[Nonviolenza] Telegrammi. 4074



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4074 del 14 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Cinque anni fa ci lasciava Pietro Pinna, obiettore di coscienza, anima del movimento nonviolento contro tutte le guerre, gli eserciti e le armi
2. Movimento Nonviolento: Con la War Resisters' International a sostegno dell'opposizione nonviolenta in Myanmar
3. Luciana Castellina: Nilde Iotti, politica e passione comunista
4. Maria Rosa Cutrufelli: La battaglia contro la "cultura barbuta" dei cari compagni
5. Doranna Lupi: Maddalena e le altre nel vissuto della Comunita' di base di S. Paolo
6. Alcuni riferimenti utili
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
 
1. MAESTRI E COMPAGNI. CINQUE ANNI FA CI LASCIAVA PIETRO PINNA, OBIETTORE DI COSCIENZA, ANIMA DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO CONTRO TUTTE LE GUERRE, GLI ESERCITI E LE ARMI
 
Cinque anni fa, il 13 aprile 2016, moriva Pietro Pinna - Piero per quanti lo conobbero, gli furono amici e compagni di lotte nonviolente -, iniziatore del movimento dell'obiezione di coscienza alla macchina militare, collaboratore di Aldo Capitini nell'ideazione e prima realizzazione della marcia per la pace Perugia-Assisi e nella creazione del Movimento Nonviolento di cui lungo l'intero secondo Novecento e in questo inizio del XXI secolo e' stato generoso e inesausto animatore, una delle figure piu' nitide e piu' luminose dell'impegno per la pace e la nonviolenza in Italia.
Lo ricordiamo come uno dei nostri maestri piu' grandi, come uno strenuo e magnanimo educatore dell'umanita' al vero e al bene.
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Una minima notizia su Pietro Pinna
Pietro Pinna, nato a Finale Ligure il 5 gennaio 1927 e deceduto a Firenze il 13 aprile 2016, e' stato il primo obiettore di coscienza al servizio militare per motivazioni non confessionali ma specificamente nonviolente, ed e' una delle figure di riferimento per i movimenti e le iniziative per la pace e una delle personalita' piu' illustri della vita civile italiana. Di origine sarda, Pinna viveva a Ferrara quando, alla fine del 1948, fu chiamato alle armi. Diventato fortemente antimilitarista dopo aver vissuto gli orrori della seconda guerra mondiale, e influenzato dal pensiero di Aldo Capitini, decise di rifiutare di prestare il servizio di leva, passando alla storia come il primo obiettore di coscienza d'Italia per motivi politici. Processato per disobbedienza, fu condannato al carcere una prima volta per dieci mesi, e successivamente per altri otto. Al processo venne difeso dall'avvocato Bruno Segre, che diventera' uno dei piu' famosi difensori italiani nel campo dell'obiezione di coscienza. Venne infine riformato per "nevrosi cardiaca". Pinna in seguito divenne uno dei piu' stretti collaboratori di Capitini, con cui organizzo' la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi nel 1961 (e dopo la scomparsa del filosofo perugino le tre successive), e con Capitini fu fondatore del Movimento Nonviolento di cui fu anche segretario nazionale dal 1968 al 1976. Ha continuato ad operare nel Movimento Nonviolento per tutta la vita e ad essere direttore responsabile della rivista "Azione nonviolenta". Infaticabile promotore della nonviolenza, per le sue storiche, luminose azioni dirette nonviolente per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione, pago' piu' volte in prima persona con il carcere le sue scelte. Il 17 gennaio 1973, gia' segretario del Movimento Nonviolento, in seguito ad una affissione contro la celebrazione delle Forze armate il 4 novembre ("Non festa ma lutto"), fu arrestato a Perugia e condannato per direttissima per vilipendio alle Forze armate. In seguito alle manifestazioni avvenute in suo sostegno in diverse citta', venne liberato quattro settimane dopo su istanza di grazia dell'allora Presidente della Repubblica. Nell'aprile del '79 fu condannato dalla Corte d'Appello di Trieste ad una pena di otto mesi di reclusione per blocco stradale, pena successivamente condonata. Con Carlo Cassola e Davide Melodia fu animatore della "Lega per il disarmo unilaterale". Fu tra gli organizzatori della Marcia Catania-Comiso (24 dicembre 1982 - 3 gennaio 1983) per protestare contro l'installazione della base missilistica statunitense, prima azione concreta di lotta nonviolenta contro le installazioni militari in Italia. Nel 2008 e' stato insignito del Premio Nazionale Nonviolenza. Nel 2012 la Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Pisa gli ha conferito la laurea honoris causa in Scienze per la Pace.
Tra le opere di Pietro Pinna, fondamentale e' "La mia obbiezione di coscienza", Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1994; numerosi suoi contributi sono stati pubblicati in vari volumi, oltre ai molti suoi scritti apparsi su "Azione Nonviolenta". Cfr. anche le interviste riprodotte ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 381 e 472, "La domenica della nonviolenza" n. 21 (ripubblicata anche in "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 252), "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 285; tutte disponibili on line.
Opere su Pietro Pinna: pressoche' tutti i testi che si occupano di pace, obiezione di coscienza e nonviolenza in Italia ricordano la sua figura.
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La "carta programmatica" del Movimento Nonviolento
Ricordare Pietro Pinna e' anche condividere i valori e i principi riassunti nella "carta programmatica" del Movimento Nonviolento, che testualmente recita:
"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli".
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Per sostenere il Movimento Nonviolento e la rivista "Azione Nonviolenta"
Ricordare Pietro Pinna significa anche proseguirne l'impegno organizzativo, educativo, informativo, di pensiero e azione:
1. sostenendo il Movimento Nonviolento.
