, irrompe frantumandone la pretesa oggettivita' universale. Sulla linea della produttivita' di questa frantumazione lavorano gli interventi raccolti nel testo, che e' possibile ordinare attorno ad alcuni temi.
Anzitutto l'approfondimento dell'attualita' della prospettiva dell'autore martinicano.
In Leggere Fanon Renate Siebert paragona la Germania postbellica e l'Italia odierna. Negli anni '50 e '60 il movimento studentesco tedesco scopriva nella voce di Fanon una risorsa minore ma decisiva, in grado di contribuire alla decostruzione dell'eredita' nazista e razzista piu' infame ed invisibile e alla feroce critica antiautoritaria dell'elite postbellica, che sembrava bloccare le migliori speranze di un futuro riconciliato. Un'elaborazione della responsabilita' nei crimini nazifascisti che invece, nota Siebert, manca ancora oggi in Italia, dove riemerge, quotidiano, il rimosso razzista. Si comprende percio', conclude, l'utilita' dell'archivio fanoniano.
Da parte sua, Nigel Gibson, in London Calling, ne mette alla prova la tenuta (soprattutto rispetto alla questione della spontaneita' della rivolta) all'altezza delle insurrezioni inglesi del 2011. I riot di Londra confermano che il rischio della degenerazione per motivi futili e' vivo in ogni momento. Come insegnava Fanon, tuttavia, il potenziale di liberazione proprio ad ogni movimento si attualizza se si riconosce come obiettivo principale della rivolta la formazione continua della coscienza. Ad attendere ogni lotta, anche contemporanea, non e' percio' soltanto la liberazione materiale, ma soprattutto la liberazione delle coscienze dalle false credenze imposte dalla ragione coloniale.
In questo senso, come mostra Roberto Beneduce in Frantz Fanon. Un corpo che interpella, la produttivita' dell'archivio fanoniano per il presente consiste, paradossalmente, nell'impossibilita' di assegnarlo facilmente ad una delle sponde del dibattito contemporaneo, nell'assoluta appartenenza alla sua epoca. La decolonizzazione, che e' sempre insieme collettiva e singolare, politica e psichiatrica, esige infatti una sociodiagnosi e consiste percio' nel riconoscimento della precisa storicita' di una situazione culturale che informa la costruzione del se' e lo schema corporeo del soggetto. Per certi versi, continua Beneduce, Fanon non e' qui molto distante dal Foucault interessato alla comprensione delle forme storiche della soggettivita'. Proprio a partire da questa comprensione, allora egli scava un'archeologia sovversiva della struttura razzista del sapere occidentale, cercando di rovesciare il metodo con cui la scienza occidentale fonda un'oggettivita' che egli avverte sempre rivolta contro il colonizzato.
La questione della decolonizzazione del sapere e' approfondita dal saggio di Matthieu Renault, Fanon e la decolonizzazione del sapere, che, sottolineando il rischio di una impasse teorica, evidenzia la forza di un discorso decoloniale rispetto ad uno postcoloniale: decolonizzare non e' soltanto capovolgere o rifiutare le teorie occidentali, ma decentrarle e dislocarle, allontanarle e considerarne il ritorno. Secondo Renault, Fanon ha individuato alcune strategie politiche in grado di inaugurare variazioni di concetti tradizionalmente hegeliani (coscienza infelice, riconoscimento, desiderio) e di promuovere cosi' una fenomenologia e una critica decoloniali della ragione europea.
Diviene via via evidente come i contributi convergano nell'individuare nel presente la necessita' della pratica decoloniale inaugurata da Fanon, che molti riconoscono legata a doppio filo all'analisi della violenza.
E' il caso del saggio di Patricia Tuitt, Fanon, il diritto e la violenza assoluta, e di quello di Denise Ferreira Da Silva Per la critica della violenza razziale. In modo molto simile i due contributi individuano nella teoria della violenza un'eccedenza in grado di rompere la continuita' del diritto, e con essa lo spazio stesso della ragione europea. Secondo Tuitt cio' e' possibile perche' Fanon non sfugge al compito di nominare l'orrore, riconoscendo nella situazione coloniale la forma catastrofica capace di costringere la critica a riflettere sulla fine della storia e nella condizione di dannazione il punto di partenza di un'eccedenza, che ha i tratti della violenza assoluta, in grado di prescindere da restrizioni e condizioni sociali. Molto vicine le conclusioni di Da Silva. Il coloniale e' per Fanon cio' che eccede diritti e morale, cosi' come l'erotico lo era per Bataille e il divino per Benjamin. Tuttavia in questi casi e' ancora il maschile a significare la ragione sovrana. Al di la' di Fanon allora Da Silva propone il corpo colonizzato femminile come cifra dell'eccesso, come significazione in grado di fuggire l'assoggettamento coloniale e razziale veicolato dalle strutture giuridiche, economiche, globali attuali.
Due altri contributi affrontano il tema della violenza. Carla Pasquinelli, nel suo La fraternite'-terreur, mette a tema la possibilita' sempre latente del tradimento fratricida nel movimento di liberazione. Ricostruendo la legittimazione fanoniana della violenza, Pasquinelli nota come qualcosa rimanga sempre indisponibile alla rassicurante rappresentazione del gruppo in fusione. E' vero, infatti, che la condizione di dannazione e' l'avvio del ciclo del riscatto e che, a partire dalla serialita' del pratico-inerte, cioe' dalla soggezione coloniale del popolo, e' possibile un riconoscimento impossibile all'altezza di Pelle nera maschere bianche; nondimeno la lotta di decolonizzazione e' sempre esposta al tradimento dei fratelli coltelli, alla violenza della fraternite'-terreur. Ancora, l'articolo di Fabio Dei, Corpo, potere, violenza, sottopone la teoria della violenza di Fanon alla prova delle obiezioni mosse da Arendt. Esse si centrano sul carattere strumentale che per Arendt occorre assegnare alla violenza, che e' concettualmente distinta e superiore alla politica (sebbene spesso quest'ultima la utilizzi come mezzo), e criticano, da un lato, la necessita' che in Fanon lega azione violenta e decolonizzazione e, dall'altro, il tratto organicistico e vitalistico che la descrive. Sono critiche che colgono alcune debolezze di una prospettiva, che tuttavia ha il vantaggio di evidenziare il carattere strutturale che la violenza conserva nella costituzione dello spazio politico e dei soggetti colonizzati, possibilita' che sfugge ad una considerazione strumentale.
