[Nonviolenza] Archivi. 437



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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Numero 437 del 3 febbraio 2021
 
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di ottobre 2020 (parte quarta)
2. Omero Dellistorti: L'influenze
3. Omero Dellistorti: Il tempo delle streghe
4. Omero Dellistorti: Il tempo delle streghe (II)
5. Omero Dellistorti: Kafka incontra una sirena in discoteca
6. Omero Dellistorti: La Chiesa Dolorista
7. Omero Dellistorti: Riccioli d'oro
8. Omero Dellistorti: Una quaterna di storie in una riga
9. Omero Dellistorti: Vamos a la vigna
10. Ricordando Ingeborg Bachmann nell'anniversario della scomparsa
11. Omero Dellistorti: Abracadabra
12. Omero Dellistorti: E' tutta una finta
13. Omero Dellistorti: Fernetto e Infernetto
14. Omero Dellistorti: Il nerd
15. Omero Dellistorti: L'arte di restare fermi
16. Omero Dellistorti: Storia di fantasmi senza fantasmi
 
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI OTTOBRE 2020 (PARTE QUARTA)
 
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di ottobre 2020.
 
2. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: L'INFLUENZE
 
Adesso faccio l'influenze e ci ho 60 milioni di visualizzazioni ogni video che butto su iutu'.
E ci credereste? Tre mesi fa neppure lo sapevo come funzionava interne.
Poi una sera entro nella stanza di mio figlio Ginetto soprappensiero, senza bussare prima, e lo trovo che sta davanti al conpiute che io pensavo che faceva i compiti e invece si vedeva un filme a luci rosse. E io gli dico: "E che canale e' che fanno 'sto filme?", cosi' me lo vedevo comodo in salotto sulla televisione vera; e lui mi risponde "Ah papa', non e' la televisione, e' interne". "E fanno 'sti filmi su interne?". "Ah papa', su interne de 'sti filmi ce so' 'n fottio". Allora ho voluto capirci pure io, che di colpo m'ero reso conto che 'sto interne era una cosa che mi interessava pure a me.
I primi giorni guardavo solo i filmi.
Poi un giorno Ginetto mi dice che ha fatto un filme pure lui. Io dico: "Bumme!". E lui: "E allora mo' te lo fo veda". E batte a macchina il nome suo e sul teleschermo del conpiute viene fuori 'sto filme che c'era lui che spiegava dove Gattuso aveva sbagliato i cambi del secondo tempo. "E come hai fatto a fa' 'sto filme?" dico io. E lui: "Col telefonino". "Col telefonino?" "Ah papa', col telefonino, si'. Che nun ce lo sapevi che fo l'influenze?". "E che sarebbe?". "Sarebbe che me fo i filmi col telefonino, poi li schiaffo su iutu', e la gente me guarda". "La gente te guarda i filmi tui?". "Cio' i follove". "E che so' i follove?" "So' quelli che guardeno i filmi mii che spiego le partite e li sbaji de l'allenatori". "Come fo io al bar il lunedi' mattina". "Solo che tu parli solo co' Cecio, Baccajone e Dogarella, io cio' terecentocinquantamila follove". "Terecentocinquantamila cristiani che te veggheno?". "Terecentocinquantamila, sine".
E chi se lo immaginava.
Cosi' mi sono fatto spiegare meglio.
Allora, c'e' 'sto interne che e' una specie di televisione che si vede sul conpiute o sul telefonino, tu ti fai un filme da solo col telefonino che dici quello che ti pare o magari ti metti un vestito strano o leggi una poesia o una ricetta o balli il tango delle capinere o commetti un atto impuro, no? E poi 'sto filme lo metti su iutu' che e' 'sta televisione che la trasmettono su interne e la gente ti vede, e la gente che ti vede si chiama follove e tu ti chiami influenze.
La cosa bella e' che puoi dire e fare quello che ti pare e piu' le spari grosse o le fai strane e piu' ti guardano e diventi famoso.
A me m'ha cambiato la vita.
Prima facevo i furti e qualche volta qualche ricatto, qualche rapimento, qualche omicidio, ma robetta cosi', artigianale, e tutto cercando di non farmi scoprire per non finire al gabbio, no?
Poi ho capito: mi porto il telefonino acceso e faccio la ripresa di tutto, soprattutto le parti che esce il sangue, poi lo metto su iutu' e ogni volta sbanco. Prima ero un delinquente, adesso solo perche' mi porto il telefonino acceso e fo il filme di quello che fo sono diventato un influenze. E invece di mettermi al gabbio m'invitano in televisione, quella vera di una volta, a parlare di quello che mi pare e sul primo canale e all'ora di cena.
Altro che cavoli, a me interne m'ha cambiato la vita. Mo' ho pensato che mi piacerebbe fare un partito e  presentarmi alle elezioni per diventare presidente della repubblica, o magari papa che tanto ormai sono vedovo da diversi anni.
 
3. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: IL TEMPO DELLE STREGHE
 
A quel tempo bazzicavo il professor Demartino che era uno gagliardo.
Andavamo a caccia insieme, di cinghiali. Di cinghiali ne pizzicavamo pochi, ma chiacchieravamo parecchio, e il professor Demartino mi raccontava un sacco di cose che lui aveva studiato un po' tutto e sapeva cose che uno neppure s'immaginava ch'esistessero. Per esempio che c'erano i giappponesi e che parlavano giapponese, che in America di americhe ce n'erano due, una di ricconi coi cavalli e i grattacieli e una di poveracci che parlavano in spagnolo: pensate, in America parlavano spagnolo invece che americano. Poi mi diceva che avevano inventato certe macchine che volavano, certe macchine che tu ci mettevi i soldi e uscivano le sigarette, certe macchine che tu ci parlavi dentro e c'era uno che ti sentiva, ma non stava nascosto dentro la macchinetta, stava da un'altra parte lontano tipo mille chilometri. Erano le meraviglie della scienza e della tecnica, diceva. Secondo me parecchie se le inventava lui li' per li', pero' era bello starlo a sentire. Poi a una cert'ora ci fermavamo e facevamo il panonto. Poteva passare una giornata che non si sparava una cartuccia che era una, ma ci facevamo fuori certi spiedi di salsicce che erano la fine del mondo. Di maiale, che ce le portavamo da casa, perche' di cinghiali non e' che ne ammazzassimo parecchi anche se lo sanno tutti che le salsicce di cinghiale sono la prelibatezza delle prelibatezze, ma insomma a dirla tutta noi non fummo mai particolarmente fortunati "nel nostro cinegetico vagare ed esercizio dell'arte venatoria in questa che ci tocco' in sorte Arcadia soavissima e pure anch'essa esposta alla crisi della presenza" (diceva proprio cosi', me lo ricordo ancora, chissa' che significava). Pero' qualche volta trovavamo belle fungaie, quello si'. E alle perse si entrava di nascosto in qualche vigna, orto o frutteto, che il professore diceva sempre che non era una bella cosa pero' poi arraffava pure lui quel che trovava.
Era un professore famoso, che insegnava all'universita', quando e' morto m'e' dispiaciuto parecchio. Era pure comunista. Non sembra possibile, eh? Era un professore famoso, ci aveva lo stipendio assicurato, e invece di fare comunella coi padroni era comunista come noi che non ci abbiamo un occhio per piangere.
Adesso vi racconto di quella volta che incontrammo la strega, che a quel tempo, quando andavamo a caccia io e il professor Demartino, ce ne era ancora qualcuna; prima ce ne erano parecchie, nei tempi antichi, ai tempi del nonno e del bisnonno, gia' ai tempi di mio padre ce ne erano piu' poche, quando ero giovane io ormai erano poche poche, poi mi sono trasferito, cioe' m'ha trasferito lo stato che m'ha ospitato a Civitavecchia per vent'anni per un fatto che adesso non mi va di raccontarvelo perche' sono affari miei. Quando uscii da Civitavecchia non tornai piu' al paese, cosi' non lo so piu' se le streghe ci sono ancora ma penso di no. Ormai e' cambiato tutto, il mondo non e' piu' quello di una volta.
 
4. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: IL TEMPO DELLE STREGHE (II)
 
Le streghe finirono perche' la gente le ammazzava. E che volevi fare?
S'era mai visto che una donna volesse vivere da sola e fare quello che le pareva? E l'autorita' maritale che fine fa? La buttiamo nel cesso? E la famiglia fondamento naturale della societa' guidata dal pater familias? Nel secchio dell'immondizia? Non scherziamo, eh, non scherziamo su certe cose.
Si poteva permettere che si disgregasse l'ordine naturale della societa'? Ognuno deve stare al posto suo, altrimenti il cosmo si sfascia e ritorna il caos primigenio; a voi vi piacerebbe di campare nel caos primigenio? Io dico di no.
D'una m'ero pure innamorato, pensate un po'.
 
5. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: KAFKA INCONTRA UNA SIRENA IN DISCOTECA
 
A dire il vero Kafka non era quel Kafka li' che pensate voi, era il nipote, che in discoteca faceva il dj e vendeva pure le pasticche della felicita'. Che i soldi si facevano con le pasticche della felicita', mica col dj set.
E la sirena non era una sirena di quelle di Ulisse o della Sirenetta, era una che si chiamava Sirena di nome, io dico che certi genitori che mettono certi nomi ai figli bisognerebbe decapitarli sul posto.
*
La festa era al culmine, la musica a palla, tumbe-tumbe-tumbe-tumbe, la gente era cosi' strafatta che era piu' psichedelica delle luci psichedeliche, e K. aveva gia' smerciato piu' di trecentomila pasticche della felicita' che ormai i baiocchi non sapeva piu' dove ficcarli che aveva riempito le saccocce, il borsone, la scatola che ci metteva dentro il mixer e il barattolone di vetro che era vuoto, e quell'altro vuoto non era ma quasi, che stava pensando se non era il caso che faceva una telefonata a Strippone di portare al galoppo i rifornimenti che il commercio stanotte andava non alla stragrande, alla stragrandissima.
Fu allora che senti' una voce che gli diceva: "Saresti tu quello che ti chiami come Kafka?". Si volto' e vide 'sta tipa tutta vestita di nero coi capelli mezzi rossi e mezzi azzurri e la faccia bianca come la morte.
- Sarei io, perche'?
- Perche' e' forte.
- Grazie.
- E saresti sempre tu quello che ci ha le pasticche della felicita'?
- Esatto.
- Forte.
- Forte si'.
- E i prezzi sono popolari?
- Da reclame.
- Da paura. E quanto verrebbe una botta?
- Una botta dieci carte, piu' popolare di cosi'.
- E se una le dieci carte non ce l'ha?
- Allora niente botta.
- E la legge della domanda e dell'offerta?
- E che c'entra? E poi a me la legge non e' che mi ci ritrovo tanto, eh. Sarai mica una pulotta?
- Ma che pulotta, ma m'hai visto?
- E come si fa a saperlo, a me i pulotti e i fraciconi mi sembrano tutti uguali.
- ma i pulotti ci hanno la divisa per riconoscerli, no?
- Magari te la sei levata.
- Ti piacerebbe che mi levassi la cammesella, eh?
- Per me fa' come ti pare, basta che tiri fuori le dieci carte.
- E che ossessione con queste dieci carte, te l'ho detto che non ce l'ho. Ma lo sai come si dice, no?
- No, come si dice?
- Che fra gentiluomini un accomodamento si trova.
- Gentiluomini?
- Gentiluomini, si', ne hai mai sentito parlare?
- Tu e io?
- E chi senno'?
- Ma tu sei proprio fuori.
- Lascia stare se sono fuori o dentro, lo troviamo 'st'accomodamento si' o no?
- Lo troviamo si', ti mi dai dieci carte e io ti do' la merce.
- E se invece di darti dieci carte io ti faccio sentire come canto?
- Come canti?
- Come canto, si'.
- Con tutto 'sto casino?
- Eh, ma quando io canto il casino finisce.
- Perche', va via la corrente?
- Una mezza specie.
- Quasi quasi mi tenti.
- E tu lasciati tentare, no?
 
6. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: LA CHIESA DOLORISTA
 
Come nacque la Chiesa Dolorista?
E non l'avete letto il catechismo nostro? Fu l'arcangelo Babbaleone che visito' il nostro Primo Comandante In Capo, il ragionier Brigantozzi, e gli disse: "Ragionier Brigantozzi, basta con le quisquilie, qui c'e' da fondare subito subito una chiesa nuova nuova, la Chiesa Dolorista". E il ragionier Brigantozzi ubbidi'. Dico, ti si presenta un arcangelo, e tu che fai?
*
Modestia a parte io fui subito prescelto dal ragionier Brigantozzi come suo braccio destro e Primo Ufficiale, ed e' per questo che sono oggi a capo del santo nostro sodalizio, dopo che al povero ragioniere e' successo quello che e' successo.
Che facevo prima? Andiamo che ce lo sapete gia' che facevo prima, ci avrete una carpetta bella zeppa, no? anzi, come minimo un faldone alto cosi'. Anche l'apostolo delle genti prima di diventare quello che doveva diventare non era l'apostolo delle genti, no? E' la fede che salva, la fede e la grazia, ed io grazie al cielo la grazia ce l'ho, e la fede pure. Infatti sono Sua Veneranda Santita' Il Comandante In Capo della Chiesa Dolorista.
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E che, adesso volete discutere di teologia? E che titoli ci avete? Allora fate il favore, voi occupatevi delle cose di cui vi occupate voi e lasciate che delle cose di cui mi occupo io me ne occupi io. Ci mancherebbe che volessi discutere coi miscredenti sui fondamenti della fede.
Ma quale proselitismo, noi il proselitismo lo facciamo con chi e' predestinato al bene, voi gia' si vede che fine farete nell'aldila', che sara' piu' o meno lo stesso schifo di vita da schifo che fate nell'aldiqua'.
Come che voglio dire? Ma allora siete piu' imbecilli di quanto sembrate. Io ci ho dodici ferrari, voi ce l'avete la ferrari? E che dicevo io? si' e no che ci avete la giardinetta, o la topolino. Io ci ho lo yatch con l'equipaggio in livrea, voi neanche ce lo sapete che e' una livrea, che sarebbe una divisa, ma non come la vostra che vi dovreste solo che vergognare che sembrate tutti straccioni. E allora, di che stiamo a discutere?
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Ah, se e' obbligo di legge, allora figurarsi se io non la rispetto la legge, io la predico la legge, io sono la legge...
Il fondamento del credo, dunque: e' la redenzione attraverso il dolore. Piu' facile di cosi'.
Chi entra nella Chiesa Dolorista fa un percorso di fede e di redenzione.
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Adesso che c'entrano gli aborti? Quelli sono incidenti.
Le sevizie, le sevizie, e che adesso volete discutere la liturgia del culto? Ma quali sevizie, atti di fede, pieta' popolare, per aspera ad astra. E' latino, eh?
Le minorenni, le minorenni, sempre con questa storia; e che la fede ce l'hanno solo gli adulti? ma che c'e' il proibizionismo in questo paese? Che siamo, a Cuba, in Cina, a Togliattigrad?
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Vi dice bene che io voglio bene a tutti, non per niente sono il Comandante In Capo di una chiesa, mica ceci. Che io sono benevolente e beneficatore per tutti, per gli amici e per i nemici. Che pero' se qualcuno dei presenti per caso fosse Uno Della Ghenga Dei Nemici Della Fede allora fossi in lui io ci starei attento, parecchio attento, attentissimo, che non e' una bella cosa essere Uno Della Ghenga Dei Nemici Della Fede, che io non dico niente ma possono capitare cose brutte, cose che non vi piacerebbero proprio per niente. Esatto, come capito' a quel finanziere li' e a quei due carabinieri e a quel giudicetto che faceva tanto il pretenzioso e pure a quel ficcanaso che pretendeva di fare il giornalista, e a tutte quelle poco di buono di femministe isteriche. Ah, ve lo ricordate, si'? Avete visto che brutti incidenti che gli sono capitati? Eh? Mi e' tanto dispiaciuto, poveri figli, le corone piu' belle ai funerali erano le mie a nome della Chiesa Dolorista, con tutto che era gentaglia sconsiderata che volevano perseguitare la nostra santa chiesa, uomini di poca fede e di nessuna prudenza e donnacce scriteriate che non sapevano stare al posto loro; ditemi voi se non ho ragione se dico che erano persone cosi' cieche che non avevano visto neppure la luce che gli splendeva proprio a un palmo dal naso, poveretti, m'hanno fatto tanta pena che mi ci commuovo ancora, lo vedete?
*
Oh, cosi' andiamo bene, adesso ci capiamo. Visto? Lo dicevo io. Tra persone civili, tra solerti funzionari, tra uomini di mondo, eh? E ci mancava che per quattro sgallettate che hanno fatto la fine che si meritavano si dovesse scomodare la legge e fare tanta cacca. E adesso che ci siamo capiti, posso offrirvi un caffe'? Un cognacchino? Che io sono si' Sua Veneranda Santita' Il Comandante In Capo Della Chiesa Dolorista ma sono pure uno alla mano. E so essere riconoscente agli amici che se la meritano un po' di gratitudine, quella vera, bella frusciante.
 
7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: RICCIOLI D'ORO
 
C'era una volta in quel paese una fanciulla dai capelli d'oro che la chiamavano Riccioli d'oro. Era un amore.
Aveva una bella capretta a cui aveva messo nome Capretta. Sono nomi che si danno cosi'.
Un bel giorno Riccioli d'oro e la sua Capretta andarono nel bosco e non tornarono piu'.
Sul far della sera la nonnina (Riccioli d'oro viveva con la sua nonnina, mammina e babbino non c'erano, non chiedete a me che fine avevano fatto, non e' che posso sapere tutto di tutti) si fa sul'uscio e comincia a chiamare "Riccioli d'oro! Riccioli d'oro!", ma nessuno risponde, ne' Riccioli d'oro ne' Capretta, e neppure l'eco perche' li' l'eco non c'era.
I paesani, che erano tutte brave persone o almeno cosi' dichiaravano al bargello, vedendo la nonnina che chiamava, si misero a chiamare anche loro "Riccioli d'oro! Riccioli d'oro!", ma nessuno rispondeva, a parte i cani che abbaiavano, ma i cani si sa come sono fatti, appena sentono un po' di baccano gli piace mettercisi pure loro.
Passo' la notte e la nonnina resto' sveglia tutta la notte ma Riccioli d'oro e Capretta non tornavano.
A quei tempi non c'erano i telefonini. E neppure la televisione. Cosi' la nonnina mentre restava sveglia per passare il tempo giocava a poker con le amiche, e vinceva sempre lei. Anni dopo si capi' perche' vinceva sempre lei, ma questa e' un'altra storia che semmai ve la racconto dopo.
La mattina tutta la brava gente del paese si chiedeva: E Riccioli d'oro? E Capretta? Bisognava fare qualcosa.
E la cosa che fecero fu di mandare Guglielmone a cercarla.
Guglielmone era l'uomo piu' forte del paese, aveva i baffi alla tartara, un coltello che sembrava una scimitarra, la divisa da alpino che da giovane aveva fatto la guerra, una delle tante, e conosceva il bosco come le sue tasche. Se Guglielmone cercava qualcosa o qualcuno nel bosco, te lo riportava di sicuro. Magari un po' strappato.
Invece si fece sera e non tornava nemmeno Guglielmone.
La moglie di Guglielmone si fece sull'uscio e chiamava "Guglielmone! Guglielmone!". La nonnina di Riccioli d'oro si fece sull'uscio e chiamava "Riccioli d'oro! Riccioli d'oro!". La gente tifava e scommetteva.
Quella notte ne' la nonnina di Riccioli d'oro ne' la moglie di Guglielmone dormirono, almeno la nonnina vinse un bel po' di bei soldini a poker, la moglie di Guglielmone invece lavoro' a maglia tutta la notte e fece un bel paio di calzettoni a Guglielmone che gliene aveva gia' fatti tipo trecentomila paia che gli armadi di casa scoppiavano. Sapeva fare solo i calzettoni, gli altri vestiti li compravano alla merceria di don Rodrigo.
Ecco, non ne volevo parlare, pero' adesso due parole su don Rodrigo bisogna dirle. Ci aveva una brutta nomea. Dicevano che era uno che molestava le clienti, ecco, dicevano cosi'. Pero' era l'unica merceria del paese. Era anche l'unico negozio di abbigliamento e articoli sportivi del paese. Ed era anche l'unica bottega di generi alimentari del paese, e di casalinghi, e di ferramenta, e di tutto il resto pure, perche' in effetti era l'unico emporio del paese, e annesso all'emporio c'era il bar che era sempre di don Rodrigo ma al bancone ci stava suo cugino, don Giovanni, che era anche campione di boccette e goriziana, l'unico biliardo del paese era nella stanza di dietro del bar dove ci potevano entrare solo gli uomini che a quei tempi c'era il senso del pudore c'era.
E pure di don Giovanni dicevano che molestava, che chissa' quando lo faceva visto che stava sempre o al bancone del bar o al biliardo. Pero' lo dicevano, e se lo dicevano qualche cosa di vero doveva esserci.
Quando si fece mattina erano due giorni che era sparita Riccioli d'oro (e Capretta, ma di Capretta non gliene fregava niente a nessuno, il mondo e' ingiusto, lasciatevelo dire, e' veramente ingiusto), e un giorno che era sparito pure Guglielmone. Ora di Guglielmone non si preoccupava nessuno perche' era uno che era capace di sparire pure una settimana e poi di tornare tirandosi dietro tre orsi morti che li aveva ammazzati a cazzotti. Ma di Riccioli d'oro invece si preoccupavano tutti. O almeno tutti quelli che non sapevano che fine avesse fatto, e non aggiungo altro.
La nonnina pensava che se Riccioli d'oro non tornava alla fine bisognava chiamare i gendarmi del re, ma la gente del paese non era d'accordo perche' ogni volta che venivano i gendarmi del re era una razzia di galline che non vi dico, e quello era il meno, che i gendarmi del re non si limitavano a fare man bassa delle galline, e a buon intenditor... Cosi' dissero tutti alla nonnina di aspettare a scrivere ai gendarmi del re che magari Riccioli d'oro tornava. Ma pensavano tutti che non sarebbe tornata. Come non era tornata Linda dagli occhi blu, come non era tornata Penni Lei, e Barbara Enne, e Calamita Gina. Che almeno di Calamita Gina si era sentito dire che aveva fatto fortuna in America, ma delle altre, delle altre nessuno aveva voglia di parlarne perche' certe cose sono troppo, troppo dolorose per continuare a parlarne. Ho detto dolorose? Volevo dire misteriore, misteriose.
 
8. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: UNA QUATERNA DI STORIE IN UNA RIGA
 
Diceva solamente frasi sagge e solenni. Ed era di una noia letale. Si sa come va a finire.
*
Entro' nella porta sbagliata Gilgamesh, e si trovo' nella storia di Beowulf.
*
Chiamarsi Agilulfo. E non poterci fare niente.
*
In una sala d'attesa una sola persona senza telefonino. Cosa aspetta a estrarre l'arma e fare fuoco?
 
9. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: VAMOS A LA VIGNA
 
E che si credeva il sor padrone, che stavamo qui a cambiare aria?
Cosi' quando ci mando' il leccapiedi numero uno si prese il lisciabusso e lo rimandammo a casa sua.
Pero' poi mando' il reggicoda numero due e a questo gli tagliammo i cosiddetti e siccome continuava a strillare allora gli facemmo pure il servizietto al naso e alle orecchie, e volevamo farglielo pure alla linguaccia, ma mori' prima perche' s'era dissanguato da in mezzo alle coscine di pollo.
Ma il sor padrone intignava e ci mando' la squadretta degli infami, come se non ce l'aspettassimo. E siccome noi eravamo di piu', quelli di loro che non finirono in concime batterono in ritirata come i pifferi di montagna.
E allora che ti fa quel vecchio babbeo? Ti manda il figlio. Che ce lo siamo cotto a porchetta.
Venisse lui personalmente, adesso.
 
10. RICORDANDO INGEBORG BACHMANN NELL'ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA
 
Ricorre oggi l'anniversario della scomparsa di Ingeborg Bachman, che mori' a Roma il 17 ottobre del 1973.
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo la ricorda ancora una volta rileggendo alcuni suoi versi.
Nel ricordo di Ingeborg Bachmann continui la lotta contro la guerra e tutte le uccisioni.
Nel ricordo di Ingeborg Bachmann continui la lotta contro il razzismo e tutte le persecuzioni.
Nel ricordo di Ingeborg Bachmann continui la lotta contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Nel ricordo di Ingeborg Bachmann continui l'impegno nonviolento in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, in difesa dell'intero mondo vivente.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Condividere il bene ed i beni.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e per la salvezza dell'intera umanita' e dell'intero mondo vivente.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
*
Una minima notizia su Ingeborg Bachmann
Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 - Roma 1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'.
Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne. Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan. Saggi radiofonici: L'uomo senza qualita'; Il dicibile e l'indicibile. La filosofia di Ludwig Wittgenstein; La sventura e l'amore di Dio. Il cammino di Simone Weil; Il mondo di Marcel Proust. Sguardi in un pandemonio. Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo eventuale; Letteratura come utopia. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4 voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. In edizione italiana cfr. almeno: Poesie, Guanda, 1987, Tea, Milano 1996; Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999; Il dicibile e l'indicibile. Saggi radiofonici, Adelphi, Milano 1998; Il buon Dio di Manhattan, Adelphi, Milano 1991; Il trentesimo anno, Adelphi, Milano 1985, Feltrinelli, Milano 1999; Tre sentieri per il lago, Adelphi, Milano 1980, Bompiani, Milano 1989; Malina, Adelphi, Milano 1973; Il caso Franza, Adelphi, Milano 1988; La ricezione critica della filosofia di Martin Heidegger, Guida, Napoli 1992; In cerca di frasi vere, Laterza, Roma-Bari 1989; Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993.
Su Ingeborg Bachmann un'ampia bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di Invocazione all'Orsa Maggiore, cit.
*
Alcune poesie di Ingeborg Bachmann
[I seguenti testi sono estratti da Ingeborg Bachmann, Poesie, Guanda, Parma 1978, Tea, Milano 1996 (traduzioni di Maria Teresa Mandalari) e da Ingeborg Bachmann, Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999 (traduzioni di Luigi Reitani)]
 
Il tempo dilazionato
 
S'avanzano giorni piu' duri.
Il tempo dilazionato e revocabile
gia' appare all'orizzonte.
Presto dovrai allacciare le scarpe
e ricacciare i cani ai cascinali:
le viscere dei pesci nel vento
si sono fatte fredde.
Brucia a stento la luce dei lupini.
Lo sguardo tuo la nebbia esplora:
il tempo dilazionato e revocabile
gia' appare all'orizzonte.
 
Laggiu' l'amata ti sprofonda nella sabbia,
che le sale ai capelli tesi al vento,
le tronca la parola,
le comanda di tacere
la trova mortale
e proclive all'addio
dopo ogni amplesso.
 
Non ti guardare intorno.
Allacciati le scarpe.
Rimanda indietro i cani.
Getta in mare i pesci.
Spengi i lupini!
 
S'avanzano giorni piu' duri.
 
*
 
Tutti i giorni
 
La guerra non viene piu' dichiarata,
ma proseguita. L'inaudito
e' divenuto quotidiano. L'eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
e' trasferito nelle zone del fuoco.
La divisa di oggi e' la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.
 
Viene conferita
quando non accade piu' nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico e' divenuto invisibile
e l'ombra d'eterno riarmo
ricopre il cielo.
 
Viene conferita
per la diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all'amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l'inosservanza
di tutti gli ordini.
 
*
 
Nella bufera di rose
 
Ovunque ci volgiamo nella bufera di rose,
la notte e' illuminata di spine, e il rombo
del fogliame, cosi' lieve poc'anzi tra i cespugli,
ora ci segue alle calcagna.
 
*
 
Discorso ed epilogo
 
Non varcare le nostre labbra,
parola che semini il drago.
E' vero, l'aria e' soffocante,
la luce schiuma di acidi e fermenti,
sulla palude nereggia un velo di zanzare.
 
Ama le bicchierate la cicuta.
E' in mostra una pelle di gatto:
la serpe s'avventa soffiando,
lo scorpione inizia la danza.
 
Non raggiungere le nostre orecchie,
fama dell'altrui colpa:
parola, muori nella palude
da cui la pozzanghera sgorga.
 
Parola, stai al nostro fianco
tenera di pazienza
e d'impazienza. Bisogna
che questa semina abbia fine!
 
