[Nonviolenza] Telegrammi. 3865



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3865 del 17 settembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Giovedi' 17 settembre in piazza delle erbe a Viterbo per il NO
2. Un incontro di studio a Viterbo su un prezioso saggio di Riccardo De Vito, presidente di Magistratura Democratica
3. Rosy Bindi: La Costituzione non e' dei governi, ma degli italiani. Il referendum non e' dei partiti, ma dei cittadini. Io sono fiduciosa
4. Giorgio Gabanizza, Alberto Tomiolo, Mao Valpiana: Le nostre ragioni per il NO al referendum
5. Massimo Siclari: I tre motivi per cui voto NO
6. Ancora una volta chiediamo
7. "L'Italia aderisca al Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari". Una lettera aperta alla Presidente del Senato e al Presidente della Camera
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. GIOVEDI' 17 SETTEMBRE IN PIAZZA DELLE ERBE A VITERBO PER IL NO

Promossa dal "Comitato per il NO al taglio del parlamento" si svolgera' giovedi' 17 settembre dalle ore 18 alle ore 20 in piazza delle erbe a Viterbo la manifestazione unitaria conclusiva della campagna d'informazione, documentazione e coscientizzazione per il NO nel referendum del 20-21 settembre 2020.
All'iniziativa partecipa anche il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo.
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NO alla mutilazione del parlamento.
NO alla mutilazione della democrazia.
NO alla mutilazione dello stato di diritto fondato sulla separazione e il controllo dei poteri.
NO alla mutilazione dell'eguaglianza di diritti di tutte le cittadine e tutti i cittadini.
NO alla mutilazione della Costituzione repubblicana, democratica ed antifascista.
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NO all'antiparlamentarismo.
NO al fascismo.
NO alla barbarie.
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Per le ragioni espresse dalle donne che lottano contro la violenza alle donne, noi votiamo NO.
Per le ragioni espresse dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia, noi votiamo NO.
Per le ragioni espresse da illustri costituzionaliste e costituzionalisti, noi votiamo NO.
Per le ragioni espresse da una prestigiosa associazione di magistrati, noi votiamo NO.
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Votando NO difendiamo l'ordinamento democratico e costituzionale.
Votando NO difendiamo la democrazia.
Votando NO difendiamo la dignita' e i diritti di tutte e di tutti ed il bene comune.
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Per le stesse ragioni per cui ci opponiamo alla guerra e a tutte le uccisioni, il 20-21 settembre noi votiamo NO.
Per le stesse ragioni per cui ci opponiamo al razzismo e a tutte le persecuzioni, il 20-21 settembre noi votiamo NO.
Per le stesse ragioni per cui ci opponiamo al maschilismo e a tutte le oppressioni, il 20-21 settembre noi votiamo NO.
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Domenica e lunedi' votiamo NO al regime della corruzione.
Domenica e lunedi' votiamo NO al golpe oligarchico.
Domenica e lunedi' votiamo NO al tentativo d'imporre l'incontrastato dominio dell'abuso e dell'arbitrio dei ricchi e dei potenti.
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Oppresse e oppressi, unitevi nell'impegno comune per il bene comune.
Oppresse e oppressi, unitevi nel NO alla menzogna, alla frode, alla violenza degli sfruttatori e degli oppressori.

2. INCONTRI. UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO SU UN PREZIOSO SAGGIO DI RICCARDO DE VITO, PRESIDENTE DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA

La mattina di mercoledi' 16 settembre 2020 a Viterbo, presso la sede del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", si e' svolto un incontro di studio su un prezioso saggio di Riccardo De Vito, presidente di Magistratura Democratica, dal titolo "I motivi per un NO" in riferimento al referendum che si svolgera' domenica e lunedi'.
Il testo integrale del saggio riproduciamo in calce al presente comunicato.
Dopo l'attenta lettura del saggio ed un ampio commento di alcuni suoi punti essenziali da parte delle persone partecipanti, l'incontro e' stato concluso dal responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini, che ha sottolineato come pressoche' tutte le piu' autorevoli voci della vita democratica italiana convergano nell'argomentare le ragioni per cui occorre votare NO nel referendum del 20-21 settembre.
Illustri giuriste e giuristi, illustri magistrate e magistrati, illustri figure della riflessione morale e dell'impegno civile, cosi' come i piu' vivi movimenti della societa' civile ed associazioni autorevolissime (l'Associazione nazionale partigiani d'Italia, per citarne una per tutte), convergono nell'impegno per il NO.
NO all'antiparlamentarismo, NO al fascismo, NO alla barbarie.
NO alla mutilazione del parlamento, dello stato di diritto, della Costituzione, della democrazia.
NO all'abuso, all'arbitrio, alla frode, alla violenza dei vampiri, del regime della corruzione, dell'orda selvaggia e malvagia che vuole abbattere la democrazia ed imporre l'oligarchia, l'anomia, l'afasia, la dittatura degli ebbri e degli scellerati, dei razzisti e dei bellicisti, degli sfruttatori e dei devastatori.
Domenica e lunedi' noi votiamo NO.
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Allegato. Riccardo De Vito: I motivi per un NO
[Dal sito www.noaltagliodelparlamento.it con il titolo "I motivi per un No" e la nota "Sulla rivista QG un articolo di Riccardo De Vito, presidente di Magistratura Democratica"]
La revisione che ci apprestiamo a votare finisce per sfibrare la rappresentanza parlamentare, con il pericolo che in futuro se ne possa predicare in maniera definitiva l'irrilevanza.
Quale sia lo stato della competizione politico-istituzionale nel nostro Paese e' sotto gli occhi di tutti: esasperazione del confronto tra leadership blindate; iperboli propagandistiche da rincorsa al sondaggio; prevalenza della tattica sulle visioni – sempre piu' scolorite e standardizzate – dei rapporti umani e sociali; lontananza dai bisogni delle persone, non piu' "incorporati" da partiti popolari, ma rappresentati in maniera caricaturale e inasprita dai nuovi fronti del populismo.
In questo contesto – che come ovvio ha le dovute eccezioni – la riforma costituzionale tesa alla riduzione del numero dei parlamentari, pure mascherata da innovazione, costituisce un'ulteriore regressione istituzionale. Conveniente all'establishment, ma di certo non ai rappresentati.
Lo ha scritto, con spiccata efficacia persuasiva, Felice Besostri: "C'e' chi crede che votando Si' al referendum si puniscano le oligarchie politiche. Mentre e' vero il contrario. Esse continuerebbero a nominare, e dunque controllare, i candidati e anzi avrebbero un rischio inferiore di ritrovarsi tra le mani parlamentari infedeli".
A legislazione elettorale invariata – l'intenzione di modificarla e' allo stato una promessa priva di una direzione chiara, in cambio della quale si baratta un pezzetto di Costituzione – l'accoppiata tra riduzione dei parlamentari e legge elettorale maggioritaria a liste bloccate e "nominate" rischia di completare il processo di trasformazione del Parlamento in corte di osservanti, a tutto vantaggio di un potere esecutivo sempre piu' tracimante e di quelle oligarchie che gli spiriti di un'antipolitica demagogica e iperfasica vorrebbero combattere. Eterogenesi dei fini, dunque.
Sia chiaro: non ci si propone qui di difendere le attuali condizioni di salute delle assemblee rappresentative. Opzione indigeribile, a meno di non voler leggere a tutti i costi nella realta' italiana una "democrazia immaginaria". Una serie di prassi consolidate, molte delle quali nate da forzature dei regolamenti parlamentari, hanno man mano svilito la centralita' e l'autonomia delle Camere, con frequente degradazione del Parlamento a passacarte del Governo e alterazione fattuale della forma di governo.
A venire in gioco, lungo questa traiettoria, non e' soltanto l'assoluta prevalenza del decreto-legge nel campo delle fonti di produzione, ma tutta una "strumentistica" strategicamente tesa a imbrigliare il libero svolgimento della funzione rappresentativa: "canguri" parlamentari, maxiemendamenti, questioni di fiducia, rigido controllo dei gruppi sui singoli parlamentari e dei vertici di partito sui gruppi.
Se questo e' lo stato dell'arte perche', allora, non accettare la scommessa del cambiamento e della riduzione di assemblee sovrabbondanti?
Per un motivo, prima di tutto. La sola riforma costituzionale avrebbe l'effetto di congelare la situazione esistente, per alcuni versi rendendola fisiologica e per altri versi amplificandola: controllare pochi e' piu' facile e meno rischioso che controllare molti.
La revisione, dunque, agirebbe in modo da far metabolizzare alla democrazia italiana quegli elementi di verticalizzazione – di "caporalismo" – che ne stanno gia' corrodendo il cuore parlamentare.
In questo senso, pur suscitando minor allarme per il ridotto profilo sistematico, questa proposta di riforma si colloca nella medesima scia della riforma Boschi-Renzi, respinta dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016.
Di ben altro respiro avrebbe bisogno la democrazia del nostro Paese, a partire dalla rivitalizzazione della rappresentanza e dalla riapertura di efficaci canali di collegamento tra istanze sociali e luoghi della decisione. Sono obiettivi perseguibili con leggi ordinarie (elettorali) e, soprattutto, mediante culture e prassi partecipative, che riattivino il circuito societa'/partiti/istituzioni.
Non c'e' bisogno, pertanto, di scomodare l'impianto costituzionale – nel caso di specie dovuto alla legge costituzionale n. 2 del 1963 – con un tentativo di riforma che, tra tanti motivi, deve essere respinto anche per una fondamentale questione di metodo.
Le questioni di metodo non sono meno importanti di quelle di merito quando a essere chiamata in causa e' una modifica, quale che sia, dell'assetto costituzionale.
Con imperdonabile leggerezza, almeno da vent'anni a questa parte, ogni forza politica che abbia raggiunto le leve del governo ha provato a lasciare l'impronta del proprio progetto politico di parte sulla Carta costituzionale, al fine di catturare un consenso epocale.
Pessimo servizio alla Repubblica. Cosi' facendo si corre il rischio di rendere la Costituzione ostaggio dell'attualita' politico-parlamentare e di consegnare, se non il potere, quanto meno lo spirito costituente alla maggioranza di turno. E' una strada che, oltre a dare la stura ad avventure pericolose, finisce per indebolire, a livello culturale prima ancora che politico, la consapevolezza che il tessuto costituzionale e' il pilastro della nostra convivenza civile, nel quale riconoscersi a prescindere dalle appartenenze e al quale mettere mano soltanto in caso di reale bisogno.
E' stato tramite il rifiuto – per scelta e necessita' – della logica dei rapporti di forza elettorali e grazie all'adozione del criterio del "velo dell'ignoranza" che i Costituenti riuscirono a costruire quell'orologio perfetto di pesi e contrappesi che e' la nostra Carta fondamentale.
Purtroppo, anche la storia di questa proposta di riforma non e' altro che il racconto di una deriva contraria a quel metodo.
Il testo votato dalla Camere, pur essendo il frutto dell'unificazione di piu' disegni di legge di iniziativa parlamentare, reca il sigillo del programma di una forza politica (il Movimento Cinque Stelle) e di un'alleanza di governo (quella c.d. giallo-verde, tra lo stesso Movimento e la Lega). La circostanza e' resa evidente, oltre che dall'attuale campagna referendaria, dalla lettura della nota di aggiornamento al DEF 2018, nel quale il governo aveva indicato la riduzione dei parlamentari come linea portante di una serie di riforme istituzionali.
Sin qui nulla di grave, se il successivo dibattito pubblico e parlamentare si fosse concentrato sul contenuto della riforma e sui suoi effetti, invece di piegarsi, da un certo punto in avanti, alle dinamiche maggioranza/opposizione e al loro mutamento. Solo ragioni di manovra politica, infatti, offrono spiegazione compiuta delle inedite caratteristiche delle quattro votazioni succedutesi tra Senato e Camera.
Nella prima deliberazione, infatti, la proposta e' stata approvata sia al Senato sia alla Camera – rispettivamente il 7 febbraio e il 9 maggio 2019 – a maggioranza assoluta dei parlamentari (piu' o meno coincidente con la maggioranza politica che l'aveva sostenuta) e con il voto contrario delle allora forze di opposizione, tra cui il Partito Democratico.
Lo stesso canovaccio si e' ripetuto in occasione del voto del Senato in seconda deliberazione, l'11 luglio 2019. E' stato proprio il mancato raggiungimento della soglia dei due terzi dei componenti l'assemblea in questa votazione a consentire a un quinto dei senatori (settantuno) di chiedere l'indizione del referendum ai sensi dell'art. 138 Cost.
Lo scenario e' mutato radicalmente nella seconda votazione della Camera dei Deputati, l'8 ottobre 2019: 553 voti a favore su 567 votanti. Come ha messo bene in evidenza Valerio Onida su queste pagine, l'87,7% dei deputati.
Cosa e' cambiato per passare da una maggioranza assoluta a una sostanziale unanimita'? Nulla dal punto di vista del contenuto della riforma costituzionale, tutto sotto il profilo degli equilibri politici. Il Partito Democratico e le altre forze del centrosinistra, infatti, hanno dato vita a un nuovo governo con il Movimento Cinque Stelle, che ha perso per strada l'alleato leghista.
Si tratta di fatti noti, messi qui in risalto soltanto per evidenziare come l'iter di riforma costituzionale abbia risentito, ben oltre i limiti fisiologici, delle esigenze di consolidamento delle maggioranze elettorali e della stabilizzazione dei governi, tuttora evidenti anche nella campagna referendaria.
La subordinazione dell'assetto costituzionale alla quotidianita' politica colpisce soprattutto nell'atteggiamento di quelle forze politiche che si sono decise al voto favorevole alla riforma soltanto all'ultimo round, senza  ottenere alcuno di quei correttivi – legge elettorale proporzionale e con preferenze, riforma dei regolamenti parlamentari – che per tre volte avevano indotto al voto contrario.
La raggiunta unanimita', pertanto, piu' che essere il portato di un confronto alto sui principi, appare il frutto di calcolo politico.
Questa logica di piccolo cabotaggio ha fagