[Nonviolenza] Telegrammi. 4065



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4065 del 5 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Massimiliano Fortuna: In memoria di Aldo Bodrato
2. Giuliana Sgrena ricorda Nawal al Sa'dawi
3. Lea Melandri: Uno sciopero particolare nato per uno stupro, cresciuto contro ogni forma di oppressione
4. Lea Melandri: Verso lo sciopero
5. Francesca Rigotti: C'e' un'invidia del parto da Zeus ai cyborg
6. Alcuni riferimenti utili
7. Ilaria Zomer presenta "Crescere i bambini con la Comunicazione Nonviolenta" di Marshall B. Rosenberg
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
 
1. LUTTI. MASSIMILIANO FORTUNA: IN MEMORIA DI ALDO BODRATO
[Dal sito del Centro Studi "Sereno Regis" di Torino (www.serenoregis.org)]
 
E' morto Aldo Bodrato. Stamattina si e' svolta la cerimonia funebre. Ritengo un privilegio averlo conosciuto, e' stato un teologo e interprete della Sacra Scrittura di straordinario valore, anche se il suo nome e la sua opera di sicuro non hanno avuto la diffusione e la notorieta' che avrebbero meritato e meriterebbero.
Come, credo, tutti i grandi teologi la sua parola teologica non era disancorata dal presente ma legata a doppio filo con l'interpretazione dell'epoca e del mondo in cui si e' trovato a vivere.
Direi che proprio la "parola", la sua carnalita' biblica, le sue stratificazioni culturali, laiche e religiose, sono una chiave di lettura a partire dalla quale accostarsi ai libri che ci ha lasciato. Per questo, per ricordarlo, mi sembra bene riportare qui sotto parte di un piccolo articolo che avevo sentito il bisogno di scrivere dopo la lettura di uno dei suoi ultimi libri. Anche perche' nella figura del profeta-poeta al centro di quelle pagine mi pare ora di vedere affiorare, magari incorniciato nei filari di un vigneto, il suo stesso profilo.
Chi ha familiarita' con gli scritti di Aldo Bodrato, sa che la sua passione teologica prende corpo soprattutto attraverso due modalita' di scrittura: quella storico-esegetica e quella poetico-narrativa. Esempio significativo della prima e' "Il vangelo delle meraviglie" (1996), una rilettura del vangelo di Marco; alla seconda appartengono invece titoli come "Le opere della notte" (1985), testo inaugurale della teologia narrativa in Italia, o "Le opere del giorno" (2004), che assieme costituiscono una sorta di dittico. Queste differenti forme di scrittura non corrono tuttavia su binari separati ma si alimentano a vicenda, perche' quella esegetica non e' aliena dall'affabulazione stilistica e dalla sapienza letteraria, e quella narrativa tesse le sue trame su fondamenta storiche e si misura con l'acribia del filologo.
Nell'ultimo libro di Bodrato, L'avventura della Parola [Aldo Bodrato, L'avventura della Parola. Volti e voci del profetismo biblico, Effata', Cantalupa (To) 2009], queste due tendenze ci sembrano implicarsi in modo emblematico, per dar corpo a una sostanza teologica profondamente vissuta. Il libro abbozza infatti un profilo del profetismo biblico avvalendosi dei mezzi dell'indagine critica e dell'interpretazione storica, ma la lingua poetica gli e' strettamente intrecciata; non solo perche' alcune poesie dell'autore inframmezzano le pagine dedicate a ciascun profeta, costituendo una sorta di ripresa in versi di suggestioni derivate dai libri biblici analizzati, ma, piu' radicalmente, perche' il connubio profeta-poeta rappresenta un'esplicita chiave di lettura dell'intero testo.
"Qualcosa", scrive Bodrato, "avvicina la profezia alla poesia ed e' la comune volonta' di dire l'indicibile, di dare voce al silenzio, di rendere, attraverso la parola, presente quanto resta nascosto"; ed e' certo che la parola e il linguaggio si trovano al centro di questo percorso, lo avvertiamo sin dal titolo, e forse dalla stessa collana nella quale e' contenuto ("La Parola e le parole"). Lingua e parole non sono nei profeti, come di solito in ogni grande pensatore o scrittore, semplice veste esteriore e strumentale, ma forza creativa che opera sulla realta', modificandola e innovandola. La parola assomiglia al ramo di mandorlo che vede Geremia, annuncio di primavera che rimanda, per un suggestivo intreccio di significati della lingua ebraica, al vegliare di Dio che prova a realizzarsi nella storia.
La parola profetica si da' innanzi tutto a riconoscere come parola che cerca di tenere desto Dio quale istanza di liberazione per i deboli e gli oppressi. Per operare cosi' il linguaggio profetico non puo' che porsi in contrasto con ogni lingua che avochi a se' la pretesa di avere descritto Dio una volta per tutte, di averlo cioe' rinchiuso nella grammatica immutabile di un culto, che finisce sovente per collimare con leggi di mera conservazione del potere politico e del privilegio sociale.
Forse e' lecito sostenere che nel cuore del profetismo biblico si cela quello che potrebbe definirsi un pensiero della differenza, non cosi' dissimile da cio' che alcuni filosofi decisivi del Novecento – da Heidegger a Levinas e Derrida – hanno, ciascuno nelle forme e nei presupposti che gli sono propri, costantemente ribadito: la convinzione che Dio, o l'Essere o il Senso, possano coincidere con la presenza e dunque rivelarsi pienamente attingibili, non solo li nega e li perde, ma facilmente innesca una meccanica di violenza e sopraffazione.
Cosi' i profeti ci insegnano che la Parola di Dio non si esaurisce nelle parole degli uomini e che le parole umane capaci di renderla viva e operante sono quelle che la sanno inscindibile dal silenzio e dall'assenza...".
 