Per informazioni e contatti con il Movimento Nonviolento:
Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455.
2. sostenendo la rivista mensile del Movimento Nonviolento, "Azione Nonviolenta".
Per informazioni e contatti con la rivista "Azione Nonviolenta":
Direzione e amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax: 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19); e-mail: an at nonviolenti.org ; sito: www.azionenonviolenta.it
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 32 euro sul ccp n. 18745455 intestato al Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona (Iban: IT 35 U 07601 11700 000018745455).
Direttamente dal sito azionenonviolenta.it tramite il bottone E-shop.
Abbonamento solo in formato elettronico, 20 euro.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
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Ascoltare e inverare il messaggio e l'azione di Pietro Pinna
Ricordare Pietro Pinna vuol dire ascoltarne ed inverarne qui e adesso il messaggio, la testimonianza, l'appello, l'azione; e quindi:
- opporsi alla guerra, a tutte le organizzazioni armate, a tutte le armi;
- adoperarsi per salvare tutte le vite;
- impegnarsi per la pace, il disarmo, il riconoscimento, la difesa e la promozione dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
- agire sempre in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di ogni persona e dell'intero mondo vivente;
- contrastare il male facendo il bene;
- opporsi ad ogni violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza;
- soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto;
- condividere tutto il bene e tutti i beni;
- operare per il bene comune dell'umanita': siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
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Ripetendo alcune parole scritte un anno fa
Concludendo questa minima riflessione riproponiamo anche alcune parole che scrivemmo un anno fa, che ci sembra ancora utile sottoporre alla riflessione comune:
"In questi giorni di profondo strazio per le tante persone uccise dall'epidemia e di altrettanto profonda indignazione per l'irresponsabilita', l'intempestivita' e l'inadeguatezza dei governanti che hanno favorito la diffusione del contagio ed hanno abbandonato al pericolo, alla paura, alla fame e agli stenti innumerevoli persone, ricordare l'azione, la riflessione e la testimonianza di Piero Pinna, la viva umanita' di Piero Pinna, e' insieme lieve un conforto e ineludibile un appello.
Un conforto e un appello perche' ispirandosi al suo esempio si puo' con piu' salda forza d'animo, chiarezza di comprensione e persuasa volonta' lottare contro la malattia e la morte, contro la sofferenza e l'oppressione, per il bene comune dell'umanita', per salvare tutte le vite.
Ed anche nel suo ricordo e alla sua scuola ancora una volta chiediamo ad ogni persona di volonta' buona di premere nonviolentemente sul governo nazionale - e per quanto di loro competenza su quelli regionali - affinche' si adottino immediatamente tutte le iniziative indispensabili per contenere il contagio, per salvare vite umane, per aiutare ci ha piu' bisogno di aiuto; e tra queste iniziative innanzitutto le seguenti:
1. vuotare le carceri sovraffollate e mandare le persone attualmente li' ristrette nelle proprie abitazioni o in altri alloggi adeguati in cui sia possibile il cosiddetto "distanziamento sociale" necessario per evitare il rischio di contagio;
2. abrogare tutte le misure razziste contenute nei due "decreti sicurezza della razza", porre fine all'effettuale regime di "apartheid" di cui sono vittima tante persone innocenti, far cessare lo sfruttamento schiavistico e la riduzione coatta in condizioni di vita disumane di cui sono vittima nel nostro paese troppi esseri umani innocenti; riconoscendo finalmente a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti sociali, civili e politici, a cominciare dal diritto di voto secondo il principio fondamentale della democrazia: "una persona, un voto";
3. aiutare con adeguate provvidenze tutti i poveri e gli impoveriti, garantendo immediatamente ad ogni persona alloggio, cibo e tutti gli altri beni necessari alla vita;
4. fornire protezioni sanitarie adeguate per tutte le persone: a cominciare dagli operatori e le operatrici della sanita', dell'assistenza, della pubblica sicurezza, di tutti i servizi pubblici necessari; a cominciare da tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici che con il loro lavoro continuano a produrre e distribuire i beni essenziali alla vita: gli alimenti e gli altri generi di prima necessita';
5. chiudere e tener chiuse fino alla fine dell'epidemia tutte le attivita' orientate al profitto privato non immediatamente necessarie alla vita delle persone;
6. rispettare e far rispettare rigorosamente il principio di precauzione, facendo prevalere la salvezza delle vite umane su ogni altro interesse particolare;
7. rispettare e far rispettare scrupolosamente i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione repubblicana; rispettare e far rispettare scrupolosamente la legalita' che salva le vite;
8. cessare di ingannare la popolazione con una propaganda e una retorica scandalose che hanno come fine di occultare i disastrosi errori dai governanti fin qui commessi il cui esito sono state innumerevoli morti evitabili se si fossero adottati tempestivamente e adeguatamente gli interventi necessari;
9. comprendere e far comprendere che per tutelare il diritto alla vita e alla salute occorre anche un impegno a contrastare l'inquinamento globale che e' il primo produttore e veicolo di nocivita'; ed agire di conseguenza;
10. comprendere e far comprendere che per tutelare il diritto alla vita e alla salute occorre anche un impegno a contrastare le ingiustizie sociali che opprimono la stragrande maggioranza dell'umanita'; ed agire di conseguenza;
11. inverare l'appello del segretario generale dell'Onu alla cessazione di tutte le guerre, attraverso azioni concrete di disarmo, di smilitarizzazione, di aiuti umanitari, di conversione nonviolenta dell'economia, della politica e della societa': cessare immediatamente di produrre armi; cessare immediatamente di favoreggiare guerre, regimi e poteri criminali; soccorrere, accogliere ed assistere tutte le persone bisognose di aiuto.
