[Nonviolenza] Telegrammi. 4046



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4046 del 17 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Ivan Bettini: Gandhi e l'anarchia
2. Saverio Morselli intervista Pasquale Pugliese
3. Alcuni riferimenti utili
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
 
1. MAESTRI. IVAN BETTINI: GANDHI E L'ANARCHIA
[Riceviamo e diffondiamo questo articolo dal titolo originale "Gandhi era anarchico?" una cui sintesi e' apparsa su "A. Rivista anarchica" n. 439 nel 2020.
Di Ivan Bettini riportiamo questa sintetica notizia: "Sono nato nel 1964 a Gorgonzola (Mi). Sono sposato e ho due figli. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari, sono iscritto al Movimento Nonviolento. Mi sono laureato in filosofia con una tesi su “Il dovere degli inermi. Guerra e pace nel pensiero di Norberto Bobbio”. Ho contribuito a fondare la cooperativa Nazca-MondoAlegre, che gestisce alcune botteghe del mondo, con prodotti del commercio equo e dell'agricoltura biologica, nell'est milanese. Sono delegato Rsu, eletto nella lista dei Cobas, al Comune di Milano, dove lavoro dal 1985 come bibliotecario".
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento (traduzione del fondamentale libro di Gandhi: Hind Swaraj; ora disponibile anche in nuova traduzione col titolo Vi spiego i mali della civilta' moderna, Gandhi Edizioni); La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recente libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori, e quello di Christine Jordis, Gandhi, Feltrinelli. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999. Tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006]
 
Gandhi era anarchico?
Per Gandhi il fine e' il Sarvodaya (potere e benessere di tutti). Questo fine puo' essere realizzato solo in una democrazia senza stato e senza classi, formata da comunita' autonome ed economicamente autosufficienti, nelle quali i rapporti siano fondati sulla cooperazione invece che sulla competizione e sulla persuasione invece che sulla coercizione.
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Una rosa e' una rosa e' una rosa
Diciamo subito che ne' Gandhi ne' i suoi piu' stretti collaboratori e continuatori della sua opera - come Vinoba Bhave e Jayaprakash Narayan - si sono mai dichiarati anarchici. Il termine da loro utilizzato per definire il proprio pensiero e la propria azione e' infatti Sarvodaya, che significa "potere e benessere di tutti".
E' vero pero' che - come ha fatto acutamente osservare Geoffrey Ostergaard in un pionieristico articolo pubblicato su “Anarchy” nel 1964 - "una rosa e' una rosa e' una rosa”. Vista da vicino, la dottrina del Sarvodaya appare chiaramente come una species del genus anarchico (1). Non a caso Gandhi e i suoi collaboratori furono spesso definiti "anarchici" - in senso spregiativo – dai loro critici e detrattori, britannici ed indiani.
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Affinita' tra sarvodaya e anarchismo
Il terreno comune tra il Sarvodaya e l'anarchismo occidentale "classico" - quello, per intenderci, di Godwin, Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Malatesta - e' in effetti molto vasto.
1. Gandhi e i gandhiani condividono con gli anarchici la critica dello Stato – definito "violenza concentrata e organizzata" -  e l'obiettivo di sostituirlo con forme di autogoverno e cooperazione volontaria tra liberi individui. L'ideale e' per Gandhi - come per Proudhon - una "illuminata e ordinata anarchia", in cui "ciascuno governa se' stesso, e governa se' stesso in modo tale da non costituire un ostacolo per il proprio prossimo. In questa condizione ideale non vi sara' alcun potere politico, perche' non vi sara' piu' alcuna traccia di Stato” (2).
2. Gandhi e gli anarchici concordano inoltre sul fatto che il dovere supremo di ogni individuo sia quello di obbedire alla propria coscienza (Gandhi la chiama inner voice, "voce interiore"), e che quest'obbligo morale sia superiore all'obbligo politico di obbedire alle leggi dello Stato.
3. Gandhi condivide poi con gli anarchici quella peculiare teoria del potere secondo la quale i sistemi politici e sociali di natura gerarchica e oppressiva esistono e si mantengono a causa della piu' o meno volontaria sottomissione, cooperazione e obbedienza da parte del gruppo subordinato. Questa teoria del potere - che riprendendo la definizione di Etienne de La Boetie potremmo chiamare "teoria della servitu' volontaria" - vale per Gandhi sia nella sfera politica - "Nessun governo potrebbe resistere se il popolo cessasse di obbedirgli" - che in quella economica - "I ricchi non potrebbero accumulare ricchezze senza la collaborazione dei poveri". Anche la sottomissione dell'India al dominio coloniale britannico rappresenta per Gandhi un caso di servitu' volontaria: "Gli inglesi non hanno conquistato l'India. Noi gliela abbiamo consegnata. Essi non sono in India a causa della loro forza ma della nostra debolezza. E siamo noi che consentiamo loro di rimanere".
4. Gandhi e gli anarchici convergono anche nell'individuare le condizioni necessarie affinche' una societa' di individui liberi ed eguali possa davvero realizzarsi e mantenersi.
La prima di queste condizioni e' l'abolizione della proprieta' privata dei mezzi di produzione. La proprieta' deve essere comune, e ciascuno deve contribuire secondo le proprie capacita' e ricevere secondo i propri bisogni: "Le risorse materiali necessarie per vivere dovrebbero essere liberamente disponibili a tutti come lo sono, o dovrebbero essere, l'aria e l'acqua di Dio. Un loro monopolio da parte di qualsiasi Paese, nazione o gruppo di persone e' contrario alla giustizia". Di conseguenza, "i mezzi di produzione di tali risorse saranno sotto il controllo democratico delle masse".