2. LUTTI. GIULIANA SGRENA RICORDA NAWAL AL SA'DAWI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2021 con il titolo "Nawal al Sa'dawi, quella vita contro l'oppressione" e il sommario "Addio alla scrittrice, psichiatra e femminista egiziana che e' stata protagonista della lotta contro l'infibulazione. Piu' di 50 i suoi libri tra saggi, romanzi, opere teatrali, tradotti in oltre 20 lingue. Tra i piu' noti c'e' "Firdaus". L'impegno contro il fondamentalismo le era costato minacce e condanne di apostasia da parte dell'autorita' sunnita di Al Azhar, costringendola a lasciare il paese"]
 
Con il kajal e il rossetto di una prostituta aveva scritto sulla carta igienica gli appunti che saranno pubblicati con il titolo Memoirs from the women's prison. Nawal al Sa'dawi, finita in carcere nel 1980 con l'accusa di "crimini contro lo stato" per essersi opposta all'accordo di Sadat con Israele, non si e' mai arresa. E nemmeno in carcere ha perso la creativita' e la speranza, consapevole com'era che "niente e' piu' pericoloso della verita' in un mondo che mente".
Nella stessa cella c'era Farida an Nakkash, anche lei giornalista e femminista. Per mantenere alto il morale si erano fatte portare dell'uva che stavano trasformando in vino, quando si e' diffusa la notizia di alcune morti per intossicazione da alcool etilico e hanno dovuto buttare il nettare faticosamente ottenuto, mi ha raccontato Farida.
Il ricordo di Nawal al Sa'dawi, scomparsa domenica al Cairo, e' un mosaico pieno di avventure e sventure affrontate tutte con estrema coerenza e determinazione.
Nata nel 1931 a Kafr Tahla, nel delta del Nilo, seconda di nove fratelli, probabilmente ha ereditato dal padre lo spirito anticoloniale – lui ha lottato contro l'occupazione inglese – e la voglia di liberta' della madre che avrebbe voluto studiare ma non glielo avevano permesso. Ribelle fin da piccola, ha cominciato a scrivere a tredici anni e si e' opposta a un matrimonio precoce. Laureatasi in medicina nel 1955 all'universita' del Cairo, si specializza in psichiatria.
Diventa Direttrice della salute pubblica del governo egiziano ma la pubblicazione del saggio Women and sex, contro il sessismo e le mutilazioni genitali, nel 1972, provoca il suo licenziamento. Nawal diventera' una delle icone della lotta contro l'infibulazione, che riguarda ancora circa il 90 per cento delle donne egiziane.
E non poteva che essere cosi': "a sei anni fui accerchiata da quattro donne, imponenti come Um Mahmoud. Mi presero mani e piedi, come se dovessero crocifiggermi come il Messia... La ferita profonda che porto dentro da quando ero bambina non e' mai guarita... Non dimentichero' mai quel giorno del 1937... Giacevo in una pozza di sangue", scrive nella sua autobiografia Una figlia di Iside. La sua amica Mariam, copta, aveva subito lo stesso oltraggio, racconta.
Anche la rivista sulla salute da lei fondata viene chiusa nel 1973, ma Nawal continua a parlare e a scrivere. La sua esperienza di medico in un piccolo villaggio le permette di documentare abusi sessuali, delitti d'onore e prostituzione in The Hidden face of Eva. I libri escono uno dopo l'altro, nella sua lunga vita Nawal e' stata una scrittrice molto prolifica con una cinquantina di titoli pubblicati tra saggi, romanzi, opere teatrali, tradotti in oltre venti lingue, che le sono valsi numerosi premi internazionali, ma mai nel suo paese, dove sono ancora vietati alcuni suoi testi.
"Le parole scritte per me sono un atto di ribellione contro l'ingiustizia esercitata in nome della religione, della morale o dell'amore", scrive nell'autobiografia. Tra i testi piu' noti, vi e' sicuramente Firdaus, che da' voce a una donna condannata a morte.
Ho conosciuto la scrittrice a Milano quando ha presentato Dio muore sulle rive del Nilo, che racconta la triste storia di Zakiya, una donna che vive in un villaggio sulle rive del fiume, dove il potere e' mascherato da volonta' divina. L'oppressione strumento del fato: ma i grandi dolori portano alla consapevolezza. Difficile classificare e anche solo elencare le opere della scrittrice egiziana, tutte realizzate con grande capacita' descrittiva, vivacita' dei sentimenti e profondita' delle emozioni.
Affronta temi che sono ancora tabu' per la societa' egiziana, per questo e' stata accusata di essere una "traditrice della nazione": "i panni sporchi si lavano in casa", commentava la femminista.
Nawal non sì e' battuta solo contro le mutilazioni genitali ma contro tutte le forme di oppressione del sistema patriarcale contro le donne, tra le quali la poligamia e l'uso del velo esibendo la sua folta chioma.
Il suo impegno contro il fondamentalismo religioso non le aveva provocato solo minacce degli integralisti ma, nel 2007, anche condanne di apostasia da parte dell'autorità sunnita di Al Azhar, costringendola a lasciare il paese. La condanna imponeva al marito di chiedere il divorzio, ma sarebbe stata lei a divorziare dal terzo marito, nel 2010. Dopo aver militato contro Mubarak, era in piazza Tahrir nel 2011 e aveva plaudito, e per questo era stata criticata, alla destituzione del presidente Morsi dei Fratelli musulmani.
Nawal al Sa'dawi coniugava il suo femminismo con la sua formazione marxista: "Femminismo per me e' lottare contro la dominazione maschile e quella di classe. Non separo l'oppressione di classe da quella patriarcale". Negli ultimi anni ha vissuto modestamente in un monolocale al 26mo piano di un grattacelo con vista sul Cairo perche' "non si puo' essere radicali se si e' ricchi. E' impossibile". Combattente fino all'ultimo: "Tutti dobbiamo morire, Firdaus. L'importante e' come si e' vissuto prima di morire".
 
3. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: UNO SCIOPERO NATO PER UNO STUPRO, CRESCIUTO CONTRO OGNI FORMA DI OPPRESSIONE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "il manifesto" dell'8 marzo 2019.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]
 
"Se e' uno sciopero quello che l'8 marzo riempira' le piazze di tante citta' del mondo, e' sicuramente uno sciopero del tutto particolare, cosi' come particolare e sorprendente e' il femminismo che lo promuove ormai da tre anni. La novita' e' gia' nel suo atto di nascita, in Argentina, il 19 ottobre 2016. A far incrociare le braccia alle donne che daranno vita alla rete Ni Una Menos, non sono la disparita' salariale o le discriminazioni sul lavoro, ma lo stupro e l'omicidio di una sedicenne, Lucia Perez.
E allo stupro si aggiungera' in seguito la richiesta di legalizzazione dell'aborto. Con quella risposta imprevista prendeva corpo un accostamento inedito tra realta' che siamo abituati a considerare separatamente: la violenza contro le donne e le rivendicazioni sindacali, i residui arcaici di un dominio maschile che passa attraverso le vicende piu' intime e il sistema di sfruttamento che e' alla base dell'accumulazione capitalistica.
Esperienze rimaste per secoli legate al privato e al destino femminile, come la sessualita' e la maternita', incontrandosi con organizzazioni di carattere sociale ed economico era inevitabile che si modificassero reciprocamente. Non era la prima volta che la politica veniva scossa e ridefinita da quel retroterra che ha creduto di lasciarsi alle spalle, consegnato a una sorta di immobilita' geologica. Con la "dissidenza giovanile" del Sessantotto e col femminismo diventavano "gia' politica" la persona, la vita dei singoli e quella materia segreta, imparentata con l'inconscio, che sta tra natura e storia.
La ricerca di "nessi" tra forme diverse di oppressione e di dominio, e il riconoscimento che il sessismo le attraversa tutte, sia pure spesso in modo conflittuale, allora non fu possibile, e si e' dovuto aspettare mezzo secolo per assistere a un singolare scambio delle parti: il femminismo che si appropria dello sciopero, rimasto finora legato a rivendicazioni sindacali, mentre sotto i suoi slogan si vengono a collocare soggetti politici diversi, accomunati dalla volonta' di liberare il mondo da violenze sessuali e di genere, ingiustizie sociali, odio razziali, cattiva educazione, devastazione ambientale, governi autoritari.
"Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo" e' gia' in se' una dichiarazione che va oltre la specificita' della violenza sessista. Dice della svalutazione di quella meta' del genere umano a cui e' toccato in sorte l'identificazione col corpo, con la funzione riproduttiva della specie, la cura dei figli, della famiglia e della casa, un lavoro non visto come tale ma come "dono d'amore". Ma dice anche della violenza con cui una parte sempre piu' esigua degli umani ha costruito la sua ricchezza: colonizzando, sfruttando, impoverendo la maggioranza dei propri simili. Lo sciopero, come astensione da tutte le attivita' produttive e riproduttive, diventa cosi' una straordinaria pratica non solo di rivendicazioni economiche, ma di autocoscienza collettiva, la scoperta di una verita' che sappiamo e che continuamente cancelliamo: una giornata senza le donne, i migranti, i lavoratori malpagati, i precari, e il mondo si fermerebbe.
Scrive Angela Davis nel suo libro La verita' e' una lotta costante (Ponte alle Grazie, 2016): "Il femminismo implica molto di piu' che non la sola uguaglianza di genere. E implica molto di piu' del genere. Deve implicare una coscienza riguardo al capitalismo, al razzismo, al colonialismo, ai postcolonialismi e all'abilita', e un quantita' di generi piu' grande di quanto possiamo immaginare, e cosi' tanti nomi per la sessualita' che mai avremmo pensato di poter annoverare".
Negli appelli e documenti di Non Una di Meno si legge che "lo sciopero e' di tutti". Sarebbe riduttivo intendere questa affermazione solo come alleanza tra movimenti diversi, ognuno con la propria identita', o, al contrario, come inglobamento di tutti dentro la lotta delle donne. Se il femminismo si puo' considerare oggi il principale "riferimento" per un processo di liberazione comune a molteplici soggettivita', e' perche' le sue pratiche - il partire da se', l'attenzione al corpo, ai sentimenti, all'interiorizzazione di quegli stessi bisogni che vengono coltivati dall'apparato di dominio - permettono di interrogare le contraddizioni che si aprono quando le diverse appartenenze, di sesso, genere, razza, classe, vengono calate nel vissuto personale, nell'esperienza dei singoli. Sappiamo che si puo' essere al medesimo tempo anticapitalisti e razzisti, antirazzisti e misogini, omofobi.
La radicalita' e la forza del femminismo sta nell'attraversare le lotte, mantenendo ferma l'idea che non c'e' modificazione del mondo se non si intacca quel sedimento di storia che ogni singolarita' incarnata si porta dentro, se non si sottrae alla solitudine e al silenzio il peso di violenze considerate finora come "private" e "naturali".
Non si puo' costruire uno sciopero, scrive Non Una di Meno di Torino, dentro e fuori casa, uno sciopero dai/dei generi, "se non partendo da noi, dalle nostre vite, dai nostri vissuti (...) muovendo da se' non si puo' che incontrarsi e incrociarsi, anche nelle differenze e nella distanze".
Sappiamo bene che lasciare per qualche ora il posto di lavoro non e' come allontanarsi dalla cura di un bambino, di un anziano o un malato, e questo vale in particolare per le donne, per lo piu' straniere, badanti e colf, presenti ormai in molte famiglie. Per questo e' importante, come scrivono Marie Moise e Sara R. Farris (Jacobin n.2, primavera 2019) che lo sciopero non venga inteso "come mera astensione dal lavoro di cura, ma come pratica collettiva di interruzione della privatizzazione, femminilizzazione razzializzazione di quel lavoro".
Altrettanto significativo, sotto l'aspetto sia materiale che simbolico, e' che in quella giornata siano gli uomini, possibilmente nelle piazze dello sciopero a prendersi cura dei figli e del cibo, prefigurando una convivenza sociale che assume come responsabilita' collettiva quella che e' stata la consegna "naturale" della dipendenza e fragilita' umana a un sesso solo.
 
4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: VERSO LO SCIOPERO
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "il manifesto" del 9 febbraio 2019]
 
