[Nonviolenza] Telegrammi. 4064



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4064 del 4 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Rete Italiana Pace e Disarmo: Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all'industria militare
2. Lea Melandri: I maschi tra rancore e desiderio di cambiamento
3. Lea Melandri: Ci sono vite che valgono meno: obblighi e divieti non sono per tutti
4. Lea Melandri: Virus e identita'. Le ideologie alla prova del corpo
5. Lea Melandri: Dietro le statistiche dei morti, la paura della vecchiaia e del limite naturale della vita
6. Luisa Muraro: Finalmente si comincia a capire
7. Rebecca Solnit: Gli uomini invisibili che fanno male alle donne
8. Alcuni riferimenti utili
9. Due raccolte di racconti di Omero Dellistorti: "Il cugino di Mazzini" e "Due dure storie"
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
 
1. L'ORA. RETE ITALIANA PACE E DISARMO: IL RECOVERY PLAN DEL GOVERNO DRAGHI: FONDI UE ALL'INDUSTRIA MILITARE
[Riceviamo e diffondiamo]
 
Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all'industria militare.
Decisione che la Rete italiana Pace e Disarmo ritiene inaccettabile: non solo contraddice le finalita' del Piano europeo per la ripresa, ma accantonando le proposte delle organizzazioni della societa' civile (e del mondo del lavoro) considera il settore militare, gia' ampiamente finanziato, come fattore di ripresa per il Paese.
*
Sorpresa nell'uovo di Pasqua: una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacita' e i sistemi d'arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell'industria delle armi che la Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta.
Ad aprire a questa possibilita' e' stato il Parlamento, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di "incrementare, considerata la centralita' del quadrante mediterraneo, la capacita' militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l'ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l'attivita' di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto".
Per il Senato "occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un'ottica di collaborazione con le realta' industriali nazionali, think tank e centri di ricerca". Viene inoltre ipotizzata la realizzazione di cosiddetti "distretti militari intelligenti" per attrarre interessi e investimenti.
Diversamente dalle bozze implementate dal precedente Governo, in cui l'ambito militare veniva coinvolto nel PNRR solo per aspetti secondari come l'efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanita' militare, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) potrebbe quindi destinare all'acquisizione di nuove armi. i fondi europei per la rinascita dell'Italia dopo la pandemia. Un comparto che, e' bene ricordarlo, gia' ricevera' almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.
Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all'unanimita' i pareri consultivi relativi. Cio' evidenzia un sostegno trasversale all'ipotesi di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare. Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla "opportunita'" di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato come i pareri votati "corrispondano alla visione organica del PNRR" dello stesso esecutivo Draghi, che dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese si possa realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti.
Anche se green le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro. La Rete italiana Pace e disarmo denuncia la manovra dell'industria bellica per mettere le mani su una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation.
Inascoltate le associazioni pacifiste, spazio solo ai produttori di armi.
Nel corso della discussione di queste settimane sono stati auditi rappresentanti dell'industria militare (AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le "12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR" elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti. Per tale motivo chiediamo ora al Governo che le proposte della societa' civile fondate sulla costruzione della convivenza e della difesa civile nonviolenta (con un impegno esteso alla difesa dell'occupazione in un'economia disarmata e sostenibile) siano ascoltate, valutate e rese parte integrante del nuovo PNRR che l'esecutivo dovra' elaborare, spostando dunque i fondi dalla difesa militare.
La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull'ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico puo' avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace e' anche un contributo al futuro ecologico.
Occorre quindi una nuova politica estera italiana ed europea che abbia come obiettivo la costruzione di una comunita' globale con un futuro condiviso, riprendendo il progetto delle Nazioni Unite volto "a salvare le future generazioni dal flagello della guerra" e di collaborazione tra i popoli come elemento dominante delle relazioni internazionali.
La nonviolenza politica e' lo strumento e il fine che bisogna assumere. Per questo e' prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi ed ai valori della pace: il Piano deve essere l'occasione per investire fondi in processi di sviluppo civile e non sulle armi. "Non c'e' un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente": cosi' e' scritto nell'introduzione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La Rete Italiana Pace e Disarmo vuole davvero che Il mondo di domani, per garantire un futuro alle nuove generazioni, sia basato su uno sviluppo civile e non militare.
Il Mahatma Gandhi indicava l'unica strada possibile "o l'umanita' distruggera' gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l'umanita'". Non possiamo tollerare che nemmeno un euro dei fondi destinati al futuro ecologico venga invece impiegato per mettere una maschera verde al volto di morte delle fabbriche d'armi. L'umanita' ha bisogno di pace e di un futuro amico.
Rete Italiana Pace e Disarmo
Segreteria nazionale c/o Casa per la Nonviolenza, via Spagna 8, Verona
 
2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: I MASCHI TRA RANCORE E DESIDERIO DI CAMBIAMENTO
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Il riformista" del 2 aprile 2020.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]
 
