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[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 68
- Subject: [Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 68
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- Date: Sat, 1 May 2021 07:20:29 +0200
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 68 del primo maggio 2021
In questo numero:
Stefano Miccolis: Antonio Labriola
MEMORIA. STEFANO MICCOLIS: ANTONIO LABRIOLA
[Dal Dizionario biografico degli italiani, vol. 62, 2004, nel sito www.treccani.it]
Antonio Labriola nacque a Sangermano (l'odierna Cassino) il 2 luglio 1843, da una "famiglia patriottico-liberale" (scriveva egli stesso a Friedrich Engels il 14 agosto 1891) di modeste condizioni economiche ma di piu' che dignitoso livello culturale. Il padre, Francesco Saverio (1809-74), fu cultore di archeologia e docente di lettere nei ginnasi; la madre, Francesca Ponari (1808-90), era imparentata con la nobile famiglia De Vio di Gaeta. Allo zio, Gaetano Labriola (1820-77), ascriveva d'averlo "allevato e istruito nella sua infanzia" (Carteggio, I, p. 606) e di certo compi' i suoi studi secondari nel collegio dell'abbazia di Montecassino; dove (secondo C. Fiorilli) ricevette "la prima educazione a filosofare" dall'abate S. Pappalettere, uomo di sentimenti liberali. Raccomandando senza esito (23 luglio 1861) il diciottenne L. a F. De Sanctis ministro della Pubblica Istruzione, A. Tari lo presentava come "un valoroso giovane, cultore e speranza della nostra filosofia" (Carteggio, I, p. 3).
Nell'autunno 1861 la famiglia si trasferi' a Napoli, per consentire al L. di frequentare l'Universita'. In una lettera di presentazione a B. Spaventa, rimasta in abbozzo tra le sue carte, A. Tari gli attribuiva una "intelligenza decisamente filosofica", e "una ferrea volonta' di studiare [...] conosce gia' originalmente Aristotile, Spinoza, Kant; e divora e si assimila quanto di Hegel gli capita alle mani" (La Critica, 1910, p. 214). Fiorilli, amico di quegli anni napoletani, diceva di lui che "sapeva benissimo di greco e di latino", che "aveva imparato il tedesco leggendo giornali e riviste di quella nazione", e che "andava all'Universita' quasi esclusivamente per le lezioni di B. Spaventa; con lui entrava e con lui usciva dall'aula, e quasi sempre accompagnava a casa il Maestro". Non risulta che il L. abbia conseguito la laurea: di certo non fa riferimento a essa tutte le volte che produce i suoi titoli al ministero. Con tutta probabilita', le disagiate condizioni economiche della famiglia lo costrinsero a trovare una qualsiasi forma di occupazione retribuita. Spinto dalle "privazioni piu' dure", al fine di "vivere senza arrossire, e studiare coscienziosamente", tento' senza riuscirvi, tra l'agosto 1862 e il marzo 1863, di ottenere un posto di bibliotecario a Napoli. Per interessamento di Silvio Spaventa, sollecitato dal fratello Bertrando (13 giugno 1863) a soccorrere quel "giovane di moltissimo ingegno" (che vive "in una miseria spaventevole"), il L. fu nominato (con decreto 13 dicembre 1863) applicato di pubblica sicurezza presso la questura di Napoli; in una nota autografa, segnata su di una lettera indirizzatagli dal padre (27 dicembre 1863), S. Spaventa scriveva di averlo "raccomandato molto" al marchese R. D'Afflitto, prefetto della citta'. Il L. accetto' l'impiego (doveva occuparsi di brigantaggio), ma col fermo intento di poterlo conciliare con lo studio, "ed affrettare così gli elementi per domandare con piu' ragione" a B. Spaventa "l'adempimento delle sue promesse" (Carteggio, I, pp. 30 s.).
Due mesi prima era cominciata la relazione sentimentale (ed epistolare) con Rosalia von Sprenger (1840-1926), una tedesca di confessione evangelica, maestra alla "scuola Garibaldi" (asilo e scuole elementari, aperte subito dopo la cacciata dei Borboni presso la chiesa di Scozia), "donna di forte spirito e d'animo elevato" (scrive il L. a Engels il 29 dicembre 1892), che sposo' il 23 aprile 1867 e fu la compagna della sua vita.
Il L. visse il "meschinissimo impiego" alla questura in uno stato di "profonda scontentezza"; l'aveva "accettato solo a titolo di provvisorio", e nutriva risentimento verso chi (B. Spaventa) "poteva (o doveva!) pensare" a lui, ma non si adoperava per mutare la sua "trista posizione" (Carteggio, I, pp. 84, 120, 128). Conseguito nel settembre 1865 il diploma di abilitazione per materie letterarie nel ginnasio inferiore, insegno' nel ginnasio dell'ex seminario (1865) e poi al Principe Umberto (1866-71), impartendo anche lezioni nell'istituto privato di D. Borselli e presso la scuola tedesca di Napoli.
La "educazione (rigorosamente) hegeliana" (a Engels, 14 marzo 1894) ricevuta alla scuola di B. Spaventa traspare da due suoi scritti, rimasti a lungo inediti: Una risposta alla prolusione di Zeller, datato 3 maggio 1863 (e' un lapsus calami il 1862 appostovi dal L.); e Della relazione della Chiesa allo Stato, non datato, ma collocabile nel 1864-65. Nel primo il L. si pronunciava contro il ritorno a Kant propugnato dal gia' hegeliano E. Zeller nella sua prolusione (Significato e compito della teoria della conoscenza) dell'ottobre 1862, sostenendo il principio della "immanenza dell'Ideale in ogni esplicazione Storica", insomma la coincidenza fra ragione e realta', in modo che la scienza sia "consapevole ed intima contemplazione della vita reale dell'Universo" (Opere, I, p. 47). Nel secondo il L. definiva lo "Stato vero" "tutta la sostanza etica d'un popolo", nel quale la Chiesa, in quanto istituzione della societa' civile, "non puo' stare che in una relazione di subordinazione".
Negli anni 1866-67 cade la redazione di una memoria su Origine e natura delle passioni secondo l'Etica di Spinoza, anch'essa rimasta inedita e pubblicata postuma. Nel concetto spinoziano di sostanza il L. vedeva "un progresso immenso sul dualismo cartesiano" e "una vittoria completa sopra ogni presupposto di trascendenza" (Opere, I, p. 63); Spinoza aveva raccolto e compreso il programma di Shakespeare (una delle sue letture giovanili preferite), che, "quasi altro Colombo", aveva saputo mostrare "come partendo dall'uomo si possa tornare all'uomo" (ibid., p. 120). Il L. non ne allego' copia nella domanda (8 aprile 1873) per il concorso di Roma, "perche' non ci ten[eva] punto" (Carteggio, I, p. 321); ma nel 1897 confesso' di aver saputo in giovinezza "a memoria gli scritti" di Spinoza, e di averne esposto la teoria degli affetti e delle passioni "con intendimento d'innamorato" (Discorrendo, p. 53). Nella stessa pagina diceva di aver vissuto "per anni con l'animo diviso fra Hegel e Spinoza".
Il L. collocava la crisi del suo hegelismo nel 1869, quando (scriveva a B. Croce il 2 gennaio 1904) "ero gia' fuori di quell'ordine d'idee e mi preparavo a comporre quel lavoro su Socrate che apparve poi nel 1871". Il suo Socrate, in effetti, ricostruito secondo la testimonianza di Senofonte, non e' l'hegeliano creatore del principio della soggettivita' (che a suo avviso era un "cardine della speculazione moderna", "legittima conseguenza del Cristianesimo"), ma un educatore della coscienza morale, teso a mettere chiarezza nel mondo etico quotidiano. Una figura dalla spiccata vocazione pedagogica, "ne' un rivoluzionario ne' un ozioso ricercatore", che col suo incalzante interrogare aveva contribuito alla formulazione di concetti sempre piu' "coscientemente appresi e pensati" (Opere, II, pp. 98, 35, 75). Una figura molto congeniale a uno come il L., che avrebbe confessato a Engels (9 novembre 1891) di "essere per natura piu' inclinato a parlare che a scrivere" ("son sempre un po' socratico nella mia vocazione!"). Esplicito e', nel Socrate, il debito verso l'herbartiano L. Struempell, ed evidenti le suggestioni della Voelkerpsychologie di M. Lazarus e H. Steinthal, diffusa da G. Lignana ma anche oggetto di interesse da parte di B. Spaventa.
Nell'estate del 1871, conseguita (19 agosto) la libera docenza in filosofia della storia nell'ateneo napoletano, il L. inizio' un'intensa attivita' giornalistica, inviando (settembre 1871 - dicembre 1872) corrispondenze sulla situazione politica italiana al quotidiano svizzero Basler Nachrichten e collaborando (autunno 1871) ai quotidiani Il Piccolo e Gazzetta di Napoli: giornali che facevano capo all'Unione liberale, un'associazione di moderati in polemica con il prefetto D'Afflitto, che aveva il suo leader in R. De Zerbi, direttore del Piccolo. L'Unione liberale propugnava il superamento della dialettica risorgimentale tra Partito d'azione e Destra storica, attraverso la costituzione di un terzo partito di centro, piu' attento alla buona amministrazione. Tramontato questo disegno gia' nel dicembre 1871, il L. entro' (febbraio 1872) nella redazione dell'Unita' nazionale, il quotidiano diretto da R. Bonghi e voluto da D'Afflitto per contrastare piu' efficacemente la sinistra napoletana e i dissidenti dell'Unione. Gli articoli (non firmati) del L., sia nella stampa napoletana, sia, piu' tardi (autunno 1874), nel quotidiano moderato Monitore di Bologna, attendono una individuazione piu' filologicamente avveduta e convincente. Nessun dubbio, invece, sulla paternita' delle dieci Lettere napoletane che il L. invio' alla Nazione di Firenze nel giugno-luglio 1872: un ritratto molto vivace, talvolta impietoso, della mentalita' collettiva e dei costumi politici della citta'. Allo scarso senso civico della popolazione, e alla politica esercitata da una stretta schiera di mestieranti, convinti di essere "tanti Machiavelli", si aggiungevano pero' "i danni arrecati" a Napoli dalla perdita dello status di capitale, e "l'insufficienza governativa" (che aveva "spesso dato di se' pruova in questa citta' come in nessun'altra d'Italia"). Nell'autunno 1871 il L. decise di abbandonare il "penoso lavoro" di insegnante nei ginnasi, che non lo avrebbe condotto "ad alcuna carriera" (Carteggio, I, p. 249). Chiese e ottenne l'aspettativa senza stipendio per un anno, vivendo di collaborazioni giornalistiche e lavori occasionali di ricerca archivistica. Scartata, per motivi economici, nell'ottobre 1872 la proposta di Bonghi di divenire redattore della Perseveranza, dedico' l'anno successivo alla preparazione del concorso per la cattedra di filosofia morale e pedagogia dell'Universita' di Roma; risultato vincitore, con r.d. del 23 gennaio 1874, tenne quell'insegnamento fino al 1902, quando passo' (con r.d. 7 luglio) a filosofia teoretica.
Del 1873 sono due suoi saggi, Della liberta' morale e Morale e religione, stampati per il concorso. Confessava d'avere scritto il primo (dedicato ad A. Graf) "in gran fretta" (Carteggio, I, p. 333); nella presentazione diceva di essersi attenuto "alla psicologia ed all'etica dell'Herbart", ma di non voler per questo "chiuder[si] in un sistema, come in una sorta di prigione". Seguirono altri due lavori: Dell'insegnamento della storia (1876) e Del concetto della liberta'. Saggio psicologico (1878), ospitato dall'Archivio di statistica di L. Bodio. Nel novembre 1877 il L. fu nominato direttore del Museo d'istruzione e di educazione, struttura voluta (1874) da Bonghi a sostegno dell'istruzione elementare, per "offrire al Ministero criteri comparati su la legislazione" (Carteggio, I, p. 622). L'attivita' dell'istituto (conferenze pedagogiche annuali, ricerche coordinate dal L. sulla scuola popolare e l'insegnamento secondario privato in diversi paesi) fu intensa fino al febbraio 1881, quando G. Baccelli lo aggrego' alla cattedra di pedagogia all'Universita' di Roma, privandolo della sua biblioteca. Il Museo sopravvisse per un decennio, fino alla soppressione decretata (settembre 1891) da P. Villari.
Nel 1887 ottenne l'incarico, cui tenne sempre moltissimo, di filosofia della storia. Ne stampo' la prolusione (28 febbraio) con il titolo I problemi di filosofia della storia.