Tra un mese, insieme a Non Una Di Meno, contro tutte le forme di violenza che colpiscono sistematicamente le vite delle donne in famiglia, nei posti di lavoro, per strada, negli ospedali, nelle scuole, dentro e fuori i confini.
*
Sembra passato un secolo da quando la giornata dell'8 marzo si annunciava per le strade, nelle piazze, nei talk show televisivi col colore giallo delle mimose e con le rituali interviste sul significato che poteva ancora avere quella ricorrenza. In realta' sono pochi gli anni che ci separano dal 19 ottobre 2006, il giorno in cui partecipanti del movimento Ni Una Menos e di altre organizzazioni argentine convocarono lo sciopero di un'ora, e da quando, l'8 marzo 2017, faceva la sua comparsa in piu' di cinquanta Paesi del mondo il Primo Sciopero Internazionale delle donne.
Da allora, instancabilmente, la rete Non Una Di Meno rilancia anche in Italia per quella data lo "sciopero globale femminista" come risposta – cosi' si legge nell'appello nazionale - "a tutte le forme di violenza che colpiscono sistematicamente le vite delle donne in famiglia, nei posti di lavoro, per strada, negli ospedali, nelle scuole, dentro e fuori i confini". Non e' necessario scorrere il lungo elenco delle ragioni che spingono le donne a incrociare la braccia – femminicidi, stupri, molestie, discriminazione salariale, doppio carico di lavoro, attacchi alla liberta' di aborto, ritorno ai valori tradizionali di patria, famiglia, razza, ecc. - per capire che l'idea che si e' avuta finora di sciopero, come rivendicazione sindacale, ritorna qui in forme profondamente mutate. Basterebbe lo slogan "Una giornata senza di noi" per mostrarne la portata rivoluzionaria rispetto a un sistema patriarcale e capitalista che nella divisione sessuale del lavoro, nel confinamento della donna nel ruolo di moglie e madre, continuatrice della specie, esclusa in quanto tale dalla sfera pubblica, ha costruito privilegi, ingiustizie, sfruttamento e ogni altra forma di dominio.
Se le donne smettessero di occuparsi di famiglia, lavoro domestico, cura di bambini, anziani, malati e uomini in perfetta salute, se non volessero piu' essere un corpo a disposizione di altri, il mondo – come scriveva un secolo fa Virginia Woolf – sarebbe ancora "palude e giungla". Aver portato l'attenzione sugli interni delle case, sui rapporti di potere che passano attraverso le esperienze piu' intime, come la maternita' e la sessualita', e aver riconosciuto, nella espropriazione che le donne hanno subito a partire dai loro corpi, una materialita' dello sfruttamento irriducibile alle categorie economiche, e' merito del femminismo degli anni Settanta. Ma e' solo oggi, venuto meno il confine tra privato e pubblico, che la violenza sulle donne appare in tutte le sue forme, invisibili e manifeste, e in tutte le molteplici parentele con i domini che la storia hanno attraversato la storia: classismo, razzismo, nazionalismo, colonizzazioni, regimi autoritari, ecc. Per questo non stupisce se nell'appello si trovano, affiancati, intersecati, accanto alla parola "sciopero", l'invito ai sindacati "a proclamare lo sciopero generale per il giorno 8 marzo e a sostenere le delegate e le lavoratrici che vogliono praticarlo", la richiesta di ridistribuire il carico del lavoro di cura, il rifiuto del ddl Pillon, e del decreto sicurezza, visto come attacco all'autodeterminazione delle donne e dei migranti. Sessismo e razzismo rivelano oggi di avere una comune matrice nel potere del sesso che, riducendo a "nuda vita" il corpo del diverso – le donne, l'ebreo, il migrante, lo straniero -, ne ha deciso il destino, cancellato o limitato la liberta', sfruttato la forza lavorativa.
