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[Nonviolenza] Telegrammi. 4066
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4066
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Mon, 5 Apr 2021 18:19:04 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4066 del 6 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Sergio Riccardi
2. Giuseppe Tacconi
3. Mercoledi' 7 aprile in digiuno
4. Lea Melandri: Oltre il mito del popolo
5. Lea Melandri: Dal focolare al potere, cosa abbiamo perso?
6. Lea Melandri: Tante candidate nelle liste elettorali. Cosa cambia?
7. Lea Melandri: Il femminismo preso in ostaggio dall'antipolitica
8. Lea Melandri: Appello "Insieme possiamo". Un'adesione che non e' senza condizioni
9. Daniela Monti intervista Rebecca Solnit: "I disastri ci risvegliano dal sonno. Cambiare e' possibile"
10. Alcuni riferimenti utili
11. Segnalazioni librarie
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'
1. LUTTI. SERGIO RICCARDI
E' deceduto alcuni giorni fa Sergio Riccardi, un vecchio amico e un compagno di lotte e di speranze in anni che ora sembrano antichi e leggendari.
Con l'amicizia che la morte non puo' estinguere lo salutiamo oggi e ancora e ancora lo ricorderemo.
2. MEMORIA. GIUSEPPE TACCONI
Ricorre il 5 aprile il quinto anniversario della morte di Giuseppe Tacconi, indimenticabile amico e compagno di lotte.
Con gratitudine lo ricordiamo.
3. INIZIATIVE. MERCOLEDI' 7 APRILE IN DIGIUNO
Mercoledi' 7 aprile prendero' parte al digiuno promosso da padre Alex Zanotelli e dalle altre persone amiche del movimento del "digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti".
E trovo di grande valore che a questa iniziativa si siano associate anche le persone amiche impegnate affinche' l'Italia finalmente sottoscriva e ratifichi il Trattato dell'Onu per la proibizione delle armi atomiche.
L'impegno per i diritti umani di tutti gli esseri umani e l'impegno per la pace e il disarmo sono una cosa sola.
L'impegno per la dignita', la liberazione e la salvezza dell'umanita' intera e l'impegno per la salvaguardia dell'intero mondo vivente sono una cosa sola.
Digiunero' anche ricordando l'amico e compagno di lotte nonviolente Giuseppe Tacconi, antifascista e uomo di pace sempre sollecito del bene comune, di cui ricorre oggi il quinto anniversario della scomparsa.
Digiunero' insieme a tante persone che come me partecipano a questa iniziativa per riaffermare il diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignita', alla solidarieta'; il dovere di ogni essere umano alla condivisione del bene e dei beni; il dovere di ogni umano istituto a difendere ogni essere umano da ogni violenza.
Digiunero' per ricordare a me stesso ed altrui le innumerevoli persone che ancor oggi subiscono violenze inenarrabili; che ancor oggi sono esposte alla denutrizione e fino alla morte per fame; che ancor oggi sono vittime di disumana ingiustizia, di dittature, guerre, poteri criminali, del "disordine costituito" e dell'indifferenza che favoreggia la mole di male che l'intera umanita' ed ogni singola coscienza deturpa ed opprime.
Digiunero' per chiedere al governo e al parlamento del nostro paese di rispettare finalmente la Costituzione della Repubblica italiana, che informa il nostro ordinamento giuridico e la nostra civile convivenza al dovere di rispettare e soccorrere ogni persona, al dovere della pace, della solidarieta', dell'aiuto reciproco.
Digiunero' per testimoniare la necessita' che con la lotta nonviolenta dell'umanita' senziente e pensante s'inveri il programma di Giacomo Leopardi: che tutti gli esseri umani si uniscano contro il male e la morte; che nessuna persona sia oppressa, sfruttata, emarginata, abbandonata al dolore, alla paura, al misconoscimento e alla denegazione, al nulla che tutto divora.
*
L'ho ripetuto tante volte nel corso degli anni, voglio ripeterlo una volta ancora: si realizzino immediatamente nel nostro paese quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 5 aprile 2021
4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: OLTRE IL MITO DEL POPOLO
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "il manifesto" del 3 maggio 2017.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]
La crisi delle istituzioni, la loro sempre piu' debole capacita' di "rappresentare" gli interessi e le spinte al cambiamento di una maggioranza di cittadini, pur nella diversita' delle loro condizioni sociali e ideali politici, sembra essere l'elemento inquietante di convergenza tra populismi di destra e di sinistra. C'e' chi agita il mito del popolo sovrano per scardinare la democrazia e chi, al contrario, spera di allargarne le maglie, facendo crescere le opportunita' di partecipazione.
La presa di distanza dalle istituzioni non e' da oggi. Che cominciassero a venire meno le ragioni storiche che le avevano fatte sembrare necessarie, e che stesse rapidamente cambiando la realta' sociale con il modificarsi dei confini tra privato e pubblico, la comparsa di forme autonome dell'agire politico, create dai movimenti fuori dalle organizzazioni partitiche e sindacali, si era gia' visto alla fine degli anni Sessanta.
A proposito del depotenziamento della polarita' sinistra-destra, scriveva Elvio Fachinelli: "Propongo di esaminare la necessita' tragica, in cui si e' trovata finora gran parte della specie, di ricorrere a una serie di polarita' in forte tensione, di dicotomie simboliche che, variando di sostanza e di figura, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia. Bastera' pensare alla dicotomia fedele/infedele, credente/non credente, razza eletta/razza reietta" (Elvio Fachinelli, Il bambino dalle uova d'oro, Feltrinelli, 1974).
Sono passati da allora alcuni decenni, ma le coppie oppositive, su cui si sono rette le civilta' finora conosciute non accennano a darsi per vinte, a partire da quella originaria che ha considerato il sesso femminile il complemento organico dell'unico umano perfetto: l'uomo.
