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[Nonviolenza] Telegrammi. 4032
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4032
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Tue, 2 Mar 2021 17:16:20 +0100
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4032 del 3 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Maria Grazia Giannichedda: Franca Ongaro Basaglia
2. Omero Dellistorti: La morte di Cornelio. Frammenti da un'indagine privata
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. MAESTRE. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA: FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Dal Dizionario biografico degli italiani (2016), nel sito www.treccani.it]
Franca Ongaro Basaglia nacque a Venezia il 5 settembre 1928, seconda di quattro figli: Alberto, il maggiore, Cecilia e Luisa. La madre, Carolina Trevisan, faceva la casalinga, il padre Agostino, che lavorava a Murano nell'amministrazione delle fabbriche di perle di vetro, mori' nel 1945, quando Franca faceva l'ultimo anno al liceo classico Foscarini. Dovette, dunque, rinunciare all'universita' e ando' a lavorare come segretaria in una societa' di impianti elettrici, la Sade. Sempre in quell'anno, Franca Ongaro conobbe Franco Basaglia, che aveva 21 anni, studiava medicina a Padova ed era diventato amico di suo fratello Alberto nei mesi passati in carcere, accusati entrambi di attivita' antifascista.
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Alla radice
Franca Ongaro e Franco Basaglia si sposarono nel 1953 e nel giro di pochi anni ebbero due figli, Enrico nel 1954 e l'anno successivo Alberta. Vivevano tra Venezia e Padova: Basaglia lavorava come assistente nella clinica neuropsichiatrica dell'universita' di Padova, Franca si occupava dei figli, coltivava la passione per la letteratura e seguiva il percorso di suo marito nella filosofia e nella psichiatria fenomenologica. Erano interessi non facili da coltivare in una clinica il cui cattedratico, Giovanni Battista Belloni, seguiva l'organicismo dominante nella psichiatria italiana dell'epoca. Erano anche interessi inusuali, condivisi con gli amici piu' vicini: il regalo dei testimoni di nozze Hrayr e Giuliana Terzian erano state le opere complete di Jean-Paul Sartre in francese. L'immagine di Franca Ongaro e Franco Basaglia in quegli anni era quella di una giovane coppia borghese che cercava di andare oltre le regole – si erano sposati in chiesa, ad esempio, ma non avevano battezzato i figli, con grande disappunto della madre di Franca – e oltre i ruoli codificati: Ongaro scrisse piu' tardi pagine molto acute sulle difficolta' del rapporto privato uomo-donna in quella fase di mutamenti sociali ancora sottotraccia, e sul rischio, per la donna, di ritrovarsi "relegata a preparare il latte caldo ai rivoluzionari" (Confessione sbagliata, 1968, in F. Ongaro, Una voce. Riflessioni sulla donna, Milano 1982, p. 133). Intanto scriveva racconti per bambini, alcuni pubblicati dal Corriere dei Piccoli a cui collaboravano suo fratello Alberto, giornalista e piu' tardi scrittore, e l'amico Hugo Pratt. Per il Corriere Franca scrisse anche una riduzione del romanzo di Louisa May Alcott Piccole donne e i testi di Le avventure di Ulisse, una versione dell'Odissea disegnata da Hugo Pratt, che usci' a puntate tra il 1963 e il 1964, quando la vita e gli interessi di Franca Ongaro erano ormai profondamente cambiati. Nel 1961, infatti, era entrata anche lei, per la prima volta, in un ospedale psichiatrico poiche' Franco Basaglia era diventato direttore di quello di Gorizia. L'impatto con quel luogo rappresento' per entrambi un punto di non ritorno. Basaglia ricordo' molte volte come per lui era stato forte, reale, nei primi mesi a Gorizia, l'impulso di andare via, con il solo sostegno di sua moglie, che maturava e condivideva con lui la scelta di restare e di accettare la sfida rappresentata dal manicomio.
Ongaro si impegno' da subito, come volontaria, nel lavoro di trasformazione: lavorava nei reparti e partecipava alle assemblee generali diventando in breve parte integrante dell'equipe che si allargava, comincio' a studiare sociologia, miglioro' il suo inglese e ando' per alcune settimane a Digleton, in Scozia, nell'ospedale psichiatrico diretto da Maxwell Jones, che conduceva il primo esperimento di gestione di un intero ospedale in forma di comunita' terapeutica. Anche la vita familiare si trasformo', continuamente attraversata dalle discussioni sul lavoro in manicomio, dalle persone che arrivavano a Gorizia e ne restavano colpite, dagli stessi ricoverati con cui anche i bambini avevano a che fare. Dal 1961 al 1968 Ongaro partecipo' al lavoro in ospedale psichiatrico mentre studiava e scriveva, ma quando Basaglia si dimise da Gorizia, lei non lo segui' a Parma e a Trieste. Dal 1969 rimase a vivere nella casa di Venezia con i figli adolescenti e da quel momento fece soprattutto lavoro di studio e di scrittura. Il rapporto coniugale si era fatto piu' teso, difficile: Ongaro vi accenno' in un testo, Congedo (in Una voce, cit., pp. 147-149 ), scritto subito dopo la morte di suo marito. Tuttavia, resto' sempre molto forte, sostanziale tra i due la condivisione di idee, ricerche, progetti politico-culturali. Negli anni Settanta, nella casa di Venezia dove Basaglia tornava quasi ogni fine settimana presero corpo molte iniziative a cui Ongaro partecipo' da protagonista: fu tra i fondatori dell'associazione Psichiatria Democratica e del Reseau internazionale di psichiatria alternativa, collaboro' all'impostazione del programma Epidemiologia e prevenzione delle malattie mentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), diresse tra il 1972 e il 1977 il Centro internazionale di studi e ricerche Critica delle istituzioni che ebbe sede a Venezia e realizzo' il volume collettivo Crimini di pace (a cura di F. Basaglia - F. Ongaro, Torino 1973). I numerosi scritti di quegli anni a doppia firma nacquero mentre si sviluppavano queste e altre iniziative e cresceva a Trieste il lavoro di "de-istituzionalizzazione", per usare un concetto dell'epoca. Tutto questo alimentava le lunghe discussioni tra loro, nelle quali venivano coinvolti anche i collaboratori. Quando si era formata una massa critica di idee e argomenti, Ongaro si chiudeva per settimane nel suo studio con la macchina da scrivere e con i fogli su cui Basaglia aveva tracciato appunti da decifrare, poi si facevano altre discussioni sui testi in progress sino alla versione definitiva. Risulta quindi impossibile, oltre che sterile, cercare di distinguere i contributi dell'uno e dell'altra ai libri e saggi pensati e firmati insieme, seppure scritti soprattutto da Ongaro, tra il 1968 e il 1978. Come sarebbe impossibile, e anche fuorviante, leggere quei testi come indipendenti dal lavoro di trasformazione dell'istituzione psichiatrica che Basaglia e il suo gruppo portavano avanti a Trieste e dal movimento che si sviluppava in Italia e non solo.
Ongaro persegui' sempre e difese questo legame tra il suo lavoro teorico e i contesti in cui si giocavano le questioni su cui lei studiava e scriveva. Anche dopo la morte di Basaglia si mantenne costantemente in contatto con i servizi pubblici e con i movimenti sociali, lavoro' alla formazione degli operatori, sostenne le associazioni di familiari e utenti, frequento' instancabilmente convegni, dibattiti, incontri, prima e dopo i quasi dieci anni come senatore dal 1983 al 1992.
Questi due aspetti, il lavoro teorico e l'impegno culturale e politico, nella professione e nella vita di Franca Ongaro si integrarono sempre perche' nascevano dalla stessa ispirazione, avevano la stessa origine e radicalita'.