Il L., che si muoveva nell'orizzonte teorico herbartiano, criticava le visioni totalizzanti e "monistiche" (l'hegelismo e l'evoluzionismo spenceriano), negando la possibilita' di una "storia universale" come svolgentesi in modo astrattamente unitario. Affermava la molteplicita' dei "centri primitivi di civilta'", e indicava nella teoria "epigenetica" la capacita' di cogliere le differenze qualitative delle "neo-formazioni", contro ogni inverosimile "preordinazione germinale"; rifiutava l'uso dell'idea di progresso a mo' di "regolativo d'interpretazione" (perche' nella storia era dato di vedere anche il "regresso"), e - difendendo la "peculiarita'" della storiografia - definiva la filosofia della storia "una semplice ricerca su i metodi, su i principii e sul sistema delle conoscenze storiche".
Il sentire politico del L. non muto' per tutti gli anni '70. Gli anni di governo della Sinistra furono da lui vissuti, non diversamente da S. Spaventa e dagli altri irriducibili della Destra storica, come una caduta sostanziale del livello etico-politico, come degenerazione progressiva dello Stato a strumento di potere di una parte. Osservava Croce (1904) che "in quel suo antico conservatorismo" c'era "molto radicalismo da intellettuale"; e una certa influenza sul suo "spirito critico, riflesso, e ragionativo" (ad A. Fratti, 28 agosto 1889) dovette averla il concetto - mutuato dal socialismo giuridico (del quale si interesso' negli anni 1883-85) - dell'utilita' sociale come misura della validita' degli istituti giuridici. Il distacco pubblico dalla Destra storica avvenne nella primavera del 1886, quando tento' di candidarsi alle elezioni politiche nel secondo collegio di Perugia (che comprendeva Foligno, Spoleto, Terni e Rieti).
Cosi' sintetizzava la sua posizione in una lettera (8 aprile 1886) a G. Carducci: "Radicali e progressisti dovrebbero accordarsi nel combattere il governo personale che mena alla reazione, e per ricondurre il parlamento alla sua vera funzione". Gli sembrava che occorresse ristabilire una chiara dialettica politica, e costruire quindi una "opposizione ben definita" al trasformismo del Depretis. Gli si frapponevano (insieme con gelosie e rivalita', che ebbero la meglio) "due difficolta'": d'essere "meridionale, ed amico dell'on. Spaventa" (alla prima non poteva "portar rimedio. Della seconda mi onoro altamente"); e aggiungeva con orgoglio di non essere "creatura di nessun partito" (Carteggio, II, pp. 332 s.).
La mancata candidatura non attenuo', nel triennio 1887-89, l'impegno democratico del L., che a Fratti si dichiarava (27 agosto 1888) "radicale non repubblicano, e socialista sereno".
Tenne discorsi pubblici contro la conciliazione tra Stato e Chiesa (all'Universita' di Roma, 12 giugno 1887), e per l'organizzazione di un grande partito democratico, fautore della sovranita' del Parlamento e delle autonomie comunali (a Terni, 16 dicembre 1888); peroro' con fervore l'esigenza di una rinnovata "scuola popolare"; per alcuni mesi (1888) presiedette la sezione romana dell'associazione irredentista Giovanni Prati; commemoro' Garibaldi, caldeggio' l'erezione di monumenti a Mazzini e Giordano Bruno; fu attivo socio del Circolo radicale di Roma, del quale divenne (1889) vicepresidente. Condenso' la sua visione politica in una lettera aperta (14 novembre 1887) ad A. Baccarini, nella quale definiva giusta e legittima "la lotta contro il trasformismo", per "ristabilire la retta funzione del Governo parlamentare". Affermava, dichiarandosi "teoricamente socialista", la necessita' "di ripigliare le vie legali della sovraeminenza dello Stato sulla Chiesa" (in modo che "la formula di libera Chiesa in libero Stato, che per un certo rispetto e' una finzione, per un altro rispetto non diventi minaccia di gravi pericoli"); e di avviare una opportuna "politica sociale", a cominciare dalla "assistenza legale" per gli inabili al lavoro. Problema, questo della prevenzione degli infortuni sul lavoro, sul quale reintervenne nell'autunno 1889 (Carteggio, II, pp. 517-519).
Ando' incontro a un secondo insuccesso pratico, quando (novembre 1889) tento' di candidarsi alle elezioni comunali di Roma; e pochi mesi dopo ruppe definitivamente con la democrazia radicale. In una lettera aperta a E. Socci, presidente del Circolo radicale (Proletariato e radicali, 5 maggio 1890), il L. affermava esserci "deciso distacco" fra "politica borghese e socialismo (due periodi distinti della storia!)"; ai "radicali politici" riconosceva la funzione di garantire "le generali condizioni di liberta'", ma il proletariato non poteva che "fidare unicamente in se stesso", organizzandosi in "partito di lavoratori". Ad abbracciare le nuove idee lo avevano condotto (cosi' nella conferenza Del socialismo, giugno 1889) "il disgusto del presente ordine sociale, e lo studio diretto delle cose"; ma si diceva convinto che "le nuove forme" potessero "innestar[si] sul comune tronco delle istituzioni liberali".
A partire dal 1890 - anno in cui inizio' la sua corrispondenza con Engels e con Filippo Turati - il L. e' disposto a battersi per il "partito operaio": purche' cio' significhi "preparazione alla democrazia sociale, cioe' ad un nuovo diritto, ad una nuova morale, ad una nuova forma di famiglia e di stato, ad una nuova civilta' in somma" (a C. Prampolini, primo giugno 1890). La collaborazione con Turati fu intensa per tutto il 1890 e porto' alla stesura dell'indirizzo di saluto dei socialisti italiani al congresso di Halle (ottobre) della socialdemocrazia tedesca. Ma il suo temperamento "estremo" e la sua morale risentita mal si conciliavano con i compromessi e le necessarie mediazioni della vita politica. Il L. - "acutissimo critico politico, ma appunto per questo ignaro della pacatezza di un politico vero" (Fubini) - non accettava la linea "ecumenica" e prudente di Turati, che si preoccupava di assicurare alla Critica sociale un largo pubblico ed era incline a tener conto dei ritardi storici e dell'immaturita' politica del ceto operaio. Il L. tacciava di "fazioni di politicanti" sia i "legalitari" (deputati e cooperative) adusi a pratiche compromissorie del governo, sia gli ingenui "antilegalitarî" (gli anarchici), ai quali pure riconosceva la buona fede.
Indirizzava lunghe lettere a Engels (a partire dall'estate 1892, si servi' come tramite dello svizzero-polacco Adam Maurizio, al quale inviava - avvertiva Engels il 28 ottobre 1892 - "chilogrammi di giornali, opuscoli, fogli volanti, [...] commentando il tutto con note, chiose, dichiarazioni e biografie"), piene di notizie dettagliate su fatti e uomini del movimento operaio, convinto di fare opera "internazionalistica": come "relazioni, che tengan luogo dei giornali socialisti, i quali in Italia mancano; o non son degni d'esser presi sul serio" (a Engels, 31 luglio 1891). Il contrasto si accentuo' con l'approssimarsi del congresso di Genova (agosto 1892): il L. preferiva un partito piccolo, ma rigoroso nel perseguire il disegno strategico della conquista dei pubblici poteri, ed esemplato su quello tedesco; e rifiutava l'"ecletticismo" di Turati, da lui tacciato di "ambiguita'" e incoerenza. Non ando' a Genova, dove pure i socialisti si distinsero alla fine dagli anarchici, e sottovaluto' l'importanza di quel congresso; pur riconoscendo (a Turati, 22 agosto 1892) che vi si era data "l'avviata a un partito per lo meno embrionale". Preferi' mettersi a "scriver libri", perche' mancava "all'Italia mezzo secolo di scienza e di esperienza degli altri paesi", e bisognava "colmare questa lacuna" (a Engels, 3 agosto 1892).
Si dedico' all'intento con passione e scrupolo filologico, raccogliendo in pochi anni la piu' ricca biblioteca di scritti di Marx ed Engels e sul socialismo: la sua biblioteca (scriveva con orgoglio a Turati, 22 agosto 1892) era "a Roma la seconda dopo quella del Bonghi".
Dopo lungo meditare, ed esitare ("Temo la taccia d'incompetente", confidava a Engels, 2 settembre 1892), dette forma, nell'aprile 1895, al saggio In memoria del Manifesto dei comunisti, del quale (come dei successivi) si fece editore B. Croce. L'iniziale disegno, inteso a "popolarizzare le idee del socialismo scientifico" (a Engels, 3 novembre 1891), si converti' in una succosa e "aristocratica" interpretazione del pensiero di Marx. In uno stile asciutto e denso, che nulla concedeva alla retorica e al volgare sentimentalismo, il L. individuava il nocciolo della nuova ("nostra") dottrina nell'avere il comunismo trovato la "coscienza della sua propria necessita'": di essere cioe' "l'esito" risolutivo della societa' dei "paesi piu' progrediti", scossa dalle lotte di classe, appunto in forza delle "leggi immanenti al suo proprio divenire". Il Manifesto era "la rivelazione scientifica e meditata del cammino" percorso dalla "nostra societa' civile", che enunciava "nel fatto la necessita' del fatto stesso"; la sua "previsione" era, "non cronologica, di preannunzio o di promessa", ma "morfologica". In questo, che e' stato definito il piu' hegeliano e "piu' fiduciosamente socialista dei suoi saggi" (Zanardo), non mancavano peraltro il richiamo alle difficolta' della rivoluzione proletaria, l'invito a non "abusare" del termine "scienza" (e a intenderlo anzi "con la debita discrezione") e a non vivere di aspettazioni ravvicinate ("L'acquisizione della Terra al comunismo non e' cosa del domani"). La riflessione del L. - che sosteneva la necessita' di una "assimilazione secondo l'angolo visuale del cervello nazionale" (a K. Kautsky, 23 marzo 1896) - continuo' con il saggio Del materialismo storico (1896). Nel quale invitava a non considerare gia' conclusa l'elaborazione della dottrina e a respingere ogni sua semplificazione "verbalistica" (la riduzione a puro determinismo economico del "multiforme e complicatissimo intreccio" della natura e della storia); la storia - diceva - "bisogna intenderla tutta integralmente", perche' in essa (goethianamente) "nocciolo e scorza fanno uno". Il materialismo storico non era una "nuova filosofia della storia [...] schematica, ossia a tendenza e a disegno", ma "soltanto un metodo di ricerca e di concezione", che non andava utilizzato per spiegare meccanicamente l'"universo scibile".
Nell'estate del 1896 il L. pervenne a una convinzione che il 24 settembre comunico' a E. Bernstein: che, cioe', lo sviluppo del socialismo avrebbe vissuto "una pausa relativamente lunga", e che ci sarebbe stato uno "spostamento" del mercato capitalistico dall'Atlantico al Pacifico. E poco prima (31 agosto 1896), scrivendo a R. Soldi del "lungo periodo di crisi" nel quale sarebbe entrato il socialismo, aveva aggiunto: "Le stesse teorie marxistiche (parlo delle vere) sono oramai in parte inadeguate ai nuovi fenomeni economico-politici dell'ultimo ventennio". Quel pessimismo di cui erano intrise le sue valutazioni, spesso aspre, del socialismo italiano, adesso coinvolgeva le prospettive politiche del movimento operaio internazionale, bisognoso a suo avviso di liberarsi dalle molte scorie di "utopismo" e attese "fantasiose".
Questa riflessione costituiva il momento culminante del terzo saggio, Discorrendo di socialismo e di filosofia (1897), nel quale dialogava sotto forma di lettere con G. Sorel. Ai socialisti occorreva "misurare le resistenze del mondo effettuale", prender atto dei mutamenti e della "enorme complicazione del mondo attuale", e smetterla di ritenere (in modo dottrinario) che "le idee proclamate per se' eccellenti" possano applicarsi "difilato al concreto" o siano "buone per ogni tempo e luogo", non potendo il futuro "costituire il criterio pratico di cio' che noi dobbiamo fare al presente". I Saggi erano la prima, meditata e originale (anche perche' sostenuta da una solida formazione intellettuale), interpretazione europea del pensiero di Marx; e avrebbero contribuito a produrre - grazie anche alla loro immediata discussione, che coinvolse Croce e Gentile - quel rinnovamento e rinvigorimento della filosofia (come della storiografia) italiana, che caratterizzo' i primi decenni del Novecento.
Pur lontano dalla vita del neonato partito (non metteva "piu' piede in una riunione romana" - scriveva ad A. Costa il 27 maggio 1894 - dal primo maggio 1891), il L. ne seguiva con grande e minuta attenzione le vicende; ne' mancava di far puntualmente sentire la sua voce, nei momenti di piu' acuta tensione politico-sociale.
Dette il suo contributo, sia pure in forma riservata, allo scoppio (1893) dello scandalo della Banca romana; redasse un manifesto (agosto 1893), in risposta alle manifestazioni sciovinistiche contro la Francia suscitate dall'eccidio di operai italiani ad Aigues-Mortes; dopo un'iniziale valutazione negativa, segui' con entusiasmo il movimento dei Fasci siciliani, da lui ritenuto "il primo atto" del socialismo italiano (a R. Fischer, 12 novembre 1893), nel quale "la massa proletaria" aveva manifestato "la coscienza di classe oppressa" (a P. Iglesias, 9 aprile 1894). A tenerlo distante dalla militanza contribuivano l'irrequietezza e l'impuntatura temperamentale, ma anche l'irritazione per lo spazio che Turati concedeva al "ciarlatano" A. Loria, e il partito (ma persino il Vorwaerts, che lo volle come corrispondente retribuito) al vanitoso e vuoto E. Ferri ("un uomo senza angoli", come lo definiva a Luise Kautsky, 10 marzo 1895). Se, delegato dalla sezione socialista di Napoli, partecipo' al congresso dell'Internazionale di Zurigo (agosto 1893), fu soprattutto per incontrare Engels.
A Milano, del resto, non vedevano di buon occhio quel filosofo ipercritico, che dava lezioni di intransigenza al caffe' Aragno, piuttosto che contribuire alla costruzione del partito. Quando la repressione di Crispi si abbatte' sugli anarchici, fu pero' il L. a sostenere che non fosse il caso di "perdersi in vane e astiose discussioni contro i radicali e democratici" (a Engels, 27 luglio 1894). I fatti, nell'occasione, gli dettero ragione: estesasi nell'autunno la repressione ai socialisti, furono i "compagni milanesi" a mutare lo scontro con i radicali in stretta politica di alleanza elettorale.
Nel novembre 1896 il L. tenne il discorso inaugurale all'Universita' di Roma (L'universita' e la liberta' della scienza), che suscito' violente polemiche. Croce, che se ne fece pronto editore (per pubblicarlo sull'Annuario erano state richieste modifiche dalle autorita' accademiche), lo defini' nella premessa uno "dei piu' elevati che si sieno mai sentiti nelle aule delle universita' italiane". Nel suo consueto stile incisivo, il L. affermava l'insopprimibile liberta' dell'insegnamento ("Lo Stato, che definisce la scienza, e' gia' una Chiesa"); invitava gli studenti a intendere la serieta' del "lavoro" scientifico (che "non e' improvvisazione"), augurando loro di vivere in un'Italia culturalmente cresciuta e "dalla moltiplicata potenza economica". A suscitare la reazione irritata del ministro dell'Istruzione E. Gianturco (e della stampa governativa), fu soprattutto l'accenno antifrastico alla politica delle "pitoccate alleanze" (la Triplice), e alle "imprese fantasticamente avventurose, che terminano poi in atti di prudenza che paiono vilta'", con riferimento all'avventura africana (Adua) e all'atteggiamento rinunciatario del Rudini'. Quella disfatta militare (con la conseguente "prostrazione morale") ritornava - insieme con il tema della vilta' - nel discorso Per Candia (27 febbraio 1897), dove compariva in forma esplicita il punto di vista dell'ultimo L. (che nel 1890 aveva proposto per l'Eritrea, "terra ancora libera da ogni titolo di diritti storici e stabiliti", un "esperimento di socialismo pratico", nella forma di cooperative agricole) sulla politica coloniale: la "conquista" della Tripolitania (da sottrarre ai "Turchi micidiali") era per l'Italia "legittima" (come dovunque "non sono nazionalita' vitali"), oltre che "indicatissima": "Noi abbiamo bisogno di terreno coloniale" ("duecentomila proletari all'anno emigrano dall'Italia"); e i socialisti "ricordino che non ci puo' essere progresso nel proletariato, la' dove la borghesia e' incapace di progredire". A questa linea il L. si attenne nei successivi interventi di politica internazionale: sulla questione cinese (29 luglio 1900: "l'Italia non puo' volontariamente sequestrarsi dalla storia"), come nell'intervista sulla Questione di Tripoli (13 aprile 1902: quel territorio, rimasto disponibile, del Nordafrica come sbocco alla sovrapopolazione, addirittura come una "nuova Italia"), essendo ormai in lui solida la convinzione che la "sempre piu' acuita concorrenza" delle "nazioni civili" sarebbe stata per un pezzo "condizione di relativo progresso", "finche' non s'avveri il socialismo" (Scritti politici, pp. 472 s.). Dal 1897 (ma l'avversione risaliva almeno agli anni dell'impegno democratico) al 1902 cambiava solo il giudizio sulla Triplice: da impaccio e insopportabile freno delle mire italiane, a garanzia dell'equilibrio europeo: di pace, o almeno di "non-guerra" (ibid., p. 495).
Tale posizione si comprende meglio, se si tiene conto che il L., come disse G. Sorel, era, "in una misura molto larga, sotto l'influenza dei sentimenti che dominarono nell'eta' del Risorgimento"; il che spiega anche perche' si dichiarasse senza esitazione (maggio 1896) per l'indipendenza della Polonia, in polemica con Rosa Luxemburg e in dissenso dall'atteggiamento scettico e incerto assunto nella circostanza da Turati.
Il L. sostenitore della compatibilita' tra socialismo e "interessi nazionali" aveva accompagnato, se non preceduto, gli articoli nei quali Bernstein aveva dato l'avvio (autunno 1896) alla sua revisione del pensiero di Marx. In una nota al Discorrendo (p. 152), li aveva definiti "ingegnosi", giudicando poi "volgari" gli "ammaestramenti" impartiti da G.V. Plechanov a Bernstein, perche' intrisi di "sovrano disprezzo dell'odierna filosofia tedesca", e passibili di "rendere ridicolo di fronte al mondo intero il socialismo scientifico" (a Kautsky e a Bernstein, 8 ottobre 1898). Che la sua "posizione rispetto alla dottrina" fosse "alquanto critica", lo aveva gia' scritto a Kautsky il 10 settembre 1896; di se stesso diceva di essere "uno spirito alieno da ogni religione, ortodossia, fanatismi, etc." (a Croce, 3 marzo 1898), e di non essere stato "mai, ne' ripetitore, ne' glossatore di Marx" (a L. Bissolati, 28 maggio 1899). Non sopportava poi che molti considerassero il marxismo "una nuova forma di onniscienza": "Questa gente non capisce che, anche se sono buoni marxisti, per poter parlare di storia, filosofia, etc., devono studiare tutto dal principio, come tutti gli altri uomini. Un giovane Marx nel 1898 si metterebbe con modestia a studiare la logica in Wundt" (a Kautsky, 8 ottobre 1898). Cio' nonostante, rifiuto' di avallare la "crisi", fino al punto di ipotizzare un "complotto internazionale" che la utilizzasse come pretesto (a Croce e a Luise Kautsky, 5 aprile 1899).
Il fatto e' che manteneva distinto il livello teorico da quello della applicazione pratica: il marxismo non perdeva di validita', sia pure nel "tempo indefinito"; subiva un arresto sul terreno politico, ma cio' non faceva che "confermare il materialismo storico" (a Croce, 8 gennaio 1900). In Germania la cosa era seria, perche' li' c'era stata una vera compenetrazione tra movimento operaio e marxismo: percio' riteneva (e l'aveva comunicato a Bernstein) che la "correzione" si dovesse fare "prudentemente e opportunamente dentro il partito stesso, e dentro i limiti del marxismo come dottrina progressiva" (a Luise Kautsky, 5 aprile 1899). Il dibattito sulla "crisi" ebbe tra gli altri come suoi protagonisti l'ex anarchico F.S. Merlino, T.G. Masaryk, e quel "letterato" dilettante di Sorel ("non sa una parola di tedesco" e "non ha studii speciali di economia": a Croce, 31 maggio 1898), che per vanita' era arrivato "ad occupare militarmente un gran numero di riviste", e funzionava da "tromba internazionale" dell'antimarxismo (a Luise Kautsky, 5 aprile 1899). Discutendo in modo piu' meditato della "crisi" e analizzando (giugno 1899) le tesi di Masaryk, il L. affermava la possibilita' di essere "seguaci all'ora presente del materialismo storico" (che, in quanto dottrina, era "una luce intellettuale portata sopra un ordine di fatti", ma di per se' non era "causa di nulla"), dopo aver posto la debita attenzione alla "nuova esperienza storico-sociale" e con una "conveniente revisione dei concetti". Sicche' riconosceva "la irriducibilita' di tutta la societa' presente alle due famose classi, data la sua piu' varia e complessa articolazione"; e l'eccessivo "primitivismo" con cui alcuni socialisti (Engels compreso) avevano "semplificato l'intreccio della storia", il che poteva indurli a "semplificare con soverchio arbitrio l'intreccio della societa' presente". Ammetteva gli "impedimenti all'internazionalismo" che nascevano da "spirito nazionale", e (invitando a distinguere la "crisi" dalla "critica" che aveva caratterizzato i suoi scritti) concludeva non poter essere la politica "se non la interpretazione pratica e fattiva di un dato momento storico": il socialismo doveva a suo avviso rifuggire sia dal "rivoluzionarismo tradizionale", sia dall'"acquiescenza" che poteva farlo "come sparire nell'elastico meccanismo del mondo borghese" (Saggi sul materialismo storico, pp. 303-319).
Il L. fu sorpreso dalle violente agitazioni sociali della primavera del 1898 ("questa prova generale di rivoluzione", scriveva al figlio Alberto Francesco l'8 maggio 1898), confessando di "non capir[ci] niente" (a Croce, 19 maggio 1898). Pochi mesi dopo si convinse che la reazione fosse "oramai vinta", ma anche che il socialismo italiano fosse "tutto in rovina" (a Croce, primo luglio 1898). Piu' tardi condenso' la sua analisi delle sommosse in "un caso inaspettato di anarchismo spontaneo", volutamente esagerato dal governo "per avere pretesto alle repressioni"; e il partito socialista doveva, a suo avviso, sia "difendersi" dalle persecuzioni, sia "stare in guardia contro le pazzie di quelli che credono che si deve fare la rivoluzione" (a Luise Kautsky, 18 maggio 1899). Ripigliando (giugno 1899) la "conversazione interrotta" con Turati ritornato "dalla forzata villeggiatura del reclusorio di Pallanza" - e augurandosi che la Critica sociale riprendesse il suo ruolo di "organo di politica pensata" -, il L. affermava che il partito socialista, lungi dal voler suscitare rivolte, si trovava invece "limitato nella sua azione normale e progressiva dal risorgere continuo delle agitazioni violente intempestive" (Scritti politici, pp. 442-446). L'assassinio di Umberto I ("nato e vissuto nell'orbita della rivoluzione liberale") lo "contristo' profondamente", anche per le possibili "conseguenze politiche". I primi atti del ministero Saracco avevano diffuso la persuasione "che l'Italia non vuole, ne' la rivoluzione, ne' la reazione, e che Pelloux era stato un asino a volerla mettere artificialmente in tale bivio": adesso temeva si affacciasse "di nuovo la libidine della reazione", e alcune "manifestazioni monarchiche" avevano assunto "aspetto canagliesco"; ma sperava che Saracco superasse il "difficile momento coi soli mezzi di una politica liberale" (a L. Morandi, 3 agosto 1900). All'aprirsi del nuovo secolo, il L. consigliava ai socialisti di attenersi all'"attuabile", di non avere "un contegno di freddezza semi-ostile di fronte" alla "politica liberale" del governo Zanardelli-Giolitti, e di mirare ad alcune conquiste di "politica sociale" che riuscissero "di garanzia giuridica al proletariato" (Scritti politici, pp. 467, 477). Partecipando, "da uditore!", al congresso socialista, si diceva meravigliato "della forte compagine sopravvissuta a tante traversie e a tante persecuzioni", ma anche "della straordinaria moderazione della maggioranza dei congressisti". Pur differenziandolo "molte e molte cose" dai socialisti italiani: "Io sono innanzi tutto unitario, e molti di quelli sono federalisti. Io sono anticlericale ex-professo e molti di quelli passano sopra tale bagattella (!) del pericolo clericale. Io vengo dalla scienza [...] e il piu' dei socialisti sono per il facilismo delle comode affermazioni e conclusioni" (a L. Morandi, 17 settembre 1900).