Una convergenza, neppure tanto nascosta, e' quella che lega l'attacco alla liberta' di abortire – minacciando di cancellarla dove e' diventata legge, o di renderla di fatto inapplicabile - alle politiche delle destre nazionaliste preoccupate di salvaguardare l'"integrita' della stirpe italica" dal rischio di contaminazione con altre culture. La violenza sulle donne, nella sua trasversalita', apre dunque – come sottolinea Veronica Gago, femminista argentina nella sua intervista con Maura Brighenti e Paola Rudan – una nuova "conflittualita' sociale" e, proprio per questo, e' necessario "fare connessioni", inventare un linguaggio, fuori da quello delle rivendicazioni, "per dire cosa significa politicamente questa trasformazione radicale". Ma se per "connessioni" non si intende solo alleanze, bisogna chiedersi cosa vuol dire cercarle nelle soggettivita', nell'esperienza che ogni singola donna fa del suo essere al medesimo tempo appartenente a un sesso, a un genere, a una classe, a una particolare etnia o cultura. La "multiposizionalita'", vista attraverso i vissuti personali, si rivela piu' complessa e contraddittoria di quanto non appaia nelle analisi sociologiche. Potremmo scoprire che la consapevolezza di una violenza o ingiustizia subìta si accompagna spesso alla cancellazione di un'altra. Nel mio caso, figlia di contadini molto poveri, al centro e' venuta prima la sessualita' e solo piu' tardi, quando ho incontrato a Milano i movimenti non autoritari del '68, la questione di classe. Tenerle insieme e capire come si intersecano, quali "nessi" passano tra forme diverse di sfruttamento, e' stato del resto difficile anche sul piano politico, quando nel decennio anni '70, il femminismo ha tentato di interrogare e ridefinire il conflitto di classe sulla base della specificita' del rapporto tra i sessi: corpo, sessualita', maternita', affetti, relazioni famigliari, cura e lavoro domestico.
Se a Marx va il merito di aver portato allo scoperto il rimosso economico – il profitto - e a Freud il rimosso della famiglia borghese – la sessualita' -, al femminismo va riconosciuto quel salto della coscienza storica che e' stato scoprire la politicita' della vita personale, cioe' di tutte le esperienze, le piu' universali dell'umano, considerate paradossalmente "privato" e "natura". Non e' un caso che la violenza al centro delle pratiche dell'autocoscienza e dell'inconscio sia stata, prima ancora che la violenza manifesta, la "violenza invisibile", l'interiorizzazione della rappresentazione maschile del mondo da parte delle donne stesse. Oggi lo slogan "modificazione di se' e modificazione del mondo" e' l'utopia che possiamo pensare realizzabile, purche' non si perda ancora una volta di vista il "se'" come luogo a cui e' sempre necessario tornare e dare parola, anche quando le problematiche sociali hanno la complessita' di oggi.
 