I contributi di Fred Moten e Paul Gilroy cercano di descrivere positivamente i tratti della liberazione. In Un respiro in affanno, il primo muove dalla valorizzazione della potenza invece che della debolezza del colonizzato: occorre pensare ai dannati non come prodotto di chi si e' stabilito come loro superiore inferiorizzandoli, ma del loro agire. Si deve ripartire dalla potenza, plasmata in stretto contatto con l'esperienza vissuta e la fatticita' della blackness; una concettualizzazione, nota Moten, che Fanon sempre suggerisce ma che mai riesce davvero a possedere. Il secondo, in La scelta di Fanon, si concentra invece sulla prospettiva umanista dell'autore che, sebbene a lungo criticata per il tratto naive e frammentario delle speranze affidategli, mostra una certa forza teorica. Senza pensare di valorizzare semplicemente il presupposto di un'essenza umana posta nell'interiorita' di un soggetto, la localizzazione del se' e dell'umano nell'oltrepassamento dell'Europa rimane suggestiva e utile di fronte all'incompletezza della decolonizzazione e all'altezza dell'attuale complicazione del razzismo (operata, su tutto, dall'influenza del discorso sui diritti umani e delle retoriche umanitarie).
Miguel Mellino in Testimoniare la catastrofe e Stefano Visentin in Trasformazioni della Verwandlung cercano invece di mettere in risonanza la riflessione di Fanon con altre correnti filosofiche novecentesche. Riconoscendo nel linguaggio apocalittico messianico e nella struttura formale dell'opera di Fanon una sorta di smontaggio, rimontaggio e risignificazione di passi entro contesti differenti, il primo le assegna un'attitudine modernista. Questa e' sfondo ad una teoria della testimonianza per certi versi simile a quella sviluppata da Agamben nelle sue riflessioni sui campi di sterminio: in entrambi i casi il luogo della testimonianza e' lo spazio aperto dall'impossibilita' di dire. Del resto, continua Mellino, se in Agamben la testimonianza si risolve nel dar voce, senza mai trascendere l'evento dell'alienazione, in Fanon essa prelude al momento del risveglio e della presa di coscienza rivoluzionaria.
Visentin, da parte sua nota, che rispetto al problema coloniale e' necessaria una distensione dei termini classici dell'analisi di Marx. In questo senso Fanon non capovolge l'analisi, ma la amplia: letteralmente, portando lo sguardo oltre i confini dell'Europa e, metaforicamente, complicando l'analisi dei modi in cui il capitale produce la sua valorizzazione. Nella colonia, l'espropriazione delle terre e la separazione di individui e mezzi di produzione che fonda l'accumulazione originaria non e' sostenuta da un discorso di tipo teologico morale, ma dalla dichiarazione biologica che assegna un rapporto esclusivo tra ricchezza e bianchezza. Inoltre, la compresenza di Verwandlung e Gewalt si da' nelle colonie senza alcuna forma di mediazione. Del resto, nota Visentin, l'assunzione del punto di vista parziale dei colonizzati apre all'interno delle dinamiche di sfruttamento peculiari della colonia lo spazio per un universalismo concretamente agito che sprigiona dalla forza dell'invenzione della ribellione.
A chiudere la raccolta e' Questione di sguardi. Du Bois e Fanon di Sandro Mezzadra, un contributo che funziona molto bene anche come conclusione del volume nel suo complesso. Ancora una volta il dialogo a distanza tra i due autori non ha come obiettivo la ricostruzione dell'influenza dell'uno sull'altro, ma la costruzione di un archivio tattico anticoloniale in grado di contribuire alla trasformazione del presente postcoloniale. All'origine dell'esperienza intellettuale di entrambi gli autori e' un processo di formazione della soggettivita', iscritto nella materialita' di processi di liberazione e di lotta, in cui la sovranita' dello sguardo si rovescia nel primato dell'essere guardati. Se Du Bois cercava allora di forzare i concetti di democrazia e cittadinanza, Fanon scommetteva sulle lotte anticoloniali per "inventare l'uomo totale". Un azzardo, ammette Mezzadra, come ogni politica rivoluzionaria.
Del resto, e' probabile che sia proprio il legame tra quell'azzardo e la soggettivita' defilata che lo fonda ad indicare la postura decoloniale che molti dei contributi del volume individuano come necessaria per l'attualita'. Radicata nell'irruzione di una temporalita' altra, essa infatti fonda la critica della logica coloniale propria della ragione (politica) occidentale. Una critica che il gesto di Fanon ha insegnato e che e' in grado di disinnescare l'intrinseca violenza di discorsi che, sebbene spesso posti nei termini dell'universale, strutturano logiche di esclusione gerarchica che amputano alcuni uomini della loro umanita'.
7. NUGAE. CINQUE RACCOLTE DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: "IL CUGINO DI MAZZINI", "DUE DURE STORIE", "STORIE NERE DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE", "PAESANI" E "LO SCRITTORE DI ROMANZI GIALLI"
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) cinque raccolte di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie", "Due dure storie. Rieducare gli educatori e Il delitto della principessa di Ebla", "Storie nere dall'autobiografia della nazione", "Paesani" e "Lo scrittore di romanzi gialli. Ed altre tristi e triste storie".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverle puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarle.
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, Laterza, Roma-Bari 1965, 1976, pp. LXVIII + 380. A cura e con un'introduzione di Eugenio Garin.
- Antonio Labriola, Scritti politici 1886-1904, Laterza, Roma-Bari 1970, pp. 528. A cura di Valentino Gerratana.
- Antonio Labriola, Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, Roma 1964, 1977, pp. 528. A cura di Valentino Gerratana e Augusto Guerra.
- Antonio Labriola, Scritti di pedagogia e politica scolastica, Editori Riuniti, Roma 1961, 1974, pp. 306. A cura di Dina Bertoni Jovine.
- Antonio Labriola, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Newton Compton, Roma 1972, 1975, pp. 160. Introduzione di Giuseppe Bedeschi, note di Ascanio Cinquepalmi.
- Antonio Labriola, In memoria del Manifesto dei comunisti e traduzione di Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Newton Compton, Roma 1973, pp. 144. Introduzione di Umberto Cerroni.
- Sergio Bruzzo, Il pensiero di Antonio Labriola, Laterza, Bari 1942, pp. 124.
- Luigi Dal Pane, Profilo di Antonio Labriola, Giuffre', Milano 1948, pp. 128.
- Renzo Martinelli, Antonio Labriola 1843-1904, Editori Riuniti, Roma 1988, pp. 168.
- Stefano Poggi, Antonio Labriola, Longanesi, Milano 1978, pp. 192.
- Stefano Poggi, Introduzione a Labriola, Laterza, Roma-Bari 1982, pp. IV + 156.
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
10. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4095 del 5 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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Sommario di questo numero:
1. In digiuno per far cessare l'orrore della strage degli innocenti nel Mediterraneo
2. Luana D'Orazio
3. Mao Valpiana: Un necrologio, un biglietto e un obiettore per caso
4. Alcuni riferimenti utili
5. Davide Del Bono presenta "Cittadinanza" di Etienne Balibar
6. Davide Del Bono presenta "Fanon postcoloniale. I dannati della terra oggi" a cura di Miguel Mellino
7. Cinque raccolte di racconti di Omero Dellistorti: "Il cugino di Mazzini", "Due dure storie", "Storie nere dall'autobiografia della nazione", "Paesani" e "Lo scrittore di romanzi gialli"
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. INIZIATIVE. IN DIGIUNO PER FAR CESSARE L'ORRORE DELLA STRAGE DEGLI INNOCENTI NEL MEDITERRANEO
Come tutti i primi mercoledi' del mese anche questo mercoledi' 5 maggio le persone che partecipano al "Digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti" digiuneranno, digiuneremo, per denunciare l'orrore della strage degli innocenti nel Mediterraneo, l'orrore dei lager libici dei quali il governo italiano e' complice, l'orrore della schiavitu' e dell'apartheid nel nostro paese.
Digiuneranno, digiuneremo, per chiedere che l'Italia torni alla legalita', alla civilta', all'umanita', al rispetto del primo di tutti i doveri: il dovere di non uccidere, il dovere di salvare le vite.
Ed anche chi scrive queste righe ancora una volta prendera' parte a questo giorno di digiuno mensile. Che e' ben misera cosa, ma almeno vuol essere un grido di dolore e di denuncia, di scandalo e di appello a quanti chiudono gli occhi dinanzi alla strage in corso, una strage che possiamo e dobbiamo far cessare con un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze che costringa chi ci governa a rispettare finalmente il dovere sancito dalla Costituzione della repubblica italiana - cosi' come dalla Dichiarazione universale dei diritti umani - di rispettare e difendere i diritti di tutti gli esseri umani e primo fra tutti il diritto alla vita.
Dobbiamo soccorrere, accogliere, assistere tutte le persone bisognose di aiuto, tutte le persone in fuga dall'orrore, tutte le persone in pericolo di morte.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
Torniamo a ripeterlo una volta ancora.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid.
E quindi qui ed ora occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro.
E quindi qui ed ora occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia.
E quindi qui ed ora occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
E quindi qui ed ora occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Cosi' come occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. E quindi qui ed ora occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera; e quindi qui ed ora occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere; e quindi qui ed ora occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Cosi' come occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Cosi' come occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
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In calce si allega l'appello di padre Alex Zanotelli che chiama al digiuno del 5 maggio.
* * *
L'appello di padre Alex Zanotelli: Stragi e crimini di stato
Il 5 maggio, primo mercoledi' del mese, dalle ore 15 alle 18, saremo in Piazza Montecitorio a Roma, davanti al Parlamento italiano, per esprimere la dimensione politica del Digiuno di giustizia, portato avanti da tre anni, una volta al mese, e il Digiuno a staffetta promosso dal Cantiere della Casa Comune.
Mai come in questo momento c'e' bisogno di alzare la voce, di gridare la nostra indignazione per quanto sta avvenendo nel Mediterraneo dove, tra il 21 e il 22 aprile, sono naufragati due barconi: uno con 130 migranti, l'altro con 40. Tutte le autorita' libiche, italiane, maltesi e della UE erano state avvertite gia' dal 20 aprile, ma nessuno ha voluto aiutarli. Abbiamo lasciato annegare 170 persone, li abbiamo condannati a morte. "E' una vergogna!", ha detto Papa Francesco.
Tutto questo avviene dopo la visita del Presidente Draghi a Tripoli che ha avuto il cinismo di congratularsi con il governo libico per i "salvataggi" dei migranti in mare! E dopo la visita della Ministra degli Interni Lamorgese che ha chiesto alle autorita' libiche il "rispetto dei diritti umani". Quali diritti? Quelli della Guardia Costiera libica, da noi finanziata, che cattura i migranti in fuga dall'inferno per riportarli nei lager libici dove sono sistematicamente torturati? Nel 2020 ne ha riportati in Libia ben 11.000. Siamo davanti a veri e propri crimini di Stato che gridano giustizia al cospetto di Dio e degli uomini (Corte di Giustizia Internazionale).
Tutto questo nel Mediterraneo sta avvenendo senza alcuna missione di soccorso da parte dell'Unione Europea (e' obbligata a farlo, per il diritto del mare!). Non solo, ma e' altrettanto grave che la Ministra degli Interni Lamorgese blocchi le navi salva-vite delle ONG nei porti italiani per futili ragioni, mentre i migranti affogano in mare.
Per questo, con il Digiuno di giustizia, noi chiediamo:
- all'Europa che metta in mare subito un'operazione tipo "Mare Nostrum" e di smetterla con la politica razzista di "esternalizzare le frontiere";
- al Governo italiano di non sostenere la Guardia Costiera libica dove si annidano criminali e trafficanti di esseri umani;
- al Parlamento italiano che si rifiuti di rifinanziare la Guardia Costiera libica;
- alla Ministra degli Interni che non blocchi nei porti, per futili ragioni, le navi salva-vite, mentre i migranti affogano in mare e di sospendare i respingimenti dei migranti che arrivano a Trieste.
Davanti a questo scenario facciamo nostra la recente dichiarazione dell'arcivescovo di Palermo C. Lorefice: "Di fronte all'ingiustizia sistemica, noi europei, invece di sentire l'obbligo di un risarcimento, chiudiamo le frontiere del nostro benessere grondante del sangue dei poveri, per impedire ad altri il diritto ad un'esistenza che non sia svuotata della sua stessa dignita'. Tutto questo e' scandaloso. Il tempo e' finito. Svegliamoci!".
p. Alex Zanotelli a nome del Digiuno di giustizia
Napoli, primo maggio 2021
2. LUTTI. LUANA D'ORAZIO
In un tragico incidente sul lavoro e' deceduta Luana D'Orazio, operaia.
Con dolore la ricordiamo, e rinnoviamo ancora una volta l'appello ad assumere tutti i provvedimenti necessari per garantire la sicurezza e far cessare l'ecatombe sui luoghi di lavoro.
Le vite umane vengono prima del profitto. Il lavoro deve essere un diritto, non una condanna alla sofferenza e alla morte.
3. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: UN NECROLOGIO, UN BIGLIETTO E Un OBIETTORE PER CASO
[Dal sito di "Azione nonviolenta" (www.azionenonviolenta.it).
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"); attualmente e' presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer Stiftung; fa parte del Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta istituito presso L'Ufficio nazionale del servizio civile; e' socio onorario del Premio nazionale "Cultura della pace e della nonviolenza" della Citta' di Sansepolcro; ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". E' stato fondamentale ideatore, animatore e portavoce dell'"Arena di pace e disarmo" del 25 aprile 2014 e coordina la campagna "Un'altra Difesa e' possibile". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]
Metto in relazione due fatti avvenuti negli stessi giorni ma in luoghi diversi, Vicenza e Bologna. L'occasione e' stata la festa della Liberazione dal nazifascismo, 76mo anniversario, 25 aprile 2021.
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Fatto numero uno
Sul Giornale di Vicenza compare, nella pagina dei necrologi, un annuncio dal titolo "Sempre in noi presente". Foto in bianco e nero di S.E. Cav. Benito Mussolini (con tanto di sguardo torvo e mascella volitiva) cui segue il testo "Continuita' ideale R.S.I. e Fam. Caduti e Dispersi R.S.I. ti ricorderanno sempre con la recita del S. Rosario. Ci troveremo domani alle ore 19.00 nello spazio antistante la chiesa del cimitero Maggiore di Vicenza. Vicenza, 27 aprile 2021”.
La mattina stessa della pubblicazione del truce necrologio, arrivano le proteste ufficiali di Anpi e Aned, e di molti lettori del quotidiano locale. Il giorno seguente sul quotidiano di Vicenza compare una Nota del Comitato di redazione cui segue una Nota del Direttore.
Il Cdr "ritiene doveroso intervenire per tutelare la redazione" e sottolinea come "i giornalisti non abbiano niente a che fare con le scelte che riguardano quella sezione del giornale”. Il Direttore Luca Ancetti si sente in dovere di sottolineare che "dal punto di vista editoriale e' stata una decisione inopportuna" di cui si "assume la responsabilita'" e aggiunge che "non si ripetera'". Poi chiosa "A titolo personale: una preghiera non si nega a nessuno e il suo senso profondo è proprio perche' e' per tutti e non solo per i giusti. In secondo luogo non e' un annuncio a pagamento nella pagina dei defunti a riabilitare una figura come quella di Mussolini, gia' condannata dalla Storia".
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Fatto numero due
Winelivery e' una piattaforma che permette di recapitare bevande a domicilio "Vini, birre e drink a casa tua, subito". Il sito pubblicizza che il servizio e' attivo in oltre 50 citta' d'Italia. Un cliente compila con l'apposita app un ordine di due bottiglie di vino da consegnare a Bologna, in via San Mamolo; e' un regalo e lo fa accompagnare da un biglietto, il cui testo si puo' digitare direttamente sulla app e poi viene trascritto a mano e allegato alla confezione che verrà recapitata. In questo caso viene scritto: "In questo giorno di lutto che il nostro Duce possa da lassu' guidare la rinascita". Il giorno di lutto e' appunto il 25 aprile. La consegna viene affidata a Luca Nisco, un rider (fattorino in moto) di 30 anni che prende in carico le bottiglie e il biglietto (di cui conosce il testo perché viene trascritto a mano, da chi raccoglie gli ordini, davanti a lui). Suona alla porta del destinatario, alla signora che apre consegna la busta-cadeaux, ma strappa il biglietto davanti a lei; “ma che c’era scritto?", chiede stupita; risposta: "Oscenita'". Il giorno dopo la piattaforma che recluta i corrieri per Winelivery invia una mail a Nisco: "Buongiorno Luca, la presente per informarti che l'offerente Winelivery ha annullato tutti i turni a te assegnati, segnalando un comportamento scorretto tenuto durante lo svolgimento di un job". Licenziato. Il caso rimbalza sui social e da li' sulla stampa locale e nazionale. L'azienda dice che il provvedimento preso è dovuto a “comportamenti che hanno violato la privacy di un cliente e azioni non in linea con gli standard di servizio e lesivi dell'immagine aziendale". Scatta la solidarieta', raccolta di fondi per Nisco e anche un annuncio di boicottaggio contro Winelivery. Si muove anche la politica, interviene l’Assessore Marco Lombardo del Comune di Bologna (Lavoro e Attività produttive) che chiede ai consumatori di fermare il boicottaggio e all’azienda di rivedere il provvedimento di licenziamento. Così avviene: Winelivery ci ripensa e annuncia il reintegro di Nisco “la nostra convinzione, come azienda e come cittadini, e' di assoluta condanna ai comportamenti che inneggiano qualsiasi fascismo" e anche di essere disponibile ad aderire alla "Carta di Bologna sui diritti dei riders".
Dopo aver ripreso il lavoro, alla domanda se lo rifarebbe, Luca Nisco risponde: "Il cuore mi dice di si', ma la ragione mi dice che potevo trovare una modalita' differente per evitare che quel messaggio arrivasse; comunque e' stato un gesto di protesta, ho interrotto un atto illegale".
Caso chiuso? No, c'e' una coda. Vittorio De Lorenzi, attivista politico di destra, ex Msi, destinatario del biglietto, scrive sulla sua pagina Facebook: "Al signore in questione posso dire che non finisce qui. La dedica privata di un amico d'infanzia non puo' essere strappata di fronte a mia moglie, in tal modo oltraggiata. La liberta' di pensiero e' un bene che va salvaguardato per tutti".
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La catena dei fatti
Due casi simili hanno avuto epiloghi diversi. La differenza l'ha fatta una singola persona che ha messo in atto una azione che non era prevista e ha modificato la catena degli eventi.
Sono tanti i protagonisti, attivi o passivi, delle due vicende.
Nel caso del necrologio c'e' chi l'ha pensato, commissionato, pagato, e c'e' chi l'ha ricevuto, trascritto, impaginato, poi c'e' chi ha corretto la pagina, chi l'ha mandata in stampa, e quindi chi ha seguito tutti i passaggi tipografici fino all'uscita del giornale in edicola. Ognuno ha fatto il proprio mestiere senza farsi troppe domande. Poi ci sono coloro che hanno protestato, lettori e associazioni antifasciste, e alla fine il Comitato di Redazione che si è sostanzialmente chiamato fuori e il Direttore che si e' assunto la responsabilita', ma si e' anche autoassolto minimizzando l'episodio.
Nel caso del biglietto c'e' chi ha scritto il testo, chi l'ha ricevuto, letto e trascritto a mano. Poi c'e' chi doveva consegnarlo ma ha fatto la sua obiezione di coscienza e messo in atto una non collaborazione, strappandolo. Seguono gli altri protagonisti: il destinatario del biglietto che subito ha protestato con l'azienda; i dirigenti dell'azienda che hanno preso la decisione del licenziamento; il clamore sollevato dai social e dalle associazioni antifasciste; i giornalisti che hanno dato fiato con articoli e interviste; l'assessore che ha cercato una soluzione politica, e infine di nuovo i dirigenti dell'azienda che hanno modificato il loro atteggiamento, trovando una conclusione positiva.
La catena del comando prosegue indisturbata fino a che non trova un anello che si oppone. E' in questo caso che l'anello piu' debole della catena e' anche il piu' forte perche' puo' romperla.