Una seconda condizione, alla prima strettamente correlata - cara tanto a Gandhi quanto a Kropotkin - e' l'abolizione della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, e il riconoscimento della dignita' del lavoro compiuto con le proprie mani (quello che Gandhi, sulla scia di Tolstoj, chiama bread-labour, "lavoro per il pane"). In particolare del lavoro agricolo, di quello artigianale e di quello che oggi chiameremmo "lavoro di cura".
La terza condizione, infine, e' la decentralizzazione: se si vuole evitare la tirannia, in tutte le sue forme, il potere deve essere diffuso.
L'unita' di base dell'organizzazione sociale deve avere dimensioni tali da consentire la partecipazione diretta di tutti gli individui che ne fanno parte. Essa deve essere completamente autonoma per quanto riguarda gli affari interni, e collegata su basi federali con le altre unita' di base per cooperare alla soluzione dei problemi comuni.
Questa decentralizzazione politica implica poi la decentralizzazione economica. Le grandi industrie e la loro concentrazione in vaste aree industriali devono essere evitate, o almeno il piu' possibile contenute, e ogni unita' di base o federazione di unita' di base dovrebbe costituire una comunita' autosufficiente (che non significa chiusa), almeno per quanto riguarda il soddisfacimento dei bisogni fondamentali.
5. Nella scelta degli strumenti da adottare per raggiungere il Sarvodaya, Gandhi e i gandhiani condividono la critica tradizionalmente mossa dagli anarchici ai partiti politici e alla politica parlamentare. Con accenti che anticipano quelli della Note sur la suppression generale des partis politiques di Simone Weil (3), Gandhi definisce i partiti "macchine per la conquista del potere statale", la cui natura e' intrinsecamente violenta e tendenzialmente totalitaria. Non solo nei confronti dei loro avversari ma anche nei confronti dei loro aderenti, ai quali chiedono di smettere di pensare in modo autonomo e impongono obbedienza cieca e disciplina.
Per questo Gandhi propose piu' volte - senza successo - ai dirigenti dell'Indian Congress Party di sciogliere il partito, e ai suoi attivisti di diffondersi nei settecentomila villaggi dell'India rurale per costruire dal basso, attraverso un paziente lavoro di istruzione e coscientizzazione, un nuovo ordine economico e sociale.
La critica gandhiana coinvolge anche il sistema parlamentare, considerato una "dittatura della maggioranza sulla minoranza". Le decisioni che riguardano il Sarvodaya richiedono invece il consenso di tutti, che va ricercato con pazienza, disponibilita' e generosita'. La persuasione va sempre preferita alla coercizione.
Come gli anarchici, anche i gandhiani sono dunque sostenitori dell'azione diretta. Il popolo deve diventare consapevole della propria forza, ed imparare ad autorganizzarsi e a risolvere da solo i propri problemi. La rivoluzione puo' essere fatta solo dal basso, e non dall'alto.
6. Troviamo infine in Gandhi un tema - quello dell'antispecismo e della liberazione animale - che era marginale nell'anarchismo "classico" (anche se erano animalisti ante litteram, oltre a Lev Tolstoj, Elisee Reclus e Erich Muehsam) ma e' diventato centrale in quello contemporaneo (4).
Egli fu vegetariano - prima per tradizione famigliare e poi per profonda convinzione personale - per tutta la vita, con l'eccezione di un breve periodo durante l'adolescenza in cui mangio' carne pensando ingenuamente che cio' l'avrebbe reso piu' forte e coraggioso, e quindi in grado di servire meglio la causa della liberazione dell'India dal dominio britannico.
Sulla base dei principi secondo cui "E' nostro dovere comportarci nei confronti degli animali come se la loro vita fosse ad essi altrettanto cara quanto lo e' la propria agli esseri umani" e "quanto piu' una creatura e' indifesa, tanto piu' essa ha diritto ad essere protetta contro la crudelta' degli uomini", Gandhi e' contrario alla vivisezione, all'uccisione degli animali per il piacere di mangiarli o - peggio ancora - per il gusto di cacciarli. Sembra persino ipotizzare - provocatoriamente - una "superiorita' morale e politica" degli animali sugli esseri umani: "Gli animali che vivono una vita semplice e libera non muoiono di fame, fra loro non si trovano ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi; queste differenze esistono solo in mezzo agli uomini. E tuttavia continuiamo a crederci superiori agli animali" (5).
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Diferenze tra sarvodaya e anarchismo
Le affinita' tra Sarvodaya e anarchismo occidentale sono dunque numerose. Non mancano ovviamente le differenze.
Le principali riguardano l'atteggiamento di Gandhi nei confronti della religione, il suo radicale ascetismo, l'opposizione alla dottrina della lotta di classe e il rifiuto della violenza come strumento di azione politica.
1. Per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti della religione, la stragrande maggioranza degli anarchici occidentali - sulle orme di Bakunin – ha accompagnato alla critica dello Stato una altrettanto feroce critica della religione, considerata strumento di istupidimento e sottomissione delle masse. Anarchismo e ateismo sono storicamente gemelli.