5. RIFLESSIONE. FRANCESCA RIGOTTI: C'E' UN'INVIDIA DEL PARTO DA ZEUS AI CYBORG
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso sul supplemento "Sette" del "Corriere della sera" il 27 settembre 2019.
Francesca Rigotti (Milano 1951) dopo aver insegnato presso la facolta' di Scienze politiche dell'Universita' di Goettingen, e' attualmente docente di dottrine e istituzioni politiche presso la facolta' di Scienze della comunicazione dell'Universita' di Lugano; ha pubblicato diverse monografie dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all'etica; suoi saggi sono comparsi in numerose riviste italiane e straniere; svolge anche attivita' di consulenza editoriale e di recensione libraria. Su Francesca Rigotti dalla Wikipedia edizione italiana riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Francesca Rigotti (Milano, 6 febbraio 1951) e' una filosofa e saggista italiana. Nata e cresciuta a Milano, Francesca Rigotti ha conseguito la maturita' classica al Liceo Alessandro Manzoni di Milano nel 1970 e si e' laureata in Filosofia all'Universita' Statale di Milano, dove e' stata allieva di Mario Dal Pra, Maria Assunta Del Torre e Salvatore Veca, nel 1974. Dopo aver ricevuto borse di studio presso l'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli e la Fondazione Feltrinelli di Milano, ha conseguito il dottorato in Scienze Sociali all'Istituto Universitario Europeo di Fiesole (Firenze) nel 1984. Trasferitasi a Goettingen (Germania), e' stata assistente alla cattedra di Teoria Politica di Walter Euchner dell'Universita' di Goettingen e ha conseguito la libera docenza (Habilitation) in Scienze politiche nel 1991. Ha avuto quattro figli con il suo compagno di vita Detlev Schild: Claudio (1982), Anna Teresa (1984), Guido e Cosimo (1988). Dal 1991 al 1996 ha ricevuto un "Heisenberg-Stipendium" della DFG (Societa' tedesca della ricerca), grazie al quale ha potuto godere di un periodo di fellowship all'Universita' di Princeton e dal 1996 insegna come docente a contratto alla Facolta' di scienze della Comunicazione dell'Universita' della Svizzera italiana. Nel 2008 ha tenuto un semestre di insegnamento all'Universita' di Zurigo. Premi ricevuti: 2001 premio "Citta' di Chiavari"; 2003 Primo premio al concorso di Filosofia "Viaggio a Siracusa"; 2008 Premio "Capalbio" di Filosofia; 2016 "Outstanding Woman Award"; 2020 Premio della Fondazione del Centenario della BSI". Tra le opere di Francesca Rigotti?: L'umana perfezione. Saggio sulla circolazione e diffusione dell'idea di progresso nell'Italia del primo Ottocento, Bibliopolis, Napoli 1981; Metafore della politica, Il Mulino, Bologna 1989; Il potere e le sue metafore, Feltrinelli, Milano 1992; La verita' retorica. Etica, conoscenza e persuasione, Feltrinelli, Milano 1995; L'onore degli onesti, Feltrinelli, Milano 1998; La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria, Il Mulino, Bologna 1999 e 2002; Il filo del pensiero, Il Mulino, Bologna 2002; La filosofia delle piccole cose, Novara, Interlinea, 2004 e 2005; (con Giuseppe Ferraro) Agli estremi della filosofia, Mantova, Tre Lune, 2005; Il pensiero pendolare, Bologna, il Mulino, 2006; Il pensiero delle cose, Milano, Apogeo, 2007; Gola. La passione dell'ingordigia, Bologna, il Mulino, 2008; Le piccole cose di Natale, Novara, Interlinea, 2008; (con Giuseppe Pulina), Asini e filosofi, Novara, Interlinea, 2010; Partorire con il corpo e con la mente, Torino, Bollati Boringhieri, 2010; (con Duccio Demetrio), Senza figli. Una condizione umana, Milano, Cortina, 2012; Nuova filosofia delle piccole cose, Novara, Interlinea, 2013; Un posto al sole. Filosofia di una soap opera, Milano, Mimesis, 2013; Metafore del silenzio, Milano, Mimesis, 2013; Gli altri. Inferno o paradiso?, Roccafranca (BS), Massetti Rodella Editori, 2013; Onesta', Milano, Cortina, 2014; Manifesto del cibo liscio. Per una nuova filosofia in cucina, Novara, Interlinea, 2015; (con Anna Longo), Una donna per amico. Dell'amicizia e anche dell'amicizia delle donne, Napoli-Salerno, Orthotes, 2016; De senectute, Torino, Einaudi, 2018; Buio, Bologna, Il Mulino, 2020]
 