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Mettersi in gioco
A Vicenza tutto e' filato liscio. Nessuno e' uscito dal proprio ruolo, ognuno ha messo la propria tessera del mosaico al posto giusto, e la banalita' del male ha trovato la strada spianata. A Bologna invece una coscienza si e' attivata per rompere il gioco. Cos'altro poteva fare il rider? Aveva modalita' diverse per mettere in atto la sua non collaborazione con il male, senza rischiare il suo posto di lavoro? Sarebbe stata altrettanto efficace una sua denuncia verbale o è stata decisiva la forza del gesto? Perche' tra i tanti attori di questi fatti e' stato l'unico a non fingere di non vedere?
Su questi due casi si puo' impostare un gioco di ruolo: studiare i contesti degli avvenimenti, individuare i protagonisti attivi e passivi, analizzare il ruolo di ciascuno, degli osservatori, dell'informazione, dell'opinione pubblica; e infine capire se noi, nella nostra realta', siamo esecutori passivi e distratti di uno statu quo o possiamo essere protagonisti di un cambiamento in meglio.
Anche una piccola obiezione di coscienza, fatta nel momento e nel modo giusto, puo' avere un grande effetto. In fondo ogni nostra azione e' una scelta tra la collaborazione con il male o con il bene. Ognuno di noi e' attore di un copione che puo' essere cambiato da un gesto intenzionale o da una omissione volontaria.
Essere obiettori per caso, puo' fare la differenza tra la banalita' del bene e quella del male.
4. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
5. LIBRI. DAVIDE DEL BONO PRESENTA "CITTADINANZA" DI ETIENNE BALIBAR
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 4, n. 1]
Etienne Balibar, Cittadinanza, Bollati Boringhieri, 2012, pp. 178.
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In Cittadinanza, breve testo del 2012, Etienne Balibar articola un ulteriore frammento della propria riflessione sulla crisi della forma politica moderna e sulla possibilita' dell'apertura di nuovi spazi (soprattutto europei) di cittadinanza post-nazionale e poststatuale. Per farlo individua, a guida dell'argomentazione, la tensione antinomica tra le nozioni di democrazia e cittadinanza, una relazione che – precisa – si e' sempre data in figure storicamente determinate.
La prima figura della dialettica innescata dall'antinomia, motore della trasformazione dell'istituzione politica, e', secondo Balibar, la politeia degli antichi Greci. Tradotta con la formula "costituzione di cittadinanza", essa era in grado di comporre la reciprocita' e la circolazione dell'autorita' (arche') tra i titolari del diritto di cittadinanza da una parte e l'organizzazione delle funzioni di amministrazione e di governo dall'altra. A prezzo di una limitazione radicale che escludeva i non-uguali per natura, reciprocita' e alternanza delle cariche definivano il nucleo delle funzioni di cittadinanza nel senso dell'uguale liberta'.
Al contrario – continua Balibar – la forma statale moderna ha subordinato la cittadinanza al funzionamento dello stato nazionale, depotenziando proprio il carattere tipico della nozione di politeia. Oggi che questo stesso modello ha esaurito molta della sua tenuta si rivela, paradossalmente, l'utilita' teorica della nozione antica. Non che la crisi della forma statale renda di per se' necessario un rilancio della cittadinanza in senso democratico; essa pero' nemmeno lo impedisce.
Nella contraddizione aperta dalla crisi il filosofo francese avanza allora, in modo problematico, la propria ipotesi di lavoro: cercare nell'attualita' politica lo spazio per una costituzione di cittadinanza aperta, transnazionale, espansiva, post-nazionale e post-statuale, sul modello della politeia, "ma scontando il rovesciamento o l'inversione della maggior parte dei presupposti su cui quest'ultima si fondava" (p. 22).
Definito attraverso il riferimento alla politeia il nucleo teorico del problema, Balibar individua la base su cui articolare la genealogia di due affermazioni storiche della cittadinanza: la cittadinanza moderna tipica della forma statale, nata con le rivoluzioni borghesi (nel terzo capitolo), e la sua sovrapposizione alla cittadinanza sociale (nel quarto).
La doppia unita' di concetti (dell'uomo e del cittadino, di liberta' e uguaglianza) a cui le rivoluzioni borghesi si sono riferite per emanciparsi dal dominio ha caratterizzato l'egaliberta' come un valore sempre segnato dal conflitto. Sebbene i diritti affermati dalle rivoluzioni siano infatti rivendicati sulla base della loro universalita', essi sono stati conquistati attraverso forme di emancipazione insurrezionale. Anche l'apparentemente pacificata equazione tra comunita' nazionale e cittadinanza rivela allora un nucleo essenzialmente precario, fondato sull'oscillazione continua tra istituzione e insurrezione; un nucleo che dall'interno continua ad erodere la stabilita' dell'istituzione, muovendosi verso nuovi spazi da conquistare.
Anche la nascita della cittadinanza sociale nel XX secolo reca un segno antinomico molto simile. Affermati secondo un programma di riduzione delle disuguaglianze realizzato su scala del corpo politico dello stato, i diritti della cittadinanza sociale si rivelano molto fragili e segnati dal conflitto: non e', infatti, la concessione filantropica dello stato borghese a produrli, ma il rapporto tra insurrezione e costituzione e, in questo caso, il socialismo, nato come programma di riforme ad alimentare continuamente il conflitto all'interno dell'istituzione.
Nella ricostruzione genealogica avviata dal filosofo francese, allora, due aspetti in particolare declinano la tensione antinomica tra cittadinanza e democrazia: il carattere intrinsecamente conflittuale dell'istituzione di cittadinanza e la dinamica dell'esclusione che ne e' al centro.
Nella somma dei processi che definiscono la cittadinanza la questione dell'esclusione (trattata nel quinto capitolo) e' da sempre fondamentale, se e' vero che una metafora territoriale soggiace costantemente alla costituzione della cittadinanza.
Alcune caratteristiche spaziali, come territorio, residenza, proprieta' del suolo, sono infatti al contempo determinazioni costitutive della cittadinanza, servono a identificare una frontiera in grado di definire, all'interno, i cittadini ed escludere, all'esterno, i non cittadini. Tuttavia, come mostra il caso delle rivolte causate dalle segregazioni etniche nel ghetto urbano delle banlieues parigine, dove la maggioranza dei giovani disoccupati di origine africana era formata da cittadini francesi, formalmente titolari dei diritti di cittadinanza, esistono anche forme di esclusione interna, che trascrivono la condizione di straniero all'interno dei confini della comunita' politica.
E' evidente allora che, da una parte, il rifiuto della diseguaglianza di status tipico dell'universalismo della cittadinanza moderna non solo non elimina forme di esclusione, ma conferisce loro un carattere ancora piu' radicale trascrivendole all'interno dello spazio formalmente garantito dei diritti di cittadinanza. D'altra parte, la dinamica che esclude ed include non descrive regole certe e situazioni fisse, ma e', ancora una volta, risultato di conflitti, di una relazione dinamica tra momenti di inclusione e momenti di esclusione.
