[Nonviolenza] Telegrammi. 3949
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 3949
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 9 Dec 2020 19:32:39 +0100
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3949 del 10 dicembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Ricordando Lidia Menapace. Un incontro di riflessione a Viterbo
2. Umberto Eco: Il fascismo eterno
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. RICORDANDO LIDIA MENAPACE. UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO
La sera di martedi' 8 dicembre 2020 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" si e' tenuto un incontro di riflessione in memoria di Lidia Menapace.
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dall'ultimo Dpcm per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
All'incontro ha preso parte Paolo Arena.
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Una minima notizia su Lidia Menapace
Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, ha preso parte alla Resistenza, e' stata poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto", senatrice; e' stata tra le voci piu' significative e autorevoli della cultura e del movimento delle donne, dei movimenti di pace, solidarieta' e liberazione, della vita civile italiana. E' deceduta nel 2020. Opere di Lidia Menapace: la maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari (ora naturalmente anche siti internet); tra i suoi libri: Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968, pp. 120; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968, pp. 76; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974, pp. 220; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987, pp. VIII + 140; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988, pp. 244; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000, pp. 32; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001, pp. 86; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004, pp. 140; Lettere dal palazzo, Marea - Erga Edizioni, Genova 2007, pp. 160; Un anno al senato, Tracce, Pescara 2009, pp. 300; ... A furor di popolo!, Marea, Genova 2012, pp. 134; Io, partigiana, Manni, San Cesario di Lecce 2014, 2015, pp. 162; Canta il merlo sul frumento, Manni, San Cesario di Lecce 2015, pp. 144.
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Una minima notizia su Paolo Arena
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica, di storia linguistica dell'Italia contemporanea. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it
2. REPETITA IUVANT. UMBERTO ECO: IL FASCISMO ETERNO
[Da Umberto Eco, Cinque scritti morali, Bompiani, Milano 1997 riprendiamo il saggio "Il fascismo eterno" (pp. 25-48), testo italiano della conferenza pronunciata in inglese alla Columbia University il 25 aprile 1995]
Nel 1942, all'eta' di dieci anni, vinsi il primo premio ai Ludi Juveniles (un concorso a libera partecipazione coatta per giovani fascisti italiani - vale a dire, per tutti i giovani italiani). Avevo elaborato con virtuosismo retorico sul tema: "Dobbiamo noi morire per la gloria di Mussolini e il destino immortale dell'Italia?" La mia risposta era stata affermativa. Ero un ragazzo sveglio.
Poi nel 1943 scopersi il significato della parola "liberta'". Raccontero' questa storia alla fine del mio discorso. In quel momento "liberta'" non significava ancora "liberazione".
Ho passato due dei miei primi anni tra SS, fascisti e partigiani, che si sparavano l'un l'altro, e ho imparato come scansare le pallottole. Non e' stato male come esercizio.
Nell'aprile del 1945 i partigiani presero Milano. Due giorni dopo arrivarono nella piccola citta' dove vivevo. Fu un momento di gioia. La piazza principale era affollata di gente che cantava e sventolava bandiere, invocando a gran voce Mimo, il capo partigiano della zona. Mimo, ex maresciallo dei carabinieri, si era messo coi badogliani e aveva perso una gamba in uno dei primi scontri. Si fece vedere al balcone del comune, appoggiato alle sue stampelle, pallido; cerco' con una mano di calmare la folla. Io ero li' che aspettavo il suo discorso, visto che tutta la mia infanzia era stata segnata dai grandi discorsi storici di Mussolini, di cui a scuola imparavamo a memoria i passi piu' significativi. Silenzio. Mimo parlo' con voce rauca, quasi non si sentiva. Disse: "Cittadini, amici. Dopo tanti dolorosi sacrifici... eccoci qui. Gloria ai caduti per la liberta'". Fu tutto. E torno' dentro. La folla gridava, i partigiani alzarono le loro armi e spararono in aria festosamente. Noi ragazzi ci precipitammo a raccogliere i bossoli, preziosi oggetti da collezione, ma avevo anche imparato che la liberta' di parola significa liberta' dalla retorica.