Ricordando Piero Pinna ogni persona, ogni associazione, ogni istituzione democratica si adoperi per il bene comune dell'umanita' intera.
Nel ricordo di Piero Pinna, alla scuola di Piero Pinna, alla sequela di Piero Pinna la nonviolenza e' in cammino, la nonviolenza e' il cammino...
Solo facendo il bene si puo' sconfiggere il male.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere".
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Un maestro indimenticabile, un esempio per ogni persona di volonta' buona
Pietro Pinna ha dedicato l'intera sua vita all'impegno per la pace, la solidarieta', la giustizia e la misericordia, la liberazione e il bene comune dell'umanita'; lo ricordiamo con gratitudine che non si estingue, lo proponiamo ad ogni persona di volonta' buona come un esempio da seguire.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno comune per la liberazione e la salvezza dell'umanita' intera.
 
2. L'ORA. MOVIMENTO NONVIOLENTO: CON LA WAR RESISTERS' INTERNATIONAL A SOSTEGNO DELL'OPPOSIZIONE NONVIOLENTA IN MYANMAR
[Dal sito www.azionenonviolenta.it]
 
La War Resisters' International (WRI), di cui il Movimento Nonviolento e' sezione italiana, denuncia l'oppressione militare e la violenza in Myanmar, chiede una risposta civile nonviolenta alla crisi e il riconoscimento e la protezione degli obiettori di coscienza e del personale militare e delle forze dell'ordine che si sono rifiutati di partecipare a tali atrocita'.
La War Resisters' International (WRI) sta seguendo da vicino il colpo di stato militare in corso in Myanmar, iniziato il primo febbraio 2021, quando il Tatmadaw – l'esercito del Myanmar – ha rovesciato il governo democraticamente eletto e ha istituito un governo militare.
Da allora, la popolazione del Myanmar e' scesa piu' volte in strada per resistere in modo nonviolento al colpo di stato militare, e il Tatmadaw ha compiuto orrendi atti di uccisione, tortura, violenza e oppressione. Nonostante la grave situazione, il popolo del Myanmar ha continuamente trovato modi potenti e creativi per resistere in modo nonviolento ai militari. La WRI intende offrire loro solidarieta' e sostegno.
Siamo a conoscenza di casi di obiettori di coscienza all'interno dell'esercito e della polizia che stanno scegliendo di rifiutare gli ordini dell'esercito di usare armi, violenza e crudelta' sui manifestanti nonviolenti, e hanno scelto di fuggire dal paese per la loro sicurezza. Il trauma imposto alle famiglie di questi obiettori di coscienza e ad altri in generale, specialmente donne e bambini, sta danneggiando gravemente la vita pacifica delle famiglie e delle comunita' in Myanmar per le generazioni a venire, cosi' come la storia ci insegna.
Crediamo che ci siano modi migliori e piu' umani per affrontare i conflitti e governare pacificamente, piuttosto che imporre metodi violenti e militarizzati per controllare e mettere a tacere le persone. Pertanto, la WRI denuncia l'oppressione militare in corso in Myanmar, chiede una risposta civile nonviolenta alla crisi, e chiede il riconoscimento e la sicurezza per l'obiezione di coscienza del personale militare e di polizia che ha rifiutato di partecipare a tali atrocita'. Sosteniamo anche le richieste di un immediato embargo sulle armi del Myanmar.
 
3. LIBRI. LUCIANA CASTELLINA: NILDE IOTTI, POLITICA E PASSIONE COMUNISTA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "il manifesto" l'11 novembre 2020]
 
Conversazione dal volume "La reggitora" (1), di Peter Marcias. Dal 12 novembre in libreria per Solferino, con le voci di Livia Turco, Marisa Rodano e altri che la conobbero.
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La figura di Nilde Iotti e' importante nella storia del Partito comunista italiano e quindi dell'Italia, visto che quel partito ha rappresentato tanta parte della societa' italiana. Dico importante perche' Nilde Iotti e' stata forse la prima donna, o meglio la prima dirigente del partito, che ha avuto quello che definisco il coraggio della normalita'. Ai tempi, c'era ancora un po' la mitologia della lotta della Resistenza, della clandestinita' e quindi persisteva un'immagine stereotipata delle donne comuniste: arrabbiate, brutte e malvestite. Nilde invece aveva sempre avuto il coraggio di presentarsi come una donna normale, di vestirsi con accuratezza, di andare dal parrucchiere, con un portamento da signora di mezza eta' e non da suffragetta.
Sembra un elemento secondario, ma ha invece una rilevanza politica. Il punto ideologico era affermare che il Partito comunista era un normale fenomeno della societa' italiana e non una setta violenta che operava in clandestinita'. Ben prima di conoscerla personalmente e di lavorare con lei, Nilde Iotti era per me un'icona di donna di sinistra. Per tanti anni ero stata direttora del settimanale della Federazione giovanile comunista, che era un po' un mondo a parte, aveva pochi rapporti con il partito, in particolare con la sezione femminile di cui Nilde era responsabile.
Fui sorpresa, quindi, quando proprio lei mi chiamo' per chiedermi se volevo entrare nel suo staff. Ebbi modo cosi' di conoscerla molto meglio, scoprendo qualita' che all'inizio, forse proprio perche' era cosi' diversa dallo stereotipo, non sospettavo: era una donna molto intelligente e molto curiosa delle novita', per niente sdraiata sull'evidenza delle cose, del tutto lontana dall'idea di una rigida vestale del partito. Mi lascio' fare cose che erano, per il Pci di allora, non solo discutibili, ma anche discusse.