Al carattere conflittuale delle acquisizioni democratiche, aspetto sottolineato ripetutamente nel corso del testo e decisivo nell'articolazione della proposta conclusiva, Balibar dedica il sesto capitolo. Cio' che il costituzionalismo moderno cerca di eludere, la manifestazione ricorrente di una conflittualita' che eccede le regole della rappresentazione, non puo' essere ignorato.
Non e' infatti possibile eliminare il rapporto che lega istituzione (di cittadinanza) e conflitto, ammette il filosofo. Si deve semmai riconoscere che il carattere costitutivamente conflittuale della politica realizza un equilibrio aleatorio che oscilla tra i due poli di una cittadinanza senza conflitto e di un conflitto senza istituzione. Proprio quest'oscillazione impedisce l'istituzione del conflitto come soluzione del problema e trascrive la storia della cittadinanza democratica come la storia delle evoluzioni da una regolazione ad un'altra che, a volte in modo progressivo, ampliano l'uguale liberta', a volte in modo regressivo, la riducono.
Negli ultimi due capitoli del testo, infine, Balibar volge piu' da vicino il suo sguardo all'attualita'. Sulla base di alcune analisi di Wendy Brown sulla teoria neoliberale, che sottolineano come essa estenda i criteri di redditivita' a spazi che la costituzione nazional-sociale considerava estranei al calcolo economico (istruzione, ricerca scientifica, qualita' dei servizi pubblici) e superi l'autonomia che il liberalismo classico conferiva alla sfera economica rispetto a quella politica, il filosofo francese descrive la nascita di una forma politica paradossale, in grado di neutralizzare ogni conflittualita' nel criterio dell'utilita' quantificabile e di controllare i soggetti attraverso la gestione dei loro spazi di liberta' in una dinamica di complessiva dedemocratizzazione di qualsiasi forma di cittadinanza attiva.
Questa, che appare un'evoluzione irreversibile, assume in molte analisi toni apocalittici: al neoliberalismo corrisponderebbe la fine di qualsiasi forma di politica, all'esaltazione di un'etica individualista lo smantellamento di qualsiasi istituzione di sicurezza sociale.
Piu' complessa la posizione di Balibar. Non e' possibile limitarsi a registrare la crisi, ne' si puo' continuare a discutere di inclusioni comunitarie ed esclusione interna, individualismo negativo e positivo e in generale degli effetti della posizione neoliberale, senza riferirsi alla crisi della rappresentanza nei sistemi politici contemporanei. Occorre cioe' ritornare alla questione fondamentale posta da Hobbes all'alba della modernita' politica: quella di una procedura collettiva di acquisizione della potenza nella forma del suo trasferimento o della sua comunicazione. Ma, invece che dall'alto, occorre porla dal basso, riaprendo la dialettica tra potere costituente e potere costituito, tra insurrezione e costituzione, se si vuole che la possibilita' di istituire la cittadinanza al di la' del monopolio politico statale renda produttivo il legame originario con il processo di acquisizione democratica, descritto lungo tutto il testo.
Sulla scorta delle analisi genealogiche con cui ha descritto il carattere insorgente della democrazia e in opposizione al funzionamento delle garanzie costituzionali, la provvisoria conclusione del filosofo francese si situa allora all'altezza della continua trasformazione delle pratiche di cittadinanza, tentando una sutura tra l'obiettivo negativo della resistenza e dell'opposizione ai regimi e alle legislazioni non democratiche – che pure e' momento decisivo del divenire della cittadinanza – e il momento positivo della continua invenzione democratica lungo un percorso costituente, perche' insorgente. Il risultato e' la descrizione di una funzione di movimento in cui l'insurrezione, aggredendo nuovi spazi di diritto, ha come contenuto forme di emancipazione collettiva.
In questo modo, sebbene piuttosto concisa, l'analisi che Balibar propone in Cittadinanza coglie al cuore uno dei problemi decisivi dell'attualita' politica. Particolarmente efficace risulta l'ipotesi alla base di tutto il lavoro, che definisce il carattere antinomico del rapporto che lega, costitutivamente, cittadinanza e democrazia. Altrettanto convincente la descrizione dell'attualita' politica (scissa tra l'opacita' della situazione istituzionale europea e la radicalizzazione di spazi di conflitto, della velocita' di comunicazione, di condivisione e di circolazione delle lotte per i diritti) come uno dei momenti in cui quella relazione e' particolarmente evidente.
Inevitabilmente piu' incerta la conclusione, per la sua natura di proposta non definitiva. E' infatti proprio registrando il dato di instabilita' descritto dalla sua analisi genealogica che Balibar cerca di elaborare un universale che dei diritti abbandoni il formalismo universalistico moderno. In questo senso egli propone di recuperare la nozione arendtiana di diritto ai diritti, estendendola pero' al di la' del campo limitato a cui era applicata. E cioe' passando da un'idea del potere costituito (per cui il diritto deriva dalla appartenenza ad uno stato nazione) a un'idea di potere costituente, in cui sia riaffermata la capacita' di rivendicare i propri diritti all'interno di uno spazio pubblico.
E' operazione evidentemente rischiosa quella di investire positivamente sull'intrascendibile elemento della conflittualita' che segna i rapporti politici per fondare una teoria della cittadinanza. E' aleatorio farlo descrivendo una funzione di movimento fondata sul carattere insorgente e conflittuale della democrazia, invece di elaborare la chiusura di un dispositivo formalmente coerente. Ed e' forse ancora piu' rischioso individuare come oggetto di questa operazione una pluralita' di pratiche di cittadinanza che aggrediscano spazi sempre maggiori di diritto, invece che elaborare una sintesi formalmente unitaria della potenza collettiva. Del resto, lavorare su dinamiche di cittadinanza collettive e plurali, ancorche' instabili e conflittuali, e' forse l'unico modo per evitare certe aporie del formalismo universalistico moderno.
6. LIBRI. DAVIDE DEL BONO PRESENTA "FANON POSTCOLONIALE. I DANNATI DELLA TERRA OGGI" A CURA DI MIGUEL MELLINO
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 4, n. 2 (2015)]
Miguel Mellino (a cura di), Fanon postcoloniale. I dannati della terra oggi, Ombre Corte, 2013, pp. 205.
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Il volume Fanon postcoloniale raccoglie gli interventi del convegno internazionale "I dannati della terra cinquanta anni dopo", svoltosi a Napoli nel maggio 2011. A partire da prospettive anche molto diverse, gli articoli condividono un obiettivo: interrogarsi sulla forza che il gesto di pensiero di Fanon conserva nel presente. Come scrive Miguel Mellino nella Presentazione, in gioco non e' una ricostruzione filologica dell'archivio fanoniano, ma la messa a tema del supplemento di significazione che ne garantisce, ancora oggi, la produttivita'.
Esso infatti – prosegue Iain Chambers nel saggio che apre la serie, Il ritmo del tempo: sempre Fanon – indica una delle ferite aperte dell'Occidente, una costante interruzione della sua temporalita' prodotta dall'irruzione di un ritmo e di un tempo altri. Un'irruzione, a lungo indicata da Fanon, che si riattualizza ogni volta che un soggetto colonizzato, elemento esterno alla soggettivita' europea, irrompe frantumandone la pretesa oggettivita' universale. Sulla linea della produttivita' di questa frantumazione lavorano gli interventi raccolti nel testo, che e' possibile ordinare attorno ad alcuni temi.
Anzitutto l'approfondimento dell'attualita' della prospettiva dell'autore martinicano.
In Leggere Fanon Renate Siebert paragona la Germania postbellica e l'Italia odierna. Negli anni '50 e '60 il movimento studentesco tedesco scopriva nella voce di Fanon una risorsa minore ma decisiva, in grado di contribuire alla decostruzione dell'eredita' nazista e razzista piu' infame ed invisibile e alla feroce critica antiautoritaria dell'elite postbellica, che sembrava bloccare le migliori speranze di un futuro riconciliato. Un'elaborazione della responsabilita' nei crimini nazifascisti che invece, nota Siebert, manca ancora oggi in Italia, dove riemerge, quotidiano, il rimosso razzista. Si comprende percio', conclude, l'utilita' dell'archivio fanoniano.
Da parte sua, Nigel Gibson, in London Calling, ne mette alla prova la tenuta (soprattutto rispetto alla questione della spontaneita' della rivolta) all'altezza delle insurrezioni inglesi del 2011. I riot di Londra confermano che il rischio della degenerazione per motivi futili e' vivo in ogni momento. Come insegnava Fanon, tuttavia, il potenziale di liberazione proprio ad ogni movimento si attualizza se si riconosce come obiettivo principale della rivolta la formazione continua della coscienza. Ad attendere ogni lotta, anche contemporanea, non e' percio' soltanto la liberazione materiale, ma soprattutto la liberazione delle coscienze dalle false credenze imposte dalla ragione coloniale.
In questo senso, come mostra Roberto Beneduce in Frantz Fanon. Un corpo che interpella, la produttivita' dell'archivio fanoniano per il presente consiste, paradossalmente, nell'impossibilita' di assegnarlo facilmente ad una delle sponde del dibattito contemporaneo, nell'assoluta appartenenza alla sua epoca. La decolonizzazione, che e' sempre insieme collettiva e singolare, politica e psichiatrica, esige infatti una sociodiagnosi e consiste percio' nel riconoscimento della precisa storicita' di una situazione culturale che informa la costruzione del se' e lo schema corporeo del soggetto. Per certi versi, continua Beneduce, Fanon non e' qui molto distante dal Foucault interessato alla comprensione delle forme storiche della soggettivita'. Proprio a partire da questa comprensione, allora egli scava un'archeologia sovversiva della struttura razzista del sapere occidentale, cercando di rovesciare il metodo con cui la scienza occidentale fonda un'oggettivita' che egli avverte sempre rivolta contro il colonizzato.
La questione della decolonizzazione del sapere e' approfondita dal saggio di Matthieu Renault, Fanon e la decolonizzazione del sapere, che, sottolineando il rischio di una impasse teorica, evidenzia la forza di un discorso decoloniale rispetto ad uno postcoloniale: decolonizzare non e' soltanto capovolgere o rifiutare le teorie occidentali, ma decentrarle e dislocarle, allontanarle e considerarne il ritorno. Secondo Renault, Fanon ha individuato alcune strategie politiche in grado di inaugurare variazioni di concetti tradizionalmente hegeliani (coscienza infelice, riconoscimento, desiderio) e di promuovere cosi' una fenomenologia e una critica decoloniali della ragione europea.
Diviene via via evidente come i contributi convergano nell'individuare nel presente la necessita' della pratica decoloniale inaugurata da Fanon, che molti riconoscono legata a doppio filo all'analisi della violenza.
E' il caso del saggio di Patricia Tuitt, Fanon, il diritto e la violenza assoluta, e di quello di Denise Ferreira Da Silva Per la critica della violenza razziale. In modo molto simile i due contributi individuano nella teoria della violenza un'eccedenza in grado di rompere la continuita' del diritto, e con essa lo spazio stesso della ragione europea. Secondo Tuitt cio' e' possibile perche' Fanon non sfugge al compito di nominare l'orrore, riconoscendo nella situazione coloniale la forma catastrofica capace di costringere la critica a riflettere sulla fine della storia e nella condizione di dannazione il punto di partenza di un'eccedenza, che ha i tratti della violenza assoluta, in grado di prescindere da restrizioni e condizioni sociali. Molto vicine le conclusioni di Da Silva. Il coloniale e' per Fanon cio' che eccede diritti e morale, cosi' come l'erotico lo era per Bataille e il divino per Benjamin. Tuttavia in questi casi e' ancora il maschile a significare la ragione sovrana. Al di la' di Fanon allora Da Silva propone il corpo colonizzato femminile come cifra dell'eccesso, come significazione in grado di fuggire l'assoggettamento coloniale e razziale veicolato dalle strutture giuridiche, economiche, globali attuali.
Due altri contributi affrontano il tema della violenza. Carla Pasquinelli, nel suo La fraternite'-terreur, mette a tema la possibilita' sempre latente del tradimento fratricida nel movimento di liberazione. Ricostruendo la legittimazione fanoniana della violenza, Pasquinelli nota come qualcosa rimanga sempre indisponibile alla rassicurante rappresentazione del gruppo in fusione. E' vero, infatti, che la condizione di dannazione e' l'avvio del ciclo del riscatto e che, a partire dalla serialita' del pratico-inerte, cioe' dalla soggezione coloniale del popolo, e' possibile un riconoscimento impossibile all'altezza di Pelle nera maschere bianche; nondimeno la lotta di decolonizzazione e' sempre esposta al tradimento dei fratelli coltelli, alla violenza della fraternite'-terreur. Ancora, l'articolo di Fabio Dei, Corpo, potere, violenza, sottopone la teoria della violenza di Fanon alla prova delle obiezioni mosse da Arendt. Esse si centrano sul carattere strumentale che per Arendt occorre assegnare alla violenza, che e' concettualmente distinta e superiore alla politica (sebbene spesso quest'ultima la utilizzi come mezzo), e criticano, da un lato, la necessita' che in Fanon lega azione violenta e decolonizzazione e, dall'altro, il tratto organicistico e vitalistico che la descrive. Sono critiche che colgono alcune debolezze di una prospettiva, che tuttavia ha il vantaggio di evidenziare il carattere strutturale che la violenza conserva nella costituzione dello spazio politico e dei soggetti colonizzati, possibilita' che sfugge ad una considerazione strumentale.