Alcuni giorni dopo vidi i primi soldati americani. Erano afro-americani. Il primo yankee che incontrai era un nero, Joseph, che mi fece conoscere le meraviglie di Dick Tracy e di Li'l Abner. I suoi fumetti erano a colori e avevano un buon odore.
Uno degli ufficiali (il maggiore o capitano Muddy) era ospite nella villa della famiglia di due mie compagne di scuola. Ero a casa mia in quel giardino dove alcune signore facevano crocchio intorno al capitano Muddy, parlando un francese approssimativo. Il capitano Muddy aveva una buona educazione superiore e conosceva un po' di francese. Cosi', la mia prima immagine dei liberatori americani, dopo tanti visi pallidi in camicia nera, fu quella di un nero colto in uniforme giallo-verde che diceva: "Oui, merci beaucoup Madame, moi aussi j'aime le champagne..." Sfortunatamente mancava lo champagne, ma dal capitano Muddy ebbi il mio primo chewing-gum e cominciai a masticare tutto il giorno. Di notte mettevo la cicca in un bicchiere d'acqua, per tenerla in fresco per il giorno dopo.
In maggio, sentimmo dire che la guerra era finita. La pace mi diede una sensazione curiosa. Mi era stato detto che la guerra permanente era la condizione normale per un giovane italiano. Nei mesi successivi scoprii che la Resistenza non era solo un fenomeno locale, ma europeo. Imparai nuove, eccitanti parole come "reseau"; "maquis", "armee secrete", "Rote Kapelle" "ghetto di Varsavia". Vidi le prime fotografie dell'Olocausto, e ne compresi cosi' il significato prima di conoscere la parola. Mi resi conto da che cosa eravamo stati liberati.
In Italia vi sono oggi alcuni che si domandano se la Resistenza abbia avuto un reale impatto militare sul corso della guerra. Per la mia generazione la questione e' irrilevante: comprendemmo immediatamente il significato morale e psicologico della Resistenza. Era motivo d'orgoglio sapere che noi europei non avevamo atteso la liberazione passivamente. Penso che anche per i giovani americani che versavano il loro tributo di sangue alla nostra liberta' non era irrilevante sapere che dietro le linee c'erano europei che stavano gia' pagando il loro debito.
In Italia c'e' oggi qualcuno che dice che il mito della Resistenza era una bugia comunista. E vero che i comunisti hanno sfruttato la Resistenza come una proprieta' personale, dal momento che vi ebbero un ruolo primario; ma io ricordo partigiani con fazzoletti di diversi colori.
Appiccicato alla radio, passavo le mie notti - le finestre chiuse, e l'oscuramento generale che faceva del piccolo spazio intorno all'apparecchio l'unico alone luminoso - ascoltando i messaggi che Radio Londra trasmetteva ai partigiani. Erano al tempo stesso oscuri e poetici ("Il sole sorge ancora", "Le rose fioriranno"), e la maggior parte erano "messaggi per la Franchi". Qualcuno mi bisbiglio' che Franchi era il capo di uno dei gruppi clandestini piu' potenti dell'Italia del Nord, un uomo dal coraggio leggendario. Franchi divenne il mio eroe. Franchi (il cui vero nome era Edgardo Sogno) era un monarchico, cosi' anticomunista che dopo la guerra si uni' a gruppi di estrema destra, e venne anche accusato di aver collaborato a un colpo di stato reazionario. Ma che importa? Sogno rimane ancora il sogno della mia infanzia.
La liberazione fu un'impresa comune per gente di diverso colore.
