[Nonviolenza] Telegrammi. 4075



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4075 del 15 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Giovanni Sarubbi
2. Roberto Bonchio
3. Emidio Bruni
4. Paolo Casalegno
5. David Brion Davis
6. Muanamosi Matumona
7. Alice Miller
8. Emanuele Pacifici
9. Armando Peraza
10. Roberta Tatafiore
11. Franco Volpi
12. Vittorio Arrigoni
13. Nina Cassian
14. Rubem Fonseca
15. Clara Geoffroy
16. Giuliano Gramigna
17. Lee Konitz
18. Alcuni estratti da Jennifer Guerra, "Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verra'"
19. Giampietro Berti: Francesco Saverio Merlino
20. Alcuni riferimenti utili
21. Omero Dellistorti: Quando si e' uno di buon cuore
22. Segnalazioni librarie
23. La "Carta" del Movimento Nonviolento
24. Per saperne di piu'
 
1. LUTTI. GIOVANNI SARUBBI
 
E' deceduto Giovanni Sarubbi, giornalista, militante del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita' e la difesa della biosfera, amico della nonviolenza, uomo di pace.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
2. MEMORIA. ROBERTO BONCHIO
 
Il 14 aprile 2010 moriva Roberto Bonchio, resistente, militante del movimento operaio, editore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
3. MEMORIA. EMIDIO BRUNI
 
Il 14 aprile 2014 moriva Emidio Bruni, partigiano e militante del movimento operaio.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
4. MEMORIA. PAOLO CASALEGNO
 
Il 14 aprile 2009 moriva Paolo Casalegno, filosofo.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
5. MEMORIA. DAVID BRION DAVIS
 
Il 14 aprile 2019 moriva David Brion Davis, illustre storico della schiavitu' e della lotta per abolirla.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
6. MEMORIA. MUANAMOSI MATUMONA
 
Il 14 aprile 2011 moriva Muanamosi Matumona, giornalista, teologo, filosofo e sociologo.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
7. MEMORIA. ALICE MILLER
 
Il 14 aprile 2010 moriva Alice Miller, psicologa, saggista, amica dei bambini.
Con gratitudine la ricordiamo.
 
8. MEMORIA. EMANUELE PACIFICI
 
Il 14 aprile 2014 moriva Emanuele Pacifici, storico e testimone della Shoah.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
9. MEMORIA. ARMANDO PERAZA
 
Il 14 aprile 2014 moriva Armando Peraza, indimenticabile percussionista.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
10. MEMORIA. ROBERTA TATAFIORE
 
Il 14 aprile 2009 moriva Roberta Tatafiore, militante femminista e sociologa.
Con gratitudine la ricordiamo.
 
11. MEMORIA. FRANCO VOLPI
 
Il 14 aprile 2009 moriva Franco Volpi, filosofo e storico della filosofia.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
12. MEMORIA. VITTORIO ARRIGONI
 
Il 15 aprile 2011 moriva assassinato Vittorio Arrigoni, attivista della solidarieta' internazionale e giornalista.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
13. MEMORIA. NINA CASSIAN
 
Il 15 aprile 2014 moriva Nina Cassian, poetessa e traduttrice.
Con gratitudine la ricordiamo.
 
14. MEMORIA. RUBEM FONSECA
 
Il 15 aprile 2020 moriva Rubem Fonseca, scrittore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
15. MEMORIA. CLARA GEOFFROY
 
Il 15 aprile 2006 moriva Clara Geoffroy, resistente e militante del movimento operaio.
Con gratitudine la ricordiamo.
 
16. MEMORIA. GIULIANO GRAMIGNA
 
Il 15 aprile 2006 moriva Giuliano Gramigna, giornalista, critico letterario, scrittore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
17. MEMORIA. LEE KONITZ
 
Il 15 aprile 2020 moriva Lee Konitz, musicista.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
18. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA JENNIFER GUERRA, "IL CORPO ELETTRICO. IL DESIDERIO NEL FEMMINISMO CHE VERRA'"
[Dal sito www.tecalibri.info]
 
