[Nonviolenza] Telegrammi. 3961
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 3961
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- Date: Mon, 21 Dec 2020 19:27:21 +0100
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3961 del 22 dicembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Alcune poesie di Adrienne Rich
2. Giacomo Leopardi: La ginestra o il fiore del deserto
3. Danilo Dolci ricorda Aldo Capitini
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI ADRIENNE RICH
[Riproponiamo ancora una volta questa scelta di versi di Adrienne Rich, dal volume Esplorando il relitto, Savelli, Milano 1979 (edizione originale: Diving into the Wreck, W. W. Norton, New York 1973, premiato con il National Book Award nel 1974), nella traduzione di Liana Borghi (che di Adrienne Rich e' traduttrice e studiosa acutissima).
Adrienne Rich (Baltimora, 16 maggio 1929 - Santa Cruz, 27 marzo 2012) e' stata una grandissima poetessa e saggista femminista americana di straordinaria intensita' e profondita', di forte impegno civile, militante per la pace e la dignita' umana. Presentando alcuni suoi versi anni fa scrivevamo che "Adrienne Rich e' l'autrice di Nato di donna, un libro la cui lettura e' ineludibile. Ma e' anche una poetessa che ha scritto versi che ti tolgono il respiro, ovvero te lo restituiscono. Ed una militante per la pace e i diritti umani di grande rigore e nitore". Dal sito www.crocettieditore.com riprendiamo la seguente scheda di alcuni anni fa: "Adrienne Rich e' nata il 16 maggio 1929 a Baltimora. Poetessa, saggista e militante femminista, a ventun anni ha vinto il Premio Yale per giovani poeti con A change of world (1951, Un mutamento di mondo). Ha, inoltre, pubblicato le raccolte poetiche Gli intagliatori di diamanti (1955, The diamond cutters), Necessita' del vivere (1966, Necessities of life), Esplorando il relitto (1973, Diving into the wreck), Il sogno di una lingua comune (1978, The dream of a common language), Atlante del mondo difficile (1991, Atlas of the difficult world); e i saggi Nato di donna (1976, Born of woman), Segreti silenzi bugie (1966-78, On lies, secrets and silence), Sangue, pane e poesia (1986, Blood, bread and poetry); e la raccolta Oscuri campi della repubblica (1991-95, Dark fields of the republic), che comprende anche numerose sequenze narrative". Tra le opere di Adrienne Rich: Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, 2000; Esplorando il relitto, Savelli, Milano 1979; Segreti silenzi bugie, La Tartaruga, Milano 1982; Lo spacco alla radice, Estro, Firenze 1985; Come la tela del ragno, La Goliardica, Roma 1985; Cartografie del silenzio, Crocetti, Milano 2000]
Cercando di parlare con un uomo
In questo deserto collaudiamo bombe,
ecco perche' siamo venuti qui.
Talvolta sento un fiume sotterraneo
premere tra due scogliere deformi
un angolo acuto di comprensione
spostarsi come un loco del sole
in questo paesaggio condannato.
A cosa abbiamo rinunciato per arrivare fin qui -
intere collezioni di Lp, film recitati da noi
ormai in terza visione, vetrine di fornai
piene di biscotti ebraici secchi, alla cioccolata
il linguaggio delle lettere d'amore, dei suicidi,
pomeriggi sul greto del fiume
fingendo di essere bambini
Venendo in questo deserto
di cui volevamo cambiare il volto
guidando tra cactacee verde spento
camminando a mezzogiorno nelle citta' morte
circondati da un silenzio
che sembra il silenzio di questo luogo
solo che e' venuto con noi
ed e' familiare
e tutte le cose finora dette
erano uno sforzo per cancellarlo -
Venendo qui siamo al confronto
Qui mi sento piu' indifesa
con te che senza te
Tu accenni al pericolo
elenchi l'equipaggiamento
parliamo di persone che si aiutano
in casi di emergenza - lacerazione, sete -
ma tu guardi me come un caso d'emergenza
Il tuo calore secco e' potere
i tuoi occhi sono stelle di una grandezza diversa
riflettono luci che dicono: uscita
quando ti alzi e misuri coi passi il pavimento
parlando del pericolo
come se non fossimo noi
come se collaudassimo qualcos'altro.