Rimaneva convinto della pausa che avrebbe subito il socialismo e ne individuava le cause nel "campo aperto al capitale dalla politica coloniale", nella "relativa resistenza dell'artigianato e della piccola proprieta'", nell'"ignoranza delle moltitudini" (a Kautsky, 5 ottobre 1900); nell'abbozzo di quello che avrebbe dovuto essere il quarto saggio (Da un secolo all'altro, 1901) aggiungeva gli inceppi nella diffusione della democrazia e del principio di nazionalita', il risorgere del "misticismo", la rinnovata potenza del "cattolicismo". Intervenendo (31 gennaio 1903) sulla Opposizione al divorzio, cioe' al disegno di legge governativo che proponeva di introdurre questo istituto, lo definiva "una legittima e naturale conseguenza logica" del concetto dello "Stato moderno". E argomentava che fosse il sintomo della nuova strategia della Chiesa di Roma: invece di fare una aperta battaglia politica, si era dedicata a "clericalizzare" la societa'; abbandonato l'intento di "ristabili[re] il potere temporale", mirava a provare di essere in grado di "arrestare l'azione dello Stato". Gli "illegittimi eredi" di quei "moderati" della Destra storica, che erano stati non conservatori ma "rivoluzionari temperati", dovevano tenere fermo, non tanto per "salvare" il divorzio quanto per tutelare "il prestigio di tutti i principî liberali". Vedeva anche rinascere l'"Idealismo", che insieme con lo "spirito borghese decadente" significava per lui, che pure aveva combattuto il positivismo evoluzionistico, "l'antistorico, l'antidivenire", "un arresto dello spirito scientifico" e in definitiva "un regresso" (a Croce, 7 settembre 1903).
Ormai stremato nel fisico, privato (per via di un tumore alla gola) dell'"organo pedagogico e democratico della voce" (Saggi sul materialismo storico, p. 334), e impossibilitato a ingerire persino della crema o del cacao, si lamentava (2 gennaio 1904) col suo "benedetto Croce" - al quale lo aveva legato dal 1885 un intenso rapporto, "modello esemplare di quel che dovrebbero essere le relazioni fra maestri e discepoli, fra liberi maestri e liberi discepoli" (Fubini) -: "Peccato che il tuo neoidealismo non possa nulla contro la sprucida (sproede) materia".
Il L. mori' un mese dopo, la mattina del 2 febbraio 1904, all'ospedale tedesco di Roma, e volle essere sepolto nel cimitero dei protestanti della capitale, all'ombra della piramide di Caio Cestio.
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Edizioni degli scritti: I problemi della filosofia della storia, Roma 1887; In memoria del Manifesto dei comunisti, ibid. 1895; Del materialismo storico, ibid. 1896; Essais sur la conception materialiste de l'histoire (trad. dei primi due Saggi), Paris 1897; L'universita' e la liberta' della scienza, ibid. 1897 (rist., a cura di N. D'Antuono, Lanciano 1998); Discorrendo di socialismo e di filosofia. Lettere a G. Sorel, Paris 1898; Socialisme et philosophie (Lettres a' G. Sorel), ibid. 1899; Scritti varii, editi ed inediti, di filosofia e politica, a cura di B. Croce, Bari 1906; Lettere napoletane, in Cronache meridionali, I (1954), pp. 558-584 (rist. in N. Siciliani De Cumis, A. L., 1868-1872, Firenze 1981, pp. 117-154); Opere, a cura di L. Dal Pane: I, Scritti e appunti su Zeller e su Spinoza (1862-1868); II, La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele (1871); III, Ricerche sul problema della liberta' e altri scritti di filosofia e di pedagogia (1870-1883), Milano 1959-62; Scritti di pedagogia e di politica scolastica, a cura di D. Bertoni Jovine, Roma 1961 (2a ed. 1974); Saggi sul materialismo storico (con nota biobibliogr.), a cura di V. Gerratana - A. Guerra, Roma 1964 (3a ed. 1977); Scritti politici, 1886-1904, a cura di V. Gerratana, Bari 1970; Scritti filosofici e politici, I-II, a cura di F. Sbarberi, Torino 1973 (2a ed. 1976); G. Turi, Alcuni inediti di A. L., in Movimento operaio e socialista, n.s., I (1978), 3, pp. 247-257; R. Martinelli, L.: transigenti e intransigenti, in Rinascita, primo giugno 1979, pp. 24 s.; Scritti liberali, a cura di N. Siciliani De Cumis, Bari 1981; S. Miccolis, La scuola popolare di A. L., in Riforma della scuola, XXVII (1981), 2, pp. 28-32; Id., A. L. e il "Monitore di Bologna", in Critica storica, XXI (1984), pp. 259-300; Id., A. L. e le elezioni comunali di Napoli del 1872, ibid., pp. 409-453; Id., Un inedito giovanile di L. sui rapporti tra Stato e Chiesa, in Giorn. critico della filosofia italiana, LXIV [LXVI] (1985), pp. 97-104; Id., Su A. L., Ruggero Bonghi e "La Cultura", in Nuovi Studi politici, XVIII (1988), pp. 43-70; Id., Frammenti politici di A. L., con una postilla bibliogr., in Giorn. critico della filosofia italiana, LXXII [LXXIV] (1993), pp. 473-488; La politica italiana nel 1871-1872. Corrispondenze alle "Basler Nachrichten", a cura di S. Miccolis, Napoli 1998; Id., Una recensione (1887) e sei lettere inedite (1884-1896) di A. L., in Scritture di storia, II (2001), pp. 299-316.
Principali edizioni dell'epistolario: Lettere di A. Labriola a F. Engels, a cura di A. Tasca, in Lo Stato operaio, I-IV, 1927-30; Lettere a Engels, Roma 1949; 123 lettere inedite di A. Labriola a B. Spaventa, a cura di G. Berti, in Rinascita, XXI (1953), suppl. al n. 12, pp. 718-735; XXII (1954), suppl. al n. 1, pp. 65-87; Lettere a E. Bernstein, L. e K. Kautsky (1895-1904), a cura di B. Andreas - G. Procacci, in Annali dell'Istituto G.G. Feltrinelli, III (1960), pp. 285-341; Lettere di A. Labriola a L. Mariano e J. Guesde, a V. Adler e W. Ellenbogen, a G.V. Plechanov (1892-1900), a cura di A. Zanardo, ibid., V (1962), pp. 422-483; La corrispondenza di Marx e Engels con italiani, 1848-1895, a cura di G. Del Bo, Milano 1964, ad ind.; Lettere a B. Croce 1885-1904, a cura di L. Croce, Napoli 1975; Epistolario (1861-1904), I-III, a cura di D. Dugini et al., Roma 1983; Lettere inedite (1862-1903), a cura di S. Miccolis, Roma 1988; Il carteggio di A. L. conservato nel Fondo Dal Pane, a cura di S. Miccolis, in Arch. stor. per le provincie napoletane, CVIII-CIX (1990-91), pp. 1-409; Carteggio: I, 1861-1880; II, 1881-1889; III, 1890-1895; IV, 1896-1898, a cura di S. Miccolis, Napoli 2000-04.
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Fonti e bibliografia: La Societa' napoletana di storia patria custodisce le lettere di B. Spaventa e, nel Fondo Dal Pane, quanto e' rimasto del ricchissimo archivio del L. (oltre a lettere famigliari e varie, i manoscritti dei Saggi, di discorsi e conferenze, gli appunti dei corsi di filosofia della storia, e molte altre note autografe); in Roma, presso l'Arch. centr. dello Stato si conservano il fascicolo personale del L. e le lettere a C. Fiorilli e G. Ferrando. Consistenti parti dell'epistolario sono conservate presso: Amsterdam, Instituut Internationaal voor Sociale Geschiedenis (a Engels, Luise e K. Kautsky, Turati, W. Liebknecht, Ellenbogen ecc.); Mosca, Arch. statale russo di storia sociale e politica (a Engels, Bernstein, Fischer, Luise Kautsky ecc.); Firenze, Biblioteca nazionale (a L. Morandi, F. Protonotari, A. Chiappelli ecc.); Napoli, Biblioteca nazionale (a F. Fiorentino, P.E. e M.R. Imbriani ecc.); Imola, Biblioteca comunale (ad A. Costa); Bergamo, Biblioteca comunale (a S. Spaventa); Stresa, Centro studi rosminiani (a F. Bonatelli); Cambridge, Trinity College Library, P. Sraffa Collection (ad A.C. De Meis e D. Jaja); Mantova, Istituto mantovano di storia contemporanea (a R. Soldi); Napoli, Archivio Croce; Tredozio (Palazzo Fantini), Archivio Fratti.
Per la letteratura fino al 1979, qui limitata all'essenziale o integrativa, si rinvia alle bibliografie in appendice a Saggi sul materialismo stor., cit., e a S. Poggi, Introduzione a L., Bari 1982. G. Gentile, La filosofia di Marx. Studi critici, Pisa 1899 (poi in Id., Opere complete, Firenze 1955, pp. 23-44, 72-81, 125-155); B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica (1900), Napoli 2001, pp. 17-34, 67-118, 135-150; Id., A. L. Ricordi, in Il Marzocco, 14 febbr. 1904 (poi in Pagine sparse, II, Napoli 1943, pp. 35-39); C. Fiorilli, A. L.: ricordi di giovinezza, in Nuova Antologia, primo marzo 1906, pp. 59-63; G. Sorel, rec. a Scritti varii, cit., in Le Mouvement socialiste, VIII (1906), pp. 486-490; R. De Cesare, Il giornalismo napoletano di quarant'anni fa, in La Critica, VIII (1910), pp. 110-115; B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, Napoli 1918 (poi in Etica e politica, Bari 1956, pp. 385-396, 407-411); Id., Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Da lettere e ricordi personali, in La Critica, XXXVI (1938), pp. 35-52, 109-124; L. Valiani, Lettere di A. L. ai socialisti tedeschi e francesi (1890-1900), in Id., Questioni di storia del socialismo, Torino 1958, pp. 375-401; E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani (1875-1895), Milano 1961, pp. 215-260, 283-356; V. Gerratana, introd. a Scritti politici, cit., pp. 9-101; N. Badaloni, L. politico e filosofo, in Critica marxista, IX (1971), pp. 16-35; G. Are, Economia e politica nell'Italia liberale (1890-1915), Bologna 1974, pp. 43-62; L. Dal Pane, A. L. nella politica e nella cultura italiana, Torino 1975; M. Fubini, rec. a Lettere a B. Croce, cit., in Giorn. stor. della letteratura italiana, XCII (1975), pp. 620-625; I. Cervelli, L'esperienza dei Fasci siciliani nel pensiero di A. L., in I Fasci siciliani, II, La crisi italiana di fine secolo, Bari 1976, pp. 49-129; E. Garin, A. L. nella storia della cultura e del movimento operaio, in Critica marxista, XVII (1979), 2, pp. 67-81; G. Labica, Le materialisme marxiste au XIXe siecle. Remarques sur le debat Plekhanov-Labriola, in Raison presente, 1979, n. 51, pp. 15-31; P. Piccone, introd. ad A. Labriola, Socialism and philosophy, Saint Louis 1980, pp. 5-59; A. Meschiari, Per una storia dell'herbartismo in Italia, in Riv. di filosofia, XVI (1980), pp. 98-124; G. Bedeschi, Il marxismo di A. L., in Mondoperaio, XXXIII (1980), 11, pp. 73-82; L.A. Nikitic, A. L.: Biographie eines ital. Revolutionaers (1980), Berlin 1983; L. 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Miccolis, L'importanza di chiamarsi A. L., in Belfagor, LI (1996), pp. 593-602; K. Korsch, Gutachten ueber A. L. und seine Bedeutung fuer Theorie und Geschichte des Marxismus (1929), in Id., Krise des Marxismus. Schriften 1928-1935, a cura di M. Buckmiller, Amsterdam 1996, pp. 183-185; R. Finelli, Autonomia e legittimita' del socialismo, intr. ad A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Roma 1997, pp. 9-43; S. Miccolis, A. L. e la Destra storica, in Risorgimento e Mezzogiorno, VIII (1997), pp. 67-86; E. Garin, A. L.: ritratto di un filosofo, in Giorn. critico della filosofia italiana, LXXVII [LXXIX] (1998), pp. 173-188; L. Cortesi, A. L. politico. Dalla "democrazia liberale" agli esordi socialisti, in Scritture di storia, I (1998), pp. 315-401; A. Zanardo, L. contro Zeller: 1863, in Critica marxista, 1998, n. 2-3, pp. 65-78; M. Reale, L'interpretazione crociana di Marx, in La Cultura, XXXVII (1999), pp. 219-263; M. Waldenberg, L. und Kautsky-eine oder zwei Interpretationen des historischen Materialismus?, in Geist und Gestalt im historischen Wandel, a cura di B. Becker, Muenster 2000, pp. 157-166; G. Monsagrati, Verso la ripresa: 1870-1900, in Storia della facolta' di lettere e filosofia de "La Sapienza", a cura di L. Capo - M.R. Di Simone, Roma 2000, ad ind.; L. Cortesi, Il moderatismo critico di A. L., in Nord e Sud, n.s., XLVII (2000), 1, pp. 9-30; N. D'Elia, La "critica" al marxismo nella riflessione politica di L. e Bernstein, in Il Pensiero politico, XXXIV (2001), 1, pp. 59-72; R. Zangheri, Il marxismo di A. L.: un riesame, in Studi storici, XLIV (2003), pp. 153-163; S. Miccolis, Il marxismo dell'ultimo L., in Croce e il marxismo un secolo dopo, a cura di M. Griffo, Napoli 2004, pp. 341-357; A. Zanardo, A. L. 1863-1867. Appunti sulla documentazione piu' recente, in Parénklisis, II (2004), pp. 107-122.