In Italia c'e' oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale. Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. Ma la repressione provoca nevrosi. Se riconciliazione significa compassione e rispetto per tutti coloro che hanno combattuto la loro guerra in buona fede, perdonare non significa dimenticare. Posso anche ammettere che Eichmann credesse sinceramente nella sua missione, ma non mi sento di dire: "Okay, torna e fallo ancora." Noi siamo qui per ricordare cio' che accadde e per dichiarare solennemente che "loro" non debbono farlo piu'.
Ma chi sono "loro"?
Se pensiamo ancora ai governi totalitari che dominarono l'Europa prima della seconda guerra mondiale, possiamo dire con tranquillita' che sarebbe difficile vederli ritornare nella stessa forma in circostanze storiche diverse. Se il fascismo di Mussolini si fondava sull'idea di un capo carismatico, sul corporativismo, sull'utopia del "destino fatale di Roma", su una volonta' imperialistica di conquistare nuove terre, su un nazionalismo esacerbato, sull'ideale di una intera nazione irreggimentata in camicia nera, sul rifiuto della democrazia parlamentare, sull'antisemitismo, allora non ho difficolta' ad ammettere che Alleanza Nazionale, nata dall'MSI, e' certamente un partito di destra, ma ha poco a che fare col vecchio fascismo. Per le stesse ragioni, anche se sono preoccupato dai vari movimenti filonazisti attivi qua e la' in Europa, Russia compresa, non penso che il nazismo, nella sua forma originale, stia per ricomparire come movimento che coinvolga una nazione intera.
Tuttavia, anche se i regimi politici possono venire rovesciati, e le ideologie criticate e delegittimate, dietro un regime e la sua ideologia c'e' sempre un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni. C'e' dunque ancora un altro fantasma che si aggira per l'Europa (per non parlare di altre parti del mondo)?
Ionesco disse una volta che "solo le parole contano e il resto sono chiacchiere". Le abitudini linguistiche sono spesso sintomi importanti di sentimenti inespressi.
Lasciatemi dunque chiedere perche' non solo la Resistenza ma tutta la seconda guerra mondiale sono state definite in tutto il mondo come una lotta contro il fascismo. Se rileggete Per chi suona la campana di Hemingway, scoprirete che Robert Jordan identifica i suoi nemici coi fascisti, anche quando pensa ai falangisti spagnoli.
Permettetemi di lasciare la parola a Franklin Delano Roosevelt: "La vittoria del popolo americano e dei suoi alleati sara' una vittoria contro il fascismo e il vicolo cieco del dispotismo che esso rappresenta" (23 settembre 1944).
Durante gli anni di McCarthy, gli americani che avevano preso parte alla guerra civile spagnola venivano chiamati "antifascisti prematuri" - intendendo con cio' che combattere Hitler negli anni quaranta era un dovere morale per ogni buon americano, ma combattere contro Franco troppo presto, negli anni trenta, era sospetto. Perche' un'espressione come "Fascist pig" veniva usata dai radicali americani persino per indicare un poliziotto che non approvava quello che fumavano? Perche' non dicevano: "Porco Caugolard", "Porco falangista", "Porco ustascia", "Porco Quisling", "Porco Ante Pavelic", "Porco nazista"?
Mein Kampf e' il manifesto completo di un programma politico. II nazismo aveva una teoria del razzismo e dell'arianesimo, una nozione precisa della entartete Kunst, l'arte degenerata", una filosofia della volonta' di potenza e dell'Ubermensch. Il nazismo era decisamente anticristiano e neopagano, allo stesso modo in cui il Diamat (la versione ufficiale del marxismo sovietico) di Stalin era chiaramente materialista e ateo. Se per totalitarismo si intende un regime che subordina ogni atto individuale allo stato e alla sua ideologia, allora nazismo e stalinismo erano regimi totalitari.
Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di cio' che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L'articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l'Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello "stato etico e assoluto" che Mussolini non realizzo' mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Comincio' come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare "l'uomo della Provvidenza". Si puo' dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire - riuscendo ad avere all'estero piu' successo di Armani, Benetton o Versace. Fu solo negli anni trenta che movimenti fascisti fecero la loro comparsa in Inghilterra, con Mosley, e in Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Iugoslavia, Spagna, Portogallo, Norvegia, e persino in America del Sud, per non parlare della Germania. Fu il fascismo italiano a convincere molti leader liberali europei che il nuovo regime stesse attuando interessanti riforme sociali in grado di fornire una alternativa moderatamente rivoluzionaria alla minaccia comunista
Tuttavia, la priorita' storica non mi sembra una ragione sufficiente per spiegare perche' la parola "fascismo" divenne una sineddoche, una denominazione pars pro toto per movimenti totalitari diversi. Non serve dire che il fascismo conteneva in se' tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per cosi' dire, "in stato quintessenziale". Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo fuzzy (1). Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si puo' forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri piu' conservatori, che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent'anni proclamando la sua lealta' alla famiglia reale, permettendo a un "duce" di tirare avanti sottobraccio a un "re" cui offerse anche il titolo di "imperatore". Ma quando nel 1943 il re licenzio Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l'aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica "sociale", riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine.
Ci fu una sola architettura nazista, e una sola arte nazista. Se l'architetto nazista era Albert Speer, non c'era posto per Mies van der Rohe. Allo stesso modo, sotto Stalin, se Lamarck aveva ragione non c'era posto per Darwin. Al contrario, vi furono certamente degli architetti fascisti, ma accanto ai loro pseudocolossei sorsero anche dei nuovi edifici ispirati al moderno razionalismo di Gropius.
Non ci fu uno Zdanov fascista. In Italia ci furono due importanti premi artistici: il Premio Cremona era controllato da un fascista incolto e fanatico come Farinacci, che incoraggiava un'arte propagandistica (mi ricordo di quadri intitolati Ascoltando alla radio un discorso del Duce o Stati mentali creati dal Fascismo); e il Premio Bergamo, sponsorizzato da un fascista colto e ragionevolmente tollerante come Bottai, che proteggeva l'arte per l'arte e le nuove esperienze dell'arte d'avanguardia che in Germania erano state bandite come corrotte e criptocomuniste, contrarie al Kitsch nibelungico, il solo ammesso.
Il poeta nazionale era D'Annunzio, un dandy che in Germania o in Russia sarebbe stato mandato davanti al plotone d'esecuzione. Venne assunto al rango di Vate del regime per il suo nazionalismo e il suo culto dell'eroismo - con l'aggiunta di forti dosi di decadentismo francese.
Prendiamo il futurismo. Avrebbe dovuto essere considerato un esempio di entartete Kunst, cosi' come l'espressionismo, il cubismo, il surrealismo. Ma i primi futuristi italiani erano nazionalisti, favorirono per ragioni estetiche la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale, celebrarono la velocita', la violenza, il rischio, e in certo modo questi aspetti sembrarono vicini al culto fascista della gioventu'. Quando il fascismo si identifico' con l'impero romano e riscopri' le tradizioni rurali, Marinetti (che proclamava una automobile piu' bella della Vittoria di Samotracia e voleva persino uccidere il chiaro di luna) venne nominato membro dell'Accademia d'Italia, che trattava il chiaro di luna con grande rispetto.
Molti dei futuri partigiani, e dei futuri intellettuali del Partito Comunista, vennero educati dal GUF, l'associazione fascista degli studenti universitari, che doveva essere la culla della nuova cultura fascista. Questi club divennero una sorta di calderone intellettuale in cui le nuove idee circolavano senza nessun reale controllo ideologico, non tanto perche' gli uomini di partito fossero tolleranti, quanto perche' pochi di loro possedevano gli strumenti intellettuali per controllarle.
Nel corso di quel ventennio, la poesia degli ermetici rappresento' una reazione allo stile pomposo del regime: a questi poeti venne permesso di elaborare la loro protesta letteraria dall'interno della torre d'avorio. Il sentire degli ermetici era esattamente il contrario del culto fascista dell'ottimismo e dell'eroismo. Il regime tollerava questo dissenso palese, anche se socialmente impercettibile, perche' non prestava sufficiente attenzione a un gergo cosi' oscuro.
Il che non significa che il fascismo italiano fosse tollerante. Gramsci venne messo in prigione fino alla morte, Matteotti e i fratelli Rosselli vennero assassinati, la libera stampa soppressa, i sindacati smantellati, i dissidenti politici confinati su isole remote, il potere legislativo divenne una mera finzione e quello esecutivo (che controllava il giudiziario, come pure i mass media) emanava direttamente le nuove leggi, tra le quali vi furono anche quelle per la difesa della razza (l'appoggio formale italiano all'Olocausto).
L'immagine incoerente che ho descritto non era dovuta a tolleranza: era un esempio di sgangheratezza
politica e ideologica. Ma era una "sgangheratezza ordinata", una confusione strutturata. Il fascismo
era filosoficamente scardinato, ma dal punto di vista emotivo era fermamente incernierato ad alcuni archetipi.
Siamo ora giunti al secondo punto della mia tesi. Ci fu un solo nazismo, e non possiamo chiamare "nazismo" il falangismo ipercattolico di Franco, dal momento che il nazismo e' fondamentalmente pagano, politeistico e anticristiano, o non e' nazismo. Al contrario, si puo' giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. Succede alla nozione di "fascismo" quel che, secondo Wittgenstein, accade alla nozione di "gioco". Un gioco puo' essere o non essere competitivo, puo' interessare una o piu' persone, puo' richiedere qualche particolare abilità o nessuna, puo' mettere in palio del danaro, o no. I giochi sono una serie di attivita' diverse che mostrano solo una qualche "somiglianza di famiglia".
1: abc
2: bcd
3: cde
4: def
Supponiamo che esista una serie di gruppi politici. Il gruppo 1 e' caratterizzato dagli aspetti abc, il gruppo 2 da quelli bcd, e cosi' via. 2 e' simile a 1 in quanto hanno due aspetti in comune. 3 e' simile a 2 e 4 e' simile a 3 per la stessa ragione. Si noti che 3 e' anche simile a 1 (hanno in comune l'aspetto c). Il caso piu' curioso e' dato da 4, ovviamente simile a 3 e a 2, ma senza nessuna caratteristica in comune con 1. Tuttavia, a ragione della ininterrotta serie di decrescenti similarita' tra 1 e 4, rimane, per una sorta di transitivita' illusoria, un'aria di famiglia tra 4 e 1.
Il termine "fascismo" si adatta a tutto perche' e' possibile eliminare da un regime fascista uno o piu' aspetti, e lo si potra' sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l'imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascino' mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei piu' rispettati guru fascisti, Julius Evola.
A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare "Ur-Fascismo", o il "fascismo eterno". Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma e' sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.
1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo e' il culto della tradizione. Il tradizionalismo e' piu' vecchio del fascismo. Non fu solo tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione Francese, ma nacque nella tarda eta' ellenistica come una reazione al razionalismo greco classico.
Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse (tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una rivelazione ricevuta all'alba della storia umana. Questa rivelazione era rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora sconosciuti, delle religioni asiatiche.
Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. "Sincretismo" non e' solo, come indicano i dizionari, la combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili e' solo perche' tutti alludono, allegoricamente, a qualche verita' primitiva.
Come conseguenza, non ci puo' essere avanzamento del sapere. La verita' e' stata gia' annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio. E sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti. La piu' importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, l'alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci e' una prova lampante di sincretismo.
Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane portano l'indicazione "New Age", troverete persino Sant'Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant'Agostino e Stonehenge, questo e' un sintomo di Ur-Fascismo.
2. Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernita' era solo l'aspetto superficiale di una ideologia basata sul "sangue" e la "terra" (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L'illuminismo, l'eta' della Ragione vengono visti come l'inizio della depravazione moderna. In questo senso, l'Ur-Fascismo puo' venire definito come "irrazionalismo".
3. L'irrazionalismo dipende anche dal culto dell'azione per l'azione. L'azione e' bella di per se', e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare e' una forma di evirazione. Percio' la cultura e' sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici. Dalla dichiarazione attribuita a Goebbels ("Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola") all'uso frequente di espressioni quali "Porci intellettuali", "Teste d'uovo", "Snob radicali", "Le universita' sono un covo di comunisti", il sospetto verso il mondo intellettuale e' sempre stato un sintomo di Ur-Fascismo. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell'accusare la cultura moderna e l'intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
4. Nessuna forma di sincretismo puo' accettare la critica. Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere e' un segno di modernita'. Nella cultura moderna, la comunita' scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l'Ur-Fascismo, il disaccordo e' tradimento.
5. Il disaccordo e' inoltre un segno di diversita'. L'Ur-Fascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista e' contro gli intrusi. L'Ur-Fascismo e' dunque razzista per definizione.
6. L'Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perche' una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici e' stato l'appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi "proletari" stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo trovera' in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
7. A coloro che sono privi di una qualunque identita' sociale, l'Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio e' il piu' comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E' questa l'origine del "nazionalismo". Inoltre, gli unici che possono fornire una identita' alla nazione sono i nemici. Cosi', alla radice della psicologia Ur-Fascista vi e' l'ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo piu' facile per far emergere un complotto e' quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall'interno: gli ebrei sono di solito l'obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori. In America, ultimo esempio dell'ossessione del complotto e' rappresentato dal libro The New World Order di Pat Robertson.
8. I seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici. Quando ero bambino mi insegnavano che gli inglesi erano il "popolo dei cinque pasti": mangiavano piu' spesso degli italiani, poveri ma sobri. Gli ebrei sono ricchi e si aiutano l'un l'altro grazie a una rete segreta di mutua assistenza. I seguaci debbono tuttavia essere convinti di poter sconfiggere i nemici. Cosi', grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli. I fascismi sono condannati a perdere le loro guerre, perche' sono costituzionalmente incapaci di valutare con obiettivita' la forza del nemico.
9. Per l'Ur-Fascismo non c'e' lotta per la vita, ma piuttosto "vita per la lotta". Il pacifismo e' allora collusione col nemico; il pacifismo e' cattivo perche' la vita e' una guerra permanente. Questo tuttavia porta con se' un complesso di Armageddon: dal momento che i nemici debbono e possono essere sconfitti, ci dovra' essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avra' il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un'eta' dell'Oro che contraddice il principio della guerra permanente. Nessun leader fascista e' mai riuscito a risolvere questa contraddizione.
10. L'elitismo e' un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L'Ur-Fascismo non puo' fare a meno di predicare un "elitismo popolare". Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino puo' (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, cosi' deboli da aver bisogno e da meritare un "dominatore". Dal momento che il gruppo e' organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto cio' rinforza il senso di un elitismo di massa.
11. In questa prospettiva, ciascuno e' educato per diventare un eroe. In ogni mitologia l'"eroe" e' un essere eccezionale, ma nell'ideologia Ur-Fascista l'eroismo e' la norma. Questo culto dell'eroismo e' strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: "Viva la muerte!". Alla gente normale si dice che la morte e' spiacevole ma bisogna affrontarla con dignita'; ai credenti si dice che e' un modo doloroso per raggiungere una felicita' soprannaturale. L'eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L'eroe Ur-Fascista e' impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce piu' di frequente far morire gli altri.