1971
*
Quando noi morti ci destiamo
Per E. Y.
1. Cercando di dirti come
l'anatomia del parco
attraverso i vetri macchiati, il modo
in cui i guerriglieri avanzano
sui campi minati, l'immondizia
che brucia senza fine nel cumulo
per tornarsene in cielo come macchia -
ogni cosa fuori della nostra pelle e' un'immagine
di questa afflizione:
pietre sulla mia tavola, portate a mano
da scene di cui mi fidavo
ricordi di quel che un tempo descrissi
come felicita'
ogni cosa fuori della mia pelle
parla del difetto che mi fa zoppicare
persino le cicatrici delle mie decisioni
persino lo sprazzo di sole nella vena di mica
persino tu, compagna creatura, sorella,
che mi siedi di fronte, scura d'amore,
lavorando come me a disfare
lavorando come me a rifare
questo strascico di maglia, questo panno di oscurita',
questo indumento di donna, cercando di salvar la matassa.
2. Il fatto di essere una persona separata
entra nella tua esistenza come un mobile
- un cassone di legno del Seicento
di qualche parte del Nord.
Ha una serratura enorme modellata a testa di donna
ma la chiave non s'e' trovata.
Negli scompartimenti ci sono altre chiavi
di porte smarrite, un occhio di vetro.
Piano cominci ad aggiungere
cose tue.
Vai e vieni riflessa nei pannelli.
Smetti di ricordare gli anniversari,
cominci a scrivere nei tuoi diari
piu' onestamente che mai.
3. L'incantevole paesaggio del Sud Ohio
tradito dalle miniere a cielo aperto, la
grossa fede d'oro al dito dell'adultero
i programmi indistinti della radio pirata vicino alla costa
sono motivi di esitazione.
Qui nella matrice del bisogno e della rabbia, la
confutazione di quanto ritenemmo possibile
fallimento di cure
dubbi sull'esistenza dell'altro
- dillo e ripetilo, le parole
si addensano di non senso -
eppure mai siamo stati piu' vicini alla verita'
delle menzogne che vivevamo, ascoltami:
la fedelta' che so immaginare sarebbe un'erbaccia
che fiorisce nel catrame, un'energia blu che buca
gli atomi ammassati di una roccia d'incredulita'.
1971
*
Svegliandosi nel buio
1. La cosa che mi arresta e'
come siamo composti di molecole
(mi mostro' il disegno del selciato)
disposte senza nostro consenso e consapevolezza
come la telefoto composta
di milioni di puntini
nella quale l'uomo del Bangladesh
cammina affamato
sulla prima pagina
senza saperne niente
e questa e' la sua presenza per il mondo.
2. Stavamo in fila fuori di qualcosa
due a due, o da soli a coppia, o solamente soli,
guardando vetrine piene di forbici,
vetrine piene di scarpe. La strada chiudeva,
la citta' chiudeva, avremmo avuto noi la fortuna
di farcela? Esponevano
in una teca, l'Uomo senza patria.
Gli alzammo i passaporti in faccia, piangemmo per lui.
Scaricano sangue animale nel mare
per attirare i pescecani. Talvolta ogni
aperura del mio corpo
perde sangue. Non so se
far finta che sia naturale.
C'e' una legge per questo, una legge di natura?
Tu adori il sangue
lo chiami perdita isterica
lo vuoi bere come latte
vi immergi il dito e scrivi
svieni all'odore
sogni di scaricarmi in mare.
3. La tragedia del sesso
e' intorno a noi, un lotto di bosco
per cui si affilano le asce.
I vecchi ripari e capanni
fissano dalla radura con una certa risolutezza
- la capanna dell'eremita', il rifugio dei cacciatori -
scene di masturbazione
e barzellette sporche.
Un mondo di uomini. Ma finito.
Loro stessi l'hanno venduto alle macchine.
Cammino nella foresta ignara
una donna nella vecchia uniforme da corve'
che si e' ristretta per starle, sono persa
a momenti, mi sento stordita
dal sole che muove le zampe tra gli alberi,
ho freddo nell'umido lichene del folto.