Nell'analisi che Alfio Mastropaolo ha fatto alcuni giorni fa su "il manifesto" (27/04/2017) dell'esito delle elezioni in Francia, si legge: "Tutti i populismi sovranisti sono antipolitici. Spregiano la politica democratica e il suo apparato di regole e di diritti. Ma non tutti gli antipolitici sono populisti. Molti sono anti-establishment, sono contro partiti convenzionali. Magari contro le istituzioni europee. Oltre la destra e la sinistra, ma non disdegnano le istituzioni democratiche (...) gli antipolitici di sinistra vorrebbero accrescere le opportunita' di partecipazione popolare". Dopo essersi rallegrato della "strepitosa vittoria" di questi ultimi e della Waterloo di quelle "piccole cittadelle del privilegio" che sono i partiti tradizionali, arriva, sconfortante, la conclusione: "La piu' democratica delle antipolitiche e' invertebrata".
Cosi' come era accaduto ad Obama, anche Macron, "senza una solida struttura che connetta Stato e societa', e' probabile che finisca tra le grinfie del business, donde proviene".
A breve distanza di tempo, mi e' capitato di leggere due altri articoli che, sempre con l'attenzione a quanto succede in Francia, disegnano un quadro all'apparenza estraneo a quello che e' al centro dei media, e portano dentro le polarita' che conosciamo, oppositive e simili al medesimo tempo – sovranisti populisti e antipolitici democratici -, una realta' sociale e politica destinata a far scomparire ogni surrettizia e mitologica idea di popolo. Non si puo' dire che i movimenti "no global" – dal popolo di Seattle, al Genoa Social Forum, a Occupy Wall Street, Indignados, fino a Nuit Debout – siano "soggetti imprevisti" come furono i giovani e le donne degli anni Sessanta e Settanta. Caso mai si possono considerare la "ripresa", ora manifesta ora carsica, di una straordinaria partecipazione popolare, allargamento dell'impegno politico, creazione di forme inedite di democrazia diretta, come lo furono in passato il movimento non autoritario nella scuola e il femminismo.
Il legame tra societa' e Stato ha fatto da tempo il suo ingresso nella sfera pubblica e se ancora si vede solo il deserto su cui crescono fatalmente nuovi totalitarismi e inconsistenti governi democratici, e' perche' nessuno, tra i politici, gli intellettuali, gli opinionisti, sembra vederlo e volerne parlare.
Riferendosi a Nuit Debout e ai movimenti che si sono via via succeduti nel tempo, Lorene Lavocat su Reporterre-net il 6 aprile scrive: "Il movimento non e' fallito, ho visto fiorire collettivi e iniziative, alcune commissioni nate in quella piazza (come quella di Educazione popolare) continuano a incontrarsi".
Si tratta di un movimento che si pone come "convergenza" di pratiche diverse "senza che si verifichi una fusione o unita'". Quel deficit di democrazia su cui aleggia oggi minaccioso il fantasma dei fascismi e nazionalismi che l'Europa ha tragicamente gia' conosciuto, trova qui la sua risposta piu' radicale e realistica al medesimo tempo: "dare ai cittadini la capacita' di influire in modo continuativo sulle decisioni, ridurre al minimo l'estrema presidenzializzazione del sistema, accrescere il controllo dei cittadini sui loro rappresentanti, garantire il pluralismo dell'informazione".
Mariana Otero, che sta per far uscire un documentario sulle assemblee parigine – L'Assemblea – definisce Nuit Debout un "appello alla democrazia", ma anche un luogo in cui la si vuole gia' praticare come "riappropriazione del potere politico da parte dei cittadini attraverso la riconquista della parola".
Le fa eco David Graeber in un articolo di pochi giorni dopo ("Effimera" 20 aprile): "spazi prefigurativi, zone di sperimentazione democratica (...) parte di una civilizzazione insorgente, planetaria per portata e ambizione, nata da una lunga convergenza di esperimenti simili realizzati in ogni parte del pianeta (...) con contributi essenziali del femminismo, dell'anarchismo, disobbedienza civile non violenta".
I movimenti che raccolgono le esigenze radicali di ogni passaggio storico e tentano di darvi una risposta con azioni creative dal basso, sono la testimonianza viva, appassionata che "un altro mondo e' possibile". Ma sono anche la realta' sociale e politica che le istituzioni, dalla scuola ai partiti, sindacati, parlamenti, volutamente ignorano o reprimono con la violenza.
5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: DAL FOCOLARE AL POTERE, COSA ABBIAMO PERSO?
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul "Corriere della sera" del 21 luglio 2016]
Scusandosi per "l'oltraggioso retropensiero", Natalia Aspesi su "Repubblica" del 12 luglio scorso si chiede se l'improvviso sfondamento del tetto di cristallo, che ha impedito finora a donne geniali, preparate, di accedere ai ruoli piu' alti del potere, non sia da ricondurre alla disastrosa situazione del mondo, che gli uomini avrebbero deciso di lasciare nelle mani delle donne, per poi, una volta spianata la strada, riprendersi il tutto. In sostanza: la riconferma che il femminile, da ombra minacciosa del privilegio maschile, puo' diventare quando occorre la sua salvezza. La diffidenza rispetto a processi di emancipazione che sembrano obbedire piu' alla logica di uno "svantaggio" da colmare, che alla critica dell'ordine patriarcale che lo ha creato, non dovrebbe sorprenderci. Si puo' dire che e' stato l'atto di nascita del femminismo degli anni '70, la svolta rivoluzionaria di una generazione che al "dilemma uguaglianza/differenza" ha sostituito teorie e pratiche volte allo svelamento di quella rappresentazione del mondo che ha definito i destini del maschio e della femmina, a partire dalle vicende piu' intime: il corpo, la sessualita', la maternita'. Alle spalle, e senza la dovuta gratitudine, come accade per tanti cambiamenti radicali, le donne "nuove" e "impreviste" si lasciavano le battaglie per i diritti, l'uguaglianza, il riconoscimento delle "virtu' del cuore" come requisito per una cittadinanza piena. La critica dell'atto fondativo della politica – la separazione tra privato e pubblico, la divisione sessuale del lavoro, l'esclusione delle donne dal governo del mondo – e' apparsa allora indistinguibile dalle costruzioni storiche – poteri, saperi, linguaggi, ecc. - che ne hanno permesso la continuita'.