L'invito a "restare a casa", se puo' essere visto in questi giorni di contagio coronavirus come una misura necessaria di protezione, prende un significato opposto se si considera che in quegli interni si continuano a contare i femminicidi. Due solo nell'ultimo mese. La violenza sulle donne, chiamata impropriamente "emergenza", e' il male che attraversa la storia, la guerra che la specie umana, al di la' di ogni differenza di tempi e luoghi, ha dichiarato a se stessa, consegnando il governo del mondo a una comunita' di soli uomini e identificando il sesso femminile con la radice corporea, materiale di ogni vivente. Prima che l'epidemia in corso facesse cadere il silenzio non solo sulle strade, ma anche sulle tante "crisi" che attraversano oggi la societa' a livello globale, si puo' dire che stava arrivando faticosamente alla coscienza l'ordine di dominio, il sistema di ruoli e di valori che finora ha dato senso alla vita degli uomini, legittimato istituzioni, saperi, comportamenti legati al loro privilegio, in nome di una presunta "naturalita'".
Sulle ambiguita' di una crisi che interessa l'ideale virile, e piu' in generale il patriarcato come struttura portante della storia fin qui conosciuta, si sofferma con profondita' di interrogativi, analisi critiche e prospettive promettenti di cambiamento, il libro di Stefano Ciccone Maschi in crisi? Oltre la frustrazione e il rancore (Rosenberg & Sellier 2019). "E' possibile - si chiede Ciccone - e in che forma agire un conflitto a partire da una posizione che corrisponde alla norma e a un ruolo di potere? E' possibile esprimere una critica all'esistente, un desiderio di cambiamento non a partire da una condizione di discriminazione?". E, anche ammesso che si possa rispondere di si', tenuto conto che questo potere non e' stato senza prezzo per gli stessi dominanti – il corpo usato come un'arma, la miseria di una sessualita' schiacciata sulla prestazione, la continua messa alla prova del governo di se' e del governo del mondo -, "possono gli uomini aver bisogno del cambiamento, o meglio ancora desiderarlo come liberazione da un destino sociale gia' scritto"?
La strada verso una relazione tra i sessi svincolata dalla violenta differenziazione che fin dall'origine li ha destinatati a ruoli complementari, quasi fossero le due meta' di un intero  - corpo/pensiero, biologia/storia -, disposti secondo una precisa gerarchia di potere e valore, e' stata aperta con una radicalita' imprevista dal neofemminismo degli anni '70. La costruzione di una individualita' femminile autonoma da modelli imposti ha avuto allora il grande merito di riconoscere che non si trattava della resistenza, ribellione a un dominio, ma della presa di coscienza di una visione del mondo interiorizzata dalle donne stesse. Il dominio maschile, come scrive Pierre Bourdieu, e' inscritto nelle istituzioni ma anche "nell'oscurita' dei corpi". Giustamente si chiede allora Ciccone se anche gli uomini non abbiano subito, nel passaggio di padre in figlio, una analoga "invasione", assunto ruoli, comportamenti virili legittimati dalle donne stesse, usato il potere come difesa da un femminile minaccioso e fagocitante, creato dal loro immaginario. A essere entrati in una crisi che e' perdita di credibilita', insoddisfazione e rifiuto, sono proprio i ruoli, i saperi, le identita' che gli uomini hanno ereditato dai padri. Ma, in mancanza di nuovi modi, linguaggi e simboli per rappresentare il cambiamento, a prevalere sono le "permanenze", la tentazione di tornare su posizioni tradizionali, di rispondere alle liberta' conquistate dalle donne col rancore e il vittimismo. Se si puo' ipotizzare che all'origine l'imposizione del dominio maschile sia stata la risposta difensiva e aggressiva a quel corpo che lo ha avuto in sua balia nel momento della sua maggiore inermita', non e' difficile capire che l'autonomia delle donne possa essere vista dall'uomo come il capovolgimento dei poteri, il ritorno a una condizione che lo vede dipendente e fragile.
Questo – scrive Ciccone - e' il modo con cui solitamente viene raccontata la crisi dei maschi: frustrati, disorientati, messi all'angolo e privati delle loro tradizionali attitudini, intimoriti dalla perdita di ruolo, di riferimenti per la propria identita', aggrediti da un femminismo che avrebbe "esagerato", castrati dal confronto con una sessualita' femminile disinvolta e aggressiva. Dal rancore dei padri separati alle politiche di restaurazione che vorrebbero cancellare diritti acquisiti, come il divorzio e l'aborto, passa la reazione paranoica che vede nelle donne stesse la causa della violenza maschile, dallo stupro ai femminicidi.
Il pregio del libro di Ciccone e' di aver affrontato con un'analisi profonda e coraggiosa sia le difficolta' del maschile, "rimasto invisibile a se stesso" - schiacciato nel "neutro" e dentro logiche competitive -, a costruire percorsi collettivi di cambiamento, sia la possibilita' di "leggere in modo diverso la nuova esperienza maschile, cercare parole per dare voce al desiderio di cambiamento degli uomini".
In realta', "parole per dirlo" gia' ci sono e sono quelle di quanti, come Stefano Ciccone, gia' da anni nel nostro paese si interrogano sulla maschilita', partendo, come ha fatto il femminismo dalla singolarita' incarnata, dall'esperienza che ognuno fa del corpo, delle sue potenzialita' e dei suoi limiti. E' sul corpo maschile, sulle "amputazioni" che ne hanno segnato la miseria che torna insistentemente la domanda che cosa significhi l'alienazione per gli uomini, quali aspetti dell'umano, esaltati e sviliti al medesimo tempo, abbiano considerato appartenenti "per natura" all'altro sesso. Si tratterebbe percio' di "accogliere, esprimere emozioni, prendersi cura di se', riconoscere che nei codici di corteggiamento non c'e' nulla di naturale, perche' si tratta di codici costruiti storicamente e socialmente, vedere nella propria dipendenza non un fallimento, una ferita intollerabile, ma l'opportunita' di nuove forme relazionali".
C'e' solo una domanda, che feci a Ciccone anni fa in una conversazione per "D. La Repubblica", e che ripropongo perche' penso che l'uscita dalla complementarita' dei ruoli e delle identita' di genere debba fare i conti non solo con logiche di potere, ma anche col "sogno d'amore", cosi' come lo abbiamo ereditato: "il miracolo che fa di due esseri complementari un solo essere armonioso" (Sibilla Aleramo). Quali forme nuove puO' prendere l'amore quando uomini e donne non si muovono piu' dentro poli opposti, complementari e indispensabili l'uno all'altro? Soffermarsi sulle contraddizioni, inevitabili in questa fase di passaggio, e' importante per evitare che le consapevolezze nuove restino ferme a buoni propositi o ad atti volontaristici.
 
3. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: CI SONO VITE CHE VALGONO MENO. OBBLIGHI E DIVIETI NON SONO PER TUTTI
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Il riformista" del 25 marzo 2020]
 
Quando sono gli eventi a caderci addosso con tutta la loro imponderabilita', a spogliarci inaspettatamente delle nostre abitudini e a farci temere per la nostra vita, e' inevitabile che siano le emozioni a prendere il sopravvento sull'oggettivita' dei nostri giudizi, a sovvertire gerarchie di valori, a decidere che cosa e' necessario e cosa non lo e'. E' capitato spesso in questi giorni di assistere a contrapposizioni e alternative anche la' dove non sussistono, amplificate, come spesso capita, dalla suscettibilita' che e' propria della comunicazione sui social. Si puo' dire che hanno contribuito a questo anche le ordinanze e gli inviti insistenti di governanti, sindaci, presidenti di regione, giornalisti, medici e ricercatori.
Il conflitto dai toni piu' aspri non poteva che essere quello che ha visto collocati su sponde opposte il comportamento dei singoli e l'interesse della popolazione nel suo insieme, una inimicizia storica tra privato e pubblico, individuo e collettivo, che, in condizioni di pericolo comune, assume una particolare evidenza. Contro gli sportivi e i cittadini che non hanno voluto rinunciare alla loro passeggiata, con o senza cane, o all'incontro con amici, sia pure per strade o in parchi quasi deserti, i divieti venuti dalle autorita' istituzionali e, per un altro verso, le ire di quanti hanno rispettato la buona regola di "restare a casa", hanno finito per fondersi in un unico coro di insulti e minacce agli "untori", agli "irresponsabili", facendone una sorta di "capro espiatorio", come gia' ci avevano abituato le politiche salviniane. Eppure sarebbe bastato un ragionamento elementare sulla liberta' e i suoi limiti per evitare animosi schieramenti: la possibilita' che ha il singolo di correre e passeggiare alla distanza necessaria per evitare il contagio e' garantita solo dal fatto che altri stanno in casa. Scoprire che siamo dipendenti gli uni dagli altri, non solo nel bisogno e nella vulnerabilita' ma anche nei desideri, mette a dura prova la centralita' che ha sempre avuto l'interesse personale, prima ancora che il neoliberismo facesse dell'io l'"imprenditore di se stesso". Viene allo scoperto, in altre parole, la rimozione che l'individuo fa del sociale, analoga a quella opposta del sociale nei suoi confronti.
Irresponsabilita', cattiva educazione, familismo italico? L'occasione per affrontarlo potrebbe essere l'eredita' positiva che il coronavirus lascia al futuro. Per ora e' la reazione, comprensibile anche se viscerale, di una parte della popolazione, in mancanza di regolamenti piu' chiari da chi ci governa.
Altro motivo di prevedibili contrapposizioni, in questo piu' giustificate, e' il rilievo che ha preso la questione delle uscite sportive rispetto al duplice ricatto che ha continuato a tenere finora i lavoratori nelle fabbriche: la paura del contagio per se' e la propria famiglia e la perdita di una entrata economica indispensabile. La lentezza con cui il governo e' arrivato finalmente a chiedere la chiusura delle attivita' produttive non essenziali per la sopravvivenza, ha messo allo scoperto cio' che gia' sappiamo ma che dimentichiamo in fretta, e cioe' che ci sono vite che contano meno di altre, che le persone, in una societa' fondata sul profitto, vengono dopo le cose, che dietro l'"interesse sociale" si nasconde spesso il privilegio di pochi.
Infine, anche se di minor conto, non e' mancata la protesta per quei pochi segnali di conforto e solidarieta' che passano a ore fisse del giorno da finestre aperte tra casa e casa – cenni di saluto, applausi, qualche nota musicale -, sentiti da alcuni come offensivi per chi vive in questo momento la drammaticita' di tanti lutti. Ora, E' proprio la scoperta che ad accomunarci e' la morte, sia come limite naturale di ogni vivente che come pericolo che arriva inaspettato in un passaggio della nostra storia, a farci riflettere su quanto abbiamo trascurato finora il piacere di fermare anche per pochi minuti, lo sguardo sul "vicino" che ci e' passato accanto per anni e che non abbiamo mai visto, perche' lo abbiamo considerato "un estraneo".
 
4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: VIRUS E IDENTITA'. LE IDEOLOGIE ALLA PROVA DEL CORPO
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Il riformista" del 20 marzo 2020]
 
Il "partire da se'" nasce come pratica femminista di riscoperta della cultura che e' rimasta sepolta per secoli nei vissuti personali, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra i sessi, ma, piu' in generale, ha significato riconoscere che sono le vite, nella loro singolarita', a spingere l'agire politico "alle radici dell'umano".
Riportato al presente dell'emergenza che stiamo vivendo e col dubbio purtroppo che durera' a lungo, in quanto legata alla crisi del modello di civilta' conosciuto finora, il "se'" con tutte le sue risorse di creativita' e limiti puo' essere il luogo attraverso il quale si incontrano senza farsi la guerra opinioni, scelte diverse, e, per un altro verso, brevi tracciati di un sentire comune. Non ne usciranno saggi ne' teorie di sistema, ma notazioni sparse, balbettamenti, come del resto sono gia' i commenti che escono in questi giorni sulle pagine dei social.
Alla particolarita' delle nostre vite, piu' che ai nostri saperi e alle nostre competenze professionali, appartengono sicuramente alcune delle contraddizioni e dei conflitti che si stanno addensando intorno al coronavirus, dai provvedimenti di varia natura, giuridica e politica, con cui le istituzioni lo affrontano, alla risposta dei cittadini. Mi limito ad alcune considerazioni che mi sembrano incontestabili.
Se e' vero che il timore del contagio e la permanenza obbligata nelle case sta facendo nascere comunione di sentimenti e solidarieta' inaspettate, e' altrettanto vero che mai come in questa calamita' emergono differenze significative, di eta', classe sociale, condizione famigliare e abitativa (per chi una casa ce l'ha).
Non e' la stessa cosa:
- appartenere alla categoria dei "vulnerabili", cioe' alle persone di eta' avanzata e con altre malattie, o a generazioni piu' giovani;
- essere garantite economicamente o essere invece dipendenti da un lavoro che e' venuto a mancare o che devi continuare a fare a tuo rischio;
- abitare da soli o condividere la casa con famigliari e amici;
- essere uomini o donne in una situazione in cui la cura della casa e dei bambini sono raddoppiate, dove le relazioni di coppia gia' compromesse rischiano di sfociare in violenza;
- avere una abitazione che permette, in caso di quarantena, spazi separati, o invece piccoli appartamenti dove ci si muove a mala pena. Per non parlare del carcere, dei centri di accoglienza, dei senza casa, delle case di riposo, e di tutti i luoghi dove la convivenza e l'affollamento sono inevitabili.
Le teorie hanno piedi, mani, volti, e rispecchiano nel loro confrontarsi, spesso aspramente, la difficolta' a entrare nei panni dell'altro e mettere in primo piano cio' che ci accomuna. In questo drammatico passaggio di vita, personale e sociale, le abitudini possono cambiare in meglio, ma si possono anche perdere affetti e amicizie, se non se ne ha cura. Le solidarieta' che nascono impreviste tra sconosciuti, in modi che non avremmo mai immaginato – il saluto da finestra a finestra, torce che si accendono alla medesima ora sopra strade deserte la sera, musica e canti inaspettati dai balconi - dicono che in parte siamo gia' diversi da un mese fa, che abitudini consolidate dal quieto vivere possono eclissarsi all'improvviso e aprire la strada al dubbio come alla speranza, al dolore della perdita come all'interesse per nuove opportunita'.
Non per questo tuttavia scompaiono, dietro l'illusione di una comunita' ideale a venire, le differenze di sesso, razza, classe, che gia' c'erano e che oggi fuoriescono con la spigolosita' e la ruvidezza dei vissuti reali, anche se appannati dal bisogno di muoversi in concordanza contro il nemico comune. Se siamo stati a lungo spettatori dei mali degli altri, attenti nella lontananza ai dolori di umani vittime di ogni flagello – dalle guerre, alle migrazioni, alle catastrofi naturali -, combattivi nell'affiancarli con le manifestazioni nei nostri paesi, oggi siamo noi, per una sorta di contrappasso, al centro di un assalto che entra invisibile nei nostri corpi, passando paradossalmente dai gesti dell'amore e dell'amicizia, come i baci e le strette di mano. Si potrebbe dire che il corpo, e la natura a cui appartiene, si prende la sua rivincita e in questo modo presenta il conto della violenza, dello sfruttamento e dell'uso che ne abbiamo fatto, delle ingiustizie che vi sono passate sopra.
D'ora innanzi non potremo piu' limitarci a gridare slogan anticapitalisti, antipatriarcali, antirazzisti, quando e' l'ordine sociale e politico a lasciare allo scoperto, nel momento del suo crollo, il posto che vi hanno occupato le nostre vite.
Se possiamo immaginare all'orizzonte un "altro mondo possibile", sara' solo perche' avremo dato corpo, sentimenti, pensieri alle tante "differenze" prodotte da millenarie logiche di dominio.
 
5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: DIETRO LE STATISTICHE DEI MORTI, LA PAURA DELLA VECCHIAIA E DEL LIMITE NATURALE DELLA VITA
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Il riformista" del 14 marzo 2020]
 
Da un passato, di cui restano segni profondi nella memoria del corpo e pochi ricordi, c'e' tuttavia un'immagine che mi ha seguita nel tempo, forse perche' cercava una spiegazione che non ho mai avuto voglia di darle. Il titolo credo fosse "Le eta' della vita", il disegno una linea curva su cui una figura umana saliva e scendeva, via via in posizione sempre piu' eretta e poi sempre piu' inclinata. Mi colpiva la somiglianza fra la partenza e il traguardo, l'evidente accostamento tra l'infanzia e la vecchiaia. Se mi e' tornata in mente in questi giorni non e' certo un caso: c'e' l'allarme da coronavirus, ci sono ordinanze sempre piu' restrittive della nostra mobilita' sociale, e ci sono notiziari che a ritmo serrato contano il numero dei contagi, dei ricoveri, delle guarigioni e delle morti, associandoli all'eta' delle persone colpite e sottolineando con insistenza la contenuta mortalita' del virus che colpirebbe quasi esclusivamente gli "anziani" con malattie pregresse. Si tratta certo di dati oggettivi, ma accompagnati da una lettura e una scelta comunicativa che non potevano non sollevare perplessita', domande, irritazione.
Collocate nella categoria dei "fragili" o "vulnerabili", un modo all'apparenza gentile per rivolgersi agli ultrasettantenni, le persone che purtroppo ne fanno parte dovrebbero ringraziare per tanta inaspettata attenzione nei loro confronti, o chiedersi che senso abbia ricordare il "Memento mori" a chi si presume lo abbia gia' dolorosamente nei suoi pensieri? Non c'e' voluto molto a capire che quella insistente precisazione era volta a rassicurare i piu' giovani, e deve essere andata a buono o cattivo fine se, fino a pochi giorni fa, la maggior parte della popolazione, a minor rischio, ha continuato a mantenere comportamenti abituali. Non ho potuto evitare un ragionamento spontaneo: i vecchi sono quelli che vivono gia' in una sorta di quarantena, negli interni delle case, negli ospedali, nelle case di riposo, mentre i giovani, figli, nipoti, si accalcano in massa nei supermercati, rischiando di portare a casa cibo e contagio. A far crescere inquietudini e malumori e' arrivato poi il documento della Societa' italiana degli anestesisti in cui si dice che, peggiorando la situazione, sarebbe stato necessario "porre un limite all'ingresso in terapia intensiva", e cioe', in altre parole, riservare risorse a chi ha piu' probabilita' di sopravvivenza.
Verrebbe da dire "una selezione naturale", se al posto della natura, come pensava Darwin, non ci fosse in questo caso una sanita' pesantemente decurtata per quanto riguarda finanziamenti, personale medico e infermieristico.
Eppure non sono stati pochi ad avallare la bonta' di una scelta che va contro il diritto di tutti a essere curati, senza quel minimo di riflessione critica che dovrebbe farci dire che non bisogna arrivare a questo.
In tutte le emergenze di cui veniamo informati quotidianamente in un mondo globalizzato – dalle guerre alle migrazioni, sfollamenti, carestie, ecc. - l'attenzione va generalmente "alle donne e ai bambini", anche se si puo' pensare che siano i piu' forti a sopportarle. La vita da salvaguardare, nelle situazioni estreme, e' quella dei corpi che la generano e di quelli che sono all'inizio del loro cammino. Eppure sappiamo quanto contino le persone piu' avanti negli anni, quando si tratta di sostituire nella cura dei bambini e della casa servizi sociali carenti o inesistenti. Se non bastasse questo, in un lungo percorso di vita si puo' dire che ogni individuo diventa il testimone prezioso di una storia, l'archivio di un vissuto sociale, oltre che personale, che i libri di storia non raccontano. Perche' allora sembra cosi' "normale" ridurre chi ha un'eta' avanzata a corpo "fragile" o addirittura a numero di una statistica?
Scrive Adriano Sofri in una delle sue "conversazioni" online: "Vorrei salutare le vecchie donne e i vecchi uomini a cui il virus ha gia' dato il colpo di grazia e quelli che lo aspettano. Quelli che gli eufemismi chiamano "anziani", e pero' l'eufemismo opposto, urgente a rassicurare gli altri, chiama "malati gia' compromessi". "Sarebbero morti anche per una normale influenza", ha detto una brava professionista, dimenticando la differenza tra una statistica e una vita (...) Anche se si siano disabituati a pensare che si muore di vecchiaia, sanno comunque che di vecchiaia si vive, e che a volte un impulso puo' scuoterli come un ricordo antico, come una primavera di febbraio che sente la gelata, ma mette fuori lo stesso il suo fiore".
Le emergenze agiscono come una specie di catalizzatore di rapporti, convinzioni, pregiudizi, immaginari, visioni del mondo acquisite spesso inconsapevolmente e che una scossa inaspettata porta all'improvviso davanti agli occhi. Si scoprono la fragilita', la dipendenza degli uni dagli altri, la perdita repentina di un privilegio, il capovolgimento di gerarchie, valori e poteri ritenuti immodificabili, la presenza inaggirabile del nostro essere corpo. Una condizione umana che accomuna tutti diventa, al medesimo tempo, il rilevatore piu' potente di differenze – di genere, razza, classe, specie - che ci sono sempre state e che hanno potuto sottrarsi alla coscienza solo perche' date come "naturali". Ma, soprattutto, quello che viene allo scoperto e' come la civilta', che ha avuto per protagonista un sesso solo, abbia finalizzato le sue mete ad esorcizzare quel limite di tutti i viventi, che e' la morte, inscritta fin dalla nascita nei loro corpi.
 
6. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: FINALMENTE SI COMINCIA A CAPIRE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento dell'11 marzo 2021.
Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici femministe, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997". Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente breve notizia biobibliografica aggiornata "Luisa Muraro, profonda conoscitrice del femminismo delle origini, e' tra le fondatrici della Libreria delle Donne di Milano (1975) e nel 1984 della Comunita' filosofica Diotima. Ha lavorato al concetto della differenza, favorendone la divulgazione e contribuendo a renderlo imprescindibile anche nel dibattito politico e filosofico italiano. Autrice di molte monografie, ha pubblicato numerosi saggi e articoli, ospitati in riviste accademiche, ma anche in quotidiani e riviste indirizzate al grande pubblico. Tra le sue pubblicazioni: La signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe, Milano, Feltrinelli, 1976; Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia, Milano, Feltrinelli, 1981; L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991; Lingua materna, scienza divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete, Napoli, D'Auria, 1995; Le amiche di Dio, Napoli, D'Auria, 2001; Il Dio delle donne, Milano, Mondadori, 2003; Guglielma e Maifreda, Milano, La Tartaruga, 1985, 2003; Al mercato della felicita'. La forza irrinunciabile del desiderio, Milano, Mondadori, 2009; Hipatia de Alejandria, Sabina Editorial, 2010". Per un accostamento all'opera di Luisa Muraro segnaliamo l'utile saggio bibliografico a cura di Clara Jourdan, con la collaborazione di Franca Cleis, Luisa Muraro. Bibliografia degli anni 1963-2009, Libreria delle donne di Milano, 2010 (richiedibile gratuitamente a: info at libreriadelledonne.it)]
 
Non importa quanto ci e' voluto, ma ci siamo! Finalmente si comincia a capire il senso di quel grande movimento che si e' chiamato femminismo, nome convenzionale di una svolta in corso nella storia dell'umanita'. Il nome vero e definitivo forse non esiste, forse dovremmo semplicemente pensare che l'evoluzione umana percorre un'orbita ellittica, come i corpi celesti, e che il suo corso ogni tanto si illumina di un nome che fa luce.
Del femminismo si comincia a capire che non e' stato soltanto emancipazione ne' richiesta di uguaglianza e che sta non tanto sul piano dei diritti quanto nella consapevolezza di se' e dell'autorita' che ci da' l'essere di sesso femminile. Si comincia a capire e a dire che il movimento delle donne va verso il senso libero della differenza sessuale e che ha origine nella qualita' dei rapporti tra donne. Sono cose vissute e scoperte da decenni ma l'opinione dominante le rendeva invisibili con nomi sbagliati e interpretazioni fuorvianti. Quarant'anni fa, Carla Lonzi aveva intuito il cambiamento storico che si annunciava ma poche la capivano e nel suo diario parla di se' come di una "voce che grida nel deserto".
Chi o che cosa ha fatto luce?
Giorni fa, "Internazionale" n. 1399 ha dedicato la copertina alle giovanissime, accompagnata all'interno da un lungo articolo tradotto dal settimanale britannico "The Economist". L'ho letto e ho esclamato: finalmente! Quasi senza saperlo, il discorso mediatico comincia a rendersi conto del segreto racchiuso nel cambio di civilta' di ragazze baldanzose e insieme pensose, capaci di amicizie profonde e durature, che coltivano la fiducia reciproca, e nelle madri vedono delle alleate e dei modelli...
Non che tutto sia facile, del resto l'inchiesta dell'"Economist" non lo pretende. Ne' lo pretendo io. Quello che mi ha colpito e' la selezione delle cose notevoli che viene fatta sul materiale raccolto nell'inchiesta. Mi ha colpito perche' nelle testimonianze raccolte e ordinate (in cinque capitoletti: Identita' diverse; Amiche; Figlie; Corpi; Attiviste) e' riconoscibile il percorso fatto negli anni dal cosiddetto femminismo della differenza.
La luce viene da questa coincidenza, il cui significato mi sfida a tornare al lavoro del pensiero, nonostante l'eta' e la pandemia.
 