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Numero 68 del primo maggio 2021
In questo numero:
Stefano Miccolis: Antonio Labriola
MEMORIA. STEFANO MICCOLIS: ANTONIO LABRIOLA
[Dal Dizionario biografico degli italiani, vol. 62, 2004, nel sito www.treccani.it]
Antonio Labriola nacque a Sangermano (l'odierna Cassino) il 2 luglio 1843, da una "famiglia patriottico-liberale" (scriveva egli stesso a Friedrich Engels il 14 agosto 1891) di modeste condizioni economiche ma di piu' che dignitoso livello culturale. Il padre, Francesco Saverio (1809-74), fu cultore di archeologia e docente di lettere nei ginnasi; la madre, Francesca Ponari (1808-90), era imparentata con la nobile famiglia De Vio di Gaeta. Allo zio, Gaetano Labriola (1820-77), ascriveva d'averlo "allevato e istruito nella sua infanzia" (Carteggio, I, p. 606) e di certo compi' i suoi studi secondari nel collegio dell'abbazia di Montecassino; dove (secondo C. Fiorilli) ricevette "la prima educazione a filosofare" dall'abate S. Pappalettere, uomo di sentimenti liberali. Raccomandando senza esito (23 luglio 1861) il diciottenne L. a F. De Sanctis ministro della Pubblica Istruzione, A. Tari lo presentava come "un valoroso giovane, cultore e speranza della nostra filosofia" (Carteggio, I, p. 3).
Nell'autunno 1861 la famiglia si trasferi' a Napoli, per consentire al L. di frequentare l'Universita'. In una lettera di presentazione a B. Spaventa, rimasta in abbozzo tra le sue carte, A. Tari gli attribuiva una "intelligenza decisamente filosofica", e "una ferrea volonta' di studiare [...] conosce gia' originalmente Aristotile, Spinoza, Kant; e divora e si assimila quanto di Hegel gli capita alle mani" (La Critica, 1910, p. 214). Fiorilli, amico di quegli anni napoletani, diceva di lui che "sapeva benissimo di greco e di latino", che "aveva imparato il tedesco leggendo giornali e riviste di quella nazione", e che "andava all'Universita' quasi esclusivamente per le lezioni di B. Spaventa; con lui entrava e con lui usciva dall'aula, e quasi sempre accompagnava a casa il Maestro". Non risulta che il L. abbia conseguito la laurea: di certo non fa riferimento a essa tutte le volte che produce i suoi titoli al ministero. Con tutta probabilita', le disagiate condizioni economiche della famiglia lo costrinsero a trovare una qualsiasi forma di occupazione retribuita. Spinto dalle "privazioni piu' dure", al fine di "vivere senza arrossire, e studiare coscienziosamente", tento' senza riuscirvi, tra l'agosto 1862 e il marzo 1863, di ottenere un posto di bibliotecario a Napoli. Per interessamento di Silvio Spaventa, sollecitato dal fratello Bertrando (13 giugno 1863) a soccorrere quel "giovane di moltissimo ingegno" (che vive "in una miseria spaventevole"), il L. fu nominato (con decreto 13 dicembre 1863) applicato di pubblica sicurezza presso la questura di Napoli; in una nota autografa, segnata su di una lettera indirizzatagli dal padre (27 dicembre 1863), S. Spaventa scriveva di averlo "raccomandato molto" al marchese R. D'Afflitto, prefetto della citta'. Il L. accetto' l'impiego (doveva occuparsi di brigantaggio), ma col fermo intento di poterlo conciliare con lo studio, "ed affrettare così gli elementi per domandare con piu' ragione" a B. Spaventa "l'adempimento delle sue promesse" (Carteggio, I, pp. 30 s.).
Due mesi prima era cominciata la relazione sentimentale (ed epistolare) con Rosalia von Sprenger (1840-1926), una tedesca di confessione evangelica, maestra alla "scuola Garibaldi" (asilo e scuole elementari, aperte subito dopo la cacciata dei Borboni presso la chiesa di Scozia), "donna di forte spirito e d'animo elevato" (scrive il L. a Engels il 29 dicembre 1892), che sposo' il 23 aprile 1867 e fu la compagna della sua vita.
Il L. visse il "meschinissimo impiego" alla questura in uno stato di "profonda scontentezza"; l'aveva "accettato solo a titolo di provvisorio", e nutriva risentimento verso chi (B. Spaventa) "poteva (o doveva!) pensare" a lui, ma non si adoperava per mutare la sua "trista posizione" (Carteggio, I, pp. 84, 120, 128). Conseguito nel settembre 1865 il diploma di abilitazione per materie letterarie nel ginnasio inferiore, insegno' nel ginnasio dell'ex seminario (1865) e poi al Principe Umberto (1866-71), impartendo anche lezioni nell'istituto privato di D. Borselli e presso la scuola tedesca di Napoli.
La "educazione (rigorosamente) hegeliana" (a Engels, 14 marzo 1894) ricevuta alla scuola di B. Spaventa traspare da due suoi scritti, rimasti a lungo inediti: Una risposta alla prolusione di Zeller, datato 3 maggio 1863 (e' un lapsus calami il 1862 appostovi dal L.); e Della relazione della Chiesa allo Stato, non datato, ma collocabile nel 1864-65. Nel primo il L. si pronunciava contro il ritorno a Kant propugnato dal gia' hegeliano E. Zeller nella sua prolusione (Significato e compito della teoria della conoscenza) dell'ottobre 1862, sostenendo il principio della "immanenza dell'Ideale in ogni esplicazione Storica", insomma la coincidenza fra ragione e realta', in modo che la scienza sia "consapevole ed intima contemplazione della vita reale dell'Universo" (Opere, I, p. 47). Nel secondo il L. definiva lo "Stato vero" "tutta la sostanza etica d'un popolo", nel quale la Chiesa, in quanto istituzione della societa' civile, "non puo' stare che in una relazione di subordinazione".
Negli anni 1866-67 cade la redazione di una memoria su Origine e natura delle passioni secondo l'Etica di Spinoza, anch'essa rimasta inedita e pubblicata postuma. Nel concetto spinoziano di sostanza il L. vedeva "un progresso immenso sul dualismo cartesiano" e "una vittoria completa sopra ogni presupposto di trascendenza" (Opere, I, p. 63); Spinoza aveva raccolto e compreso il programma di Shakespeare (una delle sue letture giovanili preferite), che, "quasi altro Colombo", aveva saputo mostrare "come partendo dall'uomo si possa tornare all'uomo" (ibid., p. 120). Il L. non ne allego' copia nella domanda (8 aprile 1873) per il concorso di Roma, "perche' non ci ten[eva] punto" (Carteggio, I, p. 321); ma nel 1897 confesso' di aver saputo in giovinezza "a memoria gli scritti" di Spinoza, e di averne esposto la teoria degli affetti e delle passioni "con intendimento d'innamorato" (Discorrendo, p. 53). Nella stessa pagina diceva di aver vissuto "per anni con l'animo diviso fra Hegel e Spinoza".
Il L. collocava la crisi del suo hegelismo nel 1869, quando (scriveva a B. Croce il 2 gennaio 1904) "ero gia' fuori di quell'ordine d'idee e mi preparavo a comporre quel lavoro su Socrate che apparve poi nel 1871". Il suo Socrate, in effetti, ricostruito secondo la testimonianza di Senofonte, non e' l'hegeliano creatore del principio della soggettivita' (che a suo avviso era un "cardine della speculazione moderna", "legittima conseguenza del Cristianesimo"), ma un educatore della coscienza morale, teso a mettere chiarezza nel mondo etico quotidiano. Una figura dalla spiccata vocazione pedagogica, "ne' un rivoluzionario ne' un ozioso ricercatore", che col suo incalzante interrogare aveva contribuito alla formulazione di concetti sempre piu' "coscientemente appresi e pensati" (Opere, II, pp. 98, 35, 75). Una figura molto congeniale a uno come il L., che avrebbe confessato a Engels (9 novembre 1891) di "essere per natura piu' inclinato a parlare che a scrivere" ("son sempre un po' socratico nella mia vocazione!"). Esplicito e', nel Socrate, il debito verso l'herbartiano L. Struempell, ed evidenti le suggestioni della Voelkerpsychologie di M. Lazarus e H. Steinthal, diffusa da G. Lignana ma anche oggetto di interesse da parte di B. Spaventa.
Nell'estate del 1871, conseguita (19 agosto) la libera docenza in filosofia della storia nell'ateneo napoletano, il L. inizio' un'intensa attivita' giornalistica, inviando (settembre 1871 - dicembre 1872) corrispondenze sulla situazione politica italiana al quotidiano svizzero Basler Nachrichten e collaborando (autunno 1871) ai quotidiani Il Piccolo e Gazzetta di Napoli: giornali che facevano capo all'Unione liberale, un'associazione di moderati in polemica con il prefetto D'Afflitto, che aveva il suo leader in R. De Zerbi, direttore del Piccolo. L'Unione liberale propugnava il superamento della dialettica risorgimentale tra Partito d'azione e Destra storica, attraverso la costituzione di un terzo partito di centro, piu' attento alla buona amministrazione. Tramontato questo disegno gia' nel dicembre 1871, il L. entro' (febbraio 1872) nella redazione dell'Unita' nazionale, il quotidiano diretto da R. Bonghi e voluto da D'Afflitto per contrastare piu' efficacemente la sinistra napoletana e i dissidenti dell'Unione. Gli articoli (non firmati) del L., sia nella stampa napoletana, sia, piu' tardi (autunno 1874), nel quotidiano moderato Monitore di Bologna, attendono una individuazione piu' filologicamente avveduta e convincente. Nessun dubbio, invece, sulla paternita' delle dieci Lettere napoletane che il L. invio' alla Nazione di Firenze nel giugno-luglio 1872: un ritratto molto vivace, talvolta impietoso, della mentalita' collettiva e dei costumi politici della citta'. Allo scarso senso civico della popolazione, e alla politica esercitata da una stretta schiera di mestieranti, convinti di essere "tanti Machiavelli", si aggiungevano pero' "i danni arrecati" a Napoli dalla perdita dello status di capitale, e "l'insufficienza governativa" (che aveva "spesso dato di se' pruova in questa citta' come in nessun'altra d'Italia"). Nell'autunno 1871 il L. decise di abbandonare il "penoso lavoro" di insegnante nei ginnasi, che non lo avrebbe condotto "ad alcuna carriera" (Carteggio, I, p. 249). Chiese e ottenne l'aspettativa senza stipendio per un anno, vivendo di collaborazioni giornalistiche e lavori occasionali di ricerca archivistica. Scartata, per motivi economici, nell'ottobre 1872 la proposta di Bonghi di divenire redattore della Perseveranza, dedico' l'anno successivo alla preparazione del concorso per la cattedra di filosofia morale e pedagogia dell'Universita' di Roma; risultato vincitore, con r.d. del 23 gennaio 1874, tenne quell'insegnamento fino al 1902, quando passo' (con r.d. 7 luglio) a filosofia teoretica.