Si puo' dire che a rimanere in ombra e' stata solo l'onnipotenza nel pensare che bastasse cambiare le coscienze per cambiare il mondo. E anche di questa lenta modificazione di se' – che avrebbe dovuto sgombrare il campo dalle tante "illiberta'" che ci portiamo dentro, uomini e donne, aggredire i "cento ordini del discorso" di cui e' fatta la cultura maschile, combattere il potere in ogni sua forma – poco sembra essere rimasto. Negli articoli che compaiono ormai ogni giorno sulle figure femminili insediate in ruoli istituzionali di primo piano – dalla Merkel a Theresa May, Erna Solberg, Federica Mogherini, Hillary Clinton – gli interrogativi su quali cambiamenti potranno venire dal loro operato, ruotano in modo evidente intorno a quegli stereotipi di genere che, in altra sede, vengono affrontati e messi in discussione come fondamento del sessismo, del razzismo e dell'omofobia. Alla domanda se crede che ci sia una sensibilita' femminile nel modo di gestire il potere nei Comuni, la sindaca di Madrid, Manuela Carmena, risponde senza ombra di dubbio di si': la cultura del quotidiano, della vita, della cose pratiche – legata al ruolo che la donna ha avuto finora nell'economia domestica - e' la dote principale che essa puo' portare al "miglioramento delle citta'", e in generale alla soluzione dei problemi che sta affondando la politica sotto la pressione della poverta', delle migrazioni, delle battaglie per i diritti civili. Pragmaticita', capacita' di mediare,incentivare la responsabilita' dei cittadini, mettere fine alla "apatia democratica" – in altre parole le "virtu' del cuore" e l'infaticabile operosita' delle donne nel quotidiano – si affiancano oggi, in ambito pubblico, a quella che e' stata l'aspetto dominate dei processi emancipatori: l'omologazione al modello maschile.
"C'e' la donna che si fa carico della propria cultura – dice Manuela Carmena -, ma ce ne sono altre che adottano canoni maschili, autoritari, perche' si sentono piu' sicure. L'ho visto quando ero magistrata e succede anche in politica". Come suona lontana, sepolta negli archivi di una stagione traboccante di speranze, creativita', apertura di orizzonti imprevisti e mirabolanti promesse, la scritta che campeggiava sul primo manifesto delle donne che erano riuscite, contro la diffidenza del sindacato, a far aprire un "corso 150 ore" presso la scuola media di via Gabbro, nel quartiere Affori-Comasina di Milano nel 1976: "Piu' polvere in casa, meno polvere nel cervello". Quasi tutte casalinghe, una volta aperta la porta di casa, non avevano piu' voluto che si chiudesse. Dopo la licenza media, corsi monografici, bienni sperimentali, una cooperativa di indirizzo grafico, sono venuti a dare realta' al sogno di un pensiero finalmente libero dalla "praticita' obbligata", dal ruolo tradizionale di madri e mogli, reso consapevole delle infinite strade di una cultura rimasta per secoli appannaggio esclusivo dell'altro sesso. "Organismi cresciuti all'ombra delle rocce" – come le aveva definite Virginia Woolf – le donne potevano finalmente conoscere "l'alimento dell'aria". Per i dieci anni che ho trascorso con loro, discutendo, scrivendo, leggendo i testi che piu' avevo amato nel corso della mia formazione e dell'esperienza del femminismo, potrei dire con certezza che qualche dubbio sul tipo di successo delle donne oggi al potere ancora ci troverebbe d'accordo.
6. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: TANTE CANDIDATE NELLE LISTE ELETTORALI. COSA CAMBIA?
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul "Corriere della sera" del 31 maggio 2016]
Perche', quando si entra nei luoghi istituzionali della politica, o in quelli di maggior potere del mondo del lavoro, non si puo' dire che lo si fa anche per portare cambiamenti a regole, linguaggi, modi, tempi, strutture di potere create in assenza delle donne?
*
Chi ritiene importante la presenza delle donne nelle istituzioni politiche - e piu' in generale nei "luoghi dove si decide" - lo fa, nella maggioranza dei casi, sulla base di un'idea di "democrazia paritaria", "pari opportunita'", adempimento del mandato costituzionale contro le discriminazioni. Cio' significa che, dopo mezzo secolo di femminismo – in cui si e' parlato di divisione sessuale del lavoro, femminilita' e maschilita' come costruzioni della visione del mondo di un sesso solo (patriarcato, dominio maschile, ecc.) -, il rapporto uomo-donna viene ancora visto come "questione femminile": le donne rappresentate come un gruppo sociale omogeneo, svantaggiato, un "genere" debole da tutelare, o da valorizzare. Capita spesso che le candidate abbiano una consapevolezza maggiore di quanto appare dai loro programmi elettorali, per cui la domanda che viene spontanea e': perche', quando si entra nei luoghi istituzionali della politica, o in quelli di maggior potere del mondo del lavoro, non si puo' dire che lo si fa anche per portare cambiamenti a regole, linguaggi, modi, tempi, strutture di potere, che sono state create in assenza delle donne, funzionali percio' a un sesso solo, fondate sulla divisione tra cio' che e' politico e cio' che "non e' politico" – tra cittadino e persona, sfera pubblica e vita privata -, cioe' su confini che sono saltati da tempo?
Le difficolta' cominciano, a mio parere, in quella anticamera del parlamento o dei consigli regionali, provinciali, comunali, che sono i partiti, nonostante che il loro declino sia cominciato da molto tempo. Era gia' evidente dalla fine degli anni '60, tanto che giustamente movimenti come quello antiautoritario nella scuola e il femminismo furono visti come "sintomi" della crisi della politica ed "embrioni di un suo ripensamento" (Rossana Rossanda). La spinta che veniva dal basso e da soggetti imprevisti come i giovani e le donne, i partiti, grandi e piccoli, parlamentari ed extraparlamentari, l'hanno sempre osteggiata, sentita come una minaccia. La tendenza all'"inclusione", che stiamo verificando in questi ultimi anni, non si nega che sia soprattutto il risultato delle lotte delle donne. Ma, nella forma in cui si manifesta, risponde visibilmente anche alla necessita' di un sistema politico ed economico, di un modello di sviluppo e di civilta' in crisi, bisognoso di risorse meno usurate: donne, giovani, e, meglio ancora donne giovani, possibilmente di aspetto gradevole.