Il Sarvodaya gandhiano e' invece profondamente religioso:
"Tutte le parole che ho pronunciato e tutte le azioni che ho compiuto nei lunghi anni della mia vita pubblica sono scaturite da una sincera esigenza religiosa". Bisogna pero' riconoscere che la religiosita' gandhiana non e' confessionale o dogmatica, ma tollerante, aperta e aliena da ogni fanatismo e "spirito missionario". Religione significa infatti per il Mahatma ricercare appassionatamente Satya (la Verita') - termine che egli utilizza in modo interscambiabile per definire Dio, l'unita' di tutte le cose e cio' che e' buono e giusto - e agire con compassione e benevolenza nei confronti di tutti gli esseri viventi: "Quanto piu' estesa la compassione nella vita di un essere umano, tanto maggiore e' in essa la religiosita'". La religione non e' dunque per Gandhi una questione di "ortodossia" ma di "ortoprassi".
Sulla base della affermazione secondo la quale "Dio non puo' osare presentarsi ai poveri e agli affamati se non sotto forma di pane", e' stata anche sottolineata un'affinita' tra la religiosita' gandhiana e le teologie della liberazione contemporanee (6).
2. E' vero che anche tra gli anarchici occidentali ci sono (e ci sono sempre stati) pauperisti e puritani. E forse l'anarchia stessa rappresenta in fondo l'utopia di una vita semplice, dignitosa, solidale. Ma l'ascetismo di Gandhi e degli attivisti del Sarvodaya e' molto piu' radicale, e ben pochi anarchici occidentali sarebbero disposti a condividerlo.
L'ideale gandhiano richiede infatti di rinunciare ad ogni bene materiale che non sia strettamente necessario (aparigraha), di limitare il consumo di cibi e bevande alla quantita' minima richiesta dal buon funzionamento del proprio corpo e della propria mente (aswad), di praticare la castita' (brahmacharia) (7).
Soprattutto quest'ultimo principio appare del tutto estraneo alla tradizione anarchica occidentale che - da William Godwin a Emma Goldman, da Voltairine de Clayre a Emile Armand - ha invece posto l'accento sul libero amore e l'esercizio gioioso della sessualita'.
3. Rispetto alla dottrina della lotta di classe, possiamo dire - semplificando (ma non troppo) - che il movimento anarchico occidentale, nelle sue componenti storicamente maggioritarie, ha generalmente condiviso con i marxisti la visione materialistica della storia, l'analisi della societa' capitalistica e – sia pure con una minore enfasi sul ruolo "messianico" del proletariato industriale - l'appello alla lotta di classe.
Gandhi invece – che pure conosceva Marx e rispettava Lenin - rifiuto' sempre l'idea che la polarizzazione tra le classi fosse materialisticamente determinata e storicamente necessaria, e che dovesse sfociare inevitabilmente in una "guerra di classe" tra sfruttati e sfruttatori. Egli coltivo' per tutta la vita la convinzione – che a noi appare in verita' piuttosto ingenua - secondo la quale i capitalisti, cioe' uomini che si sono arricchiti sfruttando gli altri (Gandhi stesso era consapevole del fatto che "L'accumulazione del capitale e' impossibile senza l'impiego di mezzi violenti") potessero "convertirsi" e rinunciare volontariamente ai propri privilegi. Il rifiuto della dottrina della lotta di classe non fa pero' di Gandhi un fautore dello status quo a favore delle classi capitalistiche. Egli era infatti consapevole dell'esistenza di un profondo conflitto di interessi tra capitalisti e lavoratori ed era cosciente della necessita' di una lotta intransigente al fine di abolire lo sfruttamento: "Finche' lo sfruttamento e la volonta' di sfruttare persistono, non ci puo' essere collaborazione tra sfruttati e sfruttatori". Cio' che egli rifiuta e' l'idea che per eliminare lo sfruttamento sia in ultima istanza necessario il ricorso a mezzi violenti: "Possiamo estinguere lo sfruttamento dei poveri non attraverso lo sterminio di alcuni milionari ma rimuovendo l'ignoranza dei poveri e insegnando loro a non collaborare con i loro sfruttatori".
Alcune delle piu' importanti campagne di non-collaborazione condotte da Gandhi furono in effetti proprio volte a rivendicare gli interessi dei lavoratori contro quelli dei capitalisti. Nel 1917, nel distretto di Champaran, sostenne la lotta dei contadini contro i proprietari terrieri. Nel 1918 appoggio' il movimento dei contadini di Kheda contro un sistema fiscale vessatorio. Sempre nel 1918, ad Ahmedabad, partecipo' alla lotta degli operai dell'industria tessile e alla fondazione del sindacato Ahmedabad Textile Labour Association. Nel 1928 affianco' Vallabhbhai Patel alla guida del movimento dei contadini di Bardoli in una lotta che - come riconobbe piu' tardi anche Nehru, solitamente molto critico nei confronti di Gandhi - "divenne segno e simbolo di speranza e di forza per tutti i contadini dell'India" (8).
4. Per quanto riguarda infine l'utilizzo della violenza come strumento di lotta politica, e' curioso osservare come nell'immaginario popolare sopravviva la figura dell'anarchico incendiario e dinamitardo, fanatico assassino di presidenti, monarchi e principesse. Si tratta di uno stereotipo che risale ad un particolare periodo storico – l'ultimo decennio dell'Ottocento - durante il quale alcune individualita' anarchiche, in risposta alla violenza delle istituzioni, compirono attentati che ebbero una vasta risonanza in tutto il mondo. Questi atti ebbero un duplice risultato. Da un lato suscitarono lo scandalo dei benpensanti (e scatenarono una dura repressione poliziesca). Dall'altro alimentarono una certa retorica della "violenza purificatrice" e il mito romantico degli anarchici come "neri angeli vendicatori".
In realta' i movimenti anarchici hanno giustificato e praticato la violenza come strumento di lotta politica in poche e ben delimitate circostanze. Principalmente in situazioni caratterizzate dalla necessita' di difendere le conquiste rivoluzionarie dalle forze della reazione, come nell'Ucraina del 1918-1920 e nella Spagna del 1936-1939. Oppure in situazioni in cui hanno ritenuto – spesso peccando di ottimismo - che le condizioni per una insurrezione popolare fossero mature, e che il ruolo degli anarchici fosse quello di dare l'esempio attraverso quella che veniva definita "propaganda del fatto". Caso tipico, la sfortunata "banda del Matese". Non si puo' comunque negare che gli anarchici abbiano generalmente riconosciuto la giustificabilita' di un sia pure eccezionale e limitato ricorso alla violenza politica.
Il Sarvodaya gandhiano e' invece integralmente nonviolento.
Gandhi infatti rifiuta il ricorso alla violenza come strumento di lotta politica per tre ordini di motivi.
In primo luogo perche' lo ritiene contrario a quella che egli considera la legge religiosa e morale fondamentale, la quale richiede di riconoscere l'unita' di tutti gli esseri viventi e di agire nei loro confronti con benevolenza e compassione.
In secondo luogo (e soprattutto) perche' considera la violenza un mezzo inefficace e contraddittorio rispetto al fine del Sarvodaya, ovvero la creazione di una societa' dove il potere e il benessere sono di tutti. La conduzione prolungata e organizzata di una lotta violenta conduce infatti, per sua logica interna, a concentrare il potere nelle mani di pochi individui (generalmente di sesso maschile) di tendenze autoritarie, e alla creazione di strutture di carattere militare, fondate sulla gerarchia, la disciplina, l'indottrinamento, la deresponsabilizzazione, l'addestramento a disconoscere l'umanita' degli avversari, al fine di rimuovere i vincoli di carattere morale che impediscono di esercitare su di essi una violenza sempre piu' brutale e incontrollata. Queste strutture tendono poi inevitabilmente a istituzionalizzarsi e a perpetuarsi anche oltre la fase rivoluzionaria. Come ci ha insegnato la tragica storia del Novecento, con le tante rivoluzioni condotte in nome della giustizia e della liberta' trasformatesi in feroci dittature, la violenza puo' dunque a volte essere uno strumento di lotta efficace per conquistare il potere, ma non per instaurare e mantenere una societa' di liberi e eguali: "Non si puo' ottenere una rosa piantando gramigna".
Infine Gandhi rifiuta il ricorso alla violenza in quanto e' convinto di aver individuato e sperimentato un metodo di lotta non solo moralmente piu' elevato ma anche politicamente piu' efficace.
Questo metodo di lotta - il Satyagraha (fermezza nella buona causa, fermezza nella verita') - consiste in una articolata strategia di conduzione dei conflitti basata su ben organizzate campagne di non-collaborazione, nel corso delle quali e' possibile far ricorso ad un ricco "arsenale" di tecniche, che vanno dalle marce di protesta allo sciopero, dal boicottaggio al sabotaggio, dalla disobbedienza civile alla creazione di comunita' autonome sottratte al controllo statale (9).
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Anarchismo indiano
Queste differenze tra Sarvodaya e anarchismo occidentale vanno a mio parere ricondotte al fatto che – nonostante l'indubbia influenza che pensatori come John Ruskin, Edward Carpenter, Henry Stephens Salt, Lev Tolstoj, Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau hanno avuto sulla formazione di Gandhi, e nonostante la sua sia senza dubbio una "identita' plurale", prodotto di una circolarita' continua tra Oriente e Occidente - (10) il Sarvodaya rappresenta una forma originale e autonoma di anarchismo, profondamente radicata nella societa' e nella cultura indiana.
La teoria e la pratica del Sarvodaya costituiscono infatti per il Mahatma e i suoi collaboratori il punto di arrivo di un graduale (e non sempre lineare) percorso di scoperta e approfondimento delle implicazioni sociali, politiche ed economiche del tradizionale principio della ahimsa (termine sanscrito composto dal prefisso a, che significa "non", e himsa, che significa "volonta' di nuocere o uccidere"). Nella cultura tradizionale indiana l'ahimsa rappresentava un principio etico-religioso per l'autorealizzazione dell'individuo, ovvero per l'emancipazione dai legami terreni e la liberazione dal ciclo delle nascite (moksha). Il grande contributo di Gandhi e dei suoi collaboratori alla teoria e all'azione politica e' stato quello di averlo trasformato in un principio di etica collettiva, e di aver sostenuto e sperimentato la possibilita' di praticarlo in tutte le sfere della vita sociale. Praticare l'ahimsa non significa soltanto astenersi dalla violenza ma anche - e soprattutto - combattere attivamente la violenza in tutte le sue forme: "La nonviolenza non e' una virtu' da monastero che debba essere praticata dall'individuo che cerchi la pace e la salvezza eterna, ma una regola di condotta per la societa' che voglia vivere conformemente alla dignita' umana e progredire verso il raggiungimento della pace e della giustizia a cui ha aspirato per generazioni".
Il seguace dell'ahimsa non e' dunque un amante del quieto vivere ma un contestatore permanente: "Nessuno potrebbe essere attivamente nonviolento e non insorgere contro l'ingiustizia sociale in qualsiasi luogo si manifesti".