Niente si salvera'. Sono sola,
a calciare gli ultimi tronchi marci
con il loro strano odore di vita, non di morte,
a chiedermi cosa mai avrebbe potuto diventare tutto questo.
4. Chiarezza,
spruzzo
che acceca e purga
strali di sole che battono l'acqua
i corpi filano nell'aria
come alianti
i corpi al rallentatore
cadono
nella piscina
alle Olimpiadi di Berlino
controllo; perdita di controllo
i corpi risalgono
ritornano arcuati alla torre
il tempo si riavvolge su se stesso
chiarezza di aria aperta
dinanzi alle camere oscure
con le teste di doccia
i corpi ricadono ancora
a piombo
piu' veloci della luce
l'acqua si apre
come aria
come percezione
Una donna ha fatto questo film
contro
la legge
di gravita'.
5. Tutta la notte ho sognato un corpo
sul quale lo spazio pesa diversamente che sul mio
Facciamo l'amore per strada
il traffico rifluisce da noi
si rovescia come un lenzuolo
l'asfalto freme di tenerezza
non c'e' sgomento
ci muoviamo insieme come piante sott'acqua
Ancora e ancora, sul punto di svegliarmi
mi rituffo a scoprirti
che ancora bisbigli, toccami, continuiamo
a fluire per la lenta
foresta-oceano di luci di citta'
che ci smuove i peli del corpo
Ma questo e' il sogno che parla
svegliandomi
vorrei ci fosse un dove
reale su cui stare
e passarci il cannocchiale
e guardare la terra, il bosco selvaggio
dove lo spacco si apri'
1971
*
Incipienza
1. Vivere, giacere svegli
sotto l'intonaco scrostato
mentre si forma il ghiaccio sulla terra
a un'ora in cui niente si puo' fare
per affrettare le decisioni
sapere che il filo si compone
nel corpo del ragno
primi atomi della tela
visibile domani
sentire il futuro infuocato
di ogni fiammifero in cucina
Niente si puo' fare
se non a gradi. Scrivo la mia vita
ora per ora, parola per parola
guardando la rabbia delle vecchie sull'autobus
numerando le striature
d'aria nel cubetto di ghiaccio
immaginando l'esistenza
di qualcosa non ancora creato
questa poesia
le nostre vite
2. Un uomo dorme nella stanza accanto
Noi siamo i suoi sogni
Abbiamo testa e seni di donne
corpi di uccelli da preda
Talvolta ci tramutiamo in serpenti d'argento
Mentre vegliamo fumando e parlando di come vivere
lui si gira nel letto e mormora
Un uomo dorme nella stanza accanto
Un neurochirurgo entra nel suo sogno
e comincia a sezionargli il cervello
Lei non sembra un'infermiera
e' assorta nel suo lavoro
ha un volto severo, delicato come Marie Curie
Non e' / potrebbe essere una di noi due
Un uomo dorme nella stanza accanto
Ha passato tutto un giorno
in piedi, a tirare sassi nello stagno nero
che si mantiene nero
fuori del suo sogno noi saliamo incerte su per la collina
mano nella mano, saliamo incerte su per la collina
sopra la roccia vulcanica sfregiata.
1971
*
Dopo vent'anni
Per A. P. C.
Due donne siedono a un tavolo vicino a una finestra, ognuna colpita
diversamente dalla stessa luce.
Parlando sprizzano scintille
che i passanti per strada osservano
come un riflesso sul vetro di quella finestra.
Due donne nel fiore della vita.
I loro figli sono tanto grandi da avere figli.
La solitudine e' parte della loro storia da vent'anni,
il bordo scuro della pronta lingua,
il risvolto cupo dell'immaginazione.
C'e' neve e tuono nella strada.
Mentre parlano il lampo balena viola.
E' strano essere cosi' tante donne,
che mangiano e bevono alla stessa tavola,
che hanno lavato i bambini nello stesso lavabo
che hanno nascosto segreti l'una all'altra
hanno camiminato sul pavimento della loro vita in camere separate
e confluiscono ora nella storia come la donna del loro tempo
che vive nel fiore della vita
come in una citta' dove niente e' proibito
e niente permane.