I contributi di Fred Moten e Paul Gilroy cercano di descrivere positivamente i tratti della liberazione. In Un respiro in affanno, il primo muove dalla valorizzazione della potenza invece che della debolezza del colonizzato: occorre pensare ai dannati non come prodotto di chi si e' stabilito come loro superiore inferiorizzandoli, ma del loro agire. Si deve ripartire dalla potenza, plasmata in stretto contatto con l'esperienza vissuta e la fatticita' della blackness; una concettualizzazione, nota Moten, che Fanon sempre suggerisce ma che mai riesce davvero a possedere. Il secondo, in La scelta di Fanon, si concentra invece sulla prospettiva umanista dell'autore che, sebbene a lungo criticata per il tratto naive e frammentario delle speranze affidategli, mostra una certa forza teorica. Senza pensare di valorizzare semplicemente il presupposto di un'essenza umana posta nell'interiorita' di un soggetto, la localizzazione del se' e dell'umano nell'oltrepassamento dell'Europa rimane suggestiva e utile di fronte all'incompletezza della decolonizzazione e all'altezza dell'attuale complicazione del razzismo (operata, su tutto, dall'influenza del discorso sui diritti umani e delle retoriche umanitarie).
Miguel Mellino in Testimoniare la catastrofe e Stefano Visentin in Trasformazioni della Verwandlung cercano invece di mettere in risonanza la riflessione di Fanon con altre correnti filosofiche novecentesche. Riconoscendo nel linguaggio apocalittico messianico e nella struttura formale dell'opera di Fanon una sorta di smontaggio, rimontaggio e risignificazione di passi entro contesti differenti, il primo le assegna un'attitudine modernista. Questa e' sfondo ad una teoria della testimonianza per certi versi simile a quella sviluppata da Agamben nelle sue riflessioni sui campi di sterminio: in entrambi i casi il luogo della testimonianza e' lo spazio aperto dall'impossibilita' di dire. Del resto, continua Mellino, se in Agamben la testimonianza si risolve nel dar voce, senza mai trascendere l'evento dell'alienazione, in Fanon essa prelude al momento del risveglio e della presa di coscienza rivoluzionaria.
Visentin, da parte sua nota, che rispetto al problema coloniale e' necessaria una distensione dei termini classici dell'analisi di Marx. In questo senso Fanon non capovolge l'analisi, ma la amplia: letteralmente, portando lo sguardo oltre i confini dell'Europa e, metaforicamente, complicando l'analisi dei modi in cui il capitale produce la sua valorizzazione. Nella colonia, l'espropriazione delle terre e la separazione di individui e mezzi di produzione che fonda l'accumulazione originaria non e' sostenuta da un discorso di tipo teologico morale, ma dalla dichiarazione biologica che assegna un rapporto esclusivo tra ricchezza e bianchezza. Inoltre, la compresenza di Verwandlung e Gewalt si da' nelle colonie senza alcuna forma di mediazione. Del resto, nota Visentin, l'assunzione del punto di vista parziale dei colonizzati apre all'interno delle dinamiche di sfruttamento peculiari della colonia lo spazio per un universalismo concretamente agito che sprigiona dalla forza dell'invenzione della ribellione.
A chiudere la raccolta e' Questione di sguardi. Du Bois e Fanon di Sandro Mezzadra, un contributo che funziona molto bene anche come conclusione del volume nel suo complesso. Ancora una volta il dialogo a distanza tra i due autori non ha come obiettivo la ricostruzione dell'influenza dell'uno sull'altro, ma la costruzione di un archivio tattico anticoloniale in grado di contribuire alla trasformazione del presente postcoloniale. All'origine dell'esperienza intellettuale di entrambi gli autori e' un processo di formazione della soggettivita', iscritto nella materialita' di processi di liberazione e di lotta, in cui la sovranita' dello sguardo si rovescia nel primato dell'essere guardati. Se Du Bois cercava allora di forzare i concetti di democrazia e cittadinanza, Fanon scommetteva sulle lotte anticoloniali per "inventare l'uomo totale". Un azzardo, ammette Mezzadra, come ogni politica rivoluzionaria.
Del resto, e' probabile che sia proprio il legame tra quell'azzardo e la soggettivita' defilata che lo fonda ad indicare la postura decoloniale che molti dei contributi del volume individuano come necessaria per l'attualita'. Radicata nell'irruzione di una temporalita' altra, essa infatti fonda la critica della logica coloniale propria della ragione (politica) occidentale. Una critica che il gesto di Fanon ha insegnato e che e' in grado di disinnescare l'intrinseca violenza di discorsi che, sebbene spesso posti nei termini dell'universale, strutturano logiche di esclusione gerarchica che amputano alcuni uomini della loro umanita'.
7. NUGAE. CINQUE RACCOLTE DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: "IL CUGINO DI MAZZINI", "DUE DURE STORIE", "STORIE NERE DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE", "PAESANI" E "LO SCRITTORE DI ROMANZI GIALLI"
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) cinque raccolte di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie", "Due dure storie. Rieducare gli educatori e Il delitto della principessa di Ebla", "Storie nere dall'autobiografia della nazione", "Paesani" e "Lo scrittore di romanzi gialli. Ed altre tristi e triste storie".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverle puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarle.
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, Laterza, Roma-Bari 1965, 1976, pp. LXVIII + 380. A cura e con un'introduzione di Eugenio Garin.
- Antonio Labriola, Scritti politici 1886-1904, Laterza, Roma-Bari 1970, pp. 528. A cura di Valentino Gerratana.
- Antonio Labriola, Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, Roma 1964, 1977, pp. 528. A cura di Valentino Gerratana e Augusto Guerra.
- Antonio Labriola, Scritti di pedagogia e politica scolastica, Editori Riuniti, Roma 1961, 1974, pp. 306. A cura di Dina Bertoni Jovine.
- Antonio Labriola, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Newton Compton, Roma 1972, 1975, pp. 160. Introduzione di Giuseppe Bedeschi, note di Ascanio Cinquepalmi.
- Antonio Labriola, In memoria del Manifesto dei comunisti e traduzione di Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Newton Compton, Roma 1973, pp. 144. Introduzione di Umberto Cerroni.
- Sergio Bruzzo, Il pensiero di Antonio Labriola, Laterza, Bari 1942, pp. 124.
- Luigi Dal Pane, Profilo di Antonio Labriola, Giuffre', Milano 1948, pp. 128.
- Renzo Martinelli, Antonio Labriola 1843-1904, Editori Riuniti, Roma 1988, pp. 168.
- Stefano Poggi, Antonio Labriola, Longanesi, Milano 1978, pp. 192.
- Stefano Poggi, Introduzione a Labriola, Laterza, Roma-Bari 1982, pp. IV + 156.
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
10. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4095 del 5 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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