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Da moderato a sovversivo
Come e' testimoniato dalla sua autobiografia - significativamente intitolata, nell'originale, "The Story of My Experiments with Truth" (11) - le idee sociali e politiche di Gandhi sono maturate lentamente, attraverso prove ed errori "himalayani", in una feconda dialettica tra pensiero e azione, e hanno subito un profondo mutamento in senso radicale quando - al ritorno in India dopo un ventennio di lavoro e lotte in Sudafrica (1915) - egli divenne sempre piu' cosciente dei drammatici problemi che travagliavano la societa' indiana.
Decisivo in questo senso fu il viaggio che lo porto' – per piu' di due anni - a percorrere in lungo e in largo, in carrozza di terza classe e in incognito, come semplice pellegrino, il subcontinente indiano.
Attraverso questa "immersione" nell'India profonda Gandhi si convinse del fatto che l'indipendenza politica dal dominio britannico non avrebbe cambiato in modo significativo la condizione delle masse indiane se non fosse stata accompagnata dalla loro emancipazione economica, sociale e culturale. Padroni indiani avrebbero sostituito padroni britannici, ma il sistema di dominio e sfruttamento sarebbe rimasto inalterato. Da qui la necessita' di una trasformazione profonda e complessiva della societa' indiana.
Nel corso di questo graduale processo di radicalizzazione, Gandhi, che aveva esordito nella vita pubblica come fedele suddito di Sua Maesta' britannica, matura una coscienza ribelle e sovversiva: "Ho cantato God Save The King e ho insegnato ad altri a cantarlo. Ho creduto nella politica delle petizioni, delle delegazioni e delle negoziazioni amichevoli. Tutto questo non e' servito a niente. Ora so che non sono questi i metodi per cambiare le cose. La sovversione e' diventata la mia religione".
Possiamo dunque concludere, riprendendo l'intuizione/provocazione di Ostergaard, che Gandhi era anarchico, e che il Sarvodaya e' un'originale forma di anarchismo, di radici indiane ma di significato e portata potenzialmente universale, con la quale e' utile continuare a confrontarsi criticamente. Accanto ad elementi discutibili e caduchi presenta infatti spunti di riflessione che conservano intatta la loro attualita'.
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Note
1. Ostergaard, Geoffrey, Indian Anarchism, in "Anarchy: a journal of anarchist ideas", n. 42, August 1964.
2. Le citazioni da Gandhi sono tratte da Teoria e pratica della nonviolenza; a cura e con un saggio introduttivo di Giuliano Pontara, nuova ed. Einaudi, Torino 1996, e da Antiche come le montagne, Edizioni di Comunita', Milano 1963.
3. Weil, Simone, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi, Roma 2008.
4. Vedi il dossier pubblicato in "A Rivista anarchica", n. 353, maggio 2010 e l'attenzione crescente dedicata dall'editoria anarchica a questi argomenti.
5. Battaglia, Luisella, Alle origini dell'etica ambientale, Dedalo, Bari 2002, cap. IV "Gandhi: la nonviolenza come cura fraterna per i viventi".
6. Jesudasan, Ignatius, La teologia della liberazione in Gandhi,  Cittadella, Assisi 1986.
7. Su questi temi di "filosofia pratica" vedi Gandhi, Mohandas Karamchand, Tempio di Verita', Sellerio, Palermo 1988. Si tratta di 16 lettere scritte da Gandhi ai suoi collaboratori nel 1930, durante la detenzione nel carcere di Yerawada in seguito alla cosiddetta "marcia del sale".
8. Una descrizione sintetica di queste lotte si trova in Torri, Michelguglielmo, Dalla collaborazione alla rivoluzione nonviolenta, Einaudi, Torino 1975. Il giudizio di Nehru e' a pag. 183 di  Nehru, Jawaharlal, Autobiografia, Feltrinelli, Milano 1955.
9. Gene Sharp, in Politica dell'azione nonviolenta, vol. II, Le tecniche, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, cataloga e illustra con esempi storici 198 tecniche di lotta nonviolenta.
10. Bori, Pier Cesare, Sofri, Gianni, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1985, in particolare la parte prima "Gandhi tra Oriente e Occidente".
11. Gandhi, Mohandas Karamchand, La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma 1988.
 
2. MAESTRI E COMPAGNI. SAVERIO MORSELLI INTERVISTA PASQUALE PUGLIESE
[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo la seguente intervista dal titolo originale "Primo, disarmare la cultura. Intervista su trent'anni di impegno nonviolento".
Saverio Morselli e' tra i fondatori del Centro di documentazione per la pace di Reggio Emilia ed e' impegnato nell'Anpi.
Di Pasquale Pugliese riportiamo la seguente minima presentazione: "Sono impegnato da molti anni nel Movimento Nonviolento, oggi nella segreteria nazionale, e faccio parte della redazione di "Azione nonviolenta", rivista fondata nel 1964 da Aldo Capitini. A Reggio Emilia, dove ho scelto di vivere, dopo aver partecipato negli anni a "reti", "coordinamenti" e "campagne" ho contribuito a fondare e ad animare la Scuola di Pace. In occasione del Cinquantesimo anniversario della morte di Capitini ho pubblicato una "Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini. Elementi per la liberazione dalla violenza". Acquistabile qui: http://www.goware-apps.com/introduzione-alla-filosofia-della-nonviolenza-di-aldo-capitini-elementi-per-la-liberazione-dalla-violenza-pasquale-pugliese/ ]
 
All'interno della ricerca condotta dall'amico Saverio Morselli – tra i fondatori del Centro di documentazione per la pace di Reggio Emilia ed oggi impegnato nell'Anpi – sul movimento pacifista reggiano tra gli anni '80 e '90, ho risposto alle domande di questa intervista travalicando, in verita', nel tempo e nello spazio i confini della ricerca e provando a fare il punto, personale e politico, su oltre un trentennio di impegno nonviolento.