1971
*
Lo specchio in cui due si vedono come una
1. E' lei che chiami sorella.
Il suo atto piu' semplice affascina,
come quando squama un pesce il coltello
la balena fra le lunghe dita
senza spreco di movimento o quando
rapida parlando d'amore
forbisce con la paglietta
il bollitore ammaccato
I pomi d'oro ti torcono il fianco
con improvviso vuoto
i cereali ti gonfiano, ogni grano
di spiga matura raccolto a mano
Amore: il frigorifero
spalancato
le bistecce frollate si dissanguano
nella pellicola di plastica
il burro montato, le albicocche
gli avanzi acidi
Una cesta aspetta nel frutteto
che tu la riempia
le tue mani si scorticano contro
la ruvida corteccia,
le spine di questa pianta succulenta
Cogli, cogli, cogli
questo raccolto e' un fallimento
il succo ti scorre sugli zigomi
come sudore o lacrime
2. E' lei che chiami sorella
tu sfolgori come lampo per la stanza
le guizzi attorno come fiamma
ti abbagli nei suoi grandi occhi
enumerando le necessita' che non sente
spingendo i principi della tua vita
fra le sue mani
Lei si muove in un mondo di stoffa indiana
il corpo morbido
di ombre, il casimiro gonfio sui fianchi
mentre cammina per la strada con la camicetta di cotone
a comprare fichi freschi perche' tu li adori
a fotografare il ghetto perche' ce l'hai portata tu
Perche' piangi asciugati le lacrime
siamo sorelle
ti mancano le parole al suo sguardo affamato
le porgi un altro libro
segnato dalla tua matita
le porgi un disco
di due flauti che in India recitano
3. Tardi nella notte d'estate gli insetti
sfrigolano nel globo ingiallito
la tua pelle brucia dorata alla luce
In questo specchio, chi sei? Sogni del convento
con la sua disciplina, della stanza dei bambini
con la bambinaia, dell'ospedale
dove tutti i potenti sono mascherati
del cimitero dove siedi sulle tombe
di donne che morirono di parto
di donne che morirono nascendo
Sogni della nascita di tua sorella
tua madre che muore e muore e muore di parto
senza sapere come fermarsi
partorendoti ancora e ancora
tua madre morta e tu non ancora nata
le tue due mani ti afferrano la testa
tirandola giu' contro la lama della vita
i tuoi nervi i nervi di una levatrice
che impara il mestiere
1971
*
Canzone
Ti domandi se mi sento sola:
Ok allora, si', mi sento sola
come un aereo vola solo e orizzontale
sulla sua onda radio, puntando
oltre le Montagne Rocciose
verso le piste recinte di blu
di un aeroporto sull'oceano
Mi vuoi chiedere, mi sento sola?
Bene, certo, sola
come una donna che attraversa il paese guidando
giorno dopo giorno, lasciandosi dietro
miglio dopo miglio
piccole citta' dove avrebbe potuto fermarsi
a vivere e morire, da sola
Se mi sento sola
dev'essere la solitudine
di svegliarsi per prima, di respirare
il primo respiro freddo dell'alba sulla citta'
di essere l'unica che e' sveglia
in una casa avvolta nel sonno
Se mi sento sola
e' come la barca chiusa nel ghiaccio della riva
nell'ultima luce rossa dell'anno
che sa che cos'e', che sa che non e'
ghiaccio ne' fango ne' luce d'inverno
ma legno, con quel dono di poter bruciare
1971
*
A tuffo nel relitto
Avendo prima letto il libro dei miti
e caricato la macchina fotografica,
e tastato la lama del coltello,
mi misi
l'armatura di gomma nera
le pinne assurde
la maschera seria e ingombrante.
Mi tocca far questo
non come Cousteau con la sua
equipe assidua
a bordo della goletta inondata di sole
ma qui da sola.
C'e' una scala.
La scala c'e' sempre
pende innocente
al fianco della goletta.
Sappiamo a che serve,
noi che l'abbiamo usata.
Altrimenti
e' un pezzo di filamento marino
un attrezzo qualsiasi.
Scendo.
Piolo dopo piolo e ancora
l'ossigeno mi immerge
la luce azzurra
gli atomi chiari
della nostra aria umana.
Scendo.
Le pinne mi paralizzano,
striscio come un insetto giu' per la scala
e non c'e' nessuno
a dirmi quando l'oceano
comincia.
Prima l'aria e' azzurra e poi
e' piu' azzurra e poi verde e poi
nera vedo tutto nero eppure
la maschera e' buona
pompa forza al mio sangue
il mare e' un'altra storia
il mare non e' questione di forza
devo imparare da sola
a muovere il corpo senza sforzo
nel profondo dell'elemento.
E ora: e' facile dimenticare
perche' sono venuta
in mezzo a chi e' sempre
vissuto qui
agitando ventagli smerlati
fra le scogliere
E inoltre
si respira in modo diverso quaggiu'.
Sono venuta a esplorare il relitto.
Le parole sono propositi.
Le parole sono mappe.
Sono venuta a vedere il danno che e' stato fatto
e i tesori che sono rimasti.
Carezzo il raggio della mia lampada
lentamente lungo il fianco
di qualcosa piu' duraturo
dei pesci o le alghe
La cosa per cui venni:
il relitto e non la storia del relitto
la cosa stessa e non il mito
il volto annegato che sempre guarda
verso il sole
la prova del danno
erosa dal sale e dai flutti a questa bellezza consunta
le costole del disastro
che curvano la loro asserzione
fra i cauti fantasmi.
Questo e' il posto.
E sono qui, la sirena i cui capelli scuri
fluttuano neri, il tritone dal corpo corazzato
Giriamo in silenzio
attorno al relitto
ci tuffiamo nella stiva.
Io sono lei: io sono lui
il cui volto annegato dorme a occhi aperti
I cui seni ancora portano il peso
Il cui carico d'argento, rame, vermeil giace
oscuro nei barili
semi-incastrati e lasciati a marcire
noi siamo gli strumenti semi-distrutti
che un tempo tennero la rotta
il solcometro corroso dall'acqua
la bussola impazzita
Siamo, sono sei
per vilta' o per coraggio
quell'uno che torna sempre
a questa scena
portando un coltello, una macchina fotografica
un libro di miti
nel quale
i nostri nomi non compaiono.
1972
*
Struggendosi di fuoco
In una libreria dell'East Side
ho letto la testimonianza di un veterano:
hanno investito senza ragione
una vecchia nel Sud Vietnam
con un camion dell'Esercito Usa
L'ondata di caldo e' finita
inerte, assolata, l'East Side
riposa sotto le pensiline
Un'altra estate
le fiamme continuano a nutrirsi
e un caldo afoso permea il terreno
della mente, la bruciatura ha fatto presa
come se non avese piu' dubbi
sul suo diritto a divorare
il resto di una vita
il resto della storia
Stralci di notizie, come questa
soffiano sul mucchio
lo nutrono, che si voglia o no,
un'altra estate, e un'altra ancora
di sofferenza quieta
nelle librerie, nei parchi
per questo noi gridiamo, noi
soffriamo in silenzio
1972
*
Distruggendosi di fuoco
Per E. K.
Guardiamo nella stufa stasera
come in uno specchio, si',
il ciocco corrugato, il nucleo
gassoso giallo-blu
la cenere grigia screziata di rosso, si',
li conosco dentro le palpebre
e sotto la pelle
Il tempo ci afferra come una corrente
che sale, succhiando i calori
del ventre, del cervello
Mi dicesti di aver posto la mano
sull'orma di un indiano morto da molto tempo
e per un attimo conobbi quella mano,
quell'orma, quella roccia,
quel sole che produce vividi sogni
Una parola puo' far questo
o, come stasera, lo specchio del fuoco
della mia mente, che brucia come se potesse continuare
a bruciare se stesso, bruciando appena
divorando tutto
finche' non c'e' niente nella vita
che non ha nutrito quel fuoco
1972
*
Per una sorella
Per Natalya Gorbanevskaya, incarcerata per due anni in un manicomio
sovietico per attivismo politico; e altri
Non mi fido di nessuno di loro. Solo della mia esistenza
gettata nel mondo come una catena da traino
sbattuta e contorta da molti collegamenti casuali
tirata di qua, tirando di la'.