Jennifer Guerra, Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verra', Tlon, Roma 2020, pp. 150.
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Da pagina 11
"I'm every woman, it's all in me"
(Chaka Khan, I'm Every Woman)
"Quello che riguarda un solo corpo di una sola donna nel mondo riguarda tutte le donne".
E' una frase che mi sono ripetuta come un mantra ogni volta che ho cercato di non ignorare la storia di uno stupro, di un aborto, di una visita dal ginecologo di un'amica, di una pillola del giorno dopo negata. Ogni volta che mi sono sforzata di capire, di andare piu' a fondo per comprendere quelle dinamiche legate al corpo queer a me cosi' estranee eppure cosi' vicine.
Questo libro nasce in un momento politico e sociale complesso, in un giorno in cui sento il bisogno di prendere parte a qualcosa, di fare un'azione significativa. Se chiudo gli occhi, in questo momento vedo un mondo in fiamme: vedo governi sempre piu' autoritari e repressivi, proteste di piazza che scuotono tutto il mondo, persone sempre piu' frustrate da una societa' che sembra aver perso ogni parvenza di serenita' e condivisione. Ho paura, e ho paura che per me e le mie sorelle cominci un abbrutimento, un'abitudine alla paura. Ho pensato alle cose che potrebbero toglierci: i diritti, su cui bisogna sempre vigilare e che non bisogna mai dare per scontati, i soldi - e quelli figuriamoci -, le liberta'.
Ma c'e' una cosa che non potranno mai toglierci: il corpo. Il corpo pieno, desiderante e straripante, il "corpo elettrico", come diceva Walt Whitman. Questa strana, meravigliosa macchina dove tutto e' in lotta e allo stesso tempo in equilibrio.
Il corpo delle donne, a prescindere da cosa abbiano in mezzo alle gambe, e' il corpo per eccellenza. Chris Kraus nel suo meraviglioso romanzo I love Dick dice una cosa importantissima: "Per me il semplice fatto che le donne parlino, siano paradossali, inspiegabili, volubili, autodistruttive, ma soprattutto pubbliche, e' la cosa piu' rivoluzionaria del mondo". Il concetto di "pubblico" sembra la cosa piu' estranea che ci sia al nostro corpo, che siamo abituate a pensare nella sua forma privata e personale. Ma in realta' i nostri corpi non sono semplicemente nostri: c'e' sempre un'autorita' con cui dobbiamo fare i conti. Sono esposti, regolamentati, sfruttati, ingabbiati, scherniti, giudicati, toccati. E per questo sono un terreno politico, uno spazio fisico dove possiamo giocarci la nostra rivoluzione. Per anni le donne hanno fatto politica tramite il loro corpo, battagliando sul diritto all'aborto, sul riconoscimento dell'identita' trans, sulla tutela dalla violenza di genere. Cosi' facendo hanno reso il loro corpo pubblico, come mai prima era stato fatto.
E' necessario ripartire dal corpo, il bene che nessuno può toglierci. Questo e' il mio corpo, che non offro in sacrificio per nessuno. Questo e' il nostro corpo, tanti corpi che ne fanno uno solo.
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Da pagina 15
Il personale e' politico
Il corpo delle donne e' sempre stato un oggetto privato. Dagli assorbenti passati dalla compagna di banco con sotterfugi e giochi di mano che farebbero invidia a uno spacciatore, alle misteriose formule magiche con cui eludiamo tutto cio' che ruota intorno al nostro stato di salute ("le mie cose", "sono un po' indisposta", "ha un brutto male", "in quei giorni"), il corpo nella sua estensione fisica diventa una sorta di fantasma, con cui preferiamo confrontarci solo nello specchio di camera nostra, nel camerino, tutt'al piu' dal medico. Eppure, di corpi di donne ne vediamo ogni giorno, a migliaia, di ogni forma e dimensione: sono quelli che incrociamo per strada e quelli delle influencer di Instagram, sono quelli dei film e quelli delle pubblicita' dello yogurt.
I corpi sono sette miliardi, come le persone sulla Terra, e i corpi delle donne sono circa la meta', tre miliardi e mezzo. Ciascuno di essi e' sottoposto a tensioni e stimoli diversi. A volte sono stimoli positivi, passi in avanti, salti di gioia. Altre volte sono limitazioni alla nostra liberta' e individualita', gabbie in cui veniamo messe o muri che ci erigiamo intorno da sole. I nostri corpi sono vivi nel mondo e il mondo li condiziona e li modifica: portando in giro i nostri corpi, accettiamo di interagire con esso. Li rendiamo, in un certo senso, pubblici.
Negli anni Sessanta un vecchio slogan femminista diceva che "il personale e' politico". Questa idea viene da un pamphlet scritto nel 1969 da Carol Hanisch, quindi da quello che convenzionalmente viene chiamato "femminismo storico" o "femminismo della seconda ondata". Come una marea, la storia dei femminismi si suddivide convenzionalmente in varie ondate: la prima ondata coincide con la fine del XIX secolo e l'inizio del XX e con le lotte, soprattutto nel mondo anglosassone ma anche in Italia, per il diritto al voto. Con il suffragio avvenne anche un generale miglioramento delle condizioni sociali delle donne, che poterono accedere, in vari Paesi occidentali, a un'istruzione, a salari piu' adeguati e alle libere professioni. La seconda ondata corrisponde invece alla grande stagione del femminismo che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. In quest'epoca vennero a galla tutti quegli aspetti della vita personale di una donna di grande impatto sul piano sociale e politico, come la sessualita', la gravidanza e la maternita'. Oggi questa suddivisione cronologica e' stata messa in discussione per due validissime ragioni.
La prima e' che categorizzare in maniera cosi' netta la storia delle donne significa separarla dalla cosiddetta "storia con la S maiuscola", come se le donne non vi fossero coinvolte.
La seconda e' che la teoria delle ondate da' l'idea che il movimento delle donne non sia organico, ma frammentato. In realta' le questioni che hanno caratterizzato ciascuna ondata si riverberano e si intersecano anche in quelle seguenti. E infatti sono qui a parlarvi degli anni Settanta. In ogni caso, per ragioni di chiarezza, anche io mi adeguo a usare questa divisione.
Carol Hanisch conio' il suo slogan in risposta alla chiusura che i vari movimenti libertari, come quello per i diritti civili e quello pacifista, mostravano nei confronti delle donne, i cui problemi e rivendicazioni venivano considerati di minore importanza rispetto alla causa perche' "personali". Scriveva Hanisch: "Come donna di un movimento, sono stata spinta a essere forte, altruista, aperta verso l'altro, pronta al sacrificio, e in generale in controllo della mia vita. Ammettere i problemi nella mia vita e' ritenuto debole. Quindi io voglio essere una donna forte, in termini di movimento, e non ammettere che ho dei problemi reali a cui non riesco a trovare una soluzione personale [...]. E' a questo punto un'azione politica dirlo cosi' com'e', dire cio' che penso realmente della mia vita anziche' cio' che mi hanno sempre detto di dire".