Perche' non approfittare di questa occasione per presentarsi in modo diverso da come ci si aspetta da noi? Sappiamo bene che quella che viene richiesta alle donne, al di la' del riconoscimento dei diritti di uguaglianza, e' la "funzione essenziale" che hanno svolto finora sulla base della loro presunta "natura materna": si tratterebbe soltanto di estendere alla sfera pubblica il sostegno, la cura materiale e morale che finora e' stata data all'uomo nel privato. E se invece si provasse a portare, in luoghi segnati storicamente dalla separazione tra politica e vita, la pratica del "partire da se'", dalla propria esperienza, un "pensare differentemente", uno sguardo critico sui meccanismi del potere, l'attenzione ai cambiamenti possibili? Lo slogan piu' ambizioso e lungimirante del femminismo degli anni '70 e' stato: "modificazione di se' e del mondo". Sul "se'" molti spostamenti sono avvenuti, sull'orizzonte piu' ampio della vita sociale e delle sue istituzioni, molto resta da fare. Eppure ci sono donne, femministe, che hanno saperi, competenze, collocazioni professionali di rilievo pubblico, per le quali non sarebbe impensabile l'impegno a uscire dalle secche di una politica in via di dissolvimento, insidiata dalla demagogia e dal populismo. I luoghi dove portare avanti una riflessione comune possono essere quelli creati in autonomia dalle tante associazioni femminili – e oggi anche da uomini, come Maschile Plurale - nel corso degli ultimi quarant'anni.
E' una scelta diversa, evidentemente, da quella piu' conosciuta dei resoconti a cui sono tenuti i parlamentari, in virtu' del loro mandato, diversa anche dalla creazione di una rete di sostegno alle elette, e dalle forme che sta prendendo la democrazia partecipata in alcune situazioni locali. Trovarsi a pensare insieme, partendo dalle esperienze di ognuna e' possibile, e ci sono gia' esempi in citta' piccole, con donne impegnate nelle amministrazioni, assessore e consigliere. Nessuna e' cosi' ingenua da aspettarsi che le donne elette, sottoposte a molte mediazioni, riescano con facilita' a sottrarsi al modello di "neutralita'" dietro cui ancora si nasconde la cultura maschile, a trovare il coraggio di mettere in discussione un ordine esistente ancora saldamente in mano all'altro sesso. Ci si aspetta che almeno ci provino e che si prendano il tempo necessario per mantenere una relazione costante con quelle che restano fuori, attive nel movimento e nelle sue associazioni. Ma io mi aspetto anche che, per non cadere sempre e di nuovo nell'idea tradizionale di politica separata - per cui sarebbe "politica" solo quella istituzionale -, si torni a dire, con Carla Lonzi, che "e' gia' politica" quella che porta nuove consapevolezze, che modifica la vita quotidiana, che cerca nuove forme di lavoro, di solidarieta', di sapere.
7. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL FEMMINISMO PRESO IN OSTAGGIO DALL'ANTIPOLITICA
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Internazionale" del 16 marzo 2016]
In un articolo uscito sul quotidiano La Stampa, Francesca Sforza si pone una domanda interessante: "E se la scomposta maratona per l'emancipazione femminile – disseminata di ostacoli, ritardi, false partenze e fughe in avanti – passasse anche per il populismo?".
Seguono esempi, europei e italiani: Marine Le Pen in Francia, Beata Szydlo in Polonia, Frauke Petry in Germania, e nel nostro paese Virginia Raggi e Chiara Appendino, candidate a Roma e Torino dal Movimento 5 stelle – "tutte diverse, tutte donne, ognuna capace di usare un linguaggio che colpisce nel segno di un elettorato deluso, sfiancato, impoverito, arrabbiato".
Il loro successo verrebbe dall'aver portato nel loro impegno politico doti femminili tradizionali: "parole concrete", il "modo rassicurante che hanno le casalinghe quando fanno i conti delle entrate e delle uscite in una famiglia", volti materni, "salti mortali" per tenere insieme responsabilita' pubbliche e vita privata. Anche Angela Merkel, vista sotto questo profilo, appare come "la donna che i tedeschi amavano fino a che si comportava come una brava amministratrice di condominio, ma che hanno smesso di amare quando ha deciso di passare alla storia".
*
La bellezza e le qualita' materne prevalgono su programmi e competenze
Che l'emancipazione delle donne si portasse dietro per inerzia, radicamento secolare o mancanza di altri modelli praticabili, comportamenti e valori considerati "naturali", non era difficile da prevedere. Eppure, anche il femminismo degli anni settanta, dopo la svolta radicale rispetto all'associazionismo femminile che l'aveva preceduto, sembra avere sottovalutato l'uso che piu' o meno consapevolmente ogni donna fa, per potere e rivalsa, delle potenti attrattive che le sono state riconosciute: la seduzione e la maternita'.
Di che altro parlano i commentatori politici quando le candidate sono donne? Sopravvalutate o denigrate, la bellezza e le qualita' materne prevalgono di gran lunga su programmi e competenze, a dimostrazione che le "funzioni essenziali" del sesso femminile restano quelle che le hanno tenute lontane dalla "cosa pubblica", e che hanno reso faticoso o impossibile il loro accesso a una cittadinanza piena.
L'emancipazione sembra aver aperto semplicemente le porte di casa e trasferito dentro un ordine – che resta nelle sue strutture di fondo "maschile" benche' coperto dalla neutralita' – quel "complemento" di cui si e' cominciato a sentire la mancanza.
A distanza di oltre un secolo, le parole di Paolo Mantegazza suonano quasi profetiche: "Se da concubina e' diventata madre, un gran passo rimane a farsi perche' diventi donna, o, diro' meglio, uomo-femmina, una creatura nobilissima e delicatissima, che pensi e senta femminilmente e completi cosi' in noi l'aspetto delle cose".
