[Nonviolenza] Telegrammi. 4067



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4067 del 7 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Oggi, 7 aprile, il "Digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti"
2. Gianni Gambin
3. Stefano Merlini
4. L'Anpi di Nepi ricorda Giuseppe Tacconi
5. Fulvia Bandoli: Laura Conti, ambientalista tra ragione e passione
6. Valeria Fieramonte: Laura Conti, una scienziata partigiana
7. Lia Tagliacozzo: Edith Bruck, una tessitura di vita nella lingua dei fatti
8. Sara De Simone: Nel segno futuro di Margaret Atwood
9. Stefania Tarantino: Simone Weil, quella grammatica spirituale e politica
10. Alcuni riferimenti utili
11. Tre raccolte di racconti di Omero Dellistorti: "Il cugino di Mazzini", "Due dure storie" e "Storie nere dall'autobiografia della nazione"
12. Segnalazioni librarie
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
 
1. INIZIATIVE. OGGI, 7 APRILE, IL "DIGIUNO DI GIUSTIZIA IN SOLIDARIETA' CON I MIGRANTI"
 
Oggi, mercoledi' 7 aprile 2021, si svolge il "Digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti" che si tiene ormai da anni il primo mercoledi' di ogni mese.
Per informazioni e adesioni: digiunodigiustizia at hotmail.com , info at cantierecasacomune.it
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Di seguito riproponiamo la dichiarazione di adesione del responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo.
"Mercoledi' 7 aprile prendero' parte al digiuno promosso da padre Alex Zanotelli e dalle altre persone amiche del movimento del "digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti".
E trovo di grande valore che a questa iniziativa si siano associate anche le persone amiche impegnate affinche' l'Italia finalmente sottoscriva e ratifichi il Trattato dell'Onu per la proibizione delle armi atomiche.
L'impegno per i diritti umani di tutti gli esseri umani e l'impegno per la pace e il disarmo sono una cosa sola.
L'impegno per la dignita', la liberazione e la salvezza dell'umanita' intera e l'impegno per la salvaguardia dell'intero mondo vivente sono una cosa sola.
Digiunero' anche ricordando l'amico e compagno di lotte nonviolente Giuseppe Tacconi, antifascista e uomo di pace sempre sollecito del bene comune, di cui ricorre oggi il quinto anniversario della scomparsa.
Digiunero' insieme a tante persone che come me partecipano a questa iniziativa per riaffermare il diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignita', alla solidarieta'; il dovere di ogni essere umano alla condivisione del bene e dei beni; il dovere di ogni umano istituto a difendere ogni essere umano da ogni violenza.
Digiunero' per ricordare a me stesso ed altrui le innumerevoli persone che ancor oggi subiscono violenze inenarrabili; che ancor oggi sono esposte alla denutrizione e fino alla morte per fame; che ancor oggi sono vittime di disumana ingiustizia, di dittature, guerre, poteri criminali, del "disordine costituito" e dell'indifferenza che favoreggia la mole di male che l'intera umanita' ed ogni singola coscienza deturpa ed opprime.
Digiunero' per chiedere al governo e al parlamento del nostro paese di rispettare finalmente la Costituzione della Repubblica italiana, che informa il nostro ordinamento giuridico e la nostra civile convivenza al dovere di rispettare e soccorrere ogni persona, al dovere della pace, della solidarieta', dell'aiuto reciproco.
Digiunero' per testimoniare la necessita' che con la lotta nonviolenta dell'umanita' senziente e pensante s'inveri il programma di Giacomo Leopardi: che tutti gli esseri umani si uniscano contro il male e la morte; che nessuna persona sia oppressa, sfruttata, emarginata, abbandonata al dolore, alla paura, al misconoscimento e alla denegazione, al nulla che tutto divora.
L'ho ripetuto tante volte nel corso degli anni, voglio ripeterlo una volta ancora: si realizzino immediatamente nel nostro paese quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo".
 
2. LUTTI. GIANNI GAMBIN
 
L'8 febbraio (ma ne abbiamo avuto notizia solo ora) e' deceduto don Gianni Gambin, costruttore di pace, persona buona.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
3. LUTTI. STEFANO MERLINI
 
E' deceduto Stefano Merlini, giurista illustre e appassionato amante della lirica.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
4. MEMORIA. L'ANPI DI NEPI RICORDA GIUSEPPE TACCONI
[Dal direttivo della sezione Anpi "Emilio Sugoni" di Nepi (Vt) riceviamo e diffondiamo]
 
Il 5 aprile di cinque anni fa moriva Giuseppe Tacconi, presidente della sezione Anpi "Emilio Sugoni" di Nepi, architetto e docente universitario, un antifascista, un uomo buono, generoso, intelligente, un vero costruttore di Pace.
Nella sua vita fin da giovane si e' sempre  battuto per la difesa della democrazia, dei diritti inviolabili di tutte le persone, dei piu' poveri e degli oppressi. Giuseppe soleva ripeterci  continuamente: "Leggete e rileggete sempre le Lettere dei condannati a morte della Resistenza; e' a loro che dobbiamo la nostra Costituzione da amare e difendere sempre, quella Costituzione che riconosce i diritti fondamentali per tutti gli esseri umani, che accoglie le persone migranti in fuga da violenze e fame, che ogni guerra ripudia e invoca sempre la Pace".
In giorni come questi attanagliati dalla sofferenza fisica e dall'incertezza sociale ed economica per la pandemia da Covid-19 sentiamo con maggior dolore la perdita di persone come Giuseppe Tacconi che hanno speso tutta la vita per rendere davvero concreto il nostro dettato costituzionale e oggi in particolare il diritto alla salute per tutti che passa per il riconoscimento della dignita' umana ad ogni persona vivente su questo pianeta.
Siamo grati a Giuseppe per la sua vita, per il suo insegnamento che cercheremo di seguire ed onorare e che indichiamo ad esempio a tutti i cittadini e in particolare ai giovani.
 
5. MAESTRE. FULVIA BANDOLI: LAURA CONTI, AMBIENTALISTA TRA RAGIONE E PASSIONE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "Domani" il 28 marzo 2021]
 
Duemilaventuno, anno di centenari illustri: quello del PCI, quello di Gianni Agnelli. Per me e per altre donne ambientaliste e femministe, quello di Laura Conti, medica, partigiana, comunista, deportata, ecologista, scrittrice e divulgatrice formidabile di conoscenza e scienza. Eppure per trovare notizia di questa ricorrenza bisogna spulciare con cura siti Internet, e si trovano soltanto alcuni articoli e qualche convegno. Nessun grande giornale, salvo uno, ha fatto inserti o pagine dedicate, nessuna trasmissione tv ha approfondito la figura di questa donna straordinaria. E pur essendo tornata molto di moda quella che lei, sempre diretta e trasgressiva, forse chiamerebbe "l'ecologia fatta di buone maniere", nessuno si interroga su quali siano le origini del pensiero ambientalista in Italia, dell'ambientalismo scientifico o dell'ecologismo razionale, come lo chiamava lei, con un'insistenza quasi maniacale. Si facesse questa ricerca, la prima persona che si incontrerebbe sarebbe proprio Laura Conti. Ma in questo buio, alcuni giorni fa, si e' accesa una luce: grazie alla casa editrice Fandango e' uscito un delizioso libro scritto da due femministe, Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi, dal titolo "Laura non c'e'". Ed e' stato ristampato anche "Una lepre con la faccia da bambina" che Laura Conti scrisse dopo la tragedia di Seveso. Mia madre me lo fece leggere, ma di persona la conobbi solo nel 1991 quando venne a Botteghe Oscure (lei parlamentare Pci, io responsabile nazionale Ambiente da un mese) e la prima cosa che mi disse brusca e diretta fu: "Io e te abbiamo subito una brutta grana da risolvere, fare una legge per regolare la caccia e avremo contro tutti, i cacciatori perche' togliamo loro i privilegi e diamo regole stringenti, e i Verdi che invece vogliono abolirla". Ma io volevo parlare di Seveso, perche' lei era stata la persona che aveva affrontato il primo grande disastro ambientale italiano in tutti i suoi aspetti. E' il 10 luglio 1976. Brianza. Zona di mobilifici famosi ma nell'area c'e' anche un'industria chimica svizzera, l'Icmesa. Il reattore A101 rileva un guasto, gli operai non riescono ad arginare il danno e uno dei piu' potenti e tossici componenti chimici, la diossina, fuoriesce nell'aria. L'impatto e' micidiale. Muoiono 80.000 capi di bestiame, le abitazioni in zona A vengono abbattute e altre abbandonate. Sono gravi anche i danni alla salute dei cittadini. Vengono evacuate 700 persone. Alle donne in attesa di un figlio viene concesso, se temono malformazioni ai nascituri, di ricorrere alla interruzione di gravidanza; da quella vicenda parte una discussione difficile sull'aborto terapeutico e in generale sulla possibilita' che sia una libera scelta della donna. Dopo due anni, nel 1978, l'Italia si dotera' di una legge in materia. Una delle persone che stara' accanto alle donne e alla popolazione di Seveso e' Laura Conti, in quel momento consigliera regionale Pci in Lombardia, esperta anche di medicina del lavoro. Nel suo libro "Visto da Seveso" e negli articoli scritti in quei mesi elabora una metodologia di analisi e valutazione ambientale che sara' alla base della Direttiva Europea Seveso sulla prevenzione dei grandi rischi industriali. Direttiva ancora in vigore e tra le piu' avanzate mai scritte. E quando il mondo, nel 1986, dovette affrontare la catastrofe nucleare di Chernobyl, lei fu tra le piu' pronte, accanto al movimento femminista, a scendere in campo. Di scienza, potere e coscienza del limite scriveva gia' da parecchi anni. Per gli ambientalisti comunisti, da Seveso in poi, Laura Conti sara' una maestra per sempre. I Verdi arrivano dieci anni dopo. E anche Legambiente, che lei contribuira' a fondare con altre e altri, nascera' solo nel 1980. Peccato che la sua cultura ambientalista non sia mai stata veramente e convintamente assunta dai comunisti italiani, fosse accaduto avrebbero potuto affrontare la loro crisi con carte migliori. Nel libro di Marina Turi e Barbara Bonomi Romagnoli ci sono tutte le battaglie di Laura Conti e molto altro. La fantastica trovata delle autrici, di ricollocarla nel presente, centenaria, nella casa milanese, piena di gatte e di amiche com'era davvero, e di presentarla a chi non la conosce attraverso otto dialoghi possibili su temi attuali come il Covid, i pericoli degli allevamenti intensivi, il ruolo dell'agricoltura, fa rivivere Laura Conti nei nostri difficili giorni. E le parole che animano i dialoghi (tutte prese da suoi scritti o interviste) sono ancora di enorme attualita'.
 