Questo non e' un auspicio, una visione o una profezia. E' un avvertimento. Della serie che a pensar male si fa peccato, ma ci s'azzecca. Il sospetto e' il seguente: che in quel futuro che va nella direzione della riproduzione artificiale in cui il corpo della donna non sara' piu' essenziale ma potra' essere sostituito da un contenitore, si annidi un desiderio maschile inconfessato. Quale? Quello di realizzare il sogno segreto... dell'uomo incinto, del maschio che riesce a riprodursi da solo, arrivando finalmente a dissociarsi dalla dipendenza dal corpo femminile, da usare a quel punto non anche per la creazione, ma esclusivamente per la ricreazione.
E' una storia vecchia, ma sempre nuova. Quel corpo di donna che possiede il terribile potere di riprodurre la specie ha subìto quasi sempre e dappertutto due destini opposti e uguali: o l'essere dannato e denigrato in quanto capace soltanto della produzione di esseri mortali, o il venire santificato e benedetto perche' in grado di generare dei. Se avete letto Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood o avete visto la prima serie (e se non l'avete fatto fatelo subito, e' un ordine!) avrete capito di che cosa sto parlando. Delle donne protette e venerate e insieme segregate e umiliate affinche' assolvano la funzione della procreazione (con anche un po' di ricreazione). Oggi pero' siamo finalmente in grado di affermare che le donne sono (sempre state) in grado di esercitare sia la funzione fisicamente procreativa, sia quella mentalmente creativa, ovviamente se glielo lasciano fare, se permettono che siano istruite e libere e possono usare tutta la loro intelligenza, come scriveva Gramsci. Quell'intelligenza di cui sembra ci sia assoluto bisogno in questo mondo impazzito.
Gli uomini per il momento no, non posso essere creativi e procreativi. Possono essere creativi con l'ingegno, nessuno glielo nega, ma non possono essere procreativi col corpo (a parte all'inizio della storia, giusto li', per piantare il semino). Che questo crei dei problemi? Una certa invidia? Beh, qualcosa ci deve essere sotto se nel corso della storia filosofi e biologi e teologi si sono dati da fare per negare il peso dell'elemento femminile: Aristotele, per esempio, sosteneva che l'utero fosse giusto un ricettacolo, un mero contenitore che non dava alcun contributo, alcun carattere ereditario diremmo oggi. Una specie di fornetto per cuocere il pane, come testimoniano alcuni termini che sembrano innocenti ma non lo sono, tipo la placenta, analogo di palacinka, frittatina in sloveno, e che in tedesco si chiama Mutterkuchen, la torta della mamma ("Giro girotondo, il bimbo e' cotto in forno..."). Ma se la donna non esercita alcun ruolo attivo nella discendenza, com'e' allora che alcuni bambini somigliano alla mamma o alla nonna? Semplice: a causa dell'antichissima teoria dell'impressione, bene illustrata nella canzone napoletana Tammuriata nera. Le donne sono impressionabili, e' noto, e allora la femmina napoletana che partorisce Ciro, la creatura nira nira, lo fa perche', vedendo un soldato di pelle scura, rimane sott'abbotta impressiunata, recita la canzone.
Altri elementi che ci fanno sospettare dell'invidia del parto sono i miti, per esempio quelli nei quali il padre degli dei, Zeus, si da' da fare tutto da solo, partorendo Atena dalla testa o Dioniso dalla coscia, con l'aiuto di due levatrici d'eccezione: nel primo caso Efesto con la scure bipenne (!), Hermes nel secondo, con un coltellino.
Oggi immaginiamo per il nostro futuro esseri non piu' umani, ma transumani. Non un po' uomini e un po' bestia, come le sirene e i centauri. No: esseri un po' uomini e un po' macchina, i cyborg. Le cose andranno meglio in quel caso? Se lo augura la pensatrice che per prima ha elaborato il tema del cyborg, corpo misto essere umano-macchina biotronica: Donna Haraway. Introducendo nel 1985 nel dibattito femminista la figura ibrida del cyborg, Haraway metteva in discussione sia la distinzione fra uomo e donna, sia quella fra essere umano e macchina, profilando un superamento della stessa condizione umana. Haraway immagina che il diventare cyborg liberera' le donne dalla posizione di dee, adorate ma anche lasciate li', a far niente. Diventando cyborg ci si sottrarrebbe al perpetuarsi, attraverso la maternita', delle strutture socio-economiche attuali e questo dovrebbe sostenere il processo di liberazione. Non male come prospettiva.
E se invece il diventare cyborg andasse in un'altra direzione, permettendo ai maschi di liberarsi infine della dipendenza femminile in questioni di riproduzione e diventare come Zeus, tutti dei? Cosi' noi donne non saremo piu' dee, come si augurava Haraway; saranno i maschi ad essere felicemente dei, e a noi tocchera' adorarli, private come saremo anche della maternita'. Speriamo che un tale destino non ci tocchi davvero.
 