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- Saverio Morselli: Come ti sei avvicinato ai temi legati alla pace?
- Pasquale Pugliese: Ringrazio Saverio per avermi dato l'occasione di riflettere sull'impegno per la pace con un taglio biografico, ossia di ragionare e scrivere sul senso di avere investito del tempo – tanto tempo – che e' la piu' importante risorsa personale, per contribuire al tentativo collettivo di riduzione della violenza tra gli esseri umani. E questo mi riporta lontano nel tempo, appunto, e nello spazio, ossia alla fine degli anni '80 quando studiavo all'Universita' di Messina da studente fuori sede, proveniente dalla costa tirrenica calabrese di Tropea. Ai tempi in cui, da giovane studente di filosofia, ero alla ricerca di una personale riflessione critica sull'esistente che si collegasse ad una prassi attiva di cambiamento della realta', in particolare rispetto all'accettazione della inevitabilita' della violenza e della guerra.
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- Saverio Morselli: C'e' stato qualcuno o qualcosa ha inciso in modo determinante nella tua scelta di impegnarti su questi temi?
- Pasquale Pugliese: Incontravo, lungo questa ricerca, nello stesso periodo il pensiero e l'opera di Mohandas Gandhi attraverso la lettura di "Teoria e pratica della nonviolenza", nella bella prima edizione Einaudi con la copertina rigida, curato da Giuliano Pontara, il filosofo italiano di Stoccolma tra i maggiori esperti internazionali del pensiero nonviolento, che avrei invitato, molti anni dopo, alla Scuola di Pace di Reggio Emilia; incontravo il Movimento Nonviolento attraverso la rivista fondata da Aldo Capitini "Azione nonviolenta", allora venduta in libreria; poi i compagni messinesi, l'impegno politico dal basso nel movimento universitario della "Pantera", durante il quale organizzai i primi seminari sulla teoria della nonviolenza e le prime pratiche di azione diretta nell'occupazione della Facolta'... Incontri ed esperienze che si sedimentavano non come momenti occasionali, ma come componenti di una scelta che avrebbe segnato il mio percorso di vita. Da li' a poco, infatti, maturai la scelta di laurearmi con una tesi di laurea sul pensiero di Aldo Capitini – la cui rielaborazione nel 2018 sarebbe diventata una "Introduzione" al suo pensiero filosofico – e di dichiararmi obiettore di coscienza al servizio militare, con l'impegno nel servizio civile in una comunita' che si occupava di giovani tossicodipendenti. E poiche' ogni scelta ed ogni incontro porta con se' altre scelte ed altri incontri, ricordo come fondamentali l'incontro con Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza politico italiano, che avvenne a Perugia – nei giorni successivi alla Marcia della Pace del 1990 – nella casa di Aldo Capitini, che era allora sede nazionale del Movimento Nonviolento, che mi consegno' dei materiali capitiniani sui quali lavorare per la tesi e poi, tornato a Messina, la partecipazione al movimento contro la guerra del Golfo del 1991, con le marce fino alla base militare di Sigonella, da cui partivano i caccia statunitensi.
Al mio arrivo a Reggio Emilia, dunque, citta' nella quale ho scelto di trasferirmi, quando avvenne il primo contatto con il movimento pacifista reggiano del tempo – alla sede del Cendip, il Centro di documentazione per la pace di via Vittorangeli – ero gia' carico di quelle esperienze, alle quali si sarebbe presto aggiunta la partecipazione al Coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, al quale ero stato eletto nel Congresso di Fano del 1997. Lo stesso anno in cui iniziai a lavorare a Reggio, da educatore, nei G.E.T. i Gruppi Educativi Territoriali, dopo due anni di pendolarismo lungo la via Emilia in direzione Modena. La mia esperienza nel movimento per la pace reggiano prese il via, sostanzialmente, nella fase successiva a quella del periodo indicato in questa ricerca collettiva e, di fatto, non si e' mai interrotta seppure, nel tempo, sono cambiate le modalita', le forme, le dimensioni.
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- Saverio Morselli: Puoi descrivere che ricordo hai di questo tuo coinvolgimento, cosa hai provato nel sentirti parte di un movimento?
- Pasquale Pugliese: In realta', per citare Nanni Salio – uno dei miei punti di riferimento nella nonviolenza italiana, la cui analisi puntuale purtroppo e' mancata troppo presto – "il movimento per la pace e' un movimento che non c'e'", ossia dall'abbattimento del muro di Berlino in avanti si e' manifestato come movimento occasionale capace di mobilitarsi, anche in maniera importante, solo in conseguenza di eventi bellici, ma sfaldandosi subito dopo, senza regolarmente riuscire a fermare nessun cacciabombardiere. Solo piccoli movimenti nonviolenti hanno continuato nel tempo e consecutivamente l'impegno per il disarmo, seguendo le indicazioni di Aldo Capitini "se vuoi la pace prepara la pace". E, al di la' delle mobilitazione contro i diversi eventi bellici che negli ultimi trent'anni hanno coinvolto il nostro paese, e' stato proprio il Movimento Nonviolento la comunita' di cui mi sono sono sentito e sono stato parte, anche e soprattutto in una dimensione nazionale. In questo senso, nel mio impegno reggiano ho provato a dare continuità all'impegno per la pace cercando di fare rete tra associazioni diverse in una dimensione continuativa, prima con l'esperienza dell'associazione informale "Resistenza e pace", dentro alla quale sono confluite sensibilita' ed esperienze diverse esito della mobilitazione contro la guerra nei Balcani, poi con il nodo reggiano della "Rete Lilliput" che ha portato come specifico contributo il tema delle pratiche nonviolente anche in riferimento ai tragici eventi di Genova 2001, e successivamente con la "Scuola di Pace", che e' stata un'esperienza decennale nella quale la societa' civile reggiana impegnata per la pace ha provato a fare rete.