A questo punto dovremmo chiederci come e' avvenuto il "gran passo", e perche' quella che e' stata una battaglia progressista, conquista di diritti, di uguaglianza, critica all'autoritarismo patriarcale, viene a collocarsi oggi su posizioni conservatrici o addirittura reazionarie. Sull'esito prevedibile di una integrazione che lasciava immodificato l'ordine esistente – a partire dalla divisione sessuale del lavoro – si erano gia' espresse con chiarezza le analisi dei primi gruppi femministi, alla fine degli anni Sessanta. Poco dopo, il terremoto prodotto dalla societa' dei consumi, dalla pubblicita', dall'istruzione e dagli spostamenti di massa verso le citta', avrebbe fatto saltare i confini tra privato e pubblico, costretto la politica a ripensarsi partendo dal suo atto fondativo.
Con la comparsa sulla scena pubblica di soggetti "imprevisti" – le donne, i giovani – e con il dilagare di una "dissidenza" che spingeva l'agire politico "alle radici dell'umano", era chiaro che tutte le istituzioni su cui si erano retti fino allora i concetti di democrazia, uguaglianza, modernita', sarebbero andate incontro a un declino inarrestabile. Dietro la crisi del volto autoritario, patriarcale, del potere veniva affiorando – come scrisse lucidamente Elvio Fachinelli – il fantasma di una madre "saziante e divorante insieme", che offre cibo in cambio di "dipendenza totale", "perdita di se' come progetto e desiderio".
*
Il ritorno del rimosso
L'antipolitica, come ritorno del rimosso secolare su cui l'uomo aveva costruito una comunita' di simili, libera dai vincoli che comporta la conservazione della vita, non poteva che avere la figura, reale o immaginaria, di tutto cio' che e' stato identificato con il femminile: emozioni, sentimenti, donativita', dipendenza, sogni, salvezza e dannazione, idealita' e concretezza, amore e violenza. In altre parole: le viscere della storia, esperienze essenziali dell'umano costrette a rimanere dentro l'immobilita' delle leggi naturali, o a comparire sotto travestimenti goffi e sotterfugi.
Lo slogan "il personale e' politico", che prefigurava un'uscita radicale da tutti i dualismi (maschile/femminile, biologia/storia, materia/spirito, individuo/societa' eccetera) e la ricerca di nessi, che ci sono sempre stati tra un polo e l'altro, e' stato rapidamente soppiantato dal magma indistinto dentro il quale nuotano oggi la cultura e la politica, e da cui emergono minacciosi, come la punta di un iceberg, sessismo, razzismo, forme barbariche di violenza, tentazioni demagogiche e autoritarie.
La strada indicata dal femminismo degli anni settanta, come liberazione e ricerca di autonomia da modelli interiorizzati, e' ancora lunga, e l'emancipazione delle donne cosi' come in gran parte si presenta oggi – "emancipazione del femminile in quanto tale" – con tutti i suoi retaggi antichi, non l'ha resa sicuramente piu' percorribile.
8. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: APPELLO "INSIEME POSSIAMO". UN'ADESIONE CHE NON E' SENZA CONDIZIONI
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo del 2016]
La crisi della politica, delle sue istituzioni e, piu' in generale, del modello di rappresentanza che l'ha separata sempre di piu' dalla vita e dalla partecipazione attiva di tutte e di tutti, e' stata al centro dei movimenti nati negli anni '70, in particolare del movimento non autoriario nella scuola e del femminismo. Non aver raccolto e dato seguito a quella che allora chiamammo "una politica radicale" - capace di "andare alle radici dell'umano", di sottrarre alla "naturalizzazione" tutto cio' che e' stato considerato "non politico" (il femminile, il corpo, la sessualita', la maternita', i sogni, le relazioni famigliari, la divisione sessuale del lavoro, ecc.) -, ha favorito, a seguito del progressivo venire meno dei confini tra privato e pubblico, la crescita dell'antipolitica e di forme deteriori di populismo.
Sono queste oggi, purtroppo, le tendenze che godono di ampio, anche se non sempre manifesto, consenso.
Non si puo' dire che siano mancati in Italia, gia' a partire dal 1977, movimenti nati dal basso con contenuti e pratiche innovative, animati da una forte "dissidenza" rispetto all'ordine economico e politico esistente: dal "popolo viola" a Genova 2001, Dal Molin, No Tav, associazioni ambientaliste e per i beni comuni, ecc. Ma sempre hanno avuto durata breve, osteggiati dai partiti, indeboliti dalla loro stessa frammentarieta' e, soprattutto, incapaci di mettere in discussione la falsa "neutralita'" di cui si sono fatte scudo finora tutte le culture maschili, di destra e di sinistra.
Ogni volta, con un misto di speranza e di diffidenza, le mie attese hanno oscillato tra il desiderio di vedere nominato, tra altri, il movimento delle donne - l'unico peraltro sopravvissuto agli anni '70 -, e il piacere che non lo fosse.
Contraddizione comprensibile, dal momento che se e' importante riconoscere che e' stato il femminismo a portare alla coscienza il rapporto tra i sessi, nel suo ambiguo annodamento di amore e violenza, dall'altro dovrebbe essere anche chiaro che le sue intuizioni e le sue pratiche - il partire da se', l'autocoscienza, l'attenzione ai sedimenti inconsci del sessismo, del razzismo, di ogni forma di potere- attraversano tutti i movimenti.
La virilita' e la femminilita' sono tutt'ora le strutture piu' arcaiche e percio' piu' durature sia della vita personale che delle relazioni sociali, prodotte da una comunita' storica di soli uomini, ma fatte proprie, forzatamente, dalle donne stesse. Il silenzio, l'indifferenza, per non dire l'ostilita' che il femminismo ha incontrato nel suo percorso ormai quarantennale, anche da parte di una sinistra che si voleva "radicale", hanno prodotto, come era prevedibile, ripiegamenti, chiusure reciproche.
Per aderire al progetto di "cantieri" impegnati, a livello nazionale e cittadino, a promuovere - come si legge nell'appello "Insieme possiamo" - "una ricomposizione della rete di associazioni, movimenti, partiti", non mi basta percio' che ad accomunarli sia "il giudizio critico sul governo e sul renzismo", e nemmeno il richiamo a quei "principi sociali e politici" a cui si e' ispirata finora la sinistra.
La condizione per un impegno mio, ma potrei dire anche di molte donne con cui condivido da anni idee e pratiche nate dal femminismo, e' che siano proprio quei "principi" su cui ' mossa finora la sinistra, riformista o radicale, partitica o non partitica, a essere interrogati dal punto di vista dell'appartenenza di sesso e di un'idea di "rivoluzione" che e' rimasta finora mutilata dell'unico cambiamento che potrebbe terremotare separazioni note - tra corpo e pensiero, sessualita' e politica, natura e cultura, individuo e societa' -, e aprire la strada alla scoperta dei "nessi" che ci sono sempre stati tra un polo e l'altro.
9. RIFLESSIONE. DANIELA MONTI INTERVISTA REBECCA SOLNIT: "I DISASTRI CI RISVEGLIANO DAL SONNO. CAMBIARE E' POSSIBILE"
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente intervista originariamente apparsa sul supplemento "Sette" del "Corriere della Sera" il 26 marzo 2021]
Rebecca Solnit scherza e dice di vivere in lockdown dal 1988, "da quando ho lasciato la redazione per cui scrivevo, per poi perdere un altro posto e diventare un'autrice indipendente. Pensavo che mi sarei trovata un nuovo lavoro, ma non ne ho ancora avuto il tempo. Per scrivere non-fiction bisogna uscire e fare ricerca, ma per la maggior parte del tempo si sta da soli a casa propria. Lavorando in un bell'appartamento, con un reddito abbastanza fisso e senza bambini in giro, per me e' stato tutto molto semplice durante la pandemia, e sono consapevole che la mia situazione e' ben diversa da quella di tante altre persone che hanno dovuto affrontare ogni genere di problema".
La stampa americana, in questo ultimo difficile anno, l'ha ribattezzata "la voce della resistenza": sessant'anni a giugno, scrittrice e attivista, i suoi lavori sulla politica, il femminismo, l'ambiente sono una ricerca (o un auspicio) di visioni del mondo piu' complesse, varie, audaci, forse pazienti. Un tentativo di dare un valore a cio' che sembra non averne, di riconoscere le rotte indirette degli uomini e della storia, e le loro conseguenze a lungo termine. Di contrastare la disperazione con la speranza. Una ricerca sull'importanza di non chiudere la porta all'incertezza e alla sorpresa. Di rivalutare il lavoro lento che getta le basi di cio' che sembra accadere improvvisamente, con una svolta o una rivoluzione sociale. Di superare l'idea dell'eroe solitario e imparare ad apprezzare i direttori di coro che permettono a gruppi interi di esprimere il proprio potenziale eroico. Ha dato spessore a neologismi come mansplaining, spiegazione non richiesta e paternalistica fatta da uomini a donne che non ne hanno bisogno (Gli uomini mi spiegano le cose, raccolta di saggi pubblicata nel 2014, e' fra i suoi libri piu' noti e divertenti). Un neologismo fortunato, padre di molti figli: l'ultimo e' whitesplaining, i bianchi mi spiegano le cose.
"Si' — dice dalla sua casa di San Francisco, intrecciando la Storia e le storie, l'attualita' e il desiderio di fare una lunga passeggiata fin sulle colline dietro Berkeley — ho l'impressione che la pandemia rappresenti un evento epocale, come un muro che ci separa da chi eravamo e da come vivevamo". Racconta di essere stata molto colpita dal modo in cui le persone si sono adattate a una vita improvvisamente molto piu' "locale". "Ma uno degli aspetti interessanti di questa pandemia e che non ritroviamo, per esempio, in un terremoto o in altri disastri, e' il fatto che le persone hanno fatto esperienze diverse: gli infermieri hanno lavorato perfino di piu', mentre musicisti e camerieri sono rimasti del tutto fermi; chi vive da solo potrebbe essersi sentito terribilmente abbandonato, mentre nelle famiglie numerose ci sara' stato chi sognava un po' di tempo con se' stesso. La pandemia ha rovinato finanziariamente tante persone, che negli Stati Uniti sono divenute pressoche' invisibili: sara' soltanto tra qualche anno che capiremo meglio questi effetti". Da attivista per il clima, dice che il coronavirus ha spazzato via le due scuse normalmente addotte per non agire contro la catastrofe climatica: l'impossibilita' di cambiare dall'oggi al domani il nostro modo di vivere e, per i governi, di destinare in breve tempo enormi somme di denaro per affrontare specifici problemi. "Lo vedete? Abbiamo appena fatto entrambe queste cose. Tuttavia, molto di cio' che accadra' dopo la pandemia dipendera' da quale narrativa noi ne faremo. Chi eravamo? Cosa abbiamo imparato? Cosa vogliamo portarci dietro della vita radicalmente diversa che abbiamo condotto? Chi e' stato trattato in modo ingiusto e cosa possiamo fare per cambiare tutto cio'?".
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I piedi piantati nella speranza
Ora che in Italia esce la biografia Ricordi della mia inesistenza (Ponte alle Grazie), Solnit fa il punto del suo lavoro. Che ha una particolarita': l'effetto straniante di preveggenza. La riflessione sulla speranza, per esempio: Hope in the Dark, il libro uscito nel 2004 dopo che i movimenti contro la guerra non erano riusciti a fermare il conflitto in Iraq — suffragando apparentemente l'idea che darsi tanto da fare non serve a nulla, le armi e il potere vincono sempre — e' fra i suoi testi piu' riletti proprio oggi che la speranza, il bisogno di motivazione oltre la paura, e' elevata a "strumento di salute pubblica", come ha scritto il New York Times commentando i discorsi di Biden, strumento ben piu' potente del pessimismo e dell'ottimismo, che hanno prodotto entrambi parecchi danni nella gestione della pandemia. Quello che dobbiamo fare, dice Solnit, e' piantare i piedi nella speranza, che non e' buon senso e neppure "andra' tutto bene". E' resistenza e sfida, vedere il mondo com'e' e come potrebbe essere, mettendoci in moto in prima persona perche' il cambiamento avvenga. Luogo della lotta e della gioia della lotta. "Se assumete una prospettiva di lungo periodo", dice, "vedrete come sorprendentemente, inaspettatamente ma regolarmente le cose cambiano. La disperazione spesso viene fuori da questa amnesia, dal dimenticarsi che tutto e' in movimento".
"Fin da quando avevo 15 anni, sono stata affascinata da come la gente risorge dai disastri", scriveva in Hope in the Dark, anticipando il tema di un altro suo lavoro importante, A Paradise Built in Hell, Un Paradiso all'inferno. Il disastro come momento, drammatico e magico insieme, in cui avviene qualcosa. La speranza e' la chiave per superare questa pandemia?
"I disastri di cui ho scritto in Un paradiso all'inferno erano perlopiu' di carattere fisico (un terremoto, l'uragano Katrina che ha devastato New Orleans)", risponde, "e si abbattevano all'improvviso, mentre la pandemia non ha dato segni diretti, solo un lento progredire da una persona all'altra che non si e' ancora fermato e continua a mutare. La sospensione della quotidianita' e la necessita' di improvvisare una risposta hanno messo alla prova le istituzioni e la societa' civile producendo, a mio avviso, sia le migliori sia le peggiori reazioni alla crisi e alla catastrofe. Tra i migliori esempi, le tante persone che hanno semplicemente continuato a fare il proprio mestiere, anche se questo era divenuto all'improvviso piu' difficile e pericoloso. Alcuni hanno messo in atto nuovi modi di raggiungere e aiutare chi aveva bisogno. La mia amica Wendy McNaughton ha iniziato a dare lezioni di disegno online ai bambini e anche io ora faccio parte dell'Auntie Sewing Squad, un gruppo che conta diverse centinaia di membri, formato perlopiu' da donne di colore e di origini asiatiche, che da casa cuciono mascherine in tessuto per le persone piu' vulnerabili e meno assistite. Abbiamo distribuito oltre 250mila mascherine e collaboriamo con le comunita' di immigrati, nativi americani e altri gruppi sociali. Questa puo' essere definita una "disaster community" in quanto ha dato vita a relazioni tra singole persone e nuove strutture sociali, facendo emergere nuove capacita'".
Solnit ha definito un'"emozione piu' seria della felicita'" la sensazione di speranza che pervade le comunita' nel momento in cui l'ordine crolla e bisogna rimboccarsi le maniche per tirarsi fuori dai guai. Ma perche' non riusciamo a stare, come gocce granitiche, dentro quell'emozione, trattenendo viva nel tempo la speranza? Perche', passata l'ondata, passati i primi tempi in cui in Italia si cantava dai balconi, queste "disaster communities" perdono la loro forza, collassando? "Quando la citta' crolla, la terra trema o la tempesta imperversa, ti risvegli dalle distrazioni dorate di ogni giorno e dall'egocentrismo, e vedi con occhi nuovi la gente attorno a te, capisci quanto le cose dipendano le une dalle altre, come possono cambiare e cosa e' davvero importante o, ancora, ti diventa chiaro che persona puoi essere e trovi un senso di immediatezza e, spesso, di intrepidezza e connessione. Nella maggior parte delle societa', questi cittadini "risvegliati" minacciano lo status quo perche' si sentono forti, mettono passione nel prendersi a cuore le situazioni, cambiano le cose e mettono in discussione quelle autorita' che nella crisi hanno fallito, per indifferenza o incompetenza". E poi? "Succede qualcosa per cui queste persone vogliono rimettersi a dormire: i loro risultati e il loro potere non vengono riconosciuti, viene detto loro di fidarsi delle autorita' e delle decisioni che vengono prese, o si sentono raccontare storie piu' elaborate sul capitalismo e il consumismo in base a cui niente e' collegato e ognuno e' al mondo per occuparsi unicamente della propria felicita' come singolo, e non della collettivita', dell'umanita' o del pianeta".
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Costruire il futuro
Sperare dunque e' restare svegli? "A volte penso che il mio concetto di speranza sia un misto di impegno e consapevolezza della profonda incertezza del futuro", riprende la saggista. "Qui negli Stati Uniti sento molti parlare del futuro come di un oggetto lontano, gia' completamente formato, che diventa piu' grande man mano che ci si avvicina. Quello che io, invece, voglio far capire e' che il futuro lo costruiamo oggi, con le nostre azioni, indolenze, scelte e priorita'. E poi che abbiamo un grande potere, non sempre come singoli ma spesso come collettivita'". La clinica aperta a New Orleans poco dopo Katrina, racconta Solnit, e' ancora attiva. Dal disastro economico che ha innescato la contestazione Occupy Wall Street e' nato un movimento contro gli abusi del sistema del debito statunitense che ha raggiunto molti traguardi in termini di delegittimazione del sistema e conquiste concrete. E prosegue con un altro esempio per dare corpo alla sua idea di speranza e dimostrare che "la storia non smette mai di stupirci" anche se a volte le cose cambiano a passi talmente piccoli che e' difficile riconoscere in quei passi la causa di cambiamenti immensi. All'interno del movimento per l'abolizione della schiavitu' nell'impero britannico e negli Stati Uniti, racconta, e' nato nel 1840 il primo movimento abolizionista femminile, quando le donne si resero conto che non sarebbero state ammesse alla grande conferenza antischiavista di Londra. Sessant'anni piu' tardi, le suffragette della Gran Bretagna ispirarono il Mahatma Gandhi a tornare in Sudafrica e avviare la sua prima campagna nonviolenta: proprio da queste tattiche e ideali scaturirono non solo la liberazione dell'India dal colonialismo, ma anche una marcata influenza su Martin Luther King e sul movimento americano per i diritti civili, che tuttora rappresenta nel mondo un modello per altri movimenti di liberazione e per i diritti. Ecco dunque che quanto avvenuto nel 1840 a un congresso a Londra riecheggia ancora...
La speranza, allora, ha bisogno di pazienza: quella del contadino che pianta un albero e sa che servira' tempo per assaggiarne i frutti. Ma sappiamo ancora aspettare? Cosa rispondere a chi dice: voglio vedere i risultati! "Qualche anno fa Maria Popova, scrittrice bulgara trapiantata negli Stati Uniti, ha detto che "il pensiero critico senza la speranza e' cinismo, ma la speranza senza il pensiero critico e' ingenuita'". Adoro il fatto che abbiate scelto una metafora agricola: gli alberi piantati, i mesi dell'attesa... Siamo spinti, credo, a vedere tutto come una fabbrica in cui "non sta accadendo nulla" se, in qualsiasi momento, non vediamo cumuli di prodotti uscire dalla linea di assemblaggio. Come possiamo fare per metterci in testa che chi oggi sviluppa un vaccino, quarant'anni fa era l'allievo di un maestro paziente? O che i milioni di maestri che insegnano a leggere a decine di milioni di bambini stanno tutti svolgendo un compito dal valore immenso? Siamo affetti come da un'amnesia che ci impedisce di vedere quali sono le cause e le conseguenze di "cio' che e' successo oggi"".
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Chi insegna a non sperare
La speranza che sconfigge la paura Solnit ha cercato di insegnarla attraverso i suoi racconti. Storie di come funziona il cambiamento, dei suoi effetti indiretti e a lungo termine e di come gente comune abbia migliorato il mondo. "Credo che la mancanza di speranza venga insegnata attivamente da numerosi e potenti protagonisti della vita pubblica: lo spettacolo, la pubblicita' diretta al consumatore e il governo. Ci insegnano che siamo al mondo per perseguire i nostri interessi egoistici, che non si deve per forza dare valore a cio' che non si puo' possedere o utilizzare, che noi stessi (in particolare le donne) siamo merce a cui dare un prezzo di mercato e che la politica compete a qualcun altro, incoraggiandoci a pensare a cose frivole e senza spessore. Credo che l'egoismo porti all'isolamento e l'isolamento alla disperazione. E' una visione tristemente riduttiva di cio' che significa essere umani". Solnit invita a "lasciare aperta la porta all'ignoto, la porta all'oscurita'" perche' e' quando ci si perde che si trovano le cose importanti (e quindi rivendica come "davvero politico" anche la sua Storia del camminare, saggio che indaga tutte le possibilita' racchiuse nel semplice gesto di muoversi a piedi). Ma questa pandemia ci ha tolto la possibilita' dell'imprevisto, di un incontro fortuito. Si puo' vivere rinunciando all'imprevisto? "Quando le nostre vite e le societa' hanno cambiato forma da un momento all'altro, credo che tutti ci siamo trovati di fronte all'inatteso, e nell'improvvisazione abbiamo trovato la possibilita' di fare le cose diversamente. Credo anche che l'imprevisto abbia gia' rischiato di uscire dalle nostre vite e i giovani che vedo qui all'ombra della Silicon Valley sono stati particolarmente colpiti. Non andare mai da nessuna parte senza lo smartphone, seguire pedissequamente le sue indicazioni senza improvvisare o esplorare quasi fino a perdersi. Essere sempre in contatto con le persone che gia' si conoscono e strutturare in anticipo e con attenzione tutta la propria vita sociale con sms e WhatsApp: i giovani hanno gia' in gran parte abolito spontaneita' e casualita'".
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Tutto cio' che facciamo e' un atto politico
Gli intellettuali restano svegli? Essere "impegnati" e' oggi la sola opzione possibile? "Non soltanto scrittori e intellettuali, ma ciascuno di noi e' tenuto a essere parte di qualcosa di piu' grande, a comportarsi da cittadino, ad accettare che tutto cio' che facciamo (e non facciamo) e' un atto politico in quanto porta a delle conseguenze. Pensando a chi ha modo di far sentire la propria voce: se non portate avanti un impegno, cosa vi rimane da dire? Ci sono — o, meglio, c'erano — tanti scrittori americani (eterosessuali bianchi) che paiono credere all'esistenza di una realta' apolitica in cui possono sollazzarsi. Questo pero' significa non voler vedere che la politica ridisegna le nostre vite in modi diversi a seconda che siamo ricchi o poveri, che apparteniamo a un gruppo oppresso o privilegiato e abbiamo o meno accesso all'istruzione". E racconta di aver portato a termine da poco un libro su George Orwell, che nel romanzo distopico 1984 scriveva: "Il Partito vi diceva che non dovevate credere ne' ai vostri occhi ne' alle vostre orecchie. Era, questa, l'ingiunzione essenziale e definitiva". "Se ribaltiamo questa affermazione", dice, "vediamo che basta fare affidamento sui nostri occhi e le nostre orecchie per compiere un atto di resistenza, che e' importante tenere ogni giorno alta la guardia e vivi l'impegno e l'indipendenza di pensiero, e che tutto questo puo' essere portato avanti in modo apparentemente non politico, per prepararsi a quando si presentera' una situazione politica".
Giocando con il titolo della sua biografia intellettuale, Ricordi della mia inesistenza, la sua personale "inesistenza" e' solo un ricordo del passato oppure quella sensazione vivida di inadeguatezza, di inconsistenza, di non essere ascoltata in quanto donna in un mondo dominato da uomini, che lei racconta cosi' bene nel libro, si riaffaccia anche oggi? "Si', l'inesistenza riguarda il passato, ma subiro' sempre l'influenza di quegli anni. La mia esperienza, estremamente comune, e' stata trovarmi da ragazza a fare i conti con il fatto che tanti uomini avrebbero voluto farmi del male e il fatto che la societa' ignorasse la questione o pensasse fosse normale. Quindi non solo ho vissuto una costante minaccia, ma anche quando confidavo a qualcuno di essere seguita per strada o di subire maltrattamenti sul lavoro, venivo considerata delirante, iperemotiva. Alla fine sono riuscita a farmi sentire, sono diventata una scrittrice. Quello che mi e' rimasto pero' e' la poca fiducia nel fatto che gli altri mi credano, quel lottare, sempre, per essere ascoltata".
10. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
11. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Louise Glueck, L'iris selvatico, Il Saggiatore, Milano 2020, pp. 176, euro 14.
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Riletture
- Graham Greene, Il potere e la gloria, Mondadori, Milano 1945, 1971, pp. 288.
12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
13. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4066 del 6 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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