Le sue parole risuonarono per tutta la stagione femminista degli anni Settanta, spingendo le donne del neonato Women's Liberation Movement a organizzarsi in spazi autogestiti, all'interno dei quali potevano parlare liberamente di tutto cio' che le riguardava da vicino, partendo da cio' che meglio conoscevano: la propria esperienza. Questi gruppi autorganizzati e privi di gerarchia o statuto, detti gruppi di "autocoscienza", erano frequentati da persone di tutte le eta', dalle liceali alle nonne. Si parlava soprattutto di sesso, di mestruazioni, di parto, di salute mentale, di fantasie sessuali, di contraccezione e di aborto. Fino a quel momento le donne raramente avevano spazi per poter parlare fra loro.
L'autocoscienza fu, innanzitutto, un tentativo di costruire una coscienza collettiva che per troppo tempo era stata negata: non solo di se', al di la' dei ruoli prestabiliti di moglie e madre, ma anche di classe: le donne si scoprirono e si definirono un "soggetto politico". L'idea che il personale fosse politico genero' nuove forme di attivismo che andavano dal rifiuto di lavare i piatti alle manifestazioni in piazza per l'accesso alla contraccezione. Per la prima volta le donne divennero consapevoli del proprio genere come segmento sociale all'interno di un'istituzione ben definita e definibile: il patriarcato, l'oppressore che riuscirono a individuare proprio percependosi oppresse. Questo le doto' di tutti gli strumenti per organizzarsi politicamente come un corpo di azione e rivendicazione. Tale progresso fu possibile grazie a un passaggio obbligato: rendere visibile la sfera privata.
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Da pagina 22
Mentre delegavamo l'educazione sessuale alle istituzioni non interessate o incapaci di fornircene una, il nostro concetto di "privato" cambiava. Dopo gli anni Settanta - decennio, assieme a quello precedente, di grandi lotte e grandi scoperte - c'e' stata una battuta d'arresto nell'autocoscienza del corpo femminile. E' come se dopo la grande stagione del desiderio, cosi' come la battezzo' la femminista italiana Lia Cigarini, d'improvviso si sia tornati verso una chiusura nei confronti di tutto ciò che riguarda il corpo delle donne. Costruire una coscienza aveva significato riconoscere la natura pulsante del se', la propria autonomia e la propria capacita' non solo di sentire il mondo, ma anche di comprenderlo. E' stata la scoperta del proprio desiderio e della sua natura necessariamente politicizzata, se accettiamo l'idea che il personale (la coscienza) sia politico. Delegando la coscienza all'istituzione, pensando che l'oppressore (il sistema patriarcale) si fosse finalmente accorto di noi e delle nostre esigenze personali, abbiamo lasciato che il desiderio si depoliticizzasse.
Cosi' in breve tempo il personale si e' trasformato in individuale. Abbiamo scoperto il sesso, l'abbiamo fatto e questo ci e' bastato. Non era importante come avvenisse. Ci siamo limitate a individuare un problema che, per usare un termine caro al femminismo degli anni Settanta, si chiama "differenza sessuale". Abbiamo cioe' notato che il modo in cui uomini e donne vivevano la sessualita' era inconciliabile. Noi sempre misurate, caste, timorate. Loro sempre tracotanti, esagerati, virili. Questa differenza ha cominciato a pesare, ma per le ragioni sbagliate. Siamo volute diventare come gli uomini. Siamo cadute nella trappola separatoria che vuole le donne da una parte e gli uomini dall'altra, come su due binari paralleli destinati a non incontrarsi mai. E' stato un errore di calcolo. Abbiamo pensato che se avessimo cominciato a comportarci come gli uomini ci saremmo finalmente liberate. Il nostro personale e' diventato un soddisfacimento egoistico di tutto cio' che abbiamo desiderato e non abbiamo mai avuto, contrariamente a quello che hanno avuto i nostri fratelli, i nostri amici o i nostri compagni. Ma questa differenza sessuale non basta a renderci piu' unite, piu' forti, piu' consapevoli. Anzi, serve solo a separarci. Separarci dagli uomini e separarci tra di noi. L'individualismo ci ha rese perennemente schiave della competizione, che si manifesta nei modi piu' subdoli, e quasi sempre in direzione del corpo. Non solo ci accapigliamo per essere le piu' belle del reame, ma anche le amanti piu' capaci (a far godere il maschio), addirittura le partorienti piu' brave (ci sono donne che fanno a gara vantandosi della propria rapidita' nel travaglio). In questa dicotomia abbiamo deciso di escludere con consapevolezza tutte quelle individualita' non binarie che in questo schema non trovano posto. Perse a rincorrere l'oro olimpico di vere donne, intente a mettere paletti tra brave e cattive femmine, abbiamo sacrificato l'individualita' sull'altare dell'individualismo. E abbiamo fatto un casino.
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Da pagina 57
Nel continuo lavoro per dare un valore al nostro corpo cerchiamo un termine di paragone, un obiettivo. Cosi' arriviamo a considerare "normale" cio' che non ha nulla di naturale: e' "normale" essere prive di peli (non lo e'), avere la pelle priva di qualsiasi traccia di texture (non lo e'), che la carnagione sia solo bianca (non lo e'), essere perennemente giovani (non lo e'). La deviazione verso questa "normalita' a-normale" e' inaccettabile. Queste privazioni, queste discipline, questi sacrifici del corpo, ci hanno rese perfetti contenitori, nella convinzione che essi rispecchino il nostro contenuto. Questa "normalita' a-normale" e' pero' dettata soltanto dall'industria capitalistica della bellezza che risponde allo sguardo maschile e da nessun'altra ragione. Il fatto che il nostro corpo sia necessario al funzionamento di questo meccanismo rafforza sempre piu' l'idea che esso sia un bene di scambio, qualcosa su cui investire, qualcosa da cui trarre profitto. E cosi' lo spezzettiamo in tante piccole parti, le tette, il culo, le gambe, la faccia, ciascuna con il suo valore. Non ci pensiamo complete. Troppo spesso indulgiamo a immaginare il corpo e l'anima come due entita' separate, che hanno diversa importanza. L'anima e' il contenuto avvolto dal corpo, che e' il contenitore. Vorremmo che le due entita' corrispondessero e per questo diventiamo matte ad apparire sempre belle e intelligenti. Quelle che si concentrano su una cosa piuttosto che sull'altra sono in alternativa sceme o brutte. Forse dovremmo semplicemente abbandonare quest'idea e cominciare a pensarci come una cosa sola. La nostra anima non e' distaccata dal corpo: e' il nostro corpo che fa da tramite con il resto del mondo. E' il nostro corpo che ci fa provare piacere o dolore. Le nostre gambe, per quanto le riteniamo corte, grosse o brutte, ci portano nei posti e dalle persone che amiamo.