La prima fu un convegno, in accordo con l'Istituto Gramsci, su famiglia e societa' nell'analisi marxista, in cui si riprese a partire da Engels tutta la discussione sul concetto di proprieta' nella famiglia, un tema allora bollente e di stringente attualita'. Nilde non solo mi lascio' organizzare l'evento come volevo, ma partecipo' attivamente, sempre con la sua aria un po' all'antica. Ho un altro bel ricordo di un momento difficile in cui mi fu vicina. Era il 1966 e, all'undicesimo congresso del Partito comunista, Pietro Ingrao fece un celebre intervento, esprimendo pubblicamente il dissenso verso la linea tenuta dalla segreteria. Era un evento enorme: per la prima volta, Ingrao interpretava quel vento di cambiamento che sarebbe divenuto inarrestabile di li' a due anni. Noi giovani diventammo tutti "ingraiani" e fummo tutti allontanati da Botteghe Oscure.
Nilde non solo non ci abbandono', ma condusse per noi una furiosa battaglia in direzione (nonostante si fosse arrabbiata moltissimo anche con noi che non l'avevamo avvisata della nostra scelta). Alla fine, usci' dalla riunione e mi disse: "Ho trovato un compromesso: vai a lavorare nella presidenza dell'Udi". Come dire: una posizione onorevole, ma fuori dal Pci. La soluzione di una donna politicamente coraggiosa e aperta. Credo che questo l'avesse appreso anche da Togliatti, era pure una sua caratteristica.
Il rapporto con Togliatti fu per Nilde un vero e proprio banco di prova. Non fu tanto la nuova relazione di lui, all'inizio, a non essere accettata, ma la fine di quella vecchia. Rita Montagnana era una compagna, una partigiana, un membro della Costituente e molti trovarono disdicevole che Togliatti l'avesse lasciata. Tutto questo avrebbe potuto essere accettato con naturalezza: anche se in Italia non esisteva ancora il divorzio, le rotture matrimoniali erano numerose e ormai accettate nella vita quotidiana. Non fu cosi' per Nilde.
Il partito comunista era molto attento, in quel periodo, a non dare l'impressione di ripercorrere le dinamiche del 1917 e della Rivoluzione d'ottobre, quando si predicava l'amore libero e la fine dei legami tradizionali. Si poneva il problema del rapporto con le masse cattoliche, per cui i comunisti non dovevano essere quelli "contro la famiglia", "che mangiavano i bambini" e cosi' via: accuse che oggi ci fanno sorridere, ma che allora venivano realmente espresse. Ci fu quindi una reazione di protesta, specie nelle sezioni piemontesi: Rita Montagnana era di Torino e per anni Nilde non pote' mettere piede in quella citta', perche' la federazione locale del Pci non la voleva ricevere.
La protesta partiva soprattutto dai vecchi compagni, per cui si trattava quasi di un tradimento della militanza passata. La spaccatura che si creo' nel partito in qualche modo riguardava anche i costumi, il modo di pensare e di sentire la nostra epoca. Ma fu un passo importante perche', proprio grazie a questo scandalo, pote' avviarsi nel partito la grande apertura alle donne che Togliatti desiderava molto.
Quando nel 1946 le donne conquistarono il diritto di voto, una parte del Pci era preoccupata, temendo un trionfo elettorale della Democrazia cristiana per via della maggiore frequentazione femminile della chiesa. Togliatti si oppose a questa visione, sostenendo che la partecipazione attiva delle donne contava infinitamente di piu' rispetto all'avere un voto in piu' o in meno. Nel partito inizio' a crearsi una sorta di suddivisione fra le compagne: c'erano quelle che possiamo chiamare le "cellule femminili", cioe' donne che lavoravano con le donne, e le compagne che invece lavoravano in posizioni e su temi diversi, com'era il mio caso. Non era per niente facile lavorare come gli uomini e insieme a loro, venivamo considerate come qualcosa di "un po' meno", un po' inferiori.
Ricordo che il mio problema essenziale era fare di tutto per assomigliare a un maschio: mi sembrava che quello fosse il punto e ci sarebbe voluto il femminismo, con tanti anni di lotte, per far capire a me e alle altre che non era proprio cosi'. Le donne sono diverse, e il femminismo – che in Italia nacque negli anni Settanta e che fu per me una scoperta tardiva – ci ha insegnato che bisogna riconoscere questa diversita'. Nilde, che era di una generazione precedente alla mia e non fu mai femminista, condusse battaglie fondamentali. In questo senso era ancora piu' sul fronte, sia per i tempi che ha vissuto sia per la sua situazione personale: una donna che nel partito contava, ma che aveva addosso l'ombra del proprio compagno.
E' triste dirlo, ma la vera normalizzazione del rapporto con Togliatti di fronte alla societa' e al partito avvenne con la morte di lui, quando Nilde fu in qualche modo riconosciuta come la sua compagna. La loro era, del resto, ormai una relazione ventennale. Lei pote' sfilare vicino alla salma nel corteo che parti' da Botteghe Oscure. Nilde era troppo riservata per parlare di questa storia ad altri, anche a qualcuno che conosceva bene come me. Ma quando, pochi anni fa, sono state pubblicate le lettere d'amore che lui le scriveva – molto belle, molto appassionate, in qualche modo sorprendenti – ho capito quanto amore ci fosse fra i due e mi sono resa conto che era una cosa che incontrandoli traspariva.
Nilde aveva la capacita' di capire il cambiamento dei tempi. Nella battaglia sulla legge per il divorzio, che per lei aveva anche un aspetto personale, all'inizio il Pci aveva una posizione molto titubante: fu lei a spingere verso una decisione in favore del divorzio, combattendo perche' questo fosse accompagnato da una legge di riforma del codice civile. Era un passaggio fondamentale perche' le donne non avevano alcun diritto e con il divorzio rischiavano di non poter nemmeno conservare la casa in cui abitavano.
Quando Nilde e' diventata presidente della Camera, io ero deputata, eletta nel Partito di unita' proletaria (Pdup), dopo che ero stata radiata dal Partito comunista per la questione del "Manifesto" (e lei fu, insieme a Emanuele Macaluso, l'unica a restarmi vicina). Fu bravissima nel suo ruolo, anche perche' era molto ferma, dura ma educata, tutte virtu' che adesso sono completamente scomparse: oggi la Camera e' un luogo dove la gente si insulta.
La generazione a cui appartengo e' stata molto fortunata: ha vissuto la giovinezza nel Dopoguerra, quando c'era un'enorme fiducia nel poter cambiare il mondo e una gran voglia di farlo. Quando parlo con qualcuno che ha fatto il Sessantotto, in genere ricorda quel periodo come un momento molto felice della propria vita, e a ben vedere il motivo e' che allora c'era un rapporto reale con gli altri. Insieme agli altri siamo diventati protagonisti: la politica e' questo.
Il declino della politica e' rinchiudersi nell'individualismo. L'assenza della politica significa piu' infelicita': l'infelicita' dell'isolamento. Isolamento personale e del Paese. In questo senso, l'Europa fu una grande speranza di Nilde, per esempio. Ebbene, anche qui, oggi penso che purtroppo ne sarebbe delusa poiche' questa Europa non ha nulla a che fare con quella del Manifesto di Ventotene, che si continua a citare senza aver letto e che lei amava tanto. Il Manifesto di Ventotene pensava a un'Europa in cui fosse forte, prioritaria la questione dell'uguaglianza sociale. Uguaglianza, pace, diritti. Quel manifesto ha avuto piu' influenza nella stesura della nostra Costituzione nazionale che nel formarsi della struttura dell'Europa. E Nilde, che aveva preso parte a entrambe, penso sarebbe della stessa opinione.
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Nota
1. "La reggitora. Nilde Iotti nelle parole e nelle passioni", di Peter Marcias (edito da Solferino e con prefazione di Paola Cortellesi), si compone di diverse conversazioni con personalita' che la conobbero e con cui lavoro': Giorgio Frasca Polara, Livia Turco, Ione Bartoli, Marisa Rodano, Rosa Russo Iervolino, Eletta Bertani, Silvio Traversa, Cecilia Mangini, Luisa Lama, Massimo Storchi.
 
4. LIBRI. MARIA ROSA CUTRUFELLI: LA BATTAGLIA CONTRO LA "CULTURA BARBUTA" DEI CARI COMPAGNI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "il manifesto" del 21 gennaio 2021]
 
Come debellare la "cultura barbuta" dei nostri compagni?, si chiedeva Maria Giudice, all'inizio del Novecento. Maria Giudice, una delle prime sindacaliste italiane, al Congresso di Livorno c'era, anche se poi scelse un'altra strada. Ma bisogna dire che le donne del partito comunista, in seguito, hanno ripreso proprio quel suo vecchio interrogativo. A fasi alterne e in modi diversi, pero' non l'hanno accantonato e talvolta, anzi, l'hanno fatto diventare un nodo politico. Da sciogliere, se necessario, anche tramite un conflitto. Le tracce di questo scontro si possono trovare facilmente negli archivi storici, che raccolgono l'immenso materiale prodotto dalle commissioni e dalle sezioni femminili del Pci. Ma sono soprattutto le testimonianze, le memorie, i racconti di vita, che ci restituiscono il senso profondo di quella battaglia e la passione con cui le donne l'hanno vissuta, dentro il partito e fuori. Vale la pena leggerli, questi racconti, perche' trasmettono un entusiasmo contagioso (positivamente contagioso, al contrario del Covid). E di questi tempi l'entusiasmo e' sentimento raro, da tenere ben stretto quando capita d'incontrarlo. Non succede spesso, a dire il vero.
Soprattutto quando l'industria editoriale, in occasione di anniversari o ricorrenze, sforna un libro dopo l'altro, senza troppo sottilizzare. Ma per fortuna ci sono le vecchie edizioni, i vecchi cataloghi. Basta avere un po' di pazienza per scoprire un racconto capace di emozionarti e di farti sentire la voce delle donne che cercano, attraverso la politica, di uscire da un'antica zona d'ombra. "Compagne incarnate", le chiama Concetta La Ferla, protagonista assoluta di un prezioso libro di Maria Attanasio (Di Concetta e le sue donne, Sellerio 2000).
Un libro che e' al tempo stesso autobiografia e biografia, dialogo costante con l'altra-da-se', rievocazione di un'epoca e di una storia. La memoria qui si fa grande scrittura e, partendo da un frammento della realta', ricostruisce un mondo intero: il mondo della militanza comunista, narrato da un punto di vista femminile. Da donne che confessano di sentirsi "accubare", soffocare, in questo tempo attuale senza politica: "come se ci mancasse l'aria". Per la verita' Maria Attanasio non vorrebbe scriverlo, questo libro. E' Concetta La Ferla, "tardocapopolo e protofemminista", a convincerla. "I libri e le parole servono come le piccole lumiere che fanno un po' di luce quand'e' scuro", le dice.
I libri, ragiona Concetta, non sono la luce, ma aiutano a ricordare le vittorie (e i dolori) del passato alle nuove generazioni, che "camminano e non sanno" e inoltre mangiano con "il piatto impiattato", ossia gia' pronto in tavola. Maria Attanasio l'ascolta, ma poi esita, tentenna, riesce perfino a perdere gli appunti. E' troppo forte il coinvolgimento: c'e' anche lei, c'e' il suo passato, c'e' la sua militanza dentro la biografia di Concetta.
Infine si chiede: ma e' proprio necessario "fingere un'ipocrita oggettivita'"? La memoria non e' tanto piu' forte quanto piu' condivisa? Emotivamente condivisa. Ed ecco nascere questo libro che, proprio come una piccola lumiera, getta un fascio di luce sopra un episodio che certi storici considererebbero senz'altro minore. Ma minore non e', anche se si svolge nella provincia siciliana, a Caltagirone, e ha al suo centro una battaglia che puo' sembrare di scarsa rilevanza: l'apertura di una sezione femminile nel Pci locale. Un fatto, si direbbe, organizzativo. Nulla di piu'. E invece all'epoca, verso la fine degli anni Sessanta, provoco' una specie di terremoto nel partito e una reazione maschile scomposta e vendicativa. In un certo senso, fu la dimostrazione che Maria Giudice, in quel lontano 1921, aveva visto giusto: una cultura barbuta non puo' che produrre una politica barbuta. Eppure Concetta non e' certo un'infiltrata. E' anzi di schietta discendenza comunista: "Quando mio padre mi fece – era nel Trenta – di sicuro quella notte pensava alla bandiera rossa. E nacqui io". In piu', ha al suo attivo un impegno costante nel partito: ha organizzato la battaglia per l'acqua (e l'ha vinta), quella per la luce elettrica e per la fognatura.
Mobilitando, ogni volta, le donne. Ed e' proprio questa sua esperienza a farle venire in mente l'idea di una sezione "delle" donne, dove ritrovarsi senza suscitare troppe chiacchiere nel vicinato. Ma a questo punto scoppia l'inferno. I compagni, racconta Concetta, ci dicevano che "per la nostra superbia di donne volevamo rovinare un partito: la sezione femminile, maimai; doveva essere bloccata sul nascere. E successe un parapiglio di riunioni, di attacchi e contrattacchi". Concetta ormai, per i suoi stessi compagni, e' la pazza. O la buttana (come le sue seguaci, che erano molte e altrettanto determinate).
Alla fine, malgrado l'opposizione dei dirigenti locali, la sezione si fa. Anche se dura soltanto due anni e se prende il nome di "Lenin" e non di "Rosa Luxemburg", come volevano le donne. Un punto, quest'ultimo, molto significativo, perche' ci dice cosa era davvero in gioco in quella battaglia: un potere simbolico. E Concetta ne e' assolutamente consapevole. "Quando mi toccavano l'autonomia delle donne", confessa, "io perdevo il controllo mentale della situazione. Si arrivava alle mani".
Anche Miriam Mafai, nella prefazione a un altro delizioso libretto del 1992 (Vera Pegna, Tempo di lupi e di comunisti, La Luna edizioni), sottolinea la capacita' delle donne di cogliere, nei loro racconti, "alcuni particolari che assumono una forza quasi simbolica". In Tempo di lupi e di comunisti, Vera Pegna ripercorre la sua esperienza di giovane militante mandata a costruire il partito a Caccamo: un paese di mafia, "dove non ci vuole andare nessuno". Un'autobiografia che fa riflettere, ma anche sorridere. Indimenticabile il vecchio segretario di sezione che accoglie la giovane indossando una fascia tricolore con la scritta "Il segretario" ricamata in lettere d'oro. Indimenticabili le reazioni perplesse dei compagni, di fronte alla giovane donna (per di piu' forestiera) che dovrebbe dirigerli. Ma anche se Vera non riesce nel suo intento e dunque la sua, come ricorda Miriam Mafai, "non e' una storia a lieto fine", pero' un risultato l'ottiene. Perche' a Caccamo c'era l'abitudine, durante le sedute del consiglio comunale, di far sedere in una grande poltrona accanto al sindaco il capo-mafia locale. E Vera da' battaglia e riesce a togliergli la poltrona.
Un risultato, per l'appunto, di grande forza simbolica. Come il cambiamento innescato da Concetta La Ferla e dalla sua "eresia" politica. "La nostra battaglia", riconosce a un certo punto la proto-femminista di Caltagirone, "non ha portato il socialismo, pero' ha cambiato il modo di pensare, e senza modo di pensare non c'e' vittoria rivoluzionaria". Non per niente, aggiunge poi con orgoglio, il nostro e' stato "uno sperimento nazionale"!
 
5. LIBRI. DORANNA LUPI: MADDALENA E LE ALTRE NEL VISSUTO DELLA COMUNITA' DI BASE DI S. PAOLO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "Viottoli" nel dicembre 2020]
 
Maddalena e le altre. La Chiesa, le donne, i ministeri, nel vissuto di una storia (2020) e' il titolo del libro in cui la comunita' cristiana di base di S. Paolo di Roma ha scelto di raccontare la propria storia, nella convinzione che possa indicare percorsi, anche inediti, alle ipotetiche future protagoniste e protagonisti di una rivoluzione copernicana che sicuramente arrivera' nella Chiesa. Con questo sguardo fiducioso e aperto al cambiamento hanno scritto un testo non accademico, nonostante il supporto di un grande patrimonio di letture e scambi, che pero' dice l'essenziale sul tema annunciato nel sottotitolo. Poche pagine, che mettono bene a fuoco la fecondita' di una storia incarnata in una comunita' cristiana dove il seme della liberta' femminile e' germogliato in pratiche di vita ecclesiale trasformative.
Per le sorelle e i fratelli della comunita' i contenuti della loro storia sono sempre stati un'esperienza viva, a contatto con gli eventi e le circostanze del momento. Intrecciando la storia delle donne nella Chiesa e il percorso femminista al vissuto della comunita', hanno narrato una storia che parla al presente, perche' racconta una rivoluzione ancora in atto, che non riguarda solo le donne, bensi' uomini e donne per un profondo cambiamento epocale, "una mutazione antropologica in corso", come scrisse J. Kristeva (p. 43).
La forza di questo racconto sta proprio nel fatto che Maddalena e le altre donne che hanno accompagnato Gesu' in Galilea, dando poi inizio all'annuncio evangelico nelle prime comunita' cristiane, sono le testimoni di un vissuto autentico delle origini, che e' tornato a essere realta' concreta in alcune comunita' post-conciliari, grazie al desiderio delle donne e all'intrinseca verita' e autenticita' di questa proposta.
In origine, spiegano le autrici e gli autori del libro, il rapporto di Gesu' con le donne apre uno squarcio imprevisto e scandaloso nel sistema patriarcale, costretto in seguito a spendere moltissime energie per ricucire lo strappo e ricondurre le donne al "loro posto". E cosi' quasi tutte le Chiese, a suon di anatemi, repressioni, dogmi e colti castelli teologici, hanno dimenticato il mandato di Gesu' alla Maddalena che per prima lo vide risorto e alla quale egli affido' il compito dell'annuncio: "Va' dai miei fratelli e di' loro: io salgo al padre". Cosi' com'e' stata rimossa la confessione cristologica di Marta per dare tutto lo spazio a quella di Pietro, su cui poggiano le fondamenta del Papato. Leggendo i Vangeli e' evidente che molte donne hanno accompagnato Gesu' fino alla fine, senza fuggire o rinnegarlo, e che furono le prime testimoni e annunciatrici della resurrezione. Fin dall'inizio, pero', questo ha creato imbarazzo e resistenze. Nella prima lettera ai Corinzi Paolo scrive che, quando ha incontrato i capi della Chiesa di Gerusalemme, da loro ha ascoltato un racconto della Resurrezione in cui sono gia' sparite le donne, anche se egli stesso testimonia quanto fossero ancora presenti nelle prime comunita', partecipando attivamente ai vari ministeri. La reazione antifemminista nella Chiesa, dunque, non si fece attendere, mettendo in atto, con tutti i mezzi a disposizione, l’esclusione delle donne dal sacro.
Nonostante questo, le donne non si sono mai fatte completamente condizionare dalle dottrine e dai dogmi, mantenendo sempre un rapporto intimo e personale con il divino. Anche la devozione mariana si e' piegata a questa esigenza, fino ad assumere la funzione di referente divino femminile, per dare una risposta al bisogno di una divinita' in cui rispecchiarsi.
Il punto di forza su cui far leva, l'orientamento per ogni tentativo di ristabilire la loro liberta' nella Chiesa, nel corso della storia e' sempre stato, per le donne, il modello egualitario delle prime comunita' cristiane. Nei secoli XI-XIII, in Europa, vedove, mistiche, beghine si raccolsero, come i cristiani delle prime generazioni, in case private e, senza alcuna consacrazione, si dedicarono alla preghiera, alle opere assistenziali, all'apostolato (p. 29). Alcune di loro, testimoniando un rapporto diretto con un divino differente, si spinsero fino a interpretare le Scritture fuori dalle intermediazioni clericali, come Margherita Porete, che fu messa al rogo dopo che furono bruciati i suoi scritti. Anche se hanno pagato tributi altissimi, la voce delle donne, nel corso della storia, non e' mai stata tacitata del tutto e molte storiche hanno riportato alla luce una ricca genealogia femminile, che ci ha rafforzato nella nostra ricerca di identita'.
Fino ad arrivare al femminismo cristiano di fine '800 con Elisa Salerno, che poneva a fondamento il Vangelo come l'unico testo che rispetta la dignita' delle donne: per lei negare il riconoscimento della personalita' e dell'integrita' della donna significava volere il Vangelo soltanto per meta'.
La radicalita' del binomio Vangelo/Femminismo si e' rivelata molto efficace nella storia: Gesu' ha saputo ascoltare e riconoscere la profonda dimensione spirituale delle donne, e il femminismo ha rimesso in circolo voce e autorita', in una rete di relazioni femminili che ha dato loro molta forza.
Questo e' quanto e' successo anche nella comunita' di base di S. Paolo, costituitasi nel settembre del 1973 attorno al proprio presbitero Giovanni Franzoni, abate di S. Paolo fuori le Mura. Egli, in seguito alle sue posizioni contro il conservatorismo religioso e politico italiano, fu costretto dal Vaticano a dare le dimissioni. In seguito fu sospeso a divinis e poi ridotto allo stato laicale. Attorno a Franzoni, uomo di grande carisma, si aggregarono gruppi di laici, giovani uomini e donne provenienti dall'Azione Cattolica e dal mondo scout, per mettere in pratica gli stimoli suscitati dal Vaticano II e dal movimento del '68.
Si avvio' cosi' una ricerca, radicata nella prassi concreta della comunita', sul senso piu' autentico dei sacramenti, alla luce del Vangelo. L'indagine sul significato profondo di Ordine (sacerdozio) ed Eucarestia guido' le sorelle e i fratelli alla scelta di celebrare comunitariamente l'Eucarestia, anche senza un presbitero di riferimento. Il principale avallo, pero', lo dettero ancora una volta i Vangeli, dove si narra l'ultima cena descrivendola come un banchetto pasquale al quale, nello stesso modo in cui avviene ancora oggi nelle famiglie ebraiche, partecipa tutta la famiglia al completo. Questa cena, aperta ai dodici, accolse sicuramente anche le discepole che accompagnavano da tempo Gesu' in Galilea. In quell'occasione Gesu' non intese creare una casta sacerdotale maschile vietata alle donne, ma volle significare che chiunque avesse accettato il suo discepolato avrebbe dovuto – come lui – spezzare la propria vita per gli altri (p. 54).