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- Saverio Morselli: Ci sono stati alcuni argomenti – all'interno del tema "pace" – che ti hanno motivato e coinvolto in modo particolare?
- Pasquale Pugliese: Il mio impegno, che ho cercato di portare nelle varie esperienze ha avuto – e, seppure in modalita' diversa, ha ancora – come focus principale il tema del disarmo, militare e culturale, e la promozione della cultura e della pratica nella nonviolenza, su un piano politico e formativo. Ho provato a declinare il tema della nonviolenza come scardinamento di tutti i livelli di violenza – diretta, strutturale e culturale – secondo l'insegnamento di Johan Galtung, ed a costruirne le alternative: "la violenza diretta e' un evento; la violenza strutturale e' un processo con alti e bassi, la violenza culturale e' un'invarianza, una permanenza". Oggi il mio impegno (nel poco tempo che ormai riesco a dedicare a questi temi) e' volto, in particolare, a de-costruire proprio la violenza culturale, a disarmare la violenza implicita – nella cultura, nel linguaggio, nell'educazione – che giustifica e legittima i livelli piu' espliciti di violenza.
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- Saverio Morselli: Puoi descrivere le dinamiche di confronto/approfondimento interne al gruppo, luoghi, periodicita' e modalita' delle riunioni?
- Pasquale Pugliese: Impegnato sia nel livello locale che in quello nazionale, ci sono stati periodi in cui durante la settimana dedicavo quasi tutte la sere ad infinite riunioni reggiane nelle quali cercare sintesi tra posizioni diverse – fare reti e manutenerle e' un impegno defatigante! – e nei fine settimana ero impegnato lontano da Reggio per coordinamenti nazionali del Movimento Nonviolento – caratterizzati da "familiarita' e tensione ideale", per citare ancora Capitini – o in gruppi in lavoro di reti e campagne regionali e nazionali o per svolgere incontri di formazione. E le dinamiche, anche relazionali, erano diverse in base ai contesti ed al ruolo che svolgevo in ciascuno di essi, tuttavia le caratteristiche che accomunavano le persone delle associazioni e dei movimenti che ho frequentato sono l'umanita' e la generosita'. Piu' o meno coniugate con la capacita' organizzativa.
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- Saverio Morselli: Hai sentito l'importanza e la forza dell'identita' di gruppo o e' stato un percorso individuale?
- Pasquale Pugliese: Il mio e' stato un percorso che e' nato individuale, ha cercato l'incontro di gruppi e di reti, secondo il principio che andando da soli si va piu' veloci ma andando insieme si va piu' lontano, ed e' tornato in questa fase in una dimensione piu' personale. Oggi, sostanzialmente, curo dei blog di approfondimento e faccio comunicazione sui canali social. In futuro si vedra', "camminando s'apre il cammino" come diceva Arturo Paoli.
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- Saverio Morselli: Nella tua esperienza pacifista hai partecipato a molti eventi? Ricordi momenti, iniziative, manifestazioni che hanno avuto per te un'importanza particolare e a cui hai partecipato attivamente?
- Pasquale Pugliese: All'interno di questa intensa attivita' le iniziative che ricordo sono molte, sia sul piano locale che nazionale: dalle manifestazioni di fronte alle basi militari di Sigonella e Aviano alle Marce Perugia-Assisi, dalla Tenda in piazza contro la guerra nel Balcani al Festival dell'educazione alla pace di Reggio Emilia, dalle piccole esperienze di formazione alla nonviolenza ai Congressi del Movimento Nonviolento e cosi' via... Ma, tra le tante, ce ne sono due che mi stanno particolarmente a cuore: il lavoro fatto con la Scuola di Pace per riportare alla memoria di Reggio Emilia l'eccidio dimenticato di Mario Baricchi e Fermo Angioletti, i giovanissimi antimilitaristi uccisi dall'esercito italiano di fronte al Teatro Ariosto nel febbraio del 1915 e cancellati dalla memoria della citta', ai quali e' stato dedicata finalmente una degna celebrazione per il centenario della morte in Sala del Tricolore ed inaugurata una lastra di bronzo nei luoghi dell'eccidio. L'altra iniziativa che voglio ricordare ha una dimensione nazionale: l'organizzazione con il Movimento Nonviolento e le Reti pacifiste nazionali dell'"Arena di Pace e disarmo", che si e' svolta a Verona il 25 aprile del 2014, ha visto la partecipazione di migliaia di persone ed il lancio della campagna "Un'altra difesa e' possibile", per la difesa civile, non armata e nonviolenta, che continua ancora.
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- Saverio Morselli: Ci sono state persone che ti e' capitato di conoscere in quegli anni che si sono rivelate molto importanti per il tuo percorso di crescita umana e politica?