Negli ultimi anni, lei usava spesso questo concetto: radicalita'. Era convinta che per capire la riforma psichiatrica e valutare i cambiamenti avvenuti nella psichiatria e non solo, si dovesse essere radicali, si dovesse cioe' tornare alla radice delle questioni, che poi sta nella concreta condizione degli umani, nei loro corpi ed esperienze, nelle diversita' e disuguaglianze da cui sono segnati. "E' necessario un cambio radicale dei corpi professionali e dei fondamenti culturali delle diverse discipline" concludeva in quello che fu il suo ultimo saggio, la lezione per la laurea ad honorem in Scienze politiche all'universita' di Sassari il 27 aprile del 2001. "Le discipline, che agiscono essenzialmente su parti separate dei corpi, dovrebbero invece misurarsi con i bisogni di cui questi corpi sono intrisi", e dovrebbero "porsi il problema prioritario della disuguaglianza e del conflitto che essa produce come radice con cui confrontarsi". Quel confronto per Franca Ongaro era iniziato a Gorizia, davanti ai corpi offesi dal manicomio, e si potrebbe dire gran parte del suo lavoro e' stato dedicato a capire, spiegare e combattere cio' che allora aveva visto.
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Corpo e istituzione
Nelle prime pagine di un suo libro per ragazzi pubblicato nel 1982, Manicomio, perche'? (Milano 1982; II ed. Roma 1991), Ongaro ricorda "le prime immagini del manicomio". Esse rivelano una cultura comune al gruppo di Gorizia ma che caratterizzo' lei in modo speciale. Dimostrano dimestichezza con i meccanismi istituzionali, abilita' nel cogliere e decodificare i rapporti di potere attraverso i dettagli e i riti del quotidiano, capacita' di leggere il linguaggio dei corpi, degli oggetti, degli spazi. Questa cultura si coglie nel contributo, il primo che Ongaro firmo' individualmente, al volume che presentava il lavoro di Gorizia e che usci' nel 1967 con un titolo esplicitamente sartiano, Che cos'e' la psichiatria? (a cura di F. Basaglia, II ed. Parma 1967; III ed.Torino 1969; IV ed. Milano 1997). A quel libro, che nella prima edizione aveva in copertina un autoritratto di Hugo Pratt in divisa da internato, Ongaro partecipo' con un saggio che commentava La carriera morale del malato di mente, un capitolo del libro Asylums del sociologo americano Erving Goffman che lei stava traducendo e che usci' l'anno seguente con un'introduzione di Basaglia e Ongaro (Torino 1968 e 2003). Asylums fu la prima opera di Goffman pubblicata in Italia. Del sociologo americano Ongaro tradusse anche Il comportamento in pubblico (Torino 1971) firmando con Basaglia la prefazione.
Nel frattempo, partecipava all'elaborazione di L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico (a cura di F. Basaglia, Torino 1968; II ed. Milano 1998). Nel suo contributo – Rovesciamento istituzionale e finalita' comune (pp. 323-335) – si riconoscono alcuni dei temi che Ongaro sviluppo' negli anni successivi: il nesso tra liberta' e responsabilita', la vitalita' e l'inevitabilita' del conflitto. "Mettere in questione i ruoli istituzionali induce una problematizzazione della situazione, una messa in crisi generale e individuale insieme" nella quale si oscilla continuamente "tra il bisogno di un'autorita' che elimini o diminuisca l'ansia prodotta dalla dimensione in cui l'intera istituzione tende a muoversi, la responsabilizzazione, e il bisogno di conquistare una liberta' che pero' passa inevitabilmente attraverso la conquista della propria responsabilita'. Questo vale per i malati e vale per i medici". La prospettiva non puo' essere una semplice "democratizzazione di rapporti, che rischierebbe di essere fine a sé stessa" riproponendo un gioco fisso di ruoli. La prospettiva e' la continua ricerca di "andare oltre la suddivisione dei ruoli", "in un movimento dialettico che non presume di risolvere i conflitti ma di affrontarli a un altro livello" (pp. 333-34).
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Trasformare le istituzioni e la cultura sulla follia
Tra i molti lavori scritti o curati da Ongaro e Basaglia negli anni Settanta, su due e' necessario soffermarsi perche' rappresentano temi rimasti centrali nell'opera di lei.
Il primo e' Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin (a cura di F. Basaglia - F. Ongaro, Torino 1969; II ed. Trieste 2009). Uscito un anno dopo L'istituzione negata e qualche mese dopo il documentario di Sergio Zavoli su Gorizia, I giardini di Abele (RAI, TV7, autunno 1968), Morire di classe divenne uno strumento centrale della campagna per la trasformazione della cultura sulla follia e per la riforma della legge psichiatrica. I fotografi, invitati o meno, entrarono negli ospedali psichiatrici, come pure la televisione mentre i grandi quotidiani nazionali prima e quelli locali poi iniziarono vere e proprie campagne di informazione su questi istituti. Certo, gli anni Settanta furono caratterizzati da una mobilizzazione sociale eccezionale, che avveniva anche in altri Paesi europei, dove pero' i gruppi che in psichiatria cercavano strade nuove rimanevano piuttosto chiusi nelle loro esperienze elitarie, fondamentalmente scettici sulla possibilita' di introdurre elementi critici nel senso comune. Il movimento italiano invece si sviluppo' nei manicomi pubblici, costrui' i nuovi servizi in un rapporto magari conflittuale ma forte con le comunita' locali, cerco' di entrare nei processi di formazione del senso comune. L'idea di fondo era che i meccanismi di esclusione avrebbero potuto essere messi in questione solo se il problema del manicomio fosse uscito dall'ambito degli specialisti, che andavano pressati dall'esterno, costretti da domande nuove a diventare diversi, a fare una "psichiatria democratica". Ongaro era convinta che questa fosse una questione cruciale. Scrisse Manicomio, perche'? nel 1982, in tempi molto difficili per la riforma psichiatrica, con la morte improvvisa di Basaglia, i problemi della sanita' in transizione, il movimento dei familiari che sembrava voler tornare al manicomio. Cerco' con questo libro la comunicazione con l'opinione pubblica e in particolare con le famiglie delle persone con disturbi mentali: nel corso degli anni Novanta, Manicomio, perche'?, fu riedito molte volte dal Centro Franco Basaglia di Roma che lo diffuse nel circuito delle associazioni di familiari e utenti che Ongaro frequento' e sostenne fin dal loro nascere.
Il secondo libro da richiamare e' Crimini di pace, che coinvolse intellettuali come Michel Foucault, Robert Castel, Noam Chomsky, Roland Laing, Erving Goffman in una discussione sul "ruolo degli intellettuali e dei tecnici come addetti all'oppressione", come diceva il sottotitolo. Ongaro era molto legata al lungo saggio introduttivo, che volle includere in quello che fu il suo ultimo lavoro, l'antologia L'utopia della realta' (2005, pp. 208-74). Il saggio ricostruisce l'origine e i passaggi del percorso di Basaglia e di Ongaro, partito dalle "speranze del dopoguerra di poter costruire un mondo diverso da quello contro cui si era lottato". Speranze rapidamente deluse: "nel momento in cui ci si accingeva a costruire qualcosa che tenesse conto dei bisogni e dei diritti di tutti i cittadini, ci si scontrava con la realta' della lotta di classe e con la conferma della divisione del lavoro che manteneva intatti i ruoli e le regole del gioco. [...] In questo gioco ambiguo, dove la distanza tra cio' che si e' e cio' che si vuole essere e' anche subordinata all'impossibilita' di agire e di trasformare la realta'", l'intellettuale e il tecnico militante nei partiti di sinistra poteva accettare e nascondere la propria impotenza "prendendo le parti delle classi oppresse" ma portando avanti, nello stesso tempo, "una vita professionale o intellettuale totalmente aderente ai valori e alle ideologie dominanti trasmessi sotto i crismi dell'oggettivita' della scienza. [...] Dopo anni di polemiche sull'intellettuale impegnato", la consapevolezza di questa condizione comincio' a manifestarsi in quelli che vivevano piu' direttamente lo scontro tra ideologia e pratica, cioe' in quei "tecnici del sapere pratico esecutori materiali delle ideologie e dei crimini di pace". Alcuni di questi "intellettuali di serie C" cominciarono a "mettere in discussione il proprio ruolo e l'ideologia scientifica di cui erano portatori", aprendo una serie di "interrogativi che, nati dallo scontro pratico con la realta'", inducevano "una lenta opera di corrosione delle verita' scientifiche, la messa in discussione del rapporto tra queste e la struttura sociale", e infine la ricerca delle condizioni che possono consentire al tecnico di "uscire dalla sua condizione di alienazione rompendo la condizione di oggettivazione in cui vive l'oppresso" (L'utopia della realta', cit., pp. 208-11).