Non domera' la bestia colui che ne imita il verso.
Chi rivela segreti d'alcova, rinunzia per sempre all'amore.
La parola bastarda serve al frizzo per immolare uno stolto.
 
Chi ti richiede un giudizio su questo straniero?
Se non richiesto lo formuli, prosegui tu il suo cammino
da una nottata all'altra con le sue piaghe ai piedi: va'! e non ritornare.
 
Parola, sii nostra,
libera, chiara, bella.
Certo, dovra' avere fine
ogni cautela.
 
(Il gambero si ritrae,
la talpa dorme troppo,
l'acqua dolce dissolve
la calce, che pietre ha filato).
 
Vieni, benevolenza fatta di voci e d'aliti,
questa bocca fortifica
quando la sua fralezza
si inorridisce e inceppa.
 
Vieni e non ti negare,
poiche' in conflitto siamo con tanto male.
Prima che sangue di drago protegga l'avversario
questa mano cadra' dentro il fuoco.
O mia parola, salvami!
 
*
 
Prender paese
 
Nella terra del pascolo giunsi
quand'era gia' notte,
fiutando le cicatrici nei prati
e il vento, prima che si levasse.
L'amore piu' non pascolava,
le campane erano spente
e i cespugli affranti.
 
Un corno piantato nel terreno,
ostinato dalla guidaiola,
confitto nel buio.
 
Dalla terra lo presi,
al cielo lo levai
con piena forza.
 
Per colmare
questo paese con suoni
soffiai nel corno,
volendo nel vento incombente
e tra steli increspati
vivere di ogni origine!
 
*
 
Colle di cocci
 
Giardini in amplessi col gelo -
il pane bruciato nei forni -
fiabesco il serto di messi
e' miccia tra le tue mani.
 
Taci! Conserva i tuoi stracci,
le frasi, sgomente di lacrime,
ai piedi del colle di cocci
che i solchi sempre succinge.
 
Se tutte le brocche s'infrangono,
che resta nella brocca del pianto?
Giu' in basso crepe roventi
e lingue guizzanti di fuoco.
 
Si creano ancora vapori
tra clamori di acqua e di fuoco.
O scala di nubi, di frasi,
affidata al monte dei cocci!
 
*
 
Ombre rose ombre
 
Sotto un cielo straniero
ombre rose
ombre
su una terra straniera
tra rose e ombre
in un'acqua straniera
la mia ombra
 
*
 
Dai Canti lungo la fuga
 
XV.
 
L'amore ha un trionfo e la morte ne ha uno,
il tempo e il tempo che segue.
Noi non ne abbiamo.
 
Solo tramontare intorno a noi di stelle. Riflesso e silenzio.
Ma il canto sulla polvere dopo,
alto si levera' su di noi.
 
11. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: ABRACADABRA
 
- E' facile, basta che dici abracadabra.
- Si', come no.
- Certo, bisogna crederci, se uno non ci crede non succede niente.
- Io dico che non succede niente neppure se uno ci crede.
- E' quello che si crede chi non ci crede, invece se uno ci crede succede.
- Vabbe', lasciamo perdere.
- E no che non lasciamo perdere, io ti voglio convincere.
- Ma tanto non ci credo lo stesso.
- Neanche se te lo dimostro?
- Ma tu con le chiacchiere ci mandi avanti i treni, a dare retta a te oggi in Italia ci doveva essere il comunismo, invece non c'e' piu' neppure in Russia.
- Ma quello non era il comunismo, era il fascismo travestito.
- Ogni cosa che non ti sta bene per te e' il fascismo travestito. Tutto quello che c'e' e' il fascismo travestito.
- No, non tutto quello che c'e', c'e' pure il fascismo non travestito.
- Bisogna ridere?
- Bisogna piangere.
- Comunque io non ci credo a 'sta storia dell'abracadabra.
- E fai male, perche' visto come campi a te una bella magia ti servirebbe proprio.
- A me mi servirebbe una montagna di soldi, quello si' che mi servirebbe.
- E la magia che altro e'? Avvera i desideri, e se tu desideri i soldi, ti porta i soldi.
- Come no.
- Vuoi che te lo dimostro? Non dico logicamente che tanto alla logica tu sei impermeabile, ma sperimentalmente, qui, su due piedi.
- Mi dimostri che?
- Che basta dire abracadabra.
- Che basta dire abracadabra e?
- E succede quello che vuoi che succeda.
- Qualunque cosa?
- Qualunque cosa, certo, se no che magia sarebbe?
- Cioe' che tu desideri una cosa, dici abracadabra e quella succede.
- Esattamente.
- Tu sei fuori di testa.
- Lo facciamo 'st'esperimento o no?
- Ma tu hai perso la brocca.
- E non essere fifone. Si' o no?
- E se dico di si'?
- Se dici di si' lo facciamo.
- E allora facciamolo.
- Allora devi solo dire quello che desideri e poi dire abracadabra, basta che quando lo dici ci credi.
- Desidero che tutto questo schifo di mondo finisca per sempre. Amen.
- Devi dire pure abracadabra, altrimenti non funziona.
- Ah si', abracadabr
 
12. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: E' TUTTA UNA FINTA
 
Ma quale virus, ma quale pandemia, ma quali mascherine, e che e' carnevale?
Tutte panzane. La gente e' morta sempre. Di fame, di pezzi di ferro piantati nella ciccia, di robaccia che ci dovevano pensare prima di mandarla giu'.
A casa mia, per esempio. Lo zio Augustone e' morto che era troppo gonfio di vino. Glielo dicevano tutti che era troppo gonfio di vino ma lui diceva sempre che allora la botte era piu' gonfia di lui e che se ci aveva sempre sete mica era colpa sua. Alla fine non ce la faceva piu' neppure a muoversi da quanto era diventato grosso che ci tocco' portarlo con una specie di carriolone che avevamo fatto apposta fino in fondo all'oliveto dove c'e' uno strapiombo e lo abbiamo dovuto buttare giu' e lasciare li' che ancora strillava e piagneva che a me m'e' proprio dispiaciuto che io allo zio Augustone gli volevo proprio bene, gli volevamo bene tutti, ma come si faceva, eh? Poi ci devono avere pensato i cani.
Oppure la nonna Nietta, che il nonno Linetto le sfondo' la testa col mattarello che una volta la nonna Nietta aveva osato dirgli che se lui la menava un'altra volta lei glielo spaccava sulla testa mentre dormiva e allora lui subito subito, senza neppure aspettare l'ora di andare a dormire, glielo aveva strappato di mano e gli ci aveva rotto la testa che con gli schizzi di sangue e i pezzetti di osso finiti sulla spianatoia il babbo raccontava sempre che avevano dovuto buttare l'impasto e per due giorni niente fettuccine, che poi dispiaceva a tutti che le fettuccine come le faceva la nonna Nietta erano l'ottava meraviglia del mondo.
Oppure mio fratello Santino, che un giorno smise di lavorare prima e venne a casa che sara' stato si' e no mezzo pomeriggio e aveva detto "mo' me metto a letto e moro" e l'aveva fatto, che era fatto cosi' Santino, quello che diceva faceva.
L'epidemia, il contaccio, le mascherette, ma che stiamo al circo?
 
13. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: FERNETTO E INFERNETTO
 
C'era sempre chi li confondeva, Fernetto e Infernetto. Era che stavano sempre insieme e siccome lavoravano nella stessa officina ci avevano sempre tutti e due la tuta ed erano sempre sporchi di grasso e cosi' sembravano uguali.
Loro ci si divertivano, e qualche volta ci marciavano pure. Se uno protestava con uno di loro per un lavoro fatto male, o in ritardo, quello diceva che lo confondeva con quell'altro. Pure quando facevano gli scherzi brutti era sempre stato quell'altro, pure se invece li avevano fatti insieme. A nessuno gli va di ammettere gli scherzi brutti anche se sono i soli che quando li fai ti ci diverti veramente. Perche' il divertimento vero c'e' solo quando qualcuno si fa male, si fa male tanto.
Erano amici? Si' che erano amici.
Il problema fu quando s'innamorarono tutti e due di Patrizietta la cavallona.
*
Patrizietta la cavallona erano due sorelle gemelle che per distinguerle a una il padre gli aveva fatto una cicatrice dietro un orecchio che non si notava ma se le tiravi su i capelli la vedevi cosi' la riconoscevi e sapevi che era Patrizietta seconda, mentre Patrizietta prima la cicatrice non gliel'aveva fatta. Pero' Patrizietta prima era gelosa che la sorella ci aveva la cicatrice e lei no, cosi' se l'era fatta da sola.
Allora al padre gli tocco' lavorare di coltello un'altra volta e a Patrizietta seconda le fece una cicatrice anche dietro l'altro orecchio, cosi' si riconosceva di nuovo. Ma Patrizietta prima, figurarsi, pure lei. Cosi' il padre si decise ad ammazzarne una cosi' non ci si poteva confondere piu'. Neppure lui lo sapeva se aveva ammazzato Patrizietta prima o Patrizietta seconda, ma tanto ormai di Patrizietta ce n'era una sola.
E adesso bisogna dirlo: fu una vera sfortuna. Perche' se di Patriziette la cavallona ce n'erano due Fernetto si metteva con una, Infernetto con l'altra e tutti vivevano felici e contenti. Come nelle favole. E invece di Patrizietta la cavallona ce n'era una sola, come la mamma.
*
C'era la festa del paese, col mercato, l'albero della cuccagna, l'innalzamento del globo aerostatico e tutto. E la sera si ballava in piazza con l'orchestrina con la fisarmonica e la cantante in minigonna sul palco.
La gente era gia' ubriaca di prima mattina che il prete aveva dovuto tirare giu' quattro bestemmioni per riuscire a finire la predica, e minacciare che se la gente non la piantava di fare i buffoni nella casa del Signore si saltava la processione col santo patrono.
Neppure si andava a cena a casa, si faceva una tavolata lungo la via del paese e tutto il paese era li' che si portavano da casa le sedie e le forchette. Dopo cena si ballava in piazza fino a tardi, poi c'erano i fuochi d'artificio e le persone grandi tornavano a casa, quelle giovani s'infrattavano a fornicare che dopo nove mesi si vedevano i risultati. Era cosi' la festa del santo patrono.
Fernetto e Infernetto non e' che sapessero ballare, quasi nessuno dei maschi del paese sapeva ballare, pero' in piazza c'erano tutti e zompavano come orsi per far ridere le ragazze per poterci parlare, farle ridere di piu' e mentre ridevano farle bere e bere e bere e dopo portarle dove si poteva fornicare in pace.
Di solito i maschi del paese sono timidi con le ragazze, per questo per la festa del santo patrono si ubriacavano tutti fino dalla mattina, per smettere di essere timidi. E cosi' avevano fatto pure Fernetto e Infernetto.
*
Col ballo di solito funziona cosi': che uno punta una e gli altri prima ci provano pure loro poi vedono che quella e' presa e invece di dover fare a coltellate gliela lasciano. Si fa cosi' pure quando si va a caccia, perche' se non si fa cosi' finisce sempre a schioppettate, non al cinghiale, tra le persone.
Allora c'era 'sta Patrizietta la cavallona e Fernetto riesce a farla ridere e si ballano una canzone. Pero' la canzone dopo Patrizietta la cavallona la vuole ballare con un altro, pero' gli altri si tiravano indietro perche' non ci avevano voglia di finire a coltellate con Fernetto. Si tirano indietro tutti tranne che Infernetto. E cosi' si ballano una canzone pure loro, Patrizietta la cavallona e Infernetto. Pero' Fernetto non ci stava a rosicare e basta, cosi' alla canzone dopo si fa avanti, con uno strattone si piglia Patrizietta la cavallona e si balla tutta la canzone e quella dopo. Adesso Infernetto avrebbe dovuto lasciar perdere, invece quando la seconda canzone finisce da' uno schiaffo a Patrizietta cosi' forte che si sono girati tutti, la strappa dalle mani di Fernetto e se la piglia per ballare la canzone che comincia. Continuo' cosi' per una mezz'ora, che Patrizietta gia' sanguinava per gli schiaffi sulla bocca e sul naso e gli sgraffi sulle braccia e le spalle. Nessuno si voleva intromettere, anche se non era bello da vedere. Finche' Ciampicone, che lo sa come vanno a finire certe cose, chiamo' Fernetto e Infernetto, e quando ti chiama Ciampicone non e' che puoi far finta di niente, e gli disse di piantarla che erano ridicoli e che davano fastidio a tutti, e che dovevano andare al vicoletto del lupo mannaro, e risolvere la questione da uomini. E cosi' fecero.
Il vicoletto del lupo mannaro si chiamava cosi' perche' ci abitava uno che dicevano che era un lupo mannaro e s'era fatto trent'anni per aver ammazzato la moglie e la figlia che ci avra' avuto tre anni a dir tanto; era un vicoletto tutto in discesa e in fondo c'era uno spiazzo sterrato, poi c'era uno strapiombo e sotto un parcheggio, e siccome il parcheggio era illuminato dai pali della luce, se uno andava nello spiazzo in fondo al vicoletto ci si vedeva abbastanza per fare a coltellate come cristo comanda pure se era una notte senza luna. Quando serviva, si andava li', cosi' non si dava fastidio a nessuno.
Dal vicoletto poi torno' solo Fernetto, che era bianco come la cera, e pareva che la sbornia gli era passata. Pure l'orchestra smise di suonare. Non disse una parola, fece segno di si' con la testa a Ciampicone, che fece di si' con la testa pure lui. Poi s'avvicino' a Patrizietta la cavallona e il coltello che era ancora sporco del sangue d'Infernetto glielo pianto' nell'ombelico, e poi tiro' su come se volesse aprirla tutta.
Ciampicone fece segno a due di portarli via e la festa continuo'.
Fu una bella festa, alla fine ci furono pure i fuochi d'artificio.
 
14. SCORCIATOIE E RACCONTINI. OMERO DELLISTORTI: IL NERD
 
La stanza del nerd: in otto metri quadri un compendio del caos dopo la confusione delle lingue della torre di Babele.
Il nerd davanti al computer: "C'e' tutto nel web, mi ci trasferisco anch'io".
Piu' tardi bussa la mamma che e' pronta la cena, nessuno risponde. La mamma apre la porta, non c'e' nessuno. Il computer e' sempre acceso, invitante.
 
15. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: L'ARTE DI RESTARE FERMI
 
Dice: e che arte e'? Sono buoni tutti.
Sono buoni tutti? Provateci, dico io, provateci cinque minuti.
Visto?
Pare facile e invece non e' facile per niente.
Perche' succede? Intanto per via della rotazione terreste. La Terra si muove e noi che stiamo sulla terra come si fa a restare fermi?
Dice: e allora e' impossibile, non ce la puo' fare nessuno.
Piano, dico io. Ragioniamo. Perche' uno non riesce mai a starsene fermo? Perche' lo spingono gli impulsi delle passioni, no? Ma se uno estinguesse le passioni?
Dice: e' impossibile.
Non e' vero che e' impossibile. per esempio se uno muore, ogni passione e' spenta, come dice il poeta, no?
Dice: ma questa mica e' arte, questo e' morire e basta.
E perche', non l'avete mai sentita dire l'arte di morire? Pure morire e' un'arte. Non sempre, e' ovvio, ma qualche volta si'. E ci avete mai pensato? Uno puo' apprendere l'arte di morire anche se non e' mai morto prima; anzi, dico di piu': puo' apprendere l'arte di morire solo perche' ancora non e' morto, che se era morto non poteva apprendere piu' niente.
Dice: e allora?
E allora, dico io, intanto abbiamo dimostrato che un'arte si puo' imparare; come dice il proverbio? Impara l'arte e mettila da parte.
E adesso veniamo all'arte di restare fermi. Anzi, no, prima vi voglio dire pure dell'arte di non respirare. L'avete mai sentita dire?
Lo so gia' quello che pensate: ma quale arte di non respirare, se uno non respira muore. Bravi, ma solo perche' non respira per un lasso di tempo prolungato, ma per un lasso di tempo commisurato alle esigenze fisiologiche chiunque puo' imparare l'arte di non respirare. Ci siete mai stati al mare? E quando siete sott'acqua non state senza respirare? E io che dicevo?
Allora, adesso che vi ho dimostrato l'arte di morire, l'arte di non respirare senza neppure morire, torniamo all'arte di restare fermi.
Lo sapete quale e' l'unica difficolta', la vera difficolta' dell'arte di restare fermi? Se lo volete sapere io ve la dico.
Allora ve la dico: e' che dopo che l'hai imparata non ha piu' nessuna voglia di tornare a muoverti. Per questo l'hanno proibita. Io pero' la insegno lo stesso se c'e' qualcuno che gli va di impararla. Pagamento anticipato, eh, lo capite pure voi perche'.
 
16. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: STORIA DI FANTASMI SENZA FANTASMI
 