- Pasquale Pugliese: Le persone conosciute in questo percorso sono molte. Non cito i viventi per non dimenticare nessuno, mentre tra coloro che non si sono piu', sul piano nazionale non posso non ricordare le figure gia' citate di Pietro Pinna, co-fondatore con Capitini del Movimento Nonviolento, e Nanni Salio, presidente del Centro Studi Sereno Regis di Torino – che ho coinvolto anche nel percorso di costruzione della Scuola di Pace di Reggio Emilia – e poi Alberto L'Abate, studioso raffinato ed infaticabile costruttore di inziative nonviolente: da ciascuno di loro ho imparato qualcosa che porto sempre con me. A Reggio Emilia ho conosciuto la figura straordinaria di Paride Allegri di cui – tra gli altri ricordi – conservo preziosamente una nota, scritta a margine di un suo documento per il disarmo degli ultimi anni nella quale mi dice: "Caro Pasquale, Reggio diventi un punto propulsivo per il disarmo. Grazie. Paride". A Paride Allegri credo che la citta' di Reggio Emilia dovrebbe mostrare piu' riconoscenza.
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- Saverio Morselli: Che rapporto hai avuto con i partiti politici di allora e nei confronti della politica istituzionale di allora?
- Pasquale Pugliese: Ho sempre considerato l'impegno per la pace, il disarmo e la nonviolenza un lavoro fortemente politico, e lungo questo percorso ho trovato piu' volte l'interlocuzione con la politica dei partiti, provando a portare questi temi all'interno della priorita' della sinistra nelle sue diverse declinazioni, locali e nazionali, partecipando (ed anche organizzando) iniziative pubbliche, seminari programmatici ed accettando anche una candidatura per la Camera dei Deputati... devo dire purtroppo che, sul piano dei risultati, questo impegno politico-politico e' stato tra quelli meno soddisfacenti.
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- Saverio Morselli: Cosa ha determinato il tuo progressivo allontanamento dal movimento? Ci sono stati uno o piu' eventi che hanno messo fortemente in discussione il tuo impegno?
- Pasquale Pugliese: In realta' non mi sono mai allontanato ne' dal "movimento per la pace" in generale, ne' dal Movimento Nonviolento nello specifico, del quale fino ad un paio di anni fa sono stato nella segreteria nazionale, ma ho sicuramente allentato le responsabilita' e l'impegno organizzativo per ragioni di sostenibilita' personale. Nel tempo che mi e' dato, continuo ad impegnarmi sul piano culturale e formativo, che credo sempre di piu' essere quello essenziale.
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- Saverio Morselli: Trovi giusto dire che il ridimensionamento del movimento pacifista sia avvenuto per "disillusione", ovvero per la sensazione che non riuscisse ad incidere sulla gente, nonché sugli equilibri nazionali ed internazionali, o no?
- Pasquale Pugliese: In realta' credo che il "movimento pacifista" abbia avuto un ridimensionamento ed uno sfaldamento dal punto di vista della capacita' di mettere in campo grandi manifestazioni di contrasto alle guerre ("il movimento che non c'e'"), ma dal punto di vista delle organizzazioni e delle campagne in questo momento c'e' da segnalare una importante dinamicita': per esempio le due reti nazionali – Rete Pace e Rete Italiana Disarmo – a cui aderiscono molte organizzazioni della societa' civile, pur in questa epoca di frammentazioni, sono riuscite a fondersi ed a costituire una piu' grande Rete Pace e Disarmo, che porta avanti – anche con alcuni successi – diverse campagne, con competenza ed attenzione. Per esempio quella che ha fatto si' che l'ultimo atto del governo "Conte 2" fosse la revoca delle commissioni militari italiane per l'Arabia Saudita, o la campagna internazionale Ican (che ha vinto anche il premio Nobel per la pace) che ha portato al Trattato ONU per la messa al bando delle armi nucleari, al quale tuttavia il nostro Paese non ha ancora aderito... Si tratta di forme di mobilitazione sicuramente diverse rispetto al passato, ma non per questo meno significative, almeno in termini di risultati se non di coinvolgimento di massa
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- Saverio Morselli: A distanza di anni, credi comunque che fosse importante impegnarsi per la pace? Credi che la mobilitazione, le iniziative e le testimonianze di allora abbiano contribuito a far crescere le coscienze delle persone? Ritieni che la mobilitazione su certi temi (soprattutto l'opposizione alla guerra e alle spese per gli armamenti) abbiano contribuito a portare oggi una maggiore comprensione e sensibilita' nella gente?
- Pasquale Pugliese: Credo che l'impegno per la pace sia stato e sia ancora l'impegno essenziale per tutte e tutti e riconsegnerei ancora ad esso tutto il tempo e le energie che ho investito, ma – come in tutte le cose umane – niente e' acquisito per sempre. Per cui le "vecchie" coscienze vanno sempre ri-sollecitate e le nuove vanno educate, anche di fronte ad una situazione che dal punto di vista dell'attenzione a questi temi e' assolutamente peggiorata, nonostante le spese militari italiane e globali raggiungano – anno dopo anno – picchi mai visti prima, sottraendo enormi risorse agli investimenti civili e sociali, e quindicimila testate nucleari di nuova generazione sono puntate contro le nostre teste. Siamo nel pieno di una nuova corsa agli armamenti, senza che ve ne sia alcuna consapevolezza: per questo credo che occorra un vero e proprio lavoro di coscientizzazione. Ed a questo cerco di dedicarmi ancora.
 
3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Riletture
- - Daniela Padoan, Le pazze. Un incontro con le madri di Plaza de Mayo, Bompiani, Milano 2005, pp. 432.
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Riedizioni
- Roberto Radice (a cura di), Socrate. Pagine scelte e commentate, Rcs, Milano 2020, pp. 208 (in supplemento al "Corriere della sera").
 
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
6. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4046 del 17 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e' centropacevt at gmail.com