6. MAESTRE. VALERIA FIERAMONTE: LAURA CONTI, UNA SCIENZIATA PARTIGIANA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it), riprendiamo questo testo li' apparso con la seguente nota di presentazione: "Proponiamo la testimonianza di Valeria Fieramonte su Laura Conti (1921-1993), pubblicata in Marina Santini e Luciana Tavernini (a cura di), Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua (Il Poligrafo, Padova, 2015, p. 100). Valeria Fieramonte, giornalista scientifica che ha conosciuto profondamente Laura Conti, ha appena pubblicato La via di Laura Conti. Ecologia, politica e cultura a servizio della democrazia (Societa' per l'enciclopedia delle donne, Milano, 2021), una biografia amorosa in cui ne narra la vita dall'infanzia al campo di concentramento di Bolzano, dall'impegno politico alle scoperte e al lavoro di medica e divulgatrice. Una biografia che da' ampio spazio ai contributi scientifici di Laura, confrontandoli con i piu' recenti studi"]
 
Ho conosciuto Laura Conti alla fine degli anni Sessanta in una sezione del Partito Comunista Italiano: era la prima volta che mi capitava di ascoltare, in una sede politica, un approccio ai problemi basato sulla curiosita' scientifica e su una grande massa di dati.
Mi lascio' subito un'impressione indelebile, rafforzata dal fatto che era circondata da un'aura di prestigio e stima palpabili: nel PCI di quegli anni non era ancora andata persa la memoria emotiva del periodo di guerra e lei era portata in palmo di mano come tutte le partigiane. Era molto bella coi suoi capelli biondo ramati e gli occhi azzurri e, forse per questo, durante la Resistenza, le avevano assegnato il compito di "adescare" repubblichini per convincerli a disertare dalla Repubblica di Salo'.
Era molto umana, caustica, anticonformista, anticipatrice. E' stata una scienziata atipica: al ritorno dal campo di concentramento di Bolzano ha fatto dell'impegno politico la sua principale scelta di vita. Era capace di opporsi, da sola, a mozioni di interi consigli regionali perche' infarcite di errori scientifici, come avvenne per Seveso, ma ben lontana dal mitizzare gli ambienti scientifici e fortemente critica dei legami tra scienza e potere. Prima di altri ha saputo intuire l'importanza delle tematiche ambientali, tanto da fondare la Lega per l'Ambiente, oggi Legambiente, senza tuttavia indulgere a estremismi. Una volta gli animalisti minacciarono di assaltarle la casa per i suoi "reati di opinione".
Laura divenne nota al grande pubblico dopo lo scoppio dell'Icmesa, il 10 luglio del 1976. La sua fu una battaglia appassionata e senza tregua, su come esperti, autorita' politiche e militari avrebbero dovuto trattare i disastri ambientali. Il suo libro Visto da Seveso e' un "discorso sul metodo", un tentativo, rimasto largamente inascoltato. Come faceva sempre, ai saggi politici o scientifici accompagnava romanzi, dove poteva meglio mostrare le emozioni e la sua grande ricchezza percettiva. Nel caso di Seveso il romanzo e' Una lepre con la faccia di bambina. La metafora della lepre e' legata al labbro leporino, la piu' evidente malformazione da diossina. All'epoca il romanzo ebbe molto successo, e lo meritava.
Fondamentale fu la sua polemica con la Commissione medico-epidemiologica. Il documento sulla valutazione del rischio da diossina in gravidanza non considerava il danno della diossina al fegato e ai reni della madre, come se una donna gravida fosse soltanto un'incubatrice e non una persona con la salute da salvaguardare, una fattrice che impazzisce se il prodotto del concepimento non riesce bene, ma indifferente ai propri rischi. Per Laura Conti ogni regolamentazione legislativa che non riconosca la facolta' delle donne di decidere in merito all'accettazione della maternita', crea situazioni drammatiche e talvolta indecorose.
Laura non era soltanto una divulgatrice, rielaborava costantemente e studiava tematiche biologiche, apportando un suo contributo originale di grandissima lungimiranza. Era a tutti gli effetti anche una biologa teorica e aveva capito gia' allora l'importanza fondamentale del contrasto all'inquinamento dell'aria.
E' morta nel 1993.
 
7. MAESTRE. LIA TAGLIACOZZO: EDITH BRUCK, UNA TESSITURA DI VITA NELLA LINGUA DEI FATTI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "il manifesto" il 3 marzo 2021]
 
Tempi presenti. Esce per La nave di Teseo "Il pane perduto". Un racconto di se' che indaga le ombre del Novecento, dove la scrittura si impone "per necessita', per respirare". Del suo essere testimone della Shoah ha raccontato in molti altri libri. Queste pagine sono diverse: un bilancio del percorso che dall'Ungheria l'ha condotta ad oggi, novantenne a Roma.
Il pane perduto, l'ultimo libro di Edith Bruck (La nave di Teseo, pp. 128, euro 16), offre pagine di intensita' struggente, di una lingua piegata alle vite vissute, scritture plurali nel tempo e nello spazio eppure straordinaria espressione di una vita unica, sofferta e vivida. Un regalo doloroso e commovente come la vita di cui racconta: non un libro sui campi di sterminio, un libro sulla vita. Anche se comincia con "tanto tempo fa" non e' una favola quella delle pagine d'inizio: "c'era una bambina che, al sole della primavera, con le sue treccine bionde sballonzolanti correva scalza nella polvere tiepida. Nel villaggio dove abitava, che si chiamava Sei Case, c'era chi la salutava e chi no". Essere ebrei ed essere poveri era il motivo di quei mancati saluti ma il racconto di quel periodo si tinge di una vaga serenita'.
Nata in un povero villaggio dell'Ungheria, ultima di sei figli "vivi" Bruck con un solo aggettivo apre uno spiraglio su un mondo di miseria dove i figli si nutrono a storie perche' non c'e' cibo da mettere in tavola. Storie di "una terra del latte e del miele" raccontata dalla madre, terra che dara' pane e dignita' in un futuro che e' invece travolto dalle croci frecciate, delle leggi antiebraiche, dalle deportazioni e dai campi di sterminio. Gli ungheresi furono gli ultimi ebrei d'Europa ad essere deportati nei campi nazisti.
E' solo quando racconta della salita sul treno che la portera' con la famiglia nel ghetto che il racconto si muta alla prima persona. Lasciato Sei Case il libro abbandona infatti l'esordio favolistico e Bruck scrive una lingua precisa di fatti, emozioni, paure. Della vita che l'ha resa testimone della Shoah Edith Bruck ha raccontato in molti altri libri destinati a adulti ed anche ad un pubblico giovane ma queste pagine sono diverse: sono un bilancio, una tessitura di vita che dal villaggio Sei Case l'ha condotta ad oggi, novantenne esile e determinata, nel centro di Roma.
Prima pero' ci sono stati i campi di sterminio e la "marcia della morte", sempre accanto – salvifica – la sorella Judit: "La marcia infinita continuava e anche la semina dei cadaveri. Dalle finestre, anche se aprivano, non cadeva piu' la manna. Gli abitanti, appena ci vedevano, fuggivano come fossimo appestate. Non restava che nutrirci di rifiuti, bucce avare di patate, foglie e torsoli di cavoli, scorze degli alberi". Con parole piane, paradossalmente misurate, Bruck ricorda a questo occidente obeso e goloso il significato della parola fame. E, dopo i campi di sterminio, racconta il lungo "dopo" di una vita intera.
L'incerto ritorno, la cauta ripresa di peso, gli incontri sulla via del ritorno in un continente distrutto dalla guerra e attraversato da centinaia di migliaia di persone che cercavano un luogo dove tornare o da cui scappare per non tornarvi mai piu'. Budapest "citta' ovunque ferita, ovunque macerie, grigiore, distruzione anche umana: negozi vuoti, tristezza, teste basse, corpi rattrappiti e volti chiusi". L'accoglienza della sorella Miriam: "Niente pianti! Niente parole! Avanti!". Un imperativo violento in cui si sono imbattuti tanti reduci dai campi. "Cosa stava succedendo? – scrive Bruck riportando un dialogo muto con la sorella Judit – Il nostro avanzo di vita non era che un peso, mentre ci aspettavamo un mondo che ci attendesse, che si inginocchiasse". "Ma in che mondo siamo tornate? – riprende poche pagine piu' avanti – Perche' abbiamo lottato tanto per la nostra sopravvivenza? Perche'? Perche'?".
Eppure vince l'ingiunzione al silenzio che e' durata decenni. In Italia, tra i primi a romperlo, e' stato Primo Levi: lui ha parlato e scritto per tutti, "fratelli e sorelle di lager" dicevano loro e dice lei. Poi lui se ne e' andato e molti di loro si sono fatti carico del dovere e del dolore del racconto.
Gonfia di parole e "scomoda nella propria pelle" Bruck raddoppia il proprio peso, da quaranta a quasi ottanta chili, e racconta il tentativo di tornare nel villaggio trovando la propria casetta vandalizzata dai vicini in segno di spregio, le foto di famiglia raccolte "tra il letame che debordava nella stalla vicina»". E' allora che la scrittura si impone "per necessita', per respirare". La scrittura la accompagna nel viaggio attraverso l'Europa fino a Marsiglia – "dove ho visto per la prima volta il mare" – li' si imbarca per Israele nelle settimane di poco successive all'indipendenza. Arrivata li' la realta' si impone oltre i racconti materni di una terra del latte e del miele. Torna a scrivere "piu' di prima, le parole da dire stanno aumentando, se fossero bambini concepiti ne partorirei tanti quanti ne sono stati annientati". La consapevolezza, oltre l'amore e il matrimonio: "Forse e' colpa mia, non mi trovo piu' bene da nessuna parte, non mi piace il mondo e non posso cambiarlo".
Il rifiuto di prendere le armi in un paese in guerra dove doveva nascere "l'ebreo nuovo" che non doveva strisciare sui muri dei ghetti ma che a Edith Bruck non piace – poi la scelta di andarsene in una compagnia di danzatori: Atene, Istambul, Zurigo e poi l'approdo, in Italia, a Napoli: a insegnarle a contare, mentre ballano, e' Ugo Tognazzi. L'arrivo a Roma, "la citta' mi parve maestosa". Il primo lavoro come direttrice di un istituto di bellezza a via dei Condotti, la scrittura relegata ad occupazione domenicale ma presenza comunque costante e compagna. Poi l'incontro con Nelo Risi – poeta e regista – compagno di una vita (il matrimonio e' celebrato da Francesco Fausto Nitti, fondatore di Giustizia e Liberta'): "Sessanta anni di gioia, di passione, di sofferenza, di tenerezza, di pazienza, dolore, amandoci in salute e malattia fino al suo ultimo fiato tra le mie braccia". A lui, alla loro storia, alla convivenza con l'Alzheimer che lo ha colpito Bruck ha dedicato La rondine sul termosifone, edito anch'esso da La nave di Teseo (2017).
Poi la consulenza con Gillo Pontecorvo per Kapo', le altre collaborazioni con il cinema e i giornali, la scrittura per il teatro e la regia. La scrittura continua ad esserle compagna costante ed e' sempre in italiano, lingua di accoglienza e di distanza necessaria per poter raccontare la Shoah. Una famiglia sparsa per il mondo tra Israele, Argentina e Brooklyn, affetti e generazioni che tessono e riempiono la vita. "Da figlia adottiva dell'Italia, che mi ha dato molto di piu' del pane quotidiano, e non posso che essergliene grata, oggi sono molto turbata per il Paese e per l'Europa, dove soffia un vento inquinato da nuovi fascismi, razzismi, nazionalismi, antisemitismi, che io sento doppiamente: piante velenose che non sono mai state sradicate e buttano nuovi rami, foglie che il popolo imboccato mangia, ascoltando le voci grosse nel suo nome, affamato com'e' di identita' forte, urlata, e italianita' pura, bianca; che tristezza, che pericolo".
Anche per questo racconto dell'oggi Il pane perduto non e' un libro sulla Shoah, e' un libro che racconta cosa era un angolo di Europa prima della guerra e dello sterminio e cosa sia diventata oggi. E' un libro che racconta una vita e che si conclude con una lettera scritta finalmente a Dio dopo averla solo pensata per una vita intera: "Forse mi urge mettere sulle pagine cio' che ho accumulato nella mente perche' il destino mi sta privando della vista... il tempo stringe. Sto constatando che ogni parola e ogni riga tende verso l'alto sempre di piu' e chi puo' sapere se non arrivi fino a Te, sempre che tu ci sia... a te ho pensato ogni sera della mia vita. Ti interrogavo su tante cose ma non ho mai udito la Tua voce". Al Creatore Edith Bruck, chiede tempo: ha ancora da dire, da scrivere, da testimoniare.
 
8. MAESTRE. SARA DE SIMONE: NEL SEGNO FUTURO DI MARGARET ATWOOD
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "il manifesto" del 5 dicembre 2020]
 
Poesia. "Esercizi di potere", una silloge dell'autrice canadese, tradotta da Silvia Bre, per le edizioni Nottetempo. Al centro, le relazioni d'amore che abitiamo, con desiderio, conflitto, differenza. E la coppia come territorio di guerra.
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Quasi sessant'anni fa una ragazza canadese decise di autopubblicare la sua prima silloge poetica stampandone a mano 220 copie. Sulla copertina disegno' due steli e due foglie, entrambe munite di occhi, a predire il ruolo vivo e centrale che la natura avrebbe avuto in tutta la sua produzione. Double Persephone (1961), questo il titolo, era un libriccino di 16 pagine in tutto, fu venduto a 50 centesimi a copia, e le valse l'E.J. Pratt Medal, prestigioso premio che ancora oggi l'Universita' di Toronto assegna ai suoi studenti poeti. Quella ragazza si chiamava Margaret Atwood, e cominciava cosi', con semplicita' e vero talento, il suo lungo viaggio nel mondo della letteratura.
Autrice prolificissima di decine di libri di poesia, romanzi, saggi, storie per bambini, icona del femminismo e dell'ambientalismo, Atwood ci ha abituati, nel tempo, al suo sguardo preciso e insieme surreale, alla sua penna affilata, ironica, potente. Eppure non smette di sorprenderci. La raccolta di poesie Esercizi di potere, appena uscita per Nottetempo (pp. 153, euro 12) con la splendida traduzione di Silvia Bre, e' un'occasione preziosa per approfondire la sua scrittura in versi, meno nota al pubblico italiano.
Esercizi di potere, pubblicato nel 1971, e' senz'altro un libro simbolo di un'epoca, quella del femminismo, della messa in discussione dei rapporti di potere tra uomini e donne, ma come ogni grande scrittura non si limita a interpretare il proprio tempo: ne restituisce il passato e ne prefigura il futuro. Dal futuro leggiamo i versi di Atwood, dal futuro li sentiamo testimoni di una storia che ci riguarda, e che interroga il nostro presente: quello delle relazioni d'amore che abitiamo, con desiderio, conflitto, differenza. Il fulcro di Esercizi di potere e', infatti, la coppia come territorio di guerra: un corpo a corpo, una sfida, un agone fra due.
Accade che questi due siano un uomo e una donna, accade che su quest'uomo e questa donna agiscano fantasmi antichi, che prendono o perdono forza a seconda del momento. Accade che si amino, e si odino, e si accarezzino e vogliano distruggersi, e che l'uno si configuri come il soggetto dominante e l'altro come il soggetto dominato. Accade – e questo fa la differenza – che a raccontare di tutto cio' sia una donna.
"Al ristorante discutiamo/ su chi di noi paghera' il tuo funerale// sebbene la reale questione sia/ se io ti rendero' si' o no immortale", scrive Atwood in una delle prime poesie della raccolta, chiarendo fin da subito che il compito spettato per secoli ai poeti – quello di eternare la donna amata – sia ora nelle mani di lei, di quell'altra.
Piu' avanti, rincara la dose: "Ti prego muori ho detto/ cosi' posso scriverne". La citazione e' chiara, l'ironia feroce, chi scrive – la donna, soggetto imprevisto della storia, come pure della poesia – conosce perfettamente la Tradizione e il Canone, per questo puo' rovesciarli.
Se, dunque, Dante dichiarava esplicitamente l'ineluttabilita' della morte della donna amata, configurando la lirica d'amore come lirica dell'assenza – "Di necessitade convene che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia" (Vita Nuova, XXIII) – che cosa fara' dell'uomo amato la donna poeta?
Nel caso di Atwood, come di molte altre, la risposta e' stata ed e': ne scrivera', decostruendo la tradizione precedente e inventandone una nuova, con competenza e sublime ironia. Operazione che non equivale affatto a una "liquidazione", piuttosto ad una riscrittura creativa e critica, che mentre confuta e rovescia il Canone, pure ne recupera e trasforma gli aspetti vitali.
"Mi accosto a questo amore/ come una biologa/ infilandomi guanti/ di gomma & camice bianco" annuncia Atwood: eccolo il plurisecolare oggetto del desiderio, la donna da guardare e, eventualmente, lodare, che cambia di posto, e si mette i guanti, s'infila il camice, inforca gli occhiali. Adesso e' lei che guarda, lei che percorre centimetro per centimetro il corpo dell'altro, lei che palpa, descrive, classifica, tassonomizza: "Come uova e lumache hai un guscio/ Sei esteso/ e nocivo al giardino/ arduo da estirpare", enuncia nella poesia intitolata Lui e' uno strano fenomeno biologico. E continua: "prosperi nel fumo; sei senza/ clorofilla; ti sposti/ da un luogo a un altro come un malanno/ Come i funghi tu vivi negli armadi/ e spunti fuori solo nottetempo".
Altro che donna angelo, eternata perche' morta, qui "Lui", l'amato, e' vivo e infestante: un coacervo di virus e batteri, un parassita, un fungo, uno "strano fenomeno" da contrastare e mettere in versi, a futura memoria. Gli uomini deuteragonisti di Esercizi di potere sono di rado semplici "umani": uno ha tre teste e sei occhi, l'altro "la faccia d'argento", "squamata come un pesce", uno e' senza spina dorsale, e appena toccato si scioglie, l'altro e' un "comandante di legno", troppo rigido per farsi carne. Benche' l'incontro sia arduo, quando non impossibile, la fascinazione della poeta per queste strane creature differenti persiste. Il teatro di guerra e' destinato a ripetersi. Del resto, a questo servono gli "esercizi di potere": a misurarsi, a inseguirsi, a inchiodarsi, a vincere, a perdere. E a ricominciare ogni volta da capo.
Insomma, "no wonder" – "nessuna sorpresa" – scrive Atwood, se non fosse che qualcosa per spezzare questa bellicosa coazione a ripetere c'e'. Per esempio, se "lui" si lasciasse toccare piu' a fondo, se acconsentisse a sentirsi esposto, se abdicasse a un po' di potere... qualcosa di diverso accadrebbe. "Ti accarezzo lievemente e tu hai i brividi/ ti contrai, ritiri/ persino il contorno della pelle/ il piacere e' cio' che prendi ma non accetti". E continua: "ti faccio scorrere la mano lungo/ il collo, sento il polso/ ti ritrai/ hai qualcosa nella gola che vuole/ uscire fuori e tu non lasci". A impedire all'altro di abbandonarsi c'e' un punto inscalfibile di resistenza, una maglia serrata che non si lascia allentare. Come se davvero fosse (lo e' ancora?) troppo difficile accettare il fatto che chi penetra e', sempre, anche penetrato. Come se si potesse ignorare che l'incontro col corpo di una donna, o di un uomo, ci rende – tutti – similmente friabili. Come se la posizione di chi entra – di chi deve "farsi largo" – possa (e debba) essere una posizione libera dall'angoscia della vulnerabilita', dell'apertura, dell'incontro profondo: "non si muove come amore, non/ vuole conoscere, non/ vuole accarezzare, dispiegarsi/ non vuole nemmeno/ toccare ti muovi/ dentro me come se io/ fossi (facendoti/ largo a strattoni, e' cosa/ urgente, e' la tua vita)/ l'ultima/ liberta' possibile".
Atwood non da' istruzioni su come uscire dal filo spinato degli "esercizi di potere". Dai loro meccanismi usurati, dalle logiche oppositive che li governano. Ma indica direzioni verso cui allargare lo sguardo, oltre le teste, oltre la piccola guerra fra due: "Considerando gli animali in sparizione/ il proliferare di fogne e di paure/ l'addensarsi del mare, l'aria/ prossima a estinguersi/ dovremmo essere gentili, dovremmo/ sentire l'allarme, dovremmo perdonarci/ Invece siamo contro, ci/ tocchiamo come chi aggredisce,/ i doni che portiamo/ persino in buona fede forse/ nelle nostre mani si deformano in/ dispositivi, in stratagemmi". Sono versi di cinquant'anni fa, che descrivono l'attuale – della coppia, e di tutte le relazioni – con precisa vividezza.
Non si tratta di fare appello ai buoni sentimenti, piuttosto di stare nella vita per quella che e': fragile, breve, sempre piu' minacciata. Sapere questo, saperlo davvero, non ci rendera' campioni di pace e di perdono. Ma forse ci aiutera' a guardare con piu' attenzione cosa abbiamo tra le mani, cosa offriamo all'altro, all'altra, e perche'.
Soprattutto, ogni volta che amiamo, ci mettera' davanti a una domanda scomoda e centrale: "Una verita' dovrebbe esistere,/ non andrebbe usata/ cosi'. Se ti amo/ questo e' un fatto o un'arma?».
 