- Disturbo?
- No, e' libero.
- Grazie.
- Prego.
- Dite un po', ci avete presente L'uomo che fu giovedi'?
- Veramente no.
- Dico il romanzo di Chesterton.
- Di che?
- Niente, niente. Era per introdurre il discorso.
- Che discorso?
- Quello che sto per fare.
- Ah.
- Eh.
- E allora?
- Allora ecco.
*
Quando il nonno mori' mi arrivo' un telegramma dal paese. Diceva che il nonno era passato a miglior vita e che io ero l'unico erede. Ci credo: tutto il resto della famiglia era finito come era finito. E non ho mai capito come aveva fatto il nonno a restare tanto a lungo in questa valle di lacrime.
Comunque preparai la valigia e partii. Una giornata e mezza sui treni, tre cambi e un sonno che non vi dico. Poi dalla stazione al paese c'erano altri tre chilometri a piedi. Col vento e la polvere. E la valigia. Comunque.
Il paese sarebbero una piazza, la strada principale e le case intorno. Dietro le case gli orti, dietro gli orti i campi, dietro i campi la macchia, dietro la macchia fine.
Sulla piazza c'e' la fontana del paese, la chiesa del paese e tre bar. Io venivo dalla stazione e mi fermai al primo, che era quello del Brigantino, che era il figlio del Brigantone, che ai suoi tempi ne aveva fatte di cotte e di crude, e col bottino aveva aperto il bar al figlio perche' avesse una vita piu' comoda della sua, che la vita dei briganti non era come nei romanzi francesi dell'Ottocento.
L'insegna era nuova, e diceva "New York bar". Cosi' quando entrai chiesi se era il bar del Brigantino, e il barista mi rispose che il Brigantino era morto e adesso c'era una nuova gestione. "Ah", dissi io. "Eh", disse lui. Ci avete fatto caso quante volte basterebbe dire ah ed eh e si potrebbero risparmiare un sacco di chiacchiere? Io ci ho fatto caso.
"Mica che mi saprebbe dire dov'e' che abita Filisteo Buscaglioni?". Era quello che mi aveva mandato il telegramma. "In galera". "Come, in galera?". "In galera, e' in galera". "E da quando?". "Da ieri". "Da ieri?". "Da ieri". "E perche'?". "Perche' ha ammazzato il sor Benedetto il sordo". Che era il nonno. "Ah", dissi io. "Eh", disse il barista.
Uscii dal bar e mi sedetti sulla panchina vicino alla fontana. E mo'? Forse era meglio che andavo al Comune. Ma il Comune stava in un paese vicino e c'erano altri quattro o cinque chilometri da fare, col vento e la polvere e la valigia. Cosi' decisi che era piu' facile andare dal prete, visto che la chiesa era li' vicino.
La chiesa era chiusa, ma dietro c'era una porta che dava sulla sacrestia, solo che era chiusa pure quella. Allora fermai uno e gli chiesi se mi sapeva dire dove potevo trovare il prete. Ma il prete non abitava li', abitava in quell'altro paese dove c'era pure il Comune. E allora tanto valeva che andavo al Comune.
Pero' prima di rimettermi a scarpinare mi venne un'idea: se c'era stato un omicidio se ne dovevano essere occupati i carabinieri, e la caserma dei carabinieri era dall'altro lato della piazza. Ora, a me la gente in divisa non e' che mi stia particolarmente simpatica, come non mi e' particolarmente simpatica neppure la gente che si mette la tonaca, anzi, a dirsela tutta non mi e' simpatica la gente, tutta la gente. Col lavoro che faccio e' naturale che uno diventa un po' misantropo. Pero' di farmi altri quattro o cinque chilometri proprio no. E allora.
*
- E allora?
- E allora che?
- Il seguito.
- Non c'e' un seguito.
- Ci deve essere un seguito, lei e' andato dai carabinieri, no?
- Io? Manco per idea.
- Come no? Lo stava raccontando.
- Appunto, era un racconto.
- Adesso mi sta prendendo in giro, eh?
- No, era un racconto che mi avevano raccontato.
- E il seguito?
- Non c'e' un seguito, perche' a quel punto suono' la sveglia.
- Allora era un sogno.
- Un sogno, si', ma il sogno di un altro.
- Come il sogno di un altro?
- Se ci avete pazienza ve lo spiego.
- E io la pazienza ce l'ho, e' gratis la pazienza, come la fame.
*
Era venuto al bar quel tizio strano che dicevano che era restato li' buono buono e zitto zitto ad aspettarmi fino dalla mattina, e ogni tanto prendeva un caffe' perche' se stai seduto in un bar qualche consumazione la devi fare, chi ci ha un bar mica lavora a gratis.
Io ci feci un salto dopo pranzo per sentire le novita', e il sor Otello mi disse che c'era quel forestiero che mi aspettava li' dalla mattina. E chi e', dico io. E che ne so, dice il sor Otello. Uno sbirro non pare, dico io. Non si puo' mai sapere, dice il sor Otello. Non si puo' mai sapere no, dico io. Sara' qui per farti la pelle, dice il sor Otello. E perche', dico io. E che ne so, ce lo dovresti sapere tu, dice il sor Otello. Adesso in mente non mi viene niente, dico io. E allora che fai, ci parli o sparisci, dice il sor Otello. Ci parlo, ci parlo, mica che la gente deve pensare che Ciampicone scappa.
- Buonasera.
- Buonasera a lei.
- Ho detto buonasera perche' e' passato mezzogiorno, e dopo mezzogiorno si dice buonasera, per educazione.
- Si', lo so, ho apprezzato.
- Dicono che mi cercava.
- Ah, e' lei ***?
- Per servirla.
- E' da stamattina che l'aspetto.
- Me l'hanno detto.
- Vorrei fare due parole con lei.
- Eccomi.
- E non ci sarebbe un posto un po' piu' riservato?
- Piu' riservato del bar del sor Otello?
- Magari si'.
- Magari no.
- E' che sarebbe una cosa riservata.
- E qui nessuno sente niente che non deve sentire.
- Lei deve avere molta fiducia nella natura umana.
- Io? No, no. E' che ci hanno paura. Di me, ci hanno paura. E allora non sentono.
- E se la paura finisse?
- Non finisce mai.
*
- Pero', scusi, come si fa a dirlo?
- A dirlo che?
- Che la paura non finisce mai.
- E che c'entra?
- Come che c'entra, lei ha detto che la paura non finisce mai.
- No, non l'ho detto io, l'ha detto Ciampicotto, io ve lo raccontavo e basta.
- Ma questo Ciampicotto chi sarebbe?
- Ciampicotto sarei io, e' uno pseudonimo.
- Quindi e' lei.
- E allora?
- Come allora? Allora l'ha detto lei.
- E allora?
- Allora adesso dovrebbe spiegare perche' dice che la paura non finisce mai.
- Chi lo dovrebbe spiegare?
- Lei, cioe' tu, se posso proporre di passare al tu invece di continuare a darci del lei o del voi, che sono formule di cortesia che meritano tutto il rispetto che pero' rendono il discorso piu' confuso.
- Per me va benissimo darci del tu.
- E allora diamoci del tu, no?
- E diamoci del tu.
- Adesso pero' me lo spieghi che vuol dire che la paura non finisce mai.
- Io non devo spiegare niente, ti sto solo raccontando una storia.
- Pero' se uno dice una cosa deve saperlo quello che dice.
- E chi lo dice?
- Quello che lo dice.
- No, non ci siamo capiti, dicevo chi lo dice che se uno dice una cosa deve sapere quel che dice.
- Cioe'?
- Cioe' che?
- Con te non si puo' proprio ragionare, e' meglio che continui a raccontare.
- E' meglio si', che non mi piace per niente di essere interrotto mentre parlo.
*
Allora c'era 'sta regazzetta che mezzo paese se la voleva portare a letto e quell'altro mezzo le voleva cavare gli occhi.
Si chiamava Viola, che magari neppure c'e' una santa che si chiama Viola e cosi' magari neppure faceva la festa dell'onomastico. Secondo me un padre e una madre ci dovrebbero pensare prima di mettere certi nomi ai figli quando sono piccoli che non possono difendersi. Il nome uno se lo dovrebbe mettere da solo quando ci ha venti, trent'anni, che allora ci ha la conoscenza del mondo sufficiente.
'Sta Viola la gente la chiamava pure Viola del pensiero perche' stavano sempre tutti a pensare a lei, con le intenzioni che ho detto prima. E' che al paese di femmine giovani e - se posso permettermi - avvenenti ce ne sono poche perche' scappano tutte in citta' o spariscono. Quelle che spariscono poi ogni tanto qualcuna se ne ritrova sotto qualche palata di stabbio o di terriccio. Ma pure quelle che vanno in citta' non e' che facciano una vita migliore. La vita e' la stessa dappertutto, solo che quelle che scappano ancora non ce lo sanno.
*
- Scusa, eh?
- Mo' che c'e'?
- E' che hai cominciato un'altra storia, hai perso il filo.
- E tu che ne sai?
- Come che ne so?
- Che non e' la stessa storia.
- Eh, si capisce. Adesso racconti di questa Viola che prima non c'era, e quelli di prima qui non ci sono.
- E tu che ne sai?
- Come che ne so?
- Eh, che ne sai?
- So che sono due storie diverse, anzi tre storie diverse se ci contiamo pure quella che raccontavi al principio.
- E che ne sai che non sono tutte e tre la stessa storia?
- Non e' possibile.
- E perche' non sarebbe possibile?
- Perche' la prima intanto era un sogno.
- E no. Non era un sogno.
- Come non era un sogno? Me l'hai detto tu.
- Ho detto che era il sogno di un altro, io ti ho raccontato una cosa vera.
- E che cambia se era il sogno tuo o di un altro.
- Cambia tutto, se ci pensi bene.
- Comunque non ci aveva nessun nesso con la seconda storia.
- E chi lo dice.
- Io.
- Perche' non capisci neppure quanto sei lungo. quel sogno me l'ha raccontato quello che m'aspettava al bar.
- E perche' te l'avrebbe raccontato?
- Per via della storia di Viola, no?
- Ah.
- Eh, adesso lo vedi?
- Lo vedo che?
- Che non ci hai capito un colpo. Lo hai mai letto il dottor Freud?
- L'ho sentito dire, ma letto non l'ho letto mai, a me piacciono i gialli e la fantascienza.
- Pure a me piacciono i gialli e la fantascienza, pero' uno dovrebbe leggere pure qualche altra cosa, no?
- Magari si', ad averci il tempo.
- Ma il tempo si trova, no?
- Vabbe', continua a raccontare.
- Se la smetti di interrompere continuo si'.
*
Quando spari' Viola la gente se ne accorse subito, le tenevano sempre tutti gli occhi addosso. E tutti si chiedevano chi era stato. E piu' di tutti se lo chiedeva Robespierro.
Che adesso di sicuro tu me lo chiedi chi e' Robespierro, eh?
E' il nome che gli ho dato io a quello che m'era venuto a cercare al bar del sor Otello, che non e' il nome vero. Neppure quello di Viola e' il nome vero.
E Robespierro mi dice che lui ci ha un sospetto che gli e' venuto quando ha fatto un sogno, e che ci ha pure da parte qualche soldarello, e che vorrebbe spendere quei soldarelli e che vorrebbe ottenere giustizia. Per questo mi e' venuto a cercare, e si era portato dietro i soldarelli.
Io gli ho fatto pure a lui un discorsetto, come lo faccio a tutti prima di accettare un incarico, cosi' come prima di portarlo a termine del resto, che mi piacciono le cose chiare; e alla fine gli ho chiesto se era proprio sicuro, e lui ha detto di si'. Ha lasciato quello che doveva lasciare ed e' uscito dal bar che era piu' leggero. Poi lemme lemme se ne e' andato alla stazione ad aspettare il primo treno che passava.
Cosi' eccomi qui.
Adesso, adesso dovresti dire qualche cosa.
 
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 437 del 3 febbraio 2021
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