Del 1873 sono due suoi saggi, Della liberta' morale e Morale e religione, stampati per il concorso. Confessava d'avere scritto il primo (dedicato ad A. Graf) "in gran fretta" (Carteggio, I, p. 333); nella presentazione diceva di essersi attenuto "alla psicologia ed all'etica dell'Herbart", ma di non voler per questo "chiuder[si] in un sistema, come in una sorta di prigione". Seguirono altri due lavori: Dell'insegnamento della storia (1876) e Del concetto della liberta'. Saggio psicologico (1878), ospitato dall'Archivio di statistica di L. Bodio. Nel novembre 1877 il L. fu nominato direttore del Museo d'istruzione e di educazione, struttura voluta (1874) da Bonghi a sostegno dell'istruzione elementare, per "offrire al Ministero criteri comparati su la legislazione" (Carteggio, I, p. 622). L'attivita' dell'istituto (conferenze pedagogiche annuali, ricerche coordinate dal L. sulla scuola popolare e l'insegnamento secondario privato in diversi paesi) fu intensa fino al febbraio 1881, quando G. Baccelli lo aggrego' alla cattedra di pedagogia all'Universita' di Roma, privandolo della sua biblioteca. Il Museo sopravvisse per un decennio, fino alla soppressione decretata (settembre 1891) da P. Villari.
Nel 1887 ottenne l'incarico, cui tenne sempre moltissimo, di filosofia della storia. Ne stampo' la prolusione (28 febbraio) con il titolo I problemi di filosofia della storia.
Il L., che si muoveva nell'orizzonte teorico herbartiano, criticava le visioni totalizzanti e "monistiche" (l'hegelismo e l'evoluzionismo spenceriano), negando la possibilita' di una "storia universale" come svolgentesi in modo astrattamente unitario. Affermava la molteplicita' dei "centri primitivi di civilta'", e indicava nella teoria "epigenetica" la capacita' di cogliere le differenze qualitative delle "neo-formazioni", contro ogni inverosimile "preordinazione germinale"; rifiutava l'uso dell'idea di progresso a mo' di "regolativo d'interpretazione" (perche' nella storia era dato di vedere anche il "regresso"), e - difendendo la "peculiarita'" della storiografia - definiva la filosofia della storia "una semplice ricerca su i metodi, su i principii e sul sistema delle conoscenze storiche".
Il sentire politico del L. non muto' per tutti gli anni '70. Gli anni di governo della Sinistra furono da lui vissuti, non diversamente da S. Spaventa e dagli altri irriducibili della Destra storica, come una caduta sostanziale del livello etico-politico, come degenerazione progressiva dello Stato a strumento di potere di una parte. Osservava Croce (1904) che "in quel suo antico conservatorismo" c'era "molto radicalismo da intellettuale"; e una certa influenza sul suo "spirito critico, riflesso, e ragionativo" (ad A. Fratti, 28 agosto 1889) dovette averla il concetto - mutuato dal socialismo giuridico (del quale si interesso' negli anni 1883-85) - dell'utilita' sociale come misura della validita' degli istituti giuridici. Il distacco pubblico dalla Destra storica avvenne nella primavera del 1886, quando tento' di candidarsi alle elezioni politiche nel secondo collegio di Perugia (che comprendeva Foligno, Spoleto, Terni e Rieti).
Cosi' sintetizzava la sua posizione in una lettera (8 aprile 1886) a G. Carducci: "Radicali e progressisti dovrebbero accordarsi nel combattere il governo personale che mena alla reazione, e per ricondurre il parlamento alla sua vera funzione". Gli sembrava che occorresse ristabilire una chiara dialettica politica, e costruire quindi una "opposizione ben definita" al trasformismo del Depretis. Gli si frapponevano (insieme con gelosie e rivalita', che ebbero la meglio) "due difficolta'": d'essere "meridionale, ed amico dell'on. Spaventa" (alla prima non poteva "portar rimedio. Della seconda mi onoro altamente"); e aggiungeva con orgoglio di non essere "creatura di nessun partito" (Carteggio, II, pp. 332 s.).
La mancata candidatura non attenuo', nel triennio 1887-89, l'impegno democratico del L., che a Fratti si dichiarava (27 agosto 1888) "radicale non repubblicano, e socialista sereno".
Tenne discorsi pubblici contro la conciliazione tra Stato e Chiesa (all'Universita' di Roma, 12 giugno 1887), e per l'organizzazione di un grande partito democratico, fautore della sovranita' del Parlamento e delle autonomie comunali (a Terni, 16 dicembre 1888); peroro' con fervore l'esigenza di una rinnovata "scuola popolare"; per alcuni mesi (1888) presiedette la sezione romana dell'associazione irredentista Giovanni Prati; commemoro' Garibaldi, caldeggio' l'erezione di monumenti a Mazzini e Giordano Bruno; fu attivo socio del Circolo radicale di Roma, del quale divenne (1889) vicepresidente. Condenso' la sua visione politica in una lettera aperta (14 novembre 1887) ad A. Baccarini, nella quale definiva giusta e legittima "la lotta contro il trasformismo", per "ristabilire la retta funzione del Governo parlamentare". Affermava, dichiarandosi "teoricamente socialista", la necessita' "di ripigliare le vie legali della sovraeminenza dello Stato sulla Chiesa" (in modo che "la formula di libera Chiesa in libero Stato, che per un certo rispetto e' una finzione, per un altro rispetto non diventi minaccia di gravi pericoli"); e di avviare una opportuna "politica sociale", a cominciare dalla "assistenza legale" per gli inabili al lavoro. Problema, questo della prevenzione degli infortuni sul lavoro, sul quale reintervenne nell'autunno 1889 (Carteggio, II, pp. 517-519).
Ando' incontro a un secondo insuccesso pratico, quando (novembre 1889) tento' di candidarsi alle elezioni comunali di Roma; e pochi mesi dopo ruppe definitivamente con la democrazia radicale. In una lettera aperta a E. Socci, presidente del Circolo radicale (Proletariato e radicali, 5 maggio 1890), il L. affermava esserci "deciso distacco" fra "politica borghese e socialismo (due periodi distinti della storia!)"; ai "radicali politici" riconosceva la funzione di garantire "le generali condizioni di liberta'", ma il proletariato non poteva che "fidare unicamente in se stesso", organizzandosi in "partito di lavoratori". Ad abbracciare le nuove idee lo avevano condotto (cosi' nella conferenza Del socialismo, giugno 1889) "il disgusto del presente ordine sociale, e lo studio diretto delle cose"; ma si diceva convinto che "le nuove forme" potessero "innestar[si] sul comune tronco delle istituzioni liberali".
A partire dal 1890 - anno in cui inizio' la sua corrispondenza con Engels e con Filippo Turati - il L. e' disposto a battersi per il "partito operaio": purche' cio' significhi "preparazione alla democrazia sociale, cioe' ad un nuovo diritto, ad una nuova morale, ad una nuova forma di famiglia e di stato, ad una nuova civilta' in somma" (a C. Prampolini, primo giugno 1890). La collaborazione con Turati fu intensa per tutto il 1890 e porto' alla stesura dell'indirizzo di saluto dei socialisti italiani al congresso di Halle (ottobre) della socialdemocrazia tedesca. Ma il suo temperamento "estremo" e la sua morale risentita mal si conciliavano con i compromessi e le necessarie mediazioni della vita politica. Il L. - "acutissimo critico politico, ma appunto per questo ignaro della pacatezza di un politico vero" (Fubini) - non accettava la linea "ecumenica" e prudente di Turati, che si preoccupava di assicurare alla Critica sociale un largo pubblico ed era incline a tener conto dei ritardi storici e dell'immaturita' politica del ceto operaio. Il L. tacciava di "fazioni di politicanti" sia i "legalitari" (deputati e cooperative) adusi a pratiche compromissorie del governo, sia gli ingenui "antilegalitarî" (gli anarchici), ai quali pure riconosceva la buona fede.
Indirizzava lunghe lettere a Engels (a partire dall'estate 1892, si servi' come tramite dello svizzero-polacco Adam Maurizio, al quale inviava - avvertiva Engels il 28 ottobre 1892 - "chilogrammi di giornali, opuscoli, fogli volanti, [...] commentando il tutto con note, chiose, dichiarazioni e biografie"), piene di notizie dettagliate su fatti e uomini del movimento operaio, convinto di fare opera "internazionalistica": come "relazioni, che tengan luogo dei giornali socialisti, i quali in Italia mancano; o non son degni d'esser presi sul serio" (a Engels, 31 luglio 1891). Il contrasto si accentuo' con l'approssimarsi del congresso di Genova (agosto 1892): il L. preferiva un partito piccolo, ma rigoroso nel perseguire il disegno strategico della conquista dei pubblici poteri, ed esemplato su quello tedesco; e rifiutava l'"ecletticismo" di Turati, da lui tacciato di "ambiguita'" e incoerenza. Non ando' a Genova, dove pure i socialisti si distinsero alla fine dagli anarchici, e sottovaluto' l'importanza di quel congresso; pur riconoscendo (a Turati, 22 agosto 1892) che vi si era data "l'avviata a un partito per lo meno embrionale". Preferi' mettersi a "scriver libri", perche' mancava "all'Italia mezzo secolo di scienza e di esperienza degli altri paesi", e bisognava "colmare questa lacuna" (a Engels, 3 agosto 1892).
Si dedico' all'intento con passione e scrupolo filologico, raccogliendo in pochi anni la piu' ricca biblioteca di scritti di Marx ed Engels e sul socialismo: la sua biblioteca (scriveva con orgoglio a Turati, 22 agosto 1892) era "a Roma la seconda dopo quella del Bonghi".
Dopo lungo meditare, ed esitare ("Temo la taccia d'incompetente", confidava a Engels, 2 settembre 1892), dette forma, nell'aprile 1895, al saggio In memoria del Manifesto dei comunisti, del quale (come dei successivi) si fece editore B. Croce. L'iniziale disegno, inteso a "popolarizzare le idee del socialismo scientifico" (a Engels, 3 novembre 1891), si converti' in una succosa e "aristocratica" interpretazione del pensiero di Marx. In uno stile asciutto e denso, che nulla concedeva alla retorica e al volgare sentimentalismo, il L. individuava il nocciolo della nuova ("nostra") dottrina nell'avere il comunismo trovato la "coscienza della sua propria necessita'": di essere cioe' "l'esito" risolutivo della societa' dei "paesi piu' progrediti", scossa dalle lotte di classe, appunto in forza delle "leggi immanenti al suo proprio divenire". Il Manifesto era "la rivelazione scientifica e meditata del cammino" percorso dalla "nostra societa' civile", che enunciava "nel fatto la necessita' del fatto stesso"; la sua "previsione" era, "non cronologica, di preannunzio o di promessa", ma "morfologica". In questo, che e' stato definito il piu' hegeliano e "piu' fiduciosamente socialista dei suoi saggi" (Zanardo), non mancavano peraltro il richiamo alle difficolta' della rivoluzione proletaria, l'invito a non "abusare" del termine "scienza" (e a intenderlo anzi "con la debita discrezione") e a non vivere di aspettazioni ravvicinate ("L'acquisizione della Terra al comunismo non e' cosa del domani"). La riflessione del L. - che sosteneva la necessita' di una "assimilazione secondo l'angolo visuale del cervello nazionale" (a K. Kautsky, 23 marzo 1896) - continuo' con il saggio Del materialismo storico (1896). Nel quale invitava a non considerare gia' conclusa l'elaborazione della dottrina e a respingere ogni sua semplificazione "verbalistica" (la riduzione a puro determinismo economico del "multiforme e complicatissimo intreccio" della natura e della storia); la storia - diceva - "bisogna intenderla tutta integralmente", perche' in essa (goethianamente) "nocciolo e scorza fanno uno". Il materialismo storico non era una "nuova filosofia della storia [...] schematica, ossia a tendenza e a disegno", ma "soltanto un metodo di ricerca e di concezione", che non andava utilizzato per spiegare meccanicamente l'"universo scibile".
Nell'estate del 1896 il L. pervenne a una convinzione che il 24 settembre comunico' a E. Bernstein: che, cioe', lo sviluppo del socialismo avrebbe vissuto "una pausa relativamente lunga", e che ci sarebbe stato uno "spostamento" del mercato capitalistico dall'Atlantico al Pacifico. E poco prima (31 agosto 1896), scrivendo a R. Soldi del "lungo periodo di crisi" nel quale sarebbe entrato il socialismo, aveva aggiunto: "Le stesse teorie marxistiche (parlo delle vere) sono oramai in parte inadeguate ai nuovi fenomeni economico-politici dell'ultimo ventennio". Quel pessimismo di cui erano intrise le sue valutazioni, spesso aspre, del socialismo italiano, adesso coinvolgeva le prospettive politiche del movimento operaio internazionale, bisognoso a suo avviso di liberarsi dalle molte scorie di "utopismo" e attese "fantasiose".