Negli anni successivi Franca Ongaro continuo' a lavorare su questi temi. Sulla trasformazione delle istituzioni e del ruolo istituzionale, in particolare, torno' con un libro che ebbe vita difficile: Vita e carriera di Mario Tommasini, burocrate proprio scomodo narrate da lui medesimo (Roma 1991). Il libro racconta le invenzioni generose e originali di Tommasini, operaio e partigiano comunista, che aveva conosciuto il manicomio quando era diventato assessore della Provincia di Parma, aveva cercato Basaglia a Gorizia e aveva promosso il suo arrivo come direttore dell'ospedale psichiatrico di Colorno. Ma dopo neppure un anno Basaglia aveva lasciato Parma, valutando che non vi erano le condizioni per realizzare il programma che aveva in mente. Tommasini invece aveva continuato il suo impegno di assessore portando avanti una trasformazione radicale delle politiche sociali della citta' e impegnandosi in prima persona per la riconquista della cittadinanza da parte di coloro che ne erano di fatto esclusi. Ongaro ricostrui' nel libro, attraverso le parole di Tommasini e di molti altri testimoni, il percorso dalla chiusura degli istituti per minori e per anziani alla creazione della rete di cooperative sociali, con il coinvolgimento di buona parte della citta', ma con conflitti ricorrenti con il Partito comunista, che aveva gia' cambiato nome quando il libro usci' con gli Editori riuniti, che piu' volte ne avevano rinviato la pubblicazione, mentre Tommasini lasciava il partito poco dopo.
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Salute/malattia
Quando organizzava Crimini di pace, Franca Ongaro aveva anche lavorato a un saggio, Il concetto di salute e malattia (con F. Basaglia e M.G. Giannichedda, in F. Basaglia, Scritti, II, Torino 1982, pp. 362-380) in cui si cominciava a dirigere verso la medicina l'approccio critico esercitato sulla psichiatria. All'epoca si era aperto nel mondo della medicina un dibattito ricco di idee ed esperienze innovative, in particolare sui temi del lavoro, dell'ambiente, del corpo e della salute delle donne. Figura chiave era Giulio Maccacaro, che nel 1972 aveva fondato Medicina Democratica e partecipava, tra l'altro, al programma di ricerca Epidemiologia e prevenzione delle malattie mentali guidato dall'Istituto di psicologia del Cnr diretto da Raffaello Misiti. Il progetto era decollato nel 1975 e Ongaro aveva collaborato al disegno della ricerca con Basaglia, Maccacaro e Misiti. Ma il 15 gennaio del 1977 Maccacaro mori' improvvisamente e la sua assenza impoveri' molto la riflessione critica sulla medicina che era appena iniziata. In quel periodo arrivo' dall'editore Einaudi, che aveva avviato una Enciclopedia che voleva essere innovativa, la proposta di scrivere alcune voci, otto relative alla medicina, una dedicata alla donna. Franca Ongaro affronto' questa fatica nuova e di grande respiro sostanzialmente da sola: Basaglia firmo' con lei la voce Follia/delirio e Giorgio Bignami la voce Medicina/medicalizzazione. Le diverse voci uscirono nell'Enciclopedia tra il 1978 e il 1979 e quelle sulla medicina furono poi raccolte nel libro Salute/Malattia. Le parole della medicina (Torino 1982; II ed. aggiornata a cura di M.G. Giannichedda, Merano 2012).
Nelle prime pagine del capitolo Clinica Ongaro esplicita l'orientamento del suo lavoro: non "una ricerca archeologica sull'organizzazione del sapere medico, sui mutamenti della scienza e della malattia" ma il tentativo di "vedere la malattia, oltre che come fenomeno naturale, come prodotto storico-sociale, il cui valore e significato mutano con il mutare di cio' che e' – per l'organizzazione sociale in cui si trova inserito – l'uomo che ne e' il portatore". Cio' che secondo Ongaro "occorre vedere e' in quale misura il mutare del rapporto medicina/malattia risulti legato a cio' che e' l'uomo sano/malato in un dato momento storico, alla sua figura sociale, a cio' che rappresenta nel gruppo di cui e' parte; e a cio' che e', come figura sociale, il medico" (p. 32). Questa chiave di lettura risulta particolarmente attuale in questo inizio di secolo. Il mercato delle tecniche mediche ha infatti prodotto una medicalizzazione della vita di straordinaria portata e pervasivita', che sta facendo trionfare quello che Ongaro defini' nell'introduzione "il mito della salute assoluta, che propone come unica identita' l'uomo sano, efficiente, produttivo" (p. 24) e giovane anche da vecchio. In questo quadro, si rivela una previsione quella che Ongaro indica come conseguenza possibile di una cosi' abnorme censura della malattia e della morte. "Per noi la malattia e' un alienarsi totale, perche' affidarsi come malato al tecnico della salute significa perdere ogni controllo sul proprio corpo, sulla propria vita, quando non comporta perdere cio' che garantisce la sopravvivenza: il lavoro; per noi e' angoscia dell'ignoto perche' il solo detentore dei segreti della vita e' il medico, il cui lessico incomprensibile ci lascia in balia di un corpo sconosciuto e di una vita che non e' mai nostra. Ma, insieme, la malattia resta – nella nostra vita morta – l'unica possibilita' di sopravvivenza soggettiva, di interesse, di cura, di sollecitudine, di rapporto in un'esistenza che ne e' ormai completamente priva" (p. 27).
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Essere donna
Un altro tema e' stato centrale nella ricerca e nell'impegno di Franca Ongaro: il significato dell'essere donna e il rapporto tra i generi. L'inizio era stato emblematico. Aveva scritto "nel '68, quando si parlava di rivoluzione come se ne fossimo alla vigilia, un articolo, un po' sfasato rispetto alla politicita' del momento, sulle difficolta' del rapporto privato uomo-donna". L'articolo, che anticipa un tema-chiave del femminismo, "poneva l'accento sulla coerenza necessaria, in chi tenta di lottare contro ogni tipo di sopraffazione, fra il privato e il pubblico". L'articolo venne pubblicato da Che fare?, una rivista milanese con cui il gruppo di Gorizia collaborava, ma "la redazione evidentemente perplessa di fronte a un testo ambiguo, che tentava di parlare, al di la' della lotta di classe, della politicita' del quotidiano attraverso una storia di subordinazione della donna, si dissocio' con un titolo inequivocabile: Confessione sbagliata" (Una voce, cit., p. 59).
Per alcuni anni Franca non scrisse su questi temi, o meglio scrisse due testi brevi, Grillo parlante (1970) e Il soldato e la spada (1972), che pubblico' solo nel 1982 nell'antologia Una voce, in un capitolo intitolato Monologhi, che si conclude con un testo, Congedo, scritto nel 1980, poco dopo la morte di suo marito. Qui i temi che le sono cari – "l'utopia di un rapporto che per ora si realizza solo nel conflitto, come l'utopia dell'eguaglianza si realizza solo nella lotta per raggiungerla" (p. 147) – si mescolano con un accenno diretto, il solo, al suo rapporto con Basaglia. "Ora che la mia lunga lotta con e contro l'uomo che ho amato si e' conclusa, so che ogni parola scritta in questi anni era una discussione senza fine con lui, per far capire, per farmi capire. Talvolta era un dialogo. Talvolta l'interlocutore svaniva, e io restavo sola, sotto il peso di una verita' che si riduce a un'arida resa dei conti con il bilancio in pareggio, se l'altro non la fa anche sua" (p. 148).