7. RIFLESSIONE. REBECCA SOLNIT: GLI UOMINI INVISIBILI CHE FANNO MALE ALLE DONNE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Internazionale" il 26 marzo 2021.
Rebecca Solnit e' un'intellettuale, scrittrice e attivista pacifista americana, autrice di diverse opere che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti; vive a San Francisco e per il suo impegno culturale e politico e' considerata l'erede di Susan Sontag. Tra le opere di Rebecca Solnit: Savage Dreams: A Journey Into the Landscape Wars of the American West (1994); Book of Migrations: Some Passages in Ireland (1998); (con Susan Schwartzenberg), Hollow City: The Siege of San Francisco and the Crisis of American Urbanism (2002); Wanderlust: A History of Walking (2002); River of Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild West (2003); As Eve Said to the Serpent: On Landscape, Gender, and Art (2003); Hope in the Dark: Untold Histories, Wild Possibilities (2006); (con Philip L. Fradkin, Mark Klett, Michael Lundgren), After the Ruins, 1906 and 2006: Rephotographing the San Francisco Earthquake and Fire (2006); A Field Guide to Getting Lost (2006); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics (2007) . Tra le traduzioni disponibili in italiano: Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano 2002, 2005, Ponte alle Grazie, Milano 2018; Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo, Fandango, 2005; Chiamare le cose con il loro nome, Ponte alle Grazie, Milano 2019; Cenerentola libera tutti, Salani, Milano 2020]
 