Questa riflessione costituiva il momento culminante del terzo saggio, Discorrendo di socialismo e di filosofia (1897), nel quale dialogava sotto forma di lettere con G. Sorel. Ai socialisti occorreva "misurare le resistenze del mondo effettuale", prender atto dei mutamenti e della "enorme complicazione del mondo attuale", e smetterla di ritenere (in modo dottrinario) che "le idee proclamate per se' eccellenti" possano applicarsi "difilato al concreto" o siano "buone per ogni tempo e luogo", non potendo il futuro "costituire il criterio pratico di cio' che noi dobbiamo fare al presente". I Saggi erano la prima, meditata e originale (anche perche' sostenuta da una solida formazione intellettuale), interpretazione europea del pensiero di Marx; e avrebbero contribuito a produrre - grazie anche alla loro immediata discussione, che coinvolse Croce e Gentile - quel rinnovamento e rinvigorimento della filosofia (come della storiografia) italiana, che caratterizzo' i primi decenni del Novecento.
Pur lontano dalla vita del neonato partito (non metteva "piu' piede in una riunione romana" - scriveva ad A. Costa il 27 maggio 1894 - dal primo maggio 1891), il L. ne seguiva con grande e minuta attenzione le vicende; ne' mancava di far puntualmente sentire la sua voce, nei momenti di piu' acuta tensione politico-sociale.
Dette il suo contributo, sia pure in forma riservata, allo scoppio (1893) dello scandalo della Banca romana; redasse un manifesto (agosto 1893), in risposta alle manifestazioni sciovinistiche contro la Francia suscitate dall'eccidio di operai italiani ad Aigues-Mortes; dopo un'iniziale valutazione negativa, segui' con entusiasmo il movimento dei Fasci siciliani, da lui ritenuto "il primo atto" del socialismo italiano (a R. Fischer, 12 novembre 1893), nel quale "la massa proletaria" aveva manifestato "la coscienza di classe oppressa" (a P. Iglesias, 9 aprile 1894). A tenerlo distante dalla militanza contribuivano l'irrequietezza e l'impuntatura temperamentale, ma anche l'irritazione per lo spazio che Turati concedeva al "ciarlatano" A. Loria, e il partito (ma persino il Vorwaerts, che lo volle come corrispondente retribuito) al vanitoso e vuoto E. Ferri ("un uomo senza angoli", come lo definiva a Luise Kautsky, 10 marzo 1895). Se, delegato dalla sezione socialista di Napoli, partecipo' al congresso dell'Internazionale di Zurigo (agosto 1893), fu soprattutto per incontrare Engels.
A Milano, del resto, non vedevano di buon occhio quel filosofo ipercritico, che dava lezioni di intransigenza al caffe' Aragno, piuttosto che contribuire alla costruzione del partito. Quando la repressione di Crispi si abbatte' sugli anarchici, fu pero' il L. a sostenere che non fosse il caso di "perdersi in vane e astiose discussioni contro i radicali e democratici" (a Engels, 27 luglio 1894). I fatti, nell'occasione, gli dettero ragione: estesasi nell'autunno la repressione ai socialisti, furono i "compagni milanesi" a mutare lo scontro con i radicali in stretta politica di alleanza elettorale.
Nel novembre 1896 il L. tenne il discorso inaugurale all'Universita' di Roma (L'universita' e la liberta' della scienza), che suscito' violente polemiche. Croce, che se ne fece pronto editore (per pubblicarlo sull'Annuario erano state richieste modifiche dalle autorita' accademiche), lo defini' nella premessa uno "dei piu' elevati che si sieno mai sentiti nelle aule delle universita' italiane". Nel suo consueto stile incisivo, il L. affermava l'insopprimibile liberta' dell'insegnamento ("Lo Stato, che definisce la scienza, e' gia' una Chiesa"); invitava gli studenti a intendere la serieta' del "lavoro" scientifico (che "non e' improvvisazione"), augurando loro di vivere in un'Italia culturalmente cresciuta e "dalla moltiplicata potenza economica". A suscitare la reazione irritata del ministro dell'Istruzione E. Gianturco (e della stampa governativa), fu soprattutto l'accenno antifrastico alla politica delle "pitoccate alleanze" (la Triplice), e alle "imprese fantasticamente avventurose, che terminano poi in atti di prudenza che paiono vilta'", con riferimento all'avventura africana (Adua) e all'atteggiamento rinunciatario del Rudini'. Quella disfatta militare (con la conseguente "prostrazione morale") ritornava - insieme con il tema della vilta' - nel discorso Per Candia (27 febbraio 1897), dove compariva in forma esplicita il punto di vista dell'ultimo L. (che nel 1890 aveva proposto per l'Eritrea, "terra ancora libera da ogni titolo di diritti storici e stabiliti", un "esperimento di socialismo pratico", nella forma di cooperative agricole) sulla politica coloniale: la "conquista" della Tripolitania (da sottrarre ai "Turchi micidiali") era per l'Italia "legittima" (come dovunque "non sono nazionalita' vitali"), oltre che "indicatissima": "Noi abbiamo bisogno di terreno coloniale" ("duecentomila proletari all'anno emigrano dall'Italia"); e i socialisti "ricordino che non ci puo' essere progresso nel proletariato, la' dove la borghesia e' incapace di progredire". A questa linea il L. si attenne nei successivi interventi di politica internazionale: sulla questione cinese (29 luglio 1900: "l'Italia non puo' volontariamente sequestrarsi dalla storia"), come nell'intervista sulla Questione di Tripoli (13 aprile 1902: quel territorio, rimasto disponibile, del Nordafrica come sbocco alla sovrapopolazione, addirittura come una "nuova Italia"), essendo ormai in lui solida la convinzione che la "sempre piu' acuita concorrenza" delle "nazioni civili" sarebbe stata per un pezzo "condizione di relativo progresso", "finche' non s'avveri il socialismo" (Scritti politici, pp. 472 s.). Dal 1897 (ma l'avversione risaliva almeno agli anni dell'impegno democratico) al 1902 cambiava solo il giudizio sulla Triplice: da impaccio e insopportabile freno delle mire italiane, a garanzia dell'equilibrio europeo: di pace, o almeno di "non-guerra" (ibid., p. 495).
Tale posizione si comprende meglio, se si tiene conto che il L., come disse G. Sorel, era, "in una misura molto larga, sotto l'influenza dei sentimenti che dominarono nell'eta' del Risorgimento"; il che spiega anche perche' si dichiarasse senza esitazione (maggio 1896) per l'indipendenza della Polonia, in polemica con Rosa Luxemburg e in dissenso dall'atteggiamento scettico e incerto assunto nella circostanza da Turati.
Il L. sostenitore della compatibilita' tra socialismo e "interessi nazionali" aveva accompagnato, se non preceduto, gli articoli nei quali Bernstein aveva dato l'avvio (autunno 1896) alla sua revisione del pensiero di Marx. In una nota al Discorrendo (p. 152), li aveva definiti "ingegnosi", giudicando poi "volgari" gli "ammaestramenti" impartiti da G.V. Plechanov a Bernstein, perche' intrisi di "sovrano disprezzo dell'odierna filosofia tedesca", e passibili di "rendere ridicolo di fronte al mondo intero il socialismo scientifico" (a Kautsky e a Bernstein, 8 ottobre 1898). Che la sua "posizione rispetto alla dottrina" fosse "alquanto critica", lo aveva gia' scritto a Kautsky il 10 settembre 1896; di se stesso diceva di essere "uno spirito alieno da ogni religione, ortodossia, fanatismi, etc." (a Croce, 3 marzo 1898), e di non essere stato "mai, ne' ripetitore, ne' glossatore di Marx" (a L. Bissolati, 28 maggio 1899). Non sopportava poi che molti considerassero il marxismo "una nuova forma di onniscienza": "Questa gente non capisce che, anche se sono buoni marxisti, per poter parlare di storia, filosofia, etc., devono studiare tutto dal principio, come tutti gli altri uomini. Un giovane Marx nel 1898 si metterebbe con modestia a studiare la logica in Wundt" (a Kautsky, 8 ottobre 1898). Cio' nonostante, rifiuto' di avallare la "crisi", fino al punto di ipotizzare un "complotto internazionale" che la utilizzasse come pretesto (a Croce e a Luise Kautsky, 5 aprile 1899).
Il fatto e' che manteneva distinto il livello teorico da quello della applicazione pratica: il marxismo non perdeva di validita', sia pure nel "tempo indefinito"; subiva un arresto sul terreno politico, ma cio' non faceva che "confermare il materialismo storico" (a Croce, 8 gennaio 1900). In Germania la cosa era seria, perche' li' c'era stata una vera compenetrazione tra movimento operaio e marxismo: percio' riteneva (e l'aveva comunicato a Bernstein) che la "correzione" si dovesse fare "prudentemente e opportunamente dentro il partito stesso, e dentro i limiti del marxismo come dottrina progressiva" (a Luise Kautsky, 5 aprile 1899). Il dibattito sulla "crisi" ebbe tra gli altri come suoi protagonisti l'ex anarchico F.S. Merlino, T.G. Masaryk, e quel "letterato" dilettante di Sorel ("non sa una parola di tedesco" e "non ha studii speciali di economia": a Croce, 31 maggio 1898), che per vanita' era arrivato "ad occupare militarmente un gran numero di riviste", e funzionava da "tromba internazionale" dell'antimarxismo (a Luise Kautsky, 5 aprile 1899). Discutendo in modo piu' meditato della "crisi" e analizzando (giugno 1899) le tesi di Masaryk, il L. affermava la possibilita' di essere "seguaci all'ora presente del materialismo storico" (che, in quanto dottrina, era "una luce intellettuale portata sopra un ordine di fatti", ma di per se' non era "causa di nulla"), dopo aver posto la debita attenzione alla "nuova esperienza storico-sociale" e con una "conveniente revisione dei concetti". Sicche' riconosceva "la irriducibilita' di tutta la societa' presente alle due famose classi, data la sua piu' varia e complessa articolazione"; e l'eccessivo "primitivismo" con cui alcuni socialisti (Engels compreso) avevano "semplificato l'intreccio della storia", il che poteva indurli a "semplificare con soverchio arbitrio l'intreccio della societa' presente". Ammetteva gli "impedimenti all'internazionalismo" che nascevano da "spirito nazionale", e (invitando a distinguere la "crisi" dalla "critica" che aveva caratterizzato i suoi scritti) concludeva non poter essere la politica "se non la interpretazione pratica e fattiva di un dato momento storico": il socialismo doveva a suo avviso rifuggire sia dal "rivoluzionarismo tradizionale", sia dall'"acquiescenza" che poteva farlo "come sparire nell'elastico meccanismo del mondo borghese" (Saggi sul materialismo storico, pp. 303-319).
Il L. fu sorpreso dalle violente agitazioni sociali della primavera del 1898 ("questa prova generale di rivoluzione", scriveva al figlio Alberto Francesco l'8 maggio 1898), confessando di "non capir[ci] niente" (a Croce, 19 maggio 1898). Pochi mesi dopo si convinse che la reazione fosse "oramai vinta", ma anche che il socialismo italiano fosse "tutto in rovina" (a Croce, primo luglio 1898). Piu' tardi condenso' la sua analisi delle sommosse in "un caso inaspettato di anarchismo spontaneo", volutamente esagerato dal governo "per avere pretesto alle repressioni"; e il partito socialista doveva, a suo avviso, sia "difendersi" dalle persecuzioni, sia "stare in guardia contro le pazzie di quelli che credono che si deve fare la rivoluzione" (a Luise Kautsky, 18 maggio 1899). Ripigliando (giugno 1899) la "conversazione interrotta" con Turati ritornato "dalla forzata villeggiatura del reclusorio di Pallanza" - e augurandosi che la Critica sociale riprendesse il suo ruolo di "organo di politica pensata" -, il L. affermava che il partito socialista, lungi dal voler suscitare rivolte, si trovava invece "limitato nella sua azione normale e progressiva dal risorgere continuo delle agitazioni violente intempestive" (Scritti politici, pp. 442-446). L'assassinio di Umberto I ("nato e vissuto nell'orbita della rivoluzione liberale") lo "contristo' profondamente", anche per le possibili "conseguenze politiche". I primi atti del ministero Saracco avevano diffuso la persuasione "che l'Italia non vuole, ne' la rivoluzione, ne' la reazione, e che Pelloux era stato un asino a volerla mettere artificialmente in tale bivio": adesso temeva si affacciasse "di nuovo la libidine della reazione", e alcune "manifestazioni monarchiche" avevano assunto "aspetto canagliesco"; ma sperava che Saracco superasse il "difficile momento coi soli mezzi di una politica liberale" (a L. Morandi, 3 agosto 1900). All'aprirsi del nuovo secolo, il L. consigliava ai socialisti di attenersi all'"attuabile", di non avere "un contegno di freddezza semi-ostile di fronte" alla "politica liberale" del governo Zanardelli-Giolitti, e di mirare ad alcune conquiste di "politica sociale" che riuscissero "di garanzia giuridica al proletariato" (Scritti politici, pp. 467, 477). Partecipando, "da uditore!", al congresso socialista, si diceva meravigliato "della forte compagine sopravvissuta a tante traversie e a tante persecuzioni", ma anche "della straordinaria moderazione della maggioranza dei congressisti". Pur differenziandolo "molte e molte cose" dai socialisti italiani: "Io sono innanzi tutto unitario, e molti di quelli sono federalisti. Io sono anticlericale ex-professo e molti di quelli passano sopra tale bagattella (!) del pericolo clericale. Io vengo dalla scienza [...] e il piu' dei socialisti sono per il facilismo delle comode affermazioni e conclusioni" (a L. Morandi, 17 settembre 1900).
Rimaneva convinto della pausa che avrebbe subito il socialismo e ne individuava le cause nel "campo aperto al capitale dalla politica coloniale", nella "relativa resistenza dell'artigianato e della piccola proprieta'", nell'"ignoranza delle moltitudini" (a Kautsky, 5 ottobre 1900); nell'abbozzo di quello che avrebbe dovuto essere il quarto saggio (Da un secolo all'altro, 1901) aggiungeva gli inceppi nella diffusione della democrazia e del principio di nazionalita', il risorgere del "misticismo", la rinnovata potenza del "cattolicismo". Intervenendo (31 gennaio 1903) sulla Opposizione al divorzio, cioe' al disegno di legge governativo che proponeva di introdurre questo istituto, lo definiva "una legittima e naturale conseguenza logica" del concetto dello "Stato moderno". E argomentava che fosse il sintomo della nuova strategia della Chiesa di Roma: invece di fare una aperta battaglia politica, si era dedicata a "clericalizzare" la societa'; abbandonato l'intento di "ristabili[re] il potere temporale", mirava a provare di essere in grado di "arrestare l'azione dello Stato". Gli "illegittimi eredi" di quei "moderati" della Destra storica, che erano stati non conservatori ma "rivoluzionari temperati", dovevano tenere fermo, non tanto per "salvare" il divorzio quanto per tutelare "il prestigio di tutti i principî liberali". Vedeva anche rinascere l'"Idealismo", che insieme con lo "spirito borghese decadente" significava per lui, che pure aveva combattuto il positivismo evoluzionistico, "l'antistorico, l'antidivenire", "un arresto dello spirito scientifico" e in definitiva "un regresso" (a Croce, 7 settembre 1903).
Ormai stremato nel fisico, privato (per via di un tumore alla gola) dell'"organo pedagogico e democratico della voce" (Saggi sul materialismo storico, p. 334), e impossibilitato a ingerire persino della crema o del cacao, si lamentava (2 gennaio 1904) col suo "benedetto Croce" - al quale lo aveva legato dal 1885 un intenso rapporto, "modello esemplare di quel che dovrebbero essere le relazioni fra maestri e discepoli, fra liberi maestri e liberi discepoli" (Fubini) -: "Peccato che il tuo neoidealismo non possa nulla contro la sprucida (sproede) materia".
Il L. mori' un mese dopo, la mattina del 2 febbraio 1904, all'ospedale tedesco di Roma, e volle essere sepolto nel cimitero dei protestanti della capitale, all'ombra della piramide di Caio Cestio.
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Edizioni degli scritti: I problemi della filosofia della storia, Roma 1887; In memoria del Manifesto dei comunisti, ibid. 1895; Del materialismo storico, ibid. 1896; Essais sur la conception materialiste de l'histoire (trad. dei primi due Saggi), Paris 1897; L'universita' e la liberta' della scienza, ibid. 1897 (rist., a cura di N. D'Antuono, Lanciano 1998); Discorrendo di socialismo e di filosofia. Lettere a G. Sorel, Paris 1898; Socialisme et philosophie (Lettres a' G. Sorel), ibid. 1899; Scritti varii, editi ed inediti, di filosofia e politica, a cura di B. Croce, Bari 1906; Lettere napoletane, in Cronache meridionali, I (1954), pp. 558-584 (rist. in N. Siciliani De Cumis, A. L., 1868-1872, Firenze 1981, pp. 117-154); Opere, a cura di L. Dal Pane: I, Scritti e appunti su Zeller e su Spinoza (1862-1868); II, La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele (1871); III, Ricerche sul problema della liberta' e altri scritti di filosofia e di pedagogia (1870-1883), Milano 1959-62; Scritti di pedagogia e di politica scolastica, a cura di D. Bertoni Jovine, Roma 1961 (2a ed. 1974); Saggi sul materialismo storico (con nota biobibliogr.), a cura di V. Gerratana - A. Guerra, Roma 1964 (3a ed. 1977); Scritti politici, 1886-1904, a cura di V. Gerratana, Bari 1970; Scritti filosofici e politici, I-II, a cura di F. Sbarberi, Torino 1973 (2a ed. 1976); G. Turi, Alcuni inediti di A. L., in Movimento operaio e socialista, n.s., I (1978), 3, pp. 247-257; R. Martinelli, L.: transigenti e intransigenti, in Rinascita, primo giugno 1979, pp. 24 s.; Scritti liberali, a cura di N. Siciliani De Cumis, Bari 1981; S. Miccolis, La scuola popolare di A. L., in Riforma della scuola, XXVII (1981), 2, pp. 28-32; Id., A. L. e il "Monitore di Bologna", in Critica storica, XXI (1984), pp. 259-300; Id., A. L. e le elezioni comunali di Napoli del 1872, ibid., pp. 409-453; Id., Un inedito giovanile di L. sui rapporti tra Stato e Chiesa, in Giorn. critico della filosofia italiana, LXIV [LXVI] (1985), pp. 97-104; Id., Su A. L., Ruggero Bonghi e "La Cultura", in Nuovi Studi politici, XVIII (1988), pp. 43-70; Id., Frammenti politici di A. L., con una postilla bibliogr., in Giorn. critico della filosofia italiana, LXXII [LXXIV] (1993), pp. 473-488; La politica italiana nel 1871-1872. Corrispondenze alle "Basler Nachrichten", a cura di S. Miccolis, Napoli 1998; Id., Una recensione (1887) e sei lettere inedite (1884-1896) di A. L., in Scritture di storia, II (2001), pp. 299-316.
Principali edizioni dell'epistolario: Lettere di A. Labriola a F. Engels, a cura di A. Tasca, in Lo Stato operaio, I-IV, 1927-30; Lettere a Engels, Roma 1949; 123 lettere inedite di A. Labriola a B. Spaventa, a cura di G. Berti, in Rinascita, XXI (1953), suppl. al n. 12, pp. 718-735; XXII (1954), suppl. al n. 1, pp. 65-87; Lettere a E. Bernstein, L. e K. Kautsky (1895-1904), a cura di B. Andreas - G. Procacci, in Annali dell'Istituto G.G. Feltrinelli, III (1960), pp. 285-341; Lettere di A. Labriola a L. Mariano e J. Guesde, a V. Adler e W. Ellenbogen, a G.V. Plechanov (1892-1900), a cura di A. Zanardo, ibid., V (1962), pp. 422-483; La corrispondenza di Marx e Engels con italiani, 1848-1895, a cura di G. Del Bo, Milano 1964, ad ind.; Lettere a B. Croce 1885-1904, a cura di L. Croce, Napoli 1975; Epistolario (1861-1904), I-III, a cura di D. Dugini et al., Roma 1983; Lettere inedite (1862-1903), a cura di S. Miccolis, Roma 1988; Il carteggio di A. L. conservato nel Fondo Dal Pane, a cura di S. Miccolis, in Arch. stor. per le provincie napoletane, CVIII-CIX (1990-91), pp. 1-409; Carteggio: I, 1861-1880; II, 1881-1889; III, 1890-1895; IV, 1896-1898, a cura di S. Miccolis, Napoli 2000-04.
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Fonti e bibliografia: La Societa' napoletana di storia patria custodisce le lettere di B. Spaventa e, nel Fondo Dal Pane, quanto e' rimasto del ricchissimo archivio del L. (oltre a lettere famigliari e varie, i manoscritti dei Saggi, di discorsi e conferenze, gli appunti dei corsi di filosofia della storia, e molte altre note autografe); in Roma, presso l'Arch. centr. dello Stato si conservano il fascicolo personale del L. e le lettere a C. Fiorilli e G. Ferrando. Consistenti parti dell'epistolario sono conservate presso: Amsterdam, Instituut Internationaal voor Sociale Geschiedenis (a Engels, Luise e K. Kautsky, Turati, W. Liebknecht, Ellenbogen ecc.); Mosca, Arch. statale russo di storia sociale e politica (a Engels, Bernstein, Fischer, Luise Kautsky ecc.); Firenze, Biblioteca nazionale (a L. Morandi, F. Protonotari, A. Chiappelli ecc.); Napoli, Biblioteca nazionale (a F. Fiorentino, P.E. e M.R. Imbriani ecc.); Imola, Biblioteca comunale (ad A. Costa); Bergamo, Biblioteca comunale (a S. Spaventa); Stresa, Centro studi rosminiani (a F. Bonatelli); Cambridge, Trinity College Library, P. Sraffa Collection (ad A.C. De Meis e D. Jaja); Mantova, Istituto mantovano di storia contemporanea (a R. Soldi); Napoli, Archivio Croce; Tredozio (Palazzo Fantini), Archivio Fratti.
Per la letteratura fino al 1979, qui limitata all'essenziale o integrativa, si rinvia alle bibliografie in appendice a Saggi sul materialismo stor., cit., e a S. Poggi, Introduzione a L., Bari 1982. G. Gentile, La filosofia di Marx. Studi critici, Pisa 1899 (poi in Id., Opere complete, Firenze 1955, pp. 23-44, 72-81, 125-155); B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica (1900), Napoli 2001, pp. 17-34, 67-118, 135-150; Id., A. L. Ricordi, in Il Marzocco, 14 febbr. 1904 (poi in Pagine sparse, II, Napoli 1943, pp. 35-39); C. Fiorilli, A. L.: ricordi di giovinezza, in Nuova Antologia, primo marzo 1906, pp. 59-63; G. Sorel, rec. a Scritti varii, cit., in Le Mouvement socialiste, VIII (1906), pp. 486-490; R. De Cesare, Il giornalismo napoletano di quarant'anni fa, in La Critica, VIII (1910), pp. 110-115; B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, Napoli 1918 (poi in Etica e politica, Bari 1956, pp. 385-396, 407-411); Id., Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Da lettere e ricordi personali, in La Critica, XXXVI (1938), pp. 35-52, 109-124; L. Valiani, Lettere di A. L. ai socialisti tedeschi e francesi (1890-1900), in Id., Questioni di storia del socialismo, Torino 1958, pp. 375-401; E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani (1875-1895), Milano 1961, pp. 215-260, 283-356; V. Gerratana, introd. a Scritti politici, cit., pp. 9-101; N. Badaloni, L. politico e filosofo, in Critica marxista, IX (1971), pp. 16-35; G. Are, Economia e politica nell'Italia liberale (1890-1915), Bologna 1974, pp. 43-62; L. Dal Pane, A. L. nella politica e nella cultura italiana, Torino 1975; M. Fubini, rec. a Lettere a B. Croce, cit., in Giorn. stor. della letteratura italiana, XCII (1975), pp. 620-625; I. Cervelli, L'esperienza dei Fasci siciliani nel pensiero di A. L., in I Fasci siciliani, II, La crisi italiana di fine secolo, Bari 1976, pp. 49-129; E. Garin, A. L. nella storia della cultura e del movimento operaio, in Critica marxista, XVII (1979), 2, pp. 67-81; G. Labica, Le materialisme marxiste au XIXe siecle. Remarques sur le debat Plekhanov-Labriola, in Raison presente, 1979, n. 51, pp. 15-31; P. Piccone, introd. ad A. Labriola, Socialism and philosophy, Saint Louis 1980, pp. 5-59; A. Meschiari, Per una storia dell'herbartismo in Italia, in Riv. di filosofia, XVI (1980), pp. 98-124; G. Bedeschi, Il marxismo di A. L., in Mondoperaio, XXXIII (1980), 11, pp. 73-82; L.A. Nikitic, A. L.: Biographie eines ital. Revolutionaers (1980), Berlin 1983; L. 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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 68 del primo maggio 2021
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