Riprese a scrivere sulle donne nel 1977, introducendo i libri di Phyllis Chesler Le donne e la pazzia (Torino 1977) e di Giuliana Morandini E allora mi hanno rinchiusa (Milano 1977). L'anno successivo scrisse la voce Donna per l'Enciclopedia Einaudi e curo' la ripubblicazione del testo di un neurologo tedesco, Paul Julius Moebius, che era uscito nel 1900 ed era stato introdotto in Italia da Ugo Cerletti, l'inventore dell'elettrochoc. Il testo, senza ambivalenze come il suo titolo, L'inferiorita' mentale della donna, "puo' trarre in inganno", avvertiva Franca Ongaro nell'introduzione, "e indurre commenti pesantemente ironici" che possono sottovalutare quanto invece "sia ancora presente nella nostra cultura, seppure mascherato, trasformato, tradotto in linguaggi diversi" l'argomentare positivista di Moebius che "ricorre alla creazione di una natura che, di volta in volta, assume la faccia piu' adeguata all'uso che si vuol farne" (Torino 1978, p. XV).
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In Senato
Nel 1983 il Partito comunista propose a Franca Ongaro la candidatura come indipendente al Senato, dove fu eletta per due legislature (la IX e la X, complessivamente dal 1983 al 1992) e aderi' al gruppo parlamentare Sinistra indipendente. Furono anni di lavoro intenso: fece parte della Commissione sanita' e si occupo' di temi diversi – trapianti, bisogni e consumi sanitari, disposizioni sul fine vita, tossicodipendenze, carcere, violenza sessuale – ricoprendo un ruolo leader nella battaglia parlamentare per l'applicazione della riforma psichiatrica. Il suo impegno, e certamente il suo successo principale, fu il disegno di legge di attuazione della "legge n. 180", che era stata approvata il 13 maggio del 1978 ed era confluita sei mesi dopo nella legge di riforma sanitaria n. 833, negli articoli 33, 34, 35 sui trattamenti sanitari obbligatori e nell'art. 64 che fissava le "norme transitorie per il graduale superamento degli ospedali psichiatrici". Nella seconda meta' degli anni Ottanta, erano presenti in Parlamento una decina di disegni di legge che tendevano a scardinare in vari modi la riforma psichiatrica. Da parte dei ministri della sanita' che si erano succeduti non era arrivato alcun gesto di governo ne' della riforma sanitaria ne' di quella psichiatrica, le Regioni facevano leggi a volte buone che tuttavia disattendevano, e non si aveva idea di quante e quali fossero le vecchie e nuove istituzioni psichiatriche. A livello locale, tuttavia, amministratori e gruppi di operatori di orientamenti culturali e politici diversi, mettevano in piedi servizi di salute mentale, mentre il gruppo storico di Trieste aveva gia' organizzato l'intero sistema dei servizi di salute mentale. Quella che all'epoca fu chiamata "la 180 bis" o "la 181" nacque in questa situazione, e prese corpo attraverso un lavoro di studio e di consultazione che Ongaro condusse con esperti, operatori, familiari, utenti e che conflui' in parte nel volume Psichiatria, tossicodipendenze, perizia. Ricerche su forme di tutela, diritti, modelli di servizio (a cura di M. G. Giannichedda - F. Ongaro, Milano 1987). Il disegno di legge Ongaro sulla salute mentale fu presentato per la prima volta nel 1987 con le firme di tutta la Sinistra indipendente ma non divenne mai legge, cosa che del resto non si voleva affatto. Riusci' pero' a conseguire l'obiettivo per cui era nato: stimolare interventi di programmazione e finanziamento dei servizi di salute mentale a livello nazionale e regionale. Il primo Progetto obiettivo salute mentale fu infatti messo in opera dal ministro della Sanita' Carlo Donat Cattin nel 1989, due anni dopo il disegno di legge Ongaro, e lo ricalco' in gran parte.
Franca Ongaro mori' nella sua casa di Venezia il 13 gennaio 2005, senza riuscire a vedere pubblicata l'antologia L'utopia della realta', cit., a cui aveva lavorato durante la lunga malattia.
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Fonti e bibliografia
La Fondazione Franca e Franco Basaglia (Venezia, isola di San Servolo) conserva l'Archivio Basaglia che raccoglie libri, documenti, lettere, appunti, dossier, foto, audiovisivi, manifesti che vanno dagli anni Cinquanta al 1992, in parte gia' ordinati da Franca Ongaro stessa. L'inventario e' on line in www.fondazionebasaglia.it
Sulla vita e la cultura della famiglia Basaglia Ongaro negli anni Sessanta si veda A. Basaglia, Le nuvole di Picasso (Milano 2014).
Nei diversi lavori monografici su Franco Basaglia (e nella stessa biografia di Basaglia in questo Dizionario) si menziona in forma generale l'apporto di Ongaro al pensiero di Basaglia e ai suoi scritti. La prima biografia intellettuale di Ongaro e' stata predisposta in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Scienze politiche all'universita' di Sassari (M.G. Giannichedda, Presentazione della candidata Franca Ongaro Basaglia, in Fogli di informazione, XXIX (2001), n. 188) ed e' stata successivamente arricchita nel 2012 (M.G. Giannichedda, La voce di Franca Ongaro Basaglia, in F. Ongaro Basaglia, Salute/malattia. Le parole della medicina, II ed., pp- 7-18). Nello stesso volume, alle pp. 265-272, si trova la bibliografia completa delle opere di F. O., consultabile anche in www.fondazionebasaglia.it
John Foot riporta alcune notizie biografiche su Franca Ongaro in La "Repubblica dei matti". Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978, Milano 2014 (pp. 56-59). David Fogarcs in Italy's Margins. Social Exclusion and Nation Formation since 1861 (Cambridge 2014, trad.it. Margini d'Italia. L'esclusione sociale dall'unita' a oggi, Roma-Bari 2015) nel capitolo Manicomi dedica una parte a Donne e follia citando e commentando i lavori di Ongaro sul tema (pp. 244-55 ed. italiana).
Molti dei saggi firmati da F. O. con F. Basaglia si trovano in L'utopia della realta', Torino 2005.
2. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: LA MORTE DI CORNELIO. FRAMMENTI DA UN'INDAGINE PRIVATA
I. Ogni storia ha un inizio. E una fine
Conoscevo Cornelio da molti anni, poi ieri mentre andavo a comprare il pane ho letto sul cartellone degli annunci funebri che e' morto. Il manifesto diceva solo che era morto, non dava notizia di funerali o altre cerimonie. Ci sarei andato, lo conoscevo. Dire che eravamo amici, non lo so, ma che ci conoscevamo si'. Credo che ci sia un mucchio di gente in citta' che lo conosceva, e magari parecchi hanno festeggiato, o almeno tirato un sospiro di sollievo. Anche se erano parecchi anni che era quasi sparito. Non come prima. Comunque ai funerali ci sarei andato, se c'erano, ma non c'erano, o almeno non c'era scritto niente sull'avviso funebre.
Stasera ci ho ripensato, a Cornelio. E mi sono accorto che anche se lo conoscevo da tanto, alla fine se dovessi dire che faceva di preciso mica ce lo so. Cioe', che faceva ai tempi, si'; ma poi, negli ultimi venti, trent'anni, per dire, no, non lo saprei dire. Ho pure comprato il giornale oggi per vedere se dicevano qualche cosa, ma non c'era niente. E mi e' sembrato strano. Insomma, non dico che era uno importante, che non lo e' stato mai, pero' qualcuno se lo doveva ricordare, e almeno due righe sul giornale. Invece niente. Di sicuro c'e' qualche cosa su internet, c'e' tutto su internet, lo so pure io che internet non ce l'ho. Pero' siccome internet non ce l'ho, non lo so se su internet c'era qualche cosa. Ma qualche cosa c'era di sicuro.