L'uomo accusato di aver ucciso otto persone, tra cui sei donne statunitensi di origine asiatica, il 16 marzo in alcuni centri benessere di Atlanta avrebbe detto che stava cercando di "eliminare le tentazioni". Come se altri fossero responsabili dei suoi pensieri, come se il mostruoso atto di togliere la vita agli altri piuttosto che imparare a controllarsi fosse giusto. Questo aspetto di un crimine che e' stato anche orribilmente razzista riflette una cultura che incolpa le donne per il comportamento degli uomini. L'idea delle femmine tentatrici risale all'Antico testamento ed e' sottolineata nel cristianesimo evangelico dei bianchi; le vittime della sparatoria di Atlanta erano dipendenti e clienti dei centri benessere e si dice che, quando e' stato arrestato, l'assassino avesse in mente di andare in Florida per colpire "l'industria del porno".
Qualche giorno fa un'amica piu' anziana di me mi ha raccontato i suoi tentativi negli anni settanta di aprire un rifugio per le donne che hanno subito violenza domestica in una comunita' in cui gli uomini non credevano che quello fosse un problema. E quando li avevi convinti che lo era, ti chiedevano: "E se fosse colpa delle donne?".
La scorsa settimana un mio amico ha condiviso un lungo post antifemminista che incolpava le ragazze per i problemi del governatore di New York Andrew Cuomo, accusato di molestie sessuali: avrebbero dovuto fare buon viso a cattivo gioco quando Cuomo violava le regole sui comportamenti nel posto di lavoro, era loro la responsabilita' di proteggere la sua carriera e la sua reputazione?
A volte gli uomini sono esclusi dalla storia. Dall'inizio della pandemia sono stati pubblicati molti articoli sul fatto che le donne hanno smesso di fare carriera o hanno lasciato il lavoro perche' nelle famiglie eterosessuali devono occuparsi della maggior parte delle faccende domestiche, e in particolare di crescere i figli.
A febbraio la National public radio statunitense (Npr) ha aperto un servizio affermando che questo impegno e' "piombato sulle spalle delle donne", come se fosse caduto dal cielo e non imposto dal coniuge. Devo ancora leggere un articolo su un uomo la cui carriera sta andando alla grande perche' ha scaricato quel peso su sua moglie. Spesso si biasima la donna per la situazione in cui si trova a causa del marito e le viene consigliato di lasciarlo, senza riflettere sul fatto che il divorzio spesso porta poverta' per lei e i suoi figli, senza contare che carichi di lavoro disuguali in casa possono ridurre le possibilita' per una donna di raggiungere l'indipendenza. Dietro tutto questo c'e' il problema di come si raccontano le cose. Il modo piu' comune di parlare di casi di omicidio, stupro, violenza domestica, molestie, gravidanze indesiderate, poverta' delle famiglie con madri single e una miriade di altri fenomeni lasciano gli uomini fuori dal quadro. Li assolvono dalla responsabilita'. Abbiamo sempre trattato molte cose che gli uomini fanno alle donne o che uomini e donne fanno insieme come problemi delle donne, che sono loro a dover risolvere, comportandosi in modo sorprendentemente eroico e resistendo al di la' del buonsenso. Oltre alle faccende domestiche e all'assistenza all'infanzia, anche quello che fanno gli uomini cade sulle spalle delle donne.
In No visible bruises (Nessun livido visibile), un libro del 2019 sulla violenza domestica, Rachel Louise Snyder osserva che la reazione comune e' spesso "perche' non se n'e' andata?" piuttosto che "perche' lui era violento?". Alle donne che subiscono molestie e minacce per strada viene detto di limitare le proprie liberta' e cambiare comportamento, come se le minacce e la violenza maschili fossero qualcosa che non si puo' correggere, come il tempo, non qualcosa che puo' e deve cambiare. Sulla scia del presunto rapimento e omicidio di Sarah Everard da parte di un poliziotto, poche settimane fa nel Regno Unito, la polizia e' andata a bussare porta a porta per dire alle donne del sud di Londra di non uscire da sole. Quando se ne parla, le gravidanze indesiderate sono descritte come situazioni nelle quali sono andate a ficcarsi delle donne irresponsabili: per questo alcuni i conservatori vogliono punirle. Chiarito che le donne possono rimanere incinte da sole, con l'aiuto di una banca del seme o di un donatore, le gravidanze indesiderate sono al 100 per cento il risultato di rapporti sessuali in cui qualcuno, per dirla in poche parole, ha messo il suo sperma dove era probabile che incontrasse un ovulo: sono coinvolte due persone. Ma troppo spesso, se c'e' un'interruzione di gravidanza, solo una delle due e' considerata responsabile.
Nel suo libro del 2015 sull'aborto, Pro: reclaiming abortion rights, Katha Pollitt osserva che il 16 per cento delle donne ha subito una "coercizione riproduttiva", cioe' il partner ha usato minacce o violenza senza tener conto della scelta riproduttiva di lei, e il 9 per cento ha subito un "'sabotaggio del controllo della nascita', cioe' il partner ha gettato via le sue pillole, bucato i preservativi o le ha impedito di usare altre forme di contraccezione". Uno dei motivi per cui l'aborto dovrebbe essere un diritto illimitato e' che le violazioni che portano al concepimento devono essere bilanciate dalle conseguenze. E ovviamente le leggi che permettono l'interruzione di gravidanza solo in caso di stupro richiedono alle donne di dimostrare di essere state violentate: un processo faticoso, invadente e prolungato che spesso fallisce comunque. Pollitt sottolinea anche che molte gravidanze indesiderate derivano da abusi che non rientrano nella definizione legale di stupro. Lo stesso stupro e' un reato di cui la vittima, e non l'autore, e' spesso ritenuta responsabile. Nel suo meraviglioso libro di memorie Know my name, Chanel Miller racconta di essere stata accusata perche', mentre era incosciente, era stata aggredita da uno sconosciuto, "il nuotatore stupratore di Stanford". Quando nel 2018 la Tulane university ha denunciato che il 40 per cento delle studenti e il 18 per cento degli studenti erano stati aggrediti sessualmente, avrebbe dovuto concludere che il suo campus era popolato non solo da vittime, ma anche da stupratori.
E invece non e' stato cosi'. Nel 2016 i Centers for disease control and prevention, un organismo di controllo sulla sanita' pubblica statunitense, hanno pubblicato un avviso in cui dicevano alle donne che il consumo di alcol avrebbe potuto provocare violenze, gravidanze, maltrattamenti o malattie sessualmente trasmissibili, come se l'alcol facesse tutte queste cose, e le donne da sole avessero la responsabilita' di evitarlo. Ancora una volta gli uomini erano stati eliminati dalle storie di cui sono protagonisti.
Esistono poi modi piu' sottili, per esempio descrivere le persone che subiscono abusi e discriminazioni come arroganti o malate. Ovviamente succede quando i responsabili dello status quo decidono di difenderlo piuttosto che preoccuparsi dei soggetti danneggiati o emarginati, rendendo cosi' piu' facile che la segnalazione di un abuso ne produca altri. A febbraio Ruchika Tulshyan e Jodi-Ann Burey in un articolo su "The Harvard Business Review" hanno scritto che "la sindrome dell'impostore ci spinge a cercare di cambiare il comportamento delle donne nel posto di lavoro piuttosto che cambiare i luoghi in cui le donne lavorano".
Troppo spesso una donna "ha l'impressione di non essere meritevole o qualificata", quando dovrebbe pensare che "lavora in un luogo dove la trattano come immeritevole o non qualificata”. Il titolo di un articolo del 7 marzo della Nbc News ne da' un esempio: "Google ha consigliato una verifica della sanita' mentale nel caso di dipendenti (uomini e donne) che si sono lamentati di razzismo e sessismo". L'articolo spiega che i dipendenti che hanno presentato i reclami sono stati licenziati, mentre nessuno ha controllato chi gli aveva dato qualche motivo di lamentarsi.
Escludere i responsabili da questo modo di raccontare le cose significa proteggere gli autori dei crimini, sia come individui sia come classe, anche se si finge attenzione per chi ha subìto gli abusi. E' un problema che puo' diventare critico in tutte le situazioni che ho descritto, ma che nel massacro della Georgia e' stato terribile: un giovane ha imparato dalla sua sottocultura battista del sud che il sesso e' peccato e le donne sono tentatrici, le ha ritenute responsabili delle sue tentazioni e le ha punite con la morte.
 
8. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
9. NUGAE. DUE RACCOLTE DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: "IL CUGINO DI MAZZINI" E "DUE DURE STORIE"
 
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) due raccolte di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie" e "Due dure storie. Rieducare gli educatori e Il delitto della principessa di Ebla".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverle puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarle.
 
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Louise Glueck, Averno, Il Saggiatore, Milano 2020, pp. 196, euro 14.
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Riedizioni
- Carlo Sgorlon, La foiba grande, Mondadori, Milano 1992, 2020, pp. 276, euro 13,50.
 
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
12. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4064 del 4 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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