6. LIBRI. ILARIA ZOMER PRESENTA "CRESCERE I BAMBINI CON LA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA" DI MARSHALL B. ROSENBERG
[Dal sito del Centro Studi "Sereno Regis" di Torino (www.serenoregis.org)]
 
Marshall B. Rosenberg, Crescere i bambini con la Comunicazione Nonviolenta, Esserci Edizioni, Reggio Emilia 20122, pp. 64, euro 7.
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"'Brett, perche' papa' ti vuole bene?'.
Mi guardo' e rispose immediatamente: 'Perche' ho imparato a fare popo' nel vasino?'.
Mi sentii molto triste quando disse questo perche', ovviamente, cos'altro poteva pensare? Il mio modo di reagire e' molto diverso quando i miei figli fanno quello che voglio io, rispetto a quando non lo fanno.
Cosi' gli dissi: 'Ma certo, questo mi fa piacere. Ma non e' il motivo per cui ti voglio bene'.
E allora aggiunse: 'E' perche' non butto piu' la pappa per terra?'. Stava pensando a un piccolo diverbio che avevamo avuto la sera prima, quando aveva gettato del cibo sul pavimento. E io: 'Se tieni il cibo nel piatto mi fa piacere, ma non e' il motivo per cui ti voglio bene'.
Allora si fece serio, mi guardo' e chiese: 'Papa', allora perche' mi vuoi bene?'.
A quel punto mi domandai: 'Perche' mi sono infilato in una conversazione astratta sull'amore incondizionato con un bambino di tre anni? Come posso esprimere questo concetto ad un bambino della sua eta'?'. E cosi' gli dissi: 'Beh, ti voglio bene perche' sei tu!'. In quel momento pensai di aver detto una cosa vaga e banale. Ma lui capì il messaggio. Lo lessi dal suo volto. Si illuminò e mi disse: “Oh, mi vuoi bene perché io sono io, papà. Mi vuoi bene perche' io sono io'. Nei due giorni successivi ogni dieci minuti veniva da me, mi tirava per la manica e mi diceva: 'Papa', mi vuoi bene perche' io sono io. Mi vuoi bene perche' io sono io!'".
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Crescere i bambini con la Comunicazione Nonviolenta e' un breve testo importante di Marshall Rosenberg che integra la fondamentale lettura per avvicinarsi alla Comunicazione Nonviolenta – Le parole sono finestre (oppure muri) – da una prospettiva particolare, quella dei genitori.
La Comunicazione Nonviolenta ci insegna che il modo di dire le cose non e' solo un esercizio di stile ma ha il potere di nutrire delle relazioni attorno a noi o affaticarle e depotenziarle. La Comunicazione Nonviolenta e' difficile da praticare e lo e' ancora di piu' quando attraversa le nostre relazioni piu' profonde, sulle quali tendiamo a riprodurre i modelli dominanti, quelli con cui siamo cresciuti, che, diciamocelo chiaramente, non funzionano... ma la posta in gioco e' troppo importante: abbiamo un'opportunita', abbiamo l'opportunita' di crescere una generazione piu' empatica, piu' consapevole delle proprie emozioni e di quelle altrui, di sospendere il giudizio, capace di riconoscere i proprio bisogni e fare richieste agli altri per soddisfarli senza prevaricare.
E' un libro che e' importante leggere proprio ora, ci aspetta un nuovo momento complicato, con scuole e parchi chiusi, non potremo delegare ad altri il nostro ruolo genitoriale, saremo di nuovo costretti in uno spazio e un tempo "ristretti" con i nostri bambini. Questa e' un'occasione importante per comunicare quotidianamente ai nostri bambini con le parole e con i fatti che gli vogliamo bene non per cosa fanno, non per quanto rispondono alle nostre aspettative, non per quanto "ubbidiscono" alle nostre pretese ma per chi sono... incondizionatamente.
Forse continueremo a sbagliare, forse non saremo genitori perfetti ma possiamo puntare ad essere genitori "buoni abbastanza". Un esercizio non facile ma su cui vale la pena impegnarsi.
Buona lettura ma soprattutto buon lavoro genitori!
 
7. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Umberto Mugnaini, Dal Risorgimento italiano a Gandhi, Felici Editore, Pisa 2020, pp. 208, euro 15.
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Classici
- Dante Alighieri, Vita Nova, Mondadori, Milano 1999, 2016, 2019, pp. LXVI + 250. A cura di Luca Carlo Rossi, introduzione di Guglielmo Gorni.
 
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
10. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4065 del 5 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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