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Da pagina 79
Ho intitolato questo capitolo "Lo si diventa" per citare forse la frase piu' famosa di Simone de Beauvoir: "Donne non si nasce, lo si diventa". E' la primissima sentenza del capitolo de Il secondo sesso dedicato all'infanzia, nella prima parte del libro, ovvero quella sulla formazione. Nelle righe successive la filosofa dice due cose molto importanti. La prima e' che nessun aspetto biologico, psichico o economico puo' definire la donna; e la seconda, fondamentale per capire questa frase ormai relegata a citazione motivazionale da stampare su segnalibri e magliette, e' che il corpo e' "prima di tutto l'irradiarsi di una soggettivita', lo strumento indispensabile per conoscere il mondo". E costruirlo, aggiungerei io.
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Da pagina 81
Dalla parte delle bambine
Dalla parte delle bambine e' un libro del 1973 scritto da Elena Gianini Belotti. Quando scrisse questo saggio, Gianini Belotti aveva quarantaquattro anni e la sua infanzia l'aveva trascorsa in un tempo in cui le bambine non contavano quasi nulla. Dovevano essere modeste, zitte, beneducate, carine, volenterose, misurate, religiose. Non serviva che studiassero o lavorassero, ma era importante che sapessero sin da subito e alla perfezione come governare la casa ed educare i figli col medesimo rigore con cui erano state tirate su loro. Le bambine erano spose in miniatura, piccole madonne, abituate a conformarsi a un modello di remissiva devozione. Una volta diventata adulta, la scrittrice si rese conto che anche trent'anni dopo le cose per le bambine non erano poi cosi' cambiate. In parte i costumi si erano certamente evoluti: le donne cominciavano a emanciparsi lentamente dai dettami del padre o del marito, era stato introdotto il divorzio, la sessualita' diventava sempre piu' libera, si cominciava a parlare di aborto. Dall'America, soprattutto, era arrivato il movimento femminista con le sue lotte e le sue rivendicazioni. Eppure, il modo in cui venivano educati i bambini e le bambine continuava a essere radicalmente diverso, quasi come se il maschio e la femmina non fossero due sessi diversi, ma proprio due specie diverse. Scrive Gianini Belotti nella premessa del saggio: "La cultura alla quale apparteniamo, come ogni cultura, si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento piu' adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere".
I valori che alla societa' preme conservare e trasmettere sono, senza dubbio, i vecchi ruoli di genere. Quante volte li abbiamo visti in azione? Le bambine sono abituate sin dall'infanzia a giocare con le bambole, mentre i coetanei maschi con le costruzioni. Alle bambine si dice di non correre per non sporcare il vestito - non sia mai rovinassero la loro immagine esteriore! - mentre il bambino viene incoraggiato a muoversi e giocare come meglio crede. Sono esempi banali, quotidiani, se vogliamo, triti e ritriti. Ovviamente questi condizionamenti non terminano con la fine dell'infanzia, ma si protraggono per tutta la vita. E' dimostrato infatti che tale educazione cosi' differenziata produce, soprattutto nelle bambine, grossi problemi di autostima.
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Da pagina 95
Nel saggio Gli uomini mi spiegano le cose, Rebecca Solnit fa' un paragone importantissimo: quando gli uomini mettono a tacere le donne e' come se compiessero una sopraffazione fisica, "[...] insegnando loro, come fanno le molestie per strada, che questo mondo non appartiene a loro. Per noi e' un addestramento all'insicurezza e all'autolimitazione, mentre gli uomini mettono in esercizio la propria immotivata tracotanza".
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Da pagina 141
La narrazione della donna arrabbiata e' un'alternativa efficace alla narrazione stereotipata della donna morta: la rabbia e' azione, volonta', risposta a quell'illusione di universalita' che il Manifesto di Rivolta Femminile chiamava in causa. La rabbia e' desiderio, da cui siamo partite e dove ora arriviamo. La cultura patriarcale ci ha abituate a ragionare per estremi. "Una buona eroina e' un'eroina morta", scriveva Susan Brownmiller. Secondo i canoni del sistema patriarcale, dovremmo essere contemporaneamente delle eroine - sempre pronte a prodigarsi per gli altri, perfettamente aderenti a un codice etico inattaccabile - e delle sante - inermi e inoffensive. Per secoli ci hanno tacciate di essere schiave dei nostri istinti e delle nostre passioni e, con questa scusa, ci hanno relegate a un ruolo secondario nella societa', considerandoci incapaci di prendere le redini non dico del mondo, ma anche soltanto delle nostre stesse vite. Per secoli ogni nostra scelta e' stata imposta da un'autorita' maschile. Ogni nostra ambizione, soffocata. Le donne piu' scomode, quelle che si sono ribellate, sono state eliminate, sia fisicamente sia attraverso la pratica machista della delegittimazione, secondo cui i saperi delle donne non sono scienza, sono folklore; le arti delle donne non sono "belle", sono "applicate"; i romanzi scritti dalle donne non sono letteratura, sono rosa. Ci e' stato sempre imposto di adeguarci a una visione delle cose, a un canone, a un'idea di mondo senza che mai nessuno ci abbia chiesto il nostro parere. Senza che nessuno abbia mai tenuto conto del nostro desiderio.
Caro patriarcato, le colpe che ci attribuisci non sono del nostro corpo. Hai sbagliato tutto. Non siamo arrabbiate perche' abbiamo "le nostre cose", perche' siamo isteriche, o perche' non scopiamo abbastanza. Non sono gli "istinti misteriosi" a guidarci, ne' i nostri ormoni. Come diceva Simone de Beauvoir, non siamo nate donne, lo siamo diventate: se siamo arrabbiate, e' perche' abbiamo scelto di esserlo. Siamo arrabbiate perche' le nostre vite traboccano di desiderio, un desiderio che viene costantemente represso. Cosi' cerchiamo spazi, occasioni, una voce per esprimerlo. Caro patriarcato, ci dici in continuazione che dovremmo essere contente di come stanno le cose, che noi stiamo esagerando. Ci sono le quote rosa, i sussidi di maternita', le leggi di tutela. Ma questo non ci basta: "Vogliamo il pane, ma anche le rose". E non le chiediamo a te, ce le prendiamo da sole.
 
19. MAESTRI. GIAMPIETRO BERTI: FRANCESCO SAVERIO MERLINO
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce dal Dizionario biografico degli italiani, vol. 73 (2009)]
 
Francesco Saverio Merlino nacque a Napoli il 15 settembre 1856 da Antonio e Giovanna Colarossi.
Di ceto medioborghese, la famiglia era fortemente impregnata di cultura giuridica. Il padre, gia' giudice della Gran Corte criminale sotto i Borboni, mantenne l'incarico dopo l'Unita' nella magistratura, divenendo consigliere di corte d'appello. I fratelli Giuseppe e Pasquale divennero uno giudice e l'altro avvocato.
Il M. si laureo' giovanissimo in giurisprudenza presso la facolta' di legge dell'Universita' di Napoli. Nel 1877 comincio' la sua militanza anarchica come avvocato partecipando alla difesa legale degli insorti della banda del Matese. Per aver partecipato a un convegno di operai promosso dagli internazionalisti napoletani, venne arrestato il 10 novembre 1878 e detenuto fino al 5 aprile dell'anno successivo. Nel biennio 1879-81 si fece promotore a Napoli di una serie di iniziative quali la pubblicazione di alcuni periodici, tra cui il Movimento sociale, mantenendo contatti con vari anarchici della Sicilia e della Puglia. La sua militanza si esplico' in modo particolare come avvocato difensore in alcuni importanti processi. Nel 1879 difese davanti alla corte di assise di Castrovillari Giovanni Domanico e Giuseppe Fasoli e, a Firenze, Francesco Natta nel processo che vide imputati pure F. Matteucci, Anna Kuliscioff, i coniugi Pezzi e altri nove accusati.
In quegli anni collaboro' al giornale La Plebe di Milano e pubblico' una serie di opuscoli: Carlo Pisacane (Milano 1879); Vincenzo Russo (ibid. 1879); Il popolo aspetta! (ibid. 1880). In questi primi scritti si puo' notare l'influenza del giusnaturalismo, concezione che si manifesta anche negli articoli pubblicati dalla Plebe e nella prefazione all'opera di S. Englander, L'abolizione dello Stato (ibid. 1879).
Nel 1881 partecipo', insieme con E. Malatesta, al congresso internazionale anarchico di Londra, in cui il problema centrale fu rappresentato dal nodo insurrezionale.
Dal dibattito emerse la tesi della supremazia delle minoranze agenti, con il conseguente riconoscimento della priorita' dell'insurrezione armata, affidata alla volonta' rivoluzionaria. Il congresso londinese segno' una svolta nella storia dell'anarchismo perche', inaugurando di fatto l'eta' del terrorismo individualistico, dell'azione violenta di piccoli gruppi, della lotta diretta tra rivoluzionari e Stato, consegno' gran parte del movimento operaio all'egemonia riformista, mentre defini' l'identita' politica del movimento anarchico come puro e solo movimento insurrezionale.
Nell'aprile 1883 il M. fu arrestato con l'accusa di cospirazione contro la sicurezza dello Stato in concorso con altri internazionalisti. Rinchiuso nelle carceri romane vi rimase in stato di detenzione fino a novembre mentre il processo si svolse a Roma tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 1884. Condannato a quattro anni di carcere, il M. fece ricorso in appello ottenendo la liberta' provvisoria e, prima che la sentenza diventasse esecutiva, fuggi' in Inghilterra.
Durante l'esilio londinese, lentamente ma irreversibilmente, assunse sempre piu' importanza l'attivita' di teorico e di studioso a scapito dell'azione di propagandista. Tra il 1885 e il 1887 pubblico' una serie di opuscoli nei quali sono trattati i problemi dell'ordinamento di una societa' comunista anarchica (Dell'anarchia o d'onde veniamo e dove andiamo, Firenze 1887; La fine del parlamentarismo, Napoli 1887; Socialismo o monopolismo?, Napoli-Londra 1887).
In quest'ultima opera egli risente fortemente del concetto marxiano di "accumulazione originaria". L'influenza di K. Marx, che si ritrova nettissima anche in altre parti del volume, non intacca il concetto anarchico, mutuato da P.-J. Proudhon, secondo cui il monopolio e' prima di tutto una categoria storico-universale, anzi, a dir meglio una categoria metastorica. La "verita'" del capitalismo e' il monopolio, in quanto esso e' l'anima del sistema economico vigente: da un lato il monopolio e' l'approdo logico del capitalismo, dall'altro tale esito svela la "natura ultima" del sistema di dominio perche' il suo principio informatore e' unico, essendo fondato sulla logica del comando e della gerarchia. Nel 1888 pubblico' a Firenze il Manualetto di scienza economica ad uso degli operai, che puo' considerarsi la traduzione propagandistica del precedente lavoro, ma in esso il M. amplio' la riflessione sul comunismo anarchico, la cui suprema istanza andava intesa quale superamento del calcolo economico e quale impossibilita' di definire il concetto di valore; constatazione, questa, che lo porto' a distinguere tale dottrina sia dall'economia politica classica, sia da quella marxiana.
Nel 1889 il M. partecipo' ai due congressi operai internazionali che si tennero a Parigi dai quali usci' il programma operaio internazionale di legislazione del lavoro, la proclamazione della festa del Primo maggio e l'annuncio della nascente Seconda Internazionale. Al congresso marxista non fu data possibilita' al M. di presentare il suo ordine del giorno perche', dopo una vivace discussione tra lui e gli organizzatori del convegno, venne espulso. Si consumo' cosi', attraverso questa esclusione, una nuova spaccatura fra gli anarchici e i seguaci di Marx. Nel 1890 dette alle stampe a Parigi un pamphlet molto suggestivo ed efficace: L'Italie telle qu'elle est.