In quel periodo di straordinario fermento ecclesiale, sociale e culturale, le donne della CdB di S. Paolo godevano nella comunita' di una dimensione totalmente paritaria, ma erano ancora completamente immerse in una cultura maschilista che pretendeva di parlare a nome di tutti, uomini e donne (p. 47). Abitate da questa inquietudine giunsero al seminario nazionale delle CdB italiane "Le scomode figlie di Eva – Le CdB si interrogano sui percorsi di ricerca delle donne", tenuto a Brescia nel 1988.
In quell'occasione, in cui anche io ero presente con le amiche del gruppo donne CdB di Pinerolo, nato nel 1986, durante la celebrazione eucaristica "per la prima volta mani di donna spezzarono il pane", come riporto' la stampa (p. 58).
L'efficacia simbolica di quel gesto eucaristico al femminile ebbe un forte influsso sui nostri percorsi successivi di donne delle CdB. Il pane spezzato e distribuito da mani di donne riconduceva al banchetto pasquale, alla naturalezza di gesti quotidiani condivisi sulla tavola in famiglia. Non c'era nulla di rivendicativo o provocatorio, bensi' s'irradio' un forte desiderio di liberta' femminile, che apriva possibilita' inedite nell'espressione della propria differente ministerialita' all'interno della Chiesa. Questo seminario fu uno spartiacque, non solo per le sorelle della comunita' di S. Paolo, ma per tutte noi. Stavamo comprendendo di non voler piu' essere assimilate al mondo degli uomini. Cambiando il rapporto donna con donna acquisivamo indipendenza simbolica, cogliendo il nostro valore.
Le scomode figlie di Eva hanno poi fatto un grande lavoro di ricerca spirituale, di autocoscienza, di sperimentazione liturgica, di riflessione teologica condivisa con donne cattoliche e protestanti, attraverso il collegamento italiano dei gruppi donne delle comunita' cristiane di base. Per questo motivo la mia lettura assume due prospettive diverse.
La prima e' quella di chi ha condiviso questa esperienza e constata l'efficacia di un percorso che s'incarna nella vita di una comunita', trasformando anche gli uomini. Nella comunita' di S. Paolo gli uomini hanno accettato di confrontarsi autenticamente con donne che hanno assunto questi criteri, comprendendo che era in gioco la liberta' di tutti. Lo stesso Giovanni Franzoni ha seguito sempre con attenzione il percorso delle donne senza mai intromettersi nel loro cammino, adeguandosi nel linguaggio e condividendone sovente le intenzioni (p. 64). Altre comunita' di base in Italia sono arrivate alla rottura o all'esclusione pur di non toccare il nocciolo della questione, che in un ambiente progressista come quello delle CdB non e' certo l'uguaglianza tra i sessi, bensi' rompere l'illusione patriarcale del maschile neutro universale come chiave di lettura omnicomprensiva, anche nel rapporto con il divino e con la teologia.
La seconda prospettiva e' data dalla meraviglia per la puntualita' a un appuntamento della storia con cui esce questa pubblicazione. Il libro mi e' arrivato quasi contemporaneamente all'invito di partecipare all'incontro virtuale con la teologa francese Anne Soupa, che a maggio del 2020 ha proposto la sua candidatura alla diocesi di Lione, ponendo, con il suo gesto, all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale lo scandalo di una chiesa cattolica androcentrica. Sul tema del ruolo della donna nella Chiesa sono intervenuti molti papi, da Giovanni XXIII a Francesco, che hanno ribadito il no al sacerdozio femminile, anche se con toni "dolci" e "paterni" rispetto ai padri della Chiesa. Nonostante l'inserimento di donne, laiche e religiose, in posizioni di responsabilita', ancora non si e' arrivati al pieno riconoscimento della figura femminile. Soupa ha avuto il sostegno di una campagna internazionale sostenuta dal Catholic Women's Council (CWC), una rete che unisce a livello globale i diversi gruppi di cattoliche che lavorano per il pieno riconoscimento della dignita' e dell'uguaglianza delle donne nella Chiesa cattolica.
Queste relazioni, fiorite anche a distanza in tempo di covid, ci consentiranno di condividere il nostro specifico di donne CdB, mostrando un desiderio concreto, che non si limita a interpretare il sacerdozio femminile come una questione di parita' "sulle orme di quello maschile", ma come espressione della necessita' di mediazione femminile con Dio, che va interpretata con il senso libero della differenza sessuale.
Nel frattempo, a Roma, la comunita' cristiana di base di S. Paolo ha sperimentato, nel corso di mezzo secolo, una "Chiesa altra", nella quale uomini e donne, senza distinzione, spezzano il pane eucaristico in memoria di Gesu', onorando il suo mandato alla Maddalena. Non resta, secondo loro, che attendere una nuova Pentecoste, in cui un concilio di "madri" e "padri" cambi radicalmente teologie e prassi secolari della Chiesa cattolica, non piu' accettabili.
 
6. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Riletture
- Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralita' nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. XIV + 826.
- Claudio Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuita' dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. XXII + 298.
- Claudio Pavone, Sulla Resistenza, a cura di Gianpiero Landi, Centro studi Francesco Saverio Merlino, Castel Bolognese (Ra) 2021, pp. 32.
 
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
9. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4074 del 14 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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