9. MAESTRE. STEFANIA TARANTINO: SIMONE WEIL, QUELLA GRAMMATICA SPIRITUALE E POLITICA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "il manifesto" del 17 dicembre 2020]
 
A proposito di "Soggettivita' e potere. Ontologia della vulnerabilita' in Simone Weil", un volume di Rita Fulco per Quodlibet.
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L'ultimo libro di Rita Fulco indaga da un punto di vista ontologico il rapporto tra soggettivita' e potere nel pensiero di Simone Weil. Il pre-originario, relativo all'analisi di cio' che, in forma universale e sostanziale, sta all'essere in quanto tale, alle sue dimensioni imprescindibili colte al di la' delle determinazioni contingenti. Soggettivita' e potere. Ontologia della vulnerabilita' in Simone Weil (Quodlibet, pp. 165, euro 20), il volume e' diviso in tre capitoli e segue un itinerario di pensiero che parte dalla decostruzione weiliana della soggettivita', attraverso il movimento del distacco e della decreazione, individuando l'umanita' dell'umano al di la' del soggetto, della metafisica del potere e nel sentimento di giustizia.
Nel confronto con l'analisi di Simone Weil, Rita Fulco indica, come un primo elemento che specifica il "proprio" dell'essere umano, l'esposizione senza difese alla necessita' e alla forza. Venire al mondo coincide con questa esposizione che sarebbe errato considerare pertinente solo al momento della nascita. E' qualcosa che attraversa e accompagna tutta l'esistenza umana e non solo. L'esposizione svela dimensioni essenziali per la riflessione di Simone Weil sulla soggettivita'. Il suo carattere aperto e proiettato verso un fuori di cui non siamo padroni e che non puo' mai essere inteso e vissuto come autocentrato. Non tutto dipende da noi. Siamo sempre esposti alla necessita' e dunque soggetti al caso.
La nostra "natura" e' intrinsecamente vulnerabile e sottoposta a un limite. Non accettare questo dato essenziale della condizione umana, produce una distorsione nel modo in cui abitiamo e intendiamo la realta', noi stessi/e e gli altri. E' dalla percezione della vulnerabilita' e dal contatto con il limite che si hanno giustizia e saggezza. Nell'approccio critico alla soggettivita', Simone Weil vede le continue illusioni che l'io si fabbrica per fuggire tale consapevolezza attaccandosi al possesso delle cose nella brama di essere qualcosa. Una difesa naturale, una disposizione psichica, sostenuta e amplificata dalla dimensione sociale, che protegge da cio' che e' imponderabile e che ci espropria da questo dato di fatto. Per sopportare il dominio incontrastato della forza nella physis e' necessaria un'educazione spirituale che ci insegni a gestire tutte quelle situazioni in cui sperimentiamo sulla nostra pelle l'illusorieta' del nostro potere comprendendo la nostra vulnerabilita'.
Nell'interpretazione che Simone Weil offre della civilta' greca, si fa riferimento alla profonda consapevolezza che questa civilta' aveva della miseria umana e, conseguentemente, del fatto che nessuno puo' sfuggire all'ineluttabilita' del destino, parte integrante dell'ordine dell'universo.
La meccanica spirituale e' iscritta nella logica della creazione al pari di ogni meccanica fisica. Ma, a differenza delle leggi implacabili e ferree che regolano il corso degli eventi naturali, quelle che riguardano la soggettivita' umana sono soggette a infinite variabili e richiedono un "addestramento" costante. Simone Weil accorda cosi' grande importanza alla formazione spirituale e culturale perche' performa i processi di soggettivazione. Fulco sottolinea a piu' riprese l'importanza per Simone Weil di dare vita a una "psicagogia", a un processo di formazione costante dell'anima umana nella solitudine indispensabile al pensiero e all'azione, mettendo altresi' in luce il carattere problematico e ambiguo che tale "formazione", pensata secondo un immaginario di classe, potrebbe avere nei processi di soggettivazione, dal momento che potrebbe tradursi in un'imposizione di determinate forme di vita. Resta che solo attraverso un "addestramento" costante dell'animale che e' in noi, e' possibile costruire l'architettura dell'anima, far nascere la facolta' di attenzione che genera il desiderio di giustizia.
Conquistare una disciplina interiore ci consente di apprendere l'arte soggettiva del distacco e della decreazione. Assume qui un ruolo centrale l'abitudine che testimonia dell'antico legame tra corpo e spirito e della natura plasmatrice dell'anima attraverso cui si ha un trasferimento di sensibilita' della coscienza in un oggetto diverso dal corpo proprio. Simone Weil lo chiama corpo artificiale per indicare quella meravigliosa capacita' che il corpo ha di incorporare, come proprio corpo, tutti quegli strumenti che estendono la sua sfera d'azione. E' la scena su cui si apre la riflessione sull'impersonale come via di corrispondenza (e non di conquista) dell'universo. Dalla concretezza di quest'attivita' plasmatrice dell'anima sul corpo si assume un modo d'essere, un habitus che appare come qualcosa di naturale, qualcosa che sembra andar da se' mentre e' frutto di lavoro.
L'estensione della percezione su strumenti che hanno la stessa immediatezza del proprio corpo e' al centro di molte sue analisi poiche' mette in luce la vera natura del lavoro. Gli esempi che ci offre sono molteplici: quello del bastone da cieco che diventa, al posto della mano, il luogo sensibile su cui il cieco puo' fare affidamento; quello del marinaio che diventa tutt'uno con la propria barca tanto da percepirne le posizioni e i movimenti come propri; quello del musicista che diventa il suo strumento. Cio' che qui accade e' un trasferimento della sensibilita' dal proprio corpo al corpo artificiale (strumento). Tutto cio' mostra come l'anima sia capace di dislocarsi fuori dal proprio corpo in cosa altra. L'estensione della propria percezione attraverso gli oggetti non corrisponde per Simone Weil a un'estensione di se', del proprio io, al contrario, a una riduzione, a uno svuotamento di se'. Piu' che dominio c'e' consegna alla struttura dell'ordine del mondo, alla modificazione necessaria che lo strumento richiede per confermarci alla realta' dei rapporti. L'abitudine ci offre l'apprendimento di un metodo attraverso il quale ci impossessiamo – dislocandoci da noi stessi – del mondo oggettivandoci in qualcosa di altro da noi. Tale trasferimento della sensibilita', possibilita' di estensione e di prolungamento, e' essenziale per aprire nuovi tracciati d'intensita' che ci fanno riconoscere come nostro il volto di chiunque subisca i colpi della sventura.
Solo sapendo che cio' che accade agli altri puo' accadere a noi, e' possibile disegnare le basi di una teoria degli obblighi verso l'essere umano. E qui si apre il versante giuridico-politico dell'analisi, che apre una finestra anche sul lavoro operaio e sul ruolo dei partiti politici. Obbligo e' responsabilita' nei confronti degli altri. E' corrispondenza. E' dare una risposta di prossimita' a chi si trova schiacciato dagli eventi, dalle calamita', dalle ingiustizie. Ecco perche' il darsi dell'obbligo e' considerato come simultaneo all'esserci dell'umano. L'invito weiliano che l'autrice coglie come compito da avviare in questo nostro presente e' "pensare le nozioni fondamentali come se fossero delle realta' nuove". E' un compito complesso e necessario che Rita Fulco estrae da questa lettura attenta di Simone Weil e che riconsegna noi lettori e lettrici "all'intima estraneita'" delle vite e della vita. Fondamento dell'essenza conoscitiva nella dimensione materiale della vulnerabilita' in cui ricaviamo il senso preciso dell'orribile conflitto che questo "nostro" mondo vive.
 
10. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
11. NUGAE. TRE RACCOLTE DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: "IL CUGINO DI MAZZINI", "DUE DURE STORIE" E "STORIE NERE DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE"
 
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) tre raccolte di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie", "Due dure storie. Rieducare gli educatori e Il delitto della principessa di Ebla" e "Storie nere dall'autobiografia della nazione".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverle puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarle.
 
12. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Roberto Bertollini, Clima e salute. L'impatto sugli individui e sulle comunita', Rcs, Milano 2021, pp. 160, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riedizioni
- Michela Murgia, Chiara Tagliaferri, Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe, Mondadori, Milano 2019, 2021, pp. 240, euro 9,90.
- Roberto Radice (a cura di), Aristotele, Mondadori, Milano 2021, pp. 160, euro 1,90.
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Fantascienza
- Valerio Evangelisti, Rex tremendae maiestatis, Mondadori, Milano 2010, 2021 (ma 2020), pp. 336, euro 6,90.
 
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
14. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4067 del 7 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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