L'opera non ebbe allora grande circolazione in Italia: fu infatti tradotta e pubblicata la prima volta molti decenni piu' tardi (Questa e' l'Italia, con prefazione di F. Della Peruta, Milano 1953). In questa ricostruzione storica, la lotta politica per l'indipendenza nazionale appare piegata alle aspirazioni del dominio economico capitalista e l'intera vicenda risorgimentale finisce per ruotare attorno allo scontro tra borghesia e proletariato. Nel rapporto decisivo tra Nord e Sud il M. tocca una questione fondamentale della storia italiana: la genesi della modernizzazione capitalistica e il fallimento della rivoluzione democratica. Anticipa, sia pure di sfuggita, quel dibattito fra storiografia marxista e storiografia liberale avvenuto in Italia dopo il 1945, in quanto delinea un modulo storiografico che, per certi versi, si puo' definire gramsciano avant la lettre.
Nei primi mesi del 1890 il M., a Parigi, si impegno' soprattutto a preparare la giornata del Primo maggio. Il 26 aprile fu arrestato a Versailles mentre stava distribuendo volantini che incitavano ad azioni violente. Processato in contumacia dalla corte d'assise della Senna, fu condannato a 2 anni di carcere e a 3000 franchi di multa. Gli fu notificata inoltre l'espulsione dalla Francia.
Il M. riparo' a Malta insieme con Paolo Schicchi. Nel febbraio-marzo del 1891 si reco' in Germania con lo scopo di mettere in contatto gli anarchici tedeschi con quelli francesi e italiani. Proprio in Germania inizio' la sua critica al marxismo, pubblicando nel periodico Societe' nouvelle di Bruxelles alcuni importanti articoli sul socialismo tedesco e in particolare sulla dottrina di Marx (tra l'altro Socialisme et anarchisme, III [1891], pp. 347-355).
Il M. non deve essere considerato un revisionista, ma un critico del marxismo perche' nega che il pensiero di Marx possa esprimere tutto il socialismo. A suo giudizio, infatti, il marxismo non e' altro che una delle scuole del socialismo, la scuola autoritario-collettivistica. Il M., cioe', non critica il marxismo per un "ritorno a Marx", come nel caso di G. Sorel, ne' per l'erroneita' di alcune sue previsioni e indicazioni, come fa E. Bernstein. Nelle sue critiche la demolizione della dottrina marxista tende a essere totale. E' infatti rigettato l'economicismo deterministico perche' considerato scientificamente infondato (come infondate, a suo giudizio, sono anche le previsioni della proletarizzazione crescente); ed e' altresi' respinta la teoria politica della dittatura del proletariato, in quanto giudicata mistificante.
Nel 1892 il M. si reco' negli Stati Uniti, rimanendovi sei mesi. A New York dette vita al quindicinale Il Grido degli oppressi, volto a denunciare le condizioni di vita in cui si trovavano gli immigrati italiani. Ritornato in Europa, porto' a piena maturazione la critica delle tendenze individualiste e terroristiche presenti nell'anarchismo.
L'ultimo atto della sua militanza anarchica avvenne il 30 gennaio 1894, quando fu arrestato a Napoli dopo essere entrato clandestinamente in Italia con l'intento di raggiungere la Sicilia dove divampava il moto dei Fasci. Grazie a un'amnistia, fu scarcerato nel febbraio del 1896. L'abbandono dell'anarchismo avvenne a seguito di un'accesa polemica con Malatesta che si sviluppo' nell'arco di tutto il 1897.
Nel gennaio di quell'anno il M. diresse al quotidiano Il Messaggero di Roma una lettera in cui invitava gli anarchici ad abbandonare il loro tradizionale astensionismo votando per i candidati dei partiti popolari. La replica di Malatesta, che ribadi' le tradizionali ragioni dell'astensionismo anarchico, apri' un dibattito che affronto' tutte le questioni fondamentali della strategia rivoluzionaria e della costruzione di una societa' libertaria, toccando tutti i nodi del rapporto, fra democrazia, socialismo e anarchismo (le tesi del M. furono raccolte nell'opuscolo La conferenza proibita. Democrazia-socialismo-anarchia, Roma 1897).
Da quel momento il M. inizio' un processo di revisione che lo porto' in breve tempo su posizioni socialiste-libertarie e socialiste-liberali. La rottura con il movimento anarchico non impedi' al M. di difendere nel 1898, in qualita' di avvocato, Malatesta nel processo di Ancona e nel 1900 Gaetano Bresci dopo il regicidio. Nel 1897 dette alle stampe la sua opera principale, Pro e contro il socialismo. Esposizione critica dei principi e dei sistemi socialisti (Milano).
Il proposito di questo libro era quello di far chiarezza epistemologica intorno al rapporto fra etica e scienza con lo scopo di formulare un concetto del socialismo in se', indipendentemente dai sistemi con cui e' attuato. Il socialismo, che deve essere il risultato di tentativi e di correzioni continue, non puo' essere racchiuso in una forma prestabilita. Esso e' la risultante di una sintesi antinomica tra le ragioni dell'individuo e quelle della collettivita', tra le istanze socialiste e quelle liberali. Dopo Proudhon, con il M. il socialismo liberale trova la sua prima formulazione concettuale. Il fondamento etico del socialismo liberale si esprime nella realizzazione della giustizia attraverso un doppio ordine di rapporti, i rapporti di reciprocita' e di solidarieta', ordine che va distinto in giustizia retributiva e giustizia distributiva. La prima rappresenta i diritti dell'individuo, la seconda quelli della collettivita'. I due poli, individuo e societa', costituiscono al tempo stesso una realta' antinomica e necessaria. Essi esprimono, a livello ideologico, uno statuto epistemologico preciso: l'accettazione, in campo economico, del soggettivismo edonistico dell'utilita' marginale e la rivendicazione, in quello etico, della responsabilita' personale.
Questo scritto ebbe scarsa risonanza nel mondo politico e culturale socialista. Nel 1898 il M. pubblico', sempre a Milano, L'utopia collettivista e la crisi del "socialismo scientifico", in cui accentuava la critica del collettivismo pianificatore propugnato dal socialismo statalista. Nello stesso anno pubblico' a Parigi una terza opera, Formes et essence du socialisme, che e' in gran parte la fusione dei due libri precedenti.
A quest'opera Sorel, che ne aveva auspicato la pubblicazione, attribui' una grande importanza, premettendovi un'ampia prefazione nella quale annunciava il suo passaggio nel campo del revisionismo.
Nel corso del 1899 il M. dette vita alla Rivista critica del socialismo, allo scopo di gettare un ponte verso la parte intellettualmente piu' viva e militante del movimento operaio, nel momento in cui, forte e improvvisa, scoppiava in tutta Europa la "crisi del marxismo".
La rivista, che si avvalse della collaborazione di Sorel, E. Leone, Bernstein, A. Graziadei e molti altri, svolse una funzione informativa di eccezionale interesse perche' innescava un dibattito di carattere economico e politico fino allora impensabile per il movimento socialista italiano. La battaglia condotta con la Rivista critica, che si scontro' con gli ortodossi del socialismo (per esempio Antonio Labriola) non ebbe pero' successo come e' dimostrato dal fatto che il periodico chiuse dopo appena un anno di vita.
Con la chiusura della Rivista critica l'influenza storica e ideologica di M. perdette peso ed egli si ritrovo' piu' isolato di prima. Alla fine del 1899 aderi' al Partito socialista italiano (PSI).
Il momento piu' significativo della militanza del M. in questo partito e' rappresentato dallo scontro con F. Turati. Nell'opuscolo Collettivismo, lotta di classe... e ministero (controreplica a F. Turati) (Firenze 1901), il M. giudico' incoerente Turati perche', mentre affermava da un lato essere ozioso discutere intorno alla societa' futura, dall'altro pretendeva aprioristicamente da chi aderiva al PSI una fede nel collettivismo marxista. Questa polemica chiuse di fatto la breve militanza del M. nel PSI; d'altronde le sue proposte non ebbero alcuna fortuna presso la massa degli iscritti.
Il M. si stacco' gradualmente dall'attivita' politica militante fino a ritirarsi, dopo il 1904, a vita privata. Nel primo dopoguerra si riavvicino' al movimento anarchico. Nel 1924 pubblico' a Roma con le edizioni di "Pensiero e volonta'" un opuscolo dal titolo assai significativo: Fascismo e democrazia, con una prefazione critica di Malatesta, affermando la superiorita' politica della democrazia. La riflessione sul fascismo si allargo' l'anno successivo ai rapporti tra potere politico e magistratura con l'opuscolo Politica e magistratura dal 1860 ad oggi in Italia, pubblicato a Torino da Piero Gobetti. In questi anni scrisse molti altri lavori (articoli e saggi), che confluirono in gran parte in un'opera postuma dal titolo Il problema economico e politico del socialismo (a cura di A. Venturini, Milano 1948), dove tento' di delineare una sorta di "anarchia possibile", utilizzando parte degli insegnamenti liberali visti in chiave relativistica e libertaria. Dopo il varo delle leggi eccezionali da parte del governo fascista (1925-26) si ritiro' definitivamente a vita privata.
Il M. mori' a Roma il 30 giugno 1930.
Dopo la sua morte furono pubblicati i volumi: Il lato fossile del socialismo contemporaneo. Lineamenti di un socialismo integrale, a cura di A. Venturini, Bologna 1945; Il problema economico e politico del socialismo, a cura di A. Venturini, Milano 1948; Concezione critica del socialismo libertario, a cura di A. Venturini - P.C. Masini, Firenze 1957; E. Malatesta - F.S. Merlino, Anarchismo e democrazia. Soluzione anarchica e soluzione democratica del problema della liberta' in una società socialista, Catania 1974; Il socialismo senza Marx. Studi e polemiche per una revisione della dottrina socialista (1897-1939), a cura di A. Venturini, Bologna 1974; L'Italia qual e'. Politica e magistratura dal 1860 ad oggi in Italia. Fascismo e democrazia, a cura di N. Tranfaglia, Milano 1974.
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Fonti e bibliografia: E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani 1875-1895, Milano 1961, ad ind.; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Milano 1969, ad ind.; E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, Milano 1973, pp. 93-128; M. Galizia, Il socialismo giuridico di F.S. M.: dall'anarchismo al socialismo (alle origini della dottrina socialista dello Stato in Italia), in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, Roma 1977, I, ad ind.; N. Dell'Erba, Le origini del socialismo a Napoli (1872-1892), Napoli 1979, ad ind.; E.R. Papa, Per una biografia intellettuale di F.S. M. Giustizia e sociologia criminale. Dal "socialismo anarchico" al "riformismo rivoluzionario" (1878-1930), Milano 1982; M.R. Manieri, La fondazione etica del socialismo. F.S. M., Bari 1983; G. Landi, Malatesta e M. dalla Prima Internazionale alla opposizione al fascismo, in Bollettino del Museo del Risorgimento, XXVIII (1983), pp. 121-156; A. Venturini, Alle origini del socialismo liberale. F.S. M.: ritratto critico e biografico, Bologna 1983; M. La Torre, Malatesta e M.: un dibattito su anarchismo, democrazia e questione criminale, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XIV (1984), pp. 125-162; G. Berti, F.S. M.: dall'anarchismo socialista al socialismo liberale (1856-1930), Milano 1993; Id., Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, 1872-1932, Milano 2003, ad indicem.
 
20. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
21. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: QUANDO SI E' UNO DI BUON CUORE
 
- Mi scusi signore, ho tanta fame...
- Mi dispiace, ma adesso ho fretta...
- Ho due bambini, che hanno tanta fame anche loro...
- E allora torni da loro, no? Madre snaturata, che ci sta a fare qui in giro a scocciare la gente perbene? Non lo sa che l'abbandono di minori e' un reato previsto e punito dal codice?
- Se mi potesse aiutare, anche un piccolo aiuto...
- Se ha bisogno di un aiuto ci sono le istituzioni preposte. Si e' rivolta alle istituzioni preposte?
- Se mi potesse dare dieci euro per comprare da mangiare, per i bambini, tanta fortuna le auguro, tanta fortuna.
- Ma che e' sorda? Le ho detto di rivolgersi alle istituzioni preposte. Lo sa quali sono le istituzioni preposte? Lo sa, si' o no?
- No, veramente non lo so.
- E allora s'informi, no? Invece d'infastidire la gente onesta.
- Un piccolo aiuto, signore, solo un piccolo aiuto.
- Ah, ma allora proprio te le cerchi, eh? Vuoi proprio buscare, eh? Guarda che chiamo la polizia. La polizia, chiamo, hai capito, svergognata? Poi ci pensano loro a metterti al posto tuo. In gattabuia, in gattabuia finisci, che con voialtre non c'e' altro modo di farvi stare al posto vostro, svergognate che non siete altro.
- No, signore, per favore, non la chiami la polizia, le sto solo chiedendo un piccolo aiuto.
- Ma pussa via, ma vedi di andartene, che ci avrai pure qualche malattia, brutta zozzona.
- Un aiuto, ho tanta fame.
- Guarda che mo' te meno, eh? Se non tiri via subito subito mo' te meno, vedi tu se mo' nun te meno.
- I bambini, un'elemosina per i bambini innocenti...
- Ma che innocenti, ma che innocenti, ci dovevi pensare prima, brutta svergognata.
- La prego, la prego, signore.
- Mo' m'hai proprio stufato, eh?
- La prego, la prego, io vengo a letto se il signore vuole.
- Oh! E ce voleva tanto? 'Nnamo va, che so' 'n alberghetto qui vicino.
 
22. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- AA. VV., A che ci serve Draghi, volume monografico di "Limes. Rivista italiana di geopolitica", n. 3, marzo 2021, Gedi, Roma 2021, pp. 224 (+ 16 pp. di tavole fuori testo), euro 15.
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Riedizioni
- Gianrico Carofiglio, Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose, Feltrinelli, Milano 2020, Rcs, Milano 2021, pp. 130, euro 9,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
 
23. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
24. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4075 del 15 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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