Devo rubare la sensazione di polvere sul pavimento,
di latte inacidito nella dispensa
dopo che vennero a prenderti.
Sono costretta a immaginare lo sguardo che hai lanciato dietro di te.
Pochi paragrafi sui giornali,
tenendo conto degli errori di stampa, le omissioni volute,
la violenza specializzata dei medici.
Non mi fido di loro, ma sto imparando a usarli.
Poco a poco dalle congetture sfocate
emerge il tuo viso, un marmo sommerso
issato lentamente dal profondo.
Sento le corde irrigidirsi sotto il peso della disperazione.
Ti hanno perquisito per contrabbando, hanno preso delle annotazioni.
Uno sguardo d'intelligenza potrebbe costarti vent'anni.
Meglio tracciare cerchi inesistenti con il dito,
cercare di imitare il sorriso di chi e' per sempre ottuso.
Immagini mie. Questa metafora per cio' che succede.
Un geranio in fiamme su una tovaglia verde
diventa tuo. Tu, tornando a casa dopo
per accendere la stufa, prendi la macchina da scrivere e ricominci. La tua
storia.
1972
*
Per chi e' morto
Ho sognato che ti chiamavo al telefono
per dire: Sii piu' dolce con te stesso
ma tu stavi male e non hai risposto
Lo spreco del mio amore continua cosi'
cercando di salvarti da te stesso
Mi ha sempre dato da pensare l'energia
residua, acqua che scorre giu' per la collina
molto dopo che le piogge sono cessate
o il fuoco che devi abbandonare per andare a letto
ma che non puoi lasciare, quasi ma non del tutto spento
i carboni rossi piu' vivi, piu' curiosi
nelle vampate di fiamma e nel morire
di quanto vorresti tu
seduta la' assai dopo la mezzanotte
1972
*
Da un sopravvissuto
Il patto che facemmo era il solito patto
di uomini e donne di allora
Non so chi credevamo di essere
che la nostra personalita'
potesse resistere al fallimento generale
Per fortuna o sfortuna, non sapevamo
che la razza umana fosse in fallimento
e che vi saremmo stati coinvolti
Come chiunque altro, pensavamo di essere speciali
Il tuo corpo per me e' vivido
come lo e' sempre stato; anche di piu'
perche' e' piu' chiaro cio' che sento
so cosa poteva e cosa non poteva fare
non e' piu'
il corpo di un dio
o qualcosa che ha potere sulla mia vita
L'anno prossimo sarebbero stati venti anni
e tu sei morto con spreco
tu che avresti potuto fare quel salto
che parlammo, troppo tardi, di fare
che io vivo ancora
non come un salto
ma un susseguirsi di brevi movimenti sorprendenti
ognuno dei quali rende possibile il seguente
1972
2. MAESTRI. GIACOMO LEOPARDI: LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce
Giovanni, III, 19
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor ne' fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna de' mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiar di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur citta' famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
E' il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potra' dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e puo' con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra se. Non io
Con tal vergogna scendero' sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avro' quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'eta' propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Liberta' vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civilta', che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Cosi' ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci die'. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fe' palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama se ne' stima
Ricco d'or ne' gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma se di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io gia', ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicita', quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge si', che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura e' quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir, ne' gli odii e l'ire
Fraterne, ancor piu' gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma da' la colpa a quella
Che veramente e' rea, che de' mortali
Madre e' di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome e' il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra se confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede cosi', qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul piu' vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Cosi' fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probita' del volgo
Cosi' star suole in piede
Quale star puo' quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e sulla mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo voto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo e' nulla,
Sconosciuto e' del tutto; e quando miro
Quegli ancor piu' senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o cosi' paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiu', di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente eta', che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pieta' prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui la' nel tardo autunno
Maturita' senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; cosi' d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli,
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar la' su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e citta' nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo pie' quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom piu' stima o cura
Che alla formica: e se piu' rara in quello
Che nell'altra e' la strage,
Non avvien cio' d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcar poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta piu' mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando piu' volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pieta' rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Cosi', dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per si' lungo cammino,
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternita' s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Gia' noto, stendera' l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Ne' sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma piu' saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
3. MAESTRI. DANILO DOLCI RICORDA ALDO CAPITINI
[Nuovamente riproponiamo questa poesia, del ciclo "Sopra questo frammento di galassia", che abbiamo estratto da Danilo Dolci, Poema umano, Einaudi, Torino 1974 (nuova edizione aumentata), pp. 187-188. Ne esistono altre versioni, poiche' come e' noto Danilo Dolci nel suo costante maieutico ricercare frequentemente ripensava e riscriveva i suoi testi (cfr., ad esempio, la versione sensibilmente piu' breve in Idem, Creatura di creature. Poesie 1949-1978, Feltrinelli, Milano 1979, p. 92).
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso il 30 dicembre 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Recente e' il volume che pubblica il rilevante carteggio Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. i dvd di Alberto Castiglione: Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004, e Verso un mondo nuovo, 2006.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Tra le opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' ancora quella a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori, Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); ma notevole ed oggi imprescindibile e' anche la recente antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004, 2007; delle singole opere capitiniane sono state recentemente ripubblicate: Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989, Edizioni dell'asino, Roma 2009; Elementi di un'esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; Colloquio corale, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005; L'atto di educare, Armando Editore, Roma 2010; cfr. inoltre la raccolta di scritti autobiografici Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; La religione dell'educazione, La Meridiana, Molfetta 2008; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007; Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Tra le opere su Aldo Capitini: a) per la bibliografia: Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Bibliografia di scritti su Aldo Capitini, a cura di Laura Zazzerini, Volumnia Editrice, Perugia 2007; Caterina Foppa Pedretti, Bibliografia primaria e secondaria di Aldo Capitini, Vita e Pensiero, Milano 2007; segnaliamo anche che la gia' citata bibliografia essenziale degli scritti di Aldo Capitini pubblicati dal 1926 al 1973, a cura di Aldo Stella, pubblicata in Il messaggio di Aldo Capitini, cit., abbiamo recentemente ripubblicato in "Coi piedi per terra" n. 298 del 20 luglio 2010; b) per la critica e la documentazione: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Mario Martini (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Gian Biagio Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita, Manduria 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; Alarico Mariani Marini, Eligio Resta, Marciare per la pace. Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Plus, Pisa 2007; Maura Caracciolo, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008; Mario Martini, Franca Bolotti (a cura di), Capitini incontra i giovani, Morlacchi, Perugia 2009; Giuseppe Moscati (a cura di), Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni, Levante, Bari 2010; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; e Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006; c) per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato ed i volumi bibliografici segnalati sopra]
Ne sento il vuoto.
Era morto un bimbo, di fame:
recline sulle braccia della madre gialla,
il latte trovato in farmacia scivolava sulle labbruzze
inerti - era tardi.
Terribilmente semplici avevamo deciso
di metterci al posto del piccolo, uno dopo l'altro,
fin che non si apriva lo spiraglio del lavoro
per tutti: nella stanza terrana del vallone
tra la gente stupita (curiosavano i piccoli
il prete era sparito,
il medico e i notabili tentavano velare
con la parola intossicazione
per continuare a parassitare tranquilli il paese,
i giovani meditavano,
mi piangevano i vecchi - perche', tu? -,
sentivo, sotto, un pozzo senza fondo)
dopo giorni la postina e' venuta
con una lettera, di uno sconosciuto,
firmata Aldo Capitini.
Poi l'ho incontrato, in alto nella torre
del Comune a Perugia,
la dimora del padre campanaro:
era impacciato a camminare
ma enormemente libero e attivo,
concentrato ma aperto alla vita di tutti,
non ammazzava una mosca
ma era veramente un rivoluzionario,
miope ma profeta.
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Francesca Maria Corrao (a cura di), Giufa' il furbo, lo sciocco, il saggio, Mondadori, Milano 1991, pp. 192.
- Sylvia Plath, Diari, Adelphi, Milano 1998, 2004, pp. 438.
- Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Minimum fax, Roma 2005, pp. 468.
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3961 del 22 dicembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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