Di telefonare a qualcuno dei vecchi tempi non mi va. Sono cosi' tanti anni che non ci si sente piu' che adesso proprio non mi va. Non e' che abbiamo litigato, no, o almeno non credo, e' che ci siamo persi di vista. Almeno io, magari gli altri si sono tenuti in contatto, ma io no. Cornelio lo vedevo qualche volta alla fermata del pullman, abitavamo nello stesso quartiere, cioe', io ci abito ancora, lui adesso no, visto che e' morto non abita piu' da nessuna parte. Pero' era da parecchio che non lo vedevo nemmeno alla fermata del pullman, credo per via della pandemia. La gente ha smesso di prendere i mezzi pubblici, e magari per lui non e' stato facile, visto che la macchina non ce l'aveva. Per fortuna che nel quartiere ci sono un paio di supermercati.
Quando lo vedevo alla fermata del pullman ci salutavamo, ma cosi', con un cenno della mano o un movimento della testa, non parlavamo mai. Io non parlo mai con nessuno, e che ci sarebbe da dire? Cosi' non parlo mai con nessuno. Secondo me pure Cornelio, pero' non ne posso essere sicuro, perche' alla fine mi rendo conto adesso che ne sapevo veramente poco di lui, di quello che era diventato, perche' certo non poteva essere neppure lui lo stesso di quaranta, cinquant'anni fa. Si invecchia, e lui si vedeva piu' di me che era vecchio, che teneva la barbaccia lunga che era tutta bianca, s'era ingobbito e ingrassato, pareva piu' basso, e camminava male, pareva che strascicasse una gamba, e pensare che era stato un camminatore che non si fermava mai.
Non lo so.
*
II. Per il suo bene
- E' un parente?
- No, un amico. Un vecchio amico.
- Mi dispiace, ma se non e' un parente...
- A dire il vero credo che non ne avesse di parenti, viveva da solo, e' sempre vissuto da solo.
- Mi dispiace, ma se lei non e' un parente, come le ho detto...
- E' che nell'annuncio mortuario non si dava notizia ne' della cerimonia funebre ne' della sepoltura, ho pensato che rivolgendomi a voi...
- In effetti non c'e' stata cerimonia funebre, per questo nel manifesto non se ne faceva menzione.
- Ma e' stato gia' sepolto? E dove?
- Chi ha detto di essere, lei? Mi scusi, sa, ma devo chiederglielo...
- Gliel'ho gia' detto, un vecchio amico, ed anche un vicino di casa: abitavamo nello stesso quartiere da molti anni.
- Guardi, non dovrei dirglielo, ma glielo dico lo stesso: non e' stato ancora seppellito, e non sara' seppellito, sara' cremato. Dopo l'autopsia.
- L'autopsia?
- Io non le ho detto niente.
- Perche' gli fanno l'autopsia?
- Io non le ho detto niente.
- Ma come e' morto?
- Come vuole che sia morto? Come muoiono tutti, come un giorno moriremo anche lei ed io. Il cuore smette di pompare, non si respira piu', e si muore. Si muore cosi'.
- Si', ma perche' l'autopsia.
- E' di routine.
- Di routine?
- In casi come quello.
- Quali casi?
- Guardi, non le posso dire di piu', e forse adesso e' meglio che se ne vada, non e' per scortesia, eh, anzi: le sto facendo un favore.
- Un favore?
- Un favore, si', lei mi sembra una brava persona, non mi faccia dire altro.
- E' possibile rendergli un ultimo saluto?
- Se vuole puo' far pubblicare un necrologio sulla stampa, possiamo occuparcene anche noi. O anche un manifesto di partecipazione al lutto, anche se a dire il vero fin qui nessuno si e' detto in lutto, cosi' che partecipazione sarebbe? Avra' notato che nel manifesto non si faceva parola di parenti ne' di altre persone.
- Ma allora chi si e' occupato delle onoranze?
- Noi, e' ovvio.
- Si', ma chi e' stato il committente?
- Non credo di poterglielo dire, sa?
- Io non capisco.
- E magari e' un bene. Un bene per lei, intendo.
- Non capisco, proprio non capisco.
- Lasci stare, e' meglio.
- Vorrei poter contribuire alle spese.
- Non puo', e non deve. La cosa e' in mano alle autorita' competenti.
- Come?
- C'e' gia' chi se ne occupa.
- Allora si', vorrei fare un manifesto di partecipazione al lutto.
- Guardi, vado contro i miei interessi, ma le consiglierei di lasciar stare.
- Ma perche'? Non capisco.
- Mettiamola cosi': io non le ho detto niente, e' chiaro questo?
- Come?
- Le ho detto: io non le ho detto niente, e' chiaro questo?
- Si'.
- Quindi questa conversazione non c'e' mai stata, e' chiaro questo?
- Non capisco cosa intende dire.
- Guardi che lei e' proprio esasperante, lo sa? Le ho detto che questa conversazione non c'e' mai stata, ha capito cosa ho detto?
- Ho capito, si'.
- E cosa ha capito?
- Che questa conversazione non c'e' mai stata.
- Esatto.
- E dunque?
- Non essendoci mai stata io non le ho mai detto niente. E' chiaro?
- E' chiaro, e' chiaro.
- Bene. Non e' stato un caso di morte naturale.
- Cioe'?
- Come cioe'? Non e' stato un caso di morte naturale.
- Vuole dire che si e' ucciso, o che e' stato ucciso?
- Io non le ho detto niente. E questa conversazione non c'e' mai stata. Adesso, se vuole scusarmi, vorrei tornare al mio lavoro.
- Vorrei comunque far affiggere le mie condoglianze.
- Lasci stare, lo dico per il suo bene, lasci stare.
- Non capisco.
- E' meglio cosi', mi creda.
*
III. Il paese (ovvero: un viaggio a vuoto)
Come e' fatto il paese? Dipende da dove lo guardi. Se per esempio lo guardi da in mezzo alla piazza, con i bar, la chiesa, l'ufficio postale e il comune e la banca e i negozi, pare un paese come tutti gli altri, e magari potrebbe essere pure una citta', perche' che ne sai tu quanto e' grosso? Tu da li' vedi solo le case e magari pensi che dietro ci sono altre casa e case e case che coprono tutto il mondo fino al mare. Che ne sai?
Se lo vedi da dentro il bar, sai che stai nel paese solo perche' riconosci le facce e le voci, perche' i bar sono tutti uguali: con il bancone, la televisione alta sul trespolo, la stanza dietro con il biliardo, i bar sono tutti uguali, cambiano solo le facce e le voci.
Se lo vedi da casa mia se guardi da una parte vedi la strada e le casa di la' dalla strada, e dietro niente perche' io sto al primo piano e allora vedo solo le case e che ne so che c'e' dietro? Cioe', io ce lo so che c'e' dietro, ma dico se uno che non lo sa guarda dalla finestra di casa mia vede solo la strada e le case di la' dalla strada e che ne sa che c'e' dietro? E allora e' come in tutte le case di tutti i posti che c'e' una strada e le case di fronte, no? Che cambia? Niente cambia.
Invece se da casa mia guardi dalla parte di dietro (che poi chi lo decide quale e' la parte davanti e quella di dietro?), dietro c'e' l'orto e a fianco dell'orto gli altri orti. E dopo gli orti qualche casa ancora, ma poche, e altri orti. Con le galline e tutto. Che vuol dire tutto? Vuol dire tutto: i conigli, il cane, qualche tacchino che noi li chiamiamo billi, e poi le lucertole, le serpi, gli scorpioni sotto i sassi e tutte le piante e tutte le robe che adesso non ci perdo tempo a dirvele una per una per nome, poi via via che ti allontani dalle case gli orti smettono di esserci pure loro e ci sono gli olivi, le vigne, qualche albero da frutta, e poi le terre di chi ci ha i baiocchi che allora altro che quattro foglie d'insalata e quattro piante di pomodori, allora certe coltivazioni che pare che non finiscono piu', sono le terre di chi ci ha i soldi e che quando e' il momento chiamano i braccianti, cioe' i caporali che portano i braccianti, e tutto quel ben di dio si trasforma in soldi, e ogni anno qualcuno ci muore d'insolazione o di qualche altro malanno ma tanto quelli che ci restano sono poveracci che non contano niente e non gliene frega niente a nessuno dei poveracci che non contano niente. Il paese e' cosi', ma e' cosi' dappertutto dico io. Come faccio a dirlo che e' cosi' dappertutto? Perche' mica sono stato sempre solo al paese, ho girato io, ho visto un sacco di posti e in tutti i posti dove sono stato c'era sempre la stessa micragna per i poveracci e lo stesso scialo per i padroni. Apposta sono diventato comunista, apposta. Altri ci diventano rapinatori, altri ci diventano preti o ragionieri, io ci sono diventato comunista ad aver visto com'era il mondo, cioe' che tutto il mondo era uguale al paese, coi ricchi che ti cavano il sangue e ti spaccano il cuore per diventare ancora piu' ricchi e i poveracci che potevano fare i salti mortali e sempre poveracci restavano finche' crepavano di fatica e di vergogna. Si', pure di vergogna. Perche' la gente si vergogna di essere poveraccia. Si dovrebbero vergognare i padroni che li sfruttano e invece si vergognano i poveracci che sono sfruttati, pensa tu.