12. Dal momento che sia la guerra permanente sia l'eroismo sono giochi difficili da giocare, l'Ur-Fascista trasferisce la sua volonta' di potenza su questioni sessuali. E' questa l'origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castita' all'omosessualita'). Dal momento che anche il sesso e' un gioco difficile da giocare, l'eroe Ur-Fascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
13. L'Ur-Fascismo si basa su un "populismo qualitativo": In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l'insieme dei cittadini e' dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l'Ur-Fascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il "popolo" e' concepito come una qualita', un'entita' monolitica che esprime la "volonta' comune". Dal momento che nessuna quantita' di esseri umani puo' possedere una volonta' comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo e' cosi' solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo piu' bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini puo' venire presentata e accettata come la "voce del popolo". A ragione del suo populismo qualitativo, l'Ur-Fascismo deve opporsi ai "putridi" governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu: "Avrei potuto trasformare quest'aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli." Di fatto, trovo' immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquido' il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimita' del parlamento perche' non rappresenta piu' la "voce del popolo", possiamo sentire l'odore di Ur-Fascismo.
14. L'Ur-Fascismo parla la "neolingua". La "neolingua" venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell'Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow.
Dopo aver indicato i possibili archetipi dell'Ur-Fascismo, mi sia concesso di concludere. Il mattino del 27 luglio del 1943 mi fu detto che, secondo delle informazioni lette alla radio, il fascismo era crollato e che Mussolini era stato arrestato. Mia madre mi mando' a comperare il giornale. Andai al chiosco piu' vicino e vidi che i giornali c'erano, ma i nomi erano diversi. Inoltre, dopo una breve occhiata ai titoli, mi resi conto che ogni giornale diceva cose diverse. Ne comperai uno, a caso, e lessi un messaggio stampato in prima pagina, firmato da cinque o sei partiti politici, come Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito d'Azione, Partito Liberale. Fino a quel momento avevo creduto che vi fosse un solo partito in ogni paese, e che in Italia ci fosse solo il Partito Nazionale Fascista. Stavo scoprendo che nel mio paese ci potevano essere diversi partiti allo stesso tempo. Non solo: dal momento che ero un ragazzo sveglio, mi resi subito conto che era impossibile che tanti partiti fossero sorti da un giorno all'altro. Capii cosi' che esistevano gia' come organizzazioni clandestine.
Il messaggio celebrava la fine della dittatura e il ritorno della liberta': liberta' di parola, di stampa, di associazione politica. Queste parole, "liberta'", "dittatura" - Dio mio - era la prima volta in vita mia che le leggevo. In virtu' di queste nuove parole ero rinato uomo libero occidentale.
Dobbiamo stare attenti che il senso di queste parole non si dimentichi ancora. L'Ur-Fascismo e' ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe cosi' confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: "Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!" Ahime', la vita non e' cosi' facile. L'Ur-Fascismo puo' ancora tornare sotto le spoglie piu' innocenti. Il nostro dovere e' di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo. Do ancora la parola a Roosevelt: "Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del fascismo crescera' nel nostro paese" (4 novembre 1938). Liberta' e liberazione sono un compito che non finisce mai. Che sia questo il nostro motto: "Non dimenticate".
E permettetemi di finire con una poesia di Franco Fortini:
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell'acqua della fonte
La bava degli impiccati.
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull'erba secca del prato
I denti dei fucilati.
Mordere l'aria mordere i sassi
La nostra carne non e' piu' d'uomini
Mordere l'aria mordere i sassi
Il nostro cuore non e' piu' d'uomini.
Ma noi s'e' letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo liberta'
Ma l'hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si fara'.
*
Note
1. Usato attualmente in logica per indicare insiemi "sfumati", dai contorni imprecisi, il termine fuzzy potrebbe essere tradotto come "sfumato", "confuso", "impreciso", "sfocato".
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Emily Bronte, Poesie. Opera completa, Mondadori, Milano 1997, pp. XLVIII + 512.
- Sylvia Plath, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2013, pp. LXIV + 886.
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3949 del 10 dicembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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