Ma voi volevate sapere la storia di Menenio, no? Menenio, Menenio, qui al paese lo chiamavamo cosi'. Non lo so perche'. Si' che e' lui, voi lo chiamate Cornelio ma noi Menenio, succede. Si parla in modo diverso qui al paese e da voi la' in citta', e si vive in modo diverso. E la gente si cambia i nomi perche' - lo dico senza offesa, eh? - noi siamo sempre un po' diffidenti, siamo fatti cosi', e' che abbiamo preso tante di quelle fregature che alla fine uno ci pensa se c'e' qualche modo per ripararsi, no? e allora e' meglio cambiare i nomi, no? non e' granche', ma e' gia' qualche cosa. Ci si arrangia cosi'.
Avete detto che siete venuto qui per questo, no? per sapere la storia di Menenio, di Cornelio, si'. Ma io prima ve lo devo chiedere - senza offesa, eh? - che ve ne frega a voi di Menenio. Non e' che uno puo' parlare cosi' col primo venuto solo perche' te l'ha chiesto e magari t'offre un caffe'. No, no, il caffe' l'offro io, ci mancherebbe, questo e' il paese mio e voi siete ospite, da noi usa cosi' e mica ci vorrete offendere, no? Ah, ci avete fatto caso, eh? Qui da noi si usa il voi, pero' se preferite il lei per me va bene lo stesso, che tanto e' uguale.
Certo che l'ho saputo che e' morto. Qui al paese lo conoscevamo tutti, quelli di una certa eta', e' naturale, i giovani che ne sanno? Loro non c'erano quando c'era lui. Pero' non e' che ci abbiamo piacere di parlarne col primo venuto, senza offesa, eh, e' solo che non sono affari degli altri, come posso dire? Niente di personale, e ci mancherebbe, neppure ci conosciamo. Ah, se proprio me lo volete dire, ma io non vi ho chiesto niente, eh.
Ah, ecco, lo conoscevate. E allora che ci siete venuto a fare qui? Se lo conoscevate lo sapete che da qui se ne era andato. Ma pensa, abitavate vicino. E allora magari dovrei essere io a chiedere a voi, non voi a me, non vi pare? Avete fatto un viaggio a vuoto, mi dispiace proprio.
*
IV. Una convocazione
- Grazie di essere venuto.
- Mi avete convocato.
- Si', volevamo fare una chiacchierata con lei.
- Se volevate fare una chiacchierata bastava una telefonata.
- E' per il verbale, sa.
- Perche', dovete fare un verbale?
- Eh si'.
- Ah, ecco.
- Ma e' solo una formalita', eh.
- Eh gia', una formalita'.
- Una formalita', una formalita'.
- Dovrei avere un avvocato?
- Ma scherza? Solo quattro chiacchiere.
- Non so neppure su cosa.
- E glielo diciamo noi su cosa, no?
- E allora?
- Ma si sieda, si sieda, si metta comodo, no?
- Grazie.
- Sta comodo, tutto bene? Ha bisogno di qualcosa?
- No, grazie. Magari se fosse possibile fare presto...
- E piu' presto di cosi'. Si figuri, noi per primi, con tutto il lavoro che ci abbiamo. Due minuti ed e' tutto finito.
- Va bene.
- Per il verbale, eh, mi conferma nome, cognome, stato civile, luogo e data di nascita, residenza?
- Ma li avete gia', erano nella convocazione.
- Per questo ho detto per conferma, no?
- Si', sono quelli.
- Celibe, si'?
- Si', celibe.
- Beato lei, che non conosce i tormenti del matrimonio, io ho quattro figli.
- Si dice le gioie, non i tormenti del matrimonio.
- Ma quali gioie? I tormenti, i tormenti, mi creda. Certe volte... Beato lei, mi creda. Allora, cominciamo?
- Pensavo avessimo gia'cominciato.
- Intendevo dire: entriamo nel vivo. Entriamo nel vivo, si'?
- Se non so di cosa volete parlare...
- Eh, che fretta, adesso glielo diciamo, adesso. Vuole un caffe'? Io lo prenderei volentieri, e lei, appuntato? No? Nessuno? E allora non lo prendo neanche io, magari dopo.
- Se si potesse procedere...
- Certo, certo, mica stiamo qui a perdere tempo.
- Grazie.
- Pero' lei lo sa perche' e' qui, no?
- Perche' mi avete convocato.
- Certo, ma sa anche perche' l'abbiamo convocata, no?
- Veramente no.
- No?
- No.
- Sicuro?
- Sicuro.
- Sicuro sicuro?
- Sicuro sicuro.
- E va bene, allora cominciamo dal principio.
- Va bene.
- Da quanto conosceva il prefato Cornelio Tribbonacci di Agrippa e Agrippina?
- Prefato?
- E' una forma che s'usa nello stendere i verbali.
- Ah.
- Eh.
- Si'.
- E allora?
- Ah, e' per questo che sono qui?
- Come dice?
- Sono qui per Cornelio?
- Lei che ne dice?
- Certo.
- E certo si'.
- Ho saputo che e' morto.
- E come lo ha saputo?
- C'erano le carte attaccate.
- Dove?
- Come dove? Sulla plancia degli annunci mortuari.
- Ce ne sono tante in citta', quale?
- Quella nel quartiere di Santa Nicosia, dove abito, e dove abitava pure il povero Cornelio.
- Il povero Cornelio, dice. Come lo sa lei se era povero?
- Povero nel senso che e' morto, si usa dire cosi'.
- Si usa dire cosi'?
- Si', si usa.
- Si usa.
- Si', si usa.
- Bene. Si usa. E dove si usa?
- Come dove?
- E no, e no, lei deve rispondere alle domande, io faccio le domande e lei risponde, come a scuola.
- Come a scuola?
- Come a scuola, certamente. Io le faccio le domande col punto interrogativo e lei da' le risposte col punto esclamativo, o col punto normale, e' uguale, basta che dia le risposte. Deve dare le risposte, non fare le domande.
- Ho capito.
- Bene. E dove si usava chiamare povero il summenzionato Cornelio Tribbonacci?
- Forse mi sono espresso male.
- Si spieghi meglio allora.
- Intendevo dire che quando una persona muore si usa chiamarla povera perche' ha perso la vita, e con la vita ogni suo bene.
- Cosi' lei e' ateo.
- Come?
- Lei e' ateo, no?
- Si', ma che c'entra?
- Vuole sapere come ci sono arrivato?
- No, non voglio saperlo, solo vorrei capire adesso che c'entra.
- Ed io glielo spiego: se lei non fosse ateo lei non avrebbe detto che con la morte si perde ogni bene. A meno che...
- A meno che?
- A meno che non fosse sicuro che il Tribbonacci adesso brucia all'inferno.
- All'inferno?
- E dove se no?
- Mi scusi, ma credo di non capire.
- Perche' lei non e' aggiornato in teologia, si vede. Non l'ha letto quell'aureo opuscolo di von Balthazar?
- Cosa?
- E neppure Origene, eh? I classici, caro signore, bisogna leggerli i classici.
- Ma io veramente...
- Veramente, veramente, si fa presto a dire veramente, ma poi, insomma, quid est veritas?
- Come?
- Lasciamo stare che e' meglio.
- Si', e' meglio.
- Oppure e' ateo, ed io ho supposto che lei sia ateo e lei me lo ha confermato, no?
- Si', ma non vedo...
- Non importa, non importa, andiamo avanti. Era solo per farle vedere che sappiamo ascoltare. La gente pensa che nessuna l'ascolta, invece noi ci abbiamo la sensibilita' umana, le ascoltiamo attentamente le persone, come adesso. Le persone hanno diritto di essere ascoltate, non crede?
- Si', penso di si'.
- E infatti noi la ascoltiamo, e registriamo quello che lei dice, vede?
- Si', anche se non vedo...
- Lei non si preoccupi, ci lasci fare il nostro mestiere.
- D'accordo.
- Allora, smettiamo di divagare, eh? Ce lo vuole dire quando ha conosciuto il Tribbonacci e perche'?
- Certo. Quando eravamo studenti.
- Finalmente. Ci voleva cosi' tanto?
- Scusi?
- Ho detto: finalmente, ci voleva cosi' tanto?
*
V. Il pane e i chiodi
- Se lo ricorda?
- Certo che me lo ricordo. Quello con la barba.
- Quello.
- Me lo ricordo si'.
- E che si ricorda?
- A dire il vero mi ricordo poco. Mi capitava di vederlo spesso. Ma ci avro' parlato si' e no un paio di volte.
- Pero' lo vedeva spesso.
- Per forza, lavoro qui.
- E che comprava?
- Sempre le stesse cose, le solite cose.
- Le solite cose.
- Si', le solite cose.
- Si', le solite cose, ma quali?
- Le solite.
- Le solite quali?
- Se le ho detto le solite vuole dire le solite, no?
- Gia', le solite. E se io le chiedessi, per esempio, se lo comprava il pane?
- Lo comprava si' il pane, chi non lo compra il pane? Quando uno dice le solite cose e' chiaro che c'e' pure il pane.
- E' chiaro.
- E' chiaro.
- E se io le chiedessi, che ne so, per dire, i chiodi?
- Pure i chiodi, e' chiaro. Chi non li compra i chiodi? I chiodi servono sempre. Come il pane.
- Servono sempre.
- Servono sempre si', che le dicevo? Le solite cose comprava, quelle che comprano tutti.
- Tutti.
- Tutti. Le solite cose.
- Le solite cose.
- E io che le dicevo? Le solite cose.
- E i liquori li comprava?
- Eccome se li comprava, erano quelli che comprava di piu'. Pero' pure il pane e i chiodi.
- E libri?
- Ah no, non li trattiamo. E' merce che non va.
- Libri non li comprava.
- Non li comprava qui, non li teniamo, come faceva a comprarli qui se non li teniamo? Se li comprava da qualche altra parte non lo so, ma non credo. Che li doveva comprare a fare?
- Non lo so, magari per leggerli.
- Lei vuole scherzare.
- No, non scherzo.
- E fa bene, perche' non e' bello scherzare con i morti, no?
- E quell'altra merce, ha capito quale, la comprava?
- Se la comprava qui, vuole dire?
- Si', se la comprava qui.
- Mi scusi, ma lei sara' mica della polizia, eh? Che va in giro a fare certe domande.
- No, no, sono solo un amico.
- Non pare, non pare proprio, e adesso se vuole scusarmi, che ci sono pure gli altri clienti ci sono.
*
VI. La citta'
La prima volta che andai in citta' ancora me la ricordo.
Presi la corriera dal paese al paese piu' grosso e poi un'altra corriera dal paese piu' grosso alla citta'.
Dissi all'autista che mi avvisasse quando eravamo arrivati e lui mi spiego' che la citta' era grossa e che dovevo dirgli dove volevo andare di preciso. Ma io di preciso non ne avevo idea, volevo solo andare in citta' che non c'ero mai stato ma m'avevano detto che se ci andavi un lavoro lo trovavi di sicuro. Cosi' dissi all'autista che mi avvertisse quando eravamo in citta' e che poi mi sarei arrangiato da me. Allora lui disse che avrebbe detto ad alta voce il nome della citta' appena ci eravamo arrivati e poi facessi un po' come mi pareva e io gli dissi che mi stava bene cosi'. La gente rideva. Ancora me lo ricordo. Adesso lo so pure io perche' rideva, ma allora che ne sapevo?
Cosi' mi ero messo seduto in uno dei posti piu' avanti per controllare i segnali stradali che non si sa mai.
E infatti a un certo punto vidi il cartello col nome della citta' e mi alzai in piedi per scendere. L'autista disse che c'era ancora parecchio ma io gli dissi che anche se venivo dalla campagna sapevo leggere pure io e che volevo scendere alla prossima fermata che la citta' era cominciata visto che c'era il cartello che lo diceva. Allora l'autista disse che se volevo scendere lui mi faceva scendere ma che la citta' era ancora lontana. Io gli dissi che si vedeva benissimo che le case erano gia' cominciate e che una citta' comincia dove cominciano le case e allora la facesse finita e mi facesse scendere. Quello la fece finita e mi fece scendere.
Che ne sapevo io?
Cosi' arrivai in citta', che veramente cominciava parecchi chilometri dopo, che prima c'erano tutti capannoni abbandonati, baracche e depositi di chilosacche'. Per fortuna dopo un bel po' che scarpinavo trovo una fojetta, che a quei tempi c'erano ancora, oggi non lo so se ci sono piu'.
E' li' che ho conosciuto Cornelio. Se ne accorse subito che ero spaesato, m'invito' al tavolino suo e mi chiese da dove venivo. Dal paese, dissi. Pur'io sono venuto dal paese, parecchio tempo fa, disse lui. E cominciammo a chiacchierare. Era da un altro paese, ma era sempre un paese. Se non incontravo lui mica lo so che fine avevo fatto. Me lo trovo' lui da dormire e da lavorare. Non l'ho piu' rivisto.
*
VII. Grazie di nuovo per la gentilezza
- Buonasera, le ho telefonato ieri...
- Ah, certo, entri.
- Mi scusi se mi sono permesso, ho trovato il suo numero nell'elenco del telefono...
- Ha fatto bene, ha fatto bene.
- Grazie.
- No, sono io che ringrazio lei. Non avevo saputo niente.
- Si', la notizia non ha circolato, neppure il funerale e' stato fatto.
- Ah, e com'e'?
- Veramente non lo so, ho cercato di informarmi ma non ne sono venuto a capo.
- Forse perche' non aveva parenti.
- Si', e' quello che ho pensato anch'io.
- Comunque e' stato gentile a farmelo sapere.
- Grazie, e grazie anche per avermi ricevuto.
- Ci mancherebbe, gli amici di Cornelio sono anche amici miei.
- Grazie.
- Un caffe'?
- No, grazie, se prendo un caffe' verso sera, poi la notte non riesco ad addormentarmi.
- Un liquore, qualche altra cosa?
- No, grazie, come se avessi accettato.
- Bene.
- Bene.
- E quindi...
- Si', certo. Innanzitutto grazie di nuovo per la gentilezza.
- Prego.
- Si'. E' che sto cercando di capire alcune cose e allora ho pensato che magari i vecchi amici di Cornelio potevano aiutarmi.
- Aiutarla in cosa?
- A capire cosa e' successo.
- E cosa e' successo? Oltre il fatto che e' morto, voglio dire.
- Veramente non lo so. Il fatto e' che non so neppure come e' morto.
- No?
- No. E mi pare che ci sia qualcosa di, come posso dire, non chiarito.
- Qualcosa di non chiarito?
- Esattamente.
- Non capisco.
- Infatti.
- E quindi?
- E' che ho letto un annuncio mortuario.
- Della morte di Cornelio.
- Si'.
- E poi? C'e' un poi, immagino, no?
- Si'. Volevo andare al funerale, ma non c'era notizia di funerale.
- Si', me lo ha gia' detto prima.
- Si'. Allora stato all'agenzia che aveva stampato il manifesto (chissa' perche' non ho telefonato invece di andarci? invece ci sono andato di persona) e mi hanno detto che non c'era la notizia del funerale perche' non c'era stato nessun funerale.
- Si'?
- Si'.
- E allora?
- E allora niente, sto cercando di capire ma mi pare che nessuno voglia aiutarmi a capire.
- A capire cosa?
- Non lo so. A capire quello che e' successo, direi.
- Ah. E perche' viene a chiederlo a me?
- Ho trovato il suo nome sull'elenco del telefono. Sapevo che vi conoscevate.
- E' un po' poco per entrare nelle case a scocciare la gente che non c'entra niente, non le pare?
- Come?
- Ho detto: e allora ha pensato di poter venire qui a infastidire la gente perbene?
- Scusi, ma non capisco.
- Invece si' che capisci. Ma che ti credi, che siamo tutti fessi? Ma vedi di andartene prima che chiamo chi di dovere.
- Mi scusi, non pensavo che...
- E vattene, prima che ti prendo a calci, vattene.
*
VIII. Per strada
- E' lei quello che va in giro a fare le domande?
- Prego?
- Prego che? Che preghi?
- Mi scusi, non ho capito.
- Non e' lei quello che va in giro a fare le domande sulla morte di un certo tizio?
- Non capisco.
- Ah si', saresti pure stupido oltre che ficcanaso?
- Non capisco.
- No, eh? Vabbe', uomo avvisato...
*
IX. Un sogno
Sogno' che si era svegliato e non riusciva piu' a ricordare quel sogno meraviglioso che ricordava di avere fatto. Il sogno di una cosa. Un sogno nel sogno. Sigismondo, si'.
*
X. Piu' tardi (e' sempre tardi)
- Senta un po', quell'uomo.
- Dice a me?
- E a chi senno'? C'e' solo lei qui.
- Dica.
- E' lei quello che dice che conosceva Elio?
- Intende dire Cornelio?
- Elio, si'.
- Cornelio Tribbonacci?
- Elio, Elio. E allora?
- Lo conoscevo, si'.
- E com'e' che io non la conosco?
- Scusi?
- Che sei sordo, bello di mamma? Ho detto: com'e' che io non ti conosco a te, eh?
- Mi perdoni ma credo di non capire.
- Ah, adesso chiedi perdono? E pensi che basta chiedere perdono e finisce li', eh, amico del sole?
- No, guardi, forse mi confonde con qualcun altro.
- Ma pensa un po'. Ma pensa un po'. Prima hai detto di si', poi hai chiesto perdono, e mo' sarei io che ti confondo con qualcun altro? E che stiamo a fare, i burattini?
- I burattini?
- I pagliacci, si', i pupazzetti. A chi vuoi prendere per i fondelli, aho'?
- Non so se parliamo della stessa persona...
- Ah, mo' non lo sai piu'?
- Anche perche' io non credo di conoscerla, mi scusi.
- Io non ti scuso per niente, brutto bifolco e zotico villano, ma con chi ti credi?
- Cosa?
- Con chi ti credi di parlare, eh?
- Non lo so.
- Non sai mai niente tu, eh? Almeno come ti chiami lo sai?
- Veramente non capisco, non capisco proprio.
- E si vede che non capisci, non sai nemmeno come ti chiami. Pero' vai in giro a dire che conoscevi Elio, eh? E allora com'e' che io non t'ho mai visto?
- Ma lei chi e', scusi.
- Chi sono io? Chi sei tu, pezzo d'imbecille, chi sei tu. L'hai capita mo' in che mare di guai ti sei ficcato, eh? Con tutte le scarpe ti ci sei ficcato, eh? Eh? E allora?
- E allora cosa?
- Cosa?
- Si' cosa.
- Ah coso, guarda che ce la stai proprio mettendo tutta per tirarmele fuori dalle mani, eh, vedi tu se mo' non te la do' una lezione cosi' impari a vivere impari.
- Senta, io...
- Ma sta' zitto, lumacone, sta' zitto prima che ti faccio mangiare tutta la dentiera a pezzettini. Te la vuoi mangiare tutta la dentiera a pezzettini, eh?
- Ma io...
- Io, io, io, ma non ti pare di essere proprio un egoistaccio? Eh? Sempre io, io, io. E agli altri non ci pensi mai, eh? Forza, adesso salta su 'sta macchina, forza.
- Ma io...
- Lo vedi questo? Lo vedi? Lo sai a che serve, lo sai? Forza, salta su 'sta macchina che c'e' uno che ti deve dire una paroletta. Andiamo, che giurosuddio che se riapri bocca prima d'essere zompato su 'sta macchina t'apro il collo da orecchio a orecchio, giurosuddio.
*
XI. Explicit
- Cosi' lei lo conosceva, eh?
- Si', un po'.
- Lo conosceva bene?
- Bene? Non saprei dirlo. Abbastanza, direi abbastanza. Ai tempi. Era parecchio che non ci frequentavamo piu'. Ci capitava d'incontrarci per strada, abitavamo nello stesso quartiere.
- E perche' eravate andati ad abitare nello stesso quartiere?
- Non lo so, per caso.
- Per caso o per scelta? Uno non abita in un posto per caso.
- Non saprei che dire...
- E non va bene, cosi' non va bene. Lei lo deve sapere che dire. Non e' che possiamo stare qui tutta la giornata. Che si deve fare, eh, che si deve fare? Passiamo subito a strapparle le unghie, eh?
*
XII. Una chiosa, forse prescindibile
Lo dicono tutti che chi cerca trova. Soprattutto i guai. Stanno in agguato sui tetti, dietro le cantonate, negli scatoloni che tu ti credi che sono vuoti e gli dai un calcio mentre passi, nel vento che la sera quando e' buio bisbiglia cose che e' meglio non aver sentito, sulla punta delle penne, sulla punta dei coltelli.
Sono dappertutto i guai e aspettano solo che tu ti distrai un attimo, un attimo solo.
Certe volte si travestono da volpi, da gente vestita elegante, da ruffiani, da pali della luce. Certe volte cantano una romanza per attirare la gente o sputano il fuoco. Certe volte hanno la divisa. Il piu' delle volte hanna la divisa. Io se vedo una divisa cambio strada.
Se io l'ho conosciuto? Certo che l'ho conosciuto, senno' come facevo a raccontare questa storia? Certo che e' una storia truccata, ma io dico che il trucco vero non l'avete ancora capito. Perche' la furbizia e' di metterci davanti un trucco falso che lo capiscono tutti, e dietro il trucco vero che non se ne accorge nessuno. Glielo puoi pure dire alla gente che dietro c'e' il trucco vero, non se ne accorgono lo stesso. Per esempio adesso.
La gente tu glielo puoi pure dire guardate che qui c'e' l'abisso, non si ferma lo stesso. Che gente, eh? Che poi la gente siamo tutti, no? Pure io, pure tu. Adesso piu' tu che io. Magari un'altra volta tocca a me. Tanto prima o poi ci tocca a tutti, no?
*
XIII. Alla fermata
- Hai saputo?
- Ho saputo si', poveretto.
- Poveretto si'.
- Certo che strano era strano.
- Altroche' se era strano, e pure, non dico fesso, pero' almeno ingenuo si'.
- Ingenuo, ingenuo, io direi pure fesso.
- Non volevo dirlo ma certo che fesso era proprio fesso.
- Chissa' che gli era preso di andare in giro a fare tutte quelle domande.
- Quando uno e' fesso si sa che finisce che fa una brutta fine.
- Finisce sempre cosi'.
- Ah, ecco l'autobus che arriva.
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Vittorino Andreoli, Passione e volonta', Rcs, Milano 2021, pp. 120, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
- Nicoletta Cinotti, Meditazione e scrittura, Rcs, Milano 2020, pp. 200, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riletture
- Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Cristiani in armi. Da Sant'Agostino a papa Wojtyla, Laterza, Roma-Bari 2006, 2007, pp. XIV + 212.
- William Somerset Maugham, Il filo del rasoio, Mondadori, Milano 1946, 1977, pp. 352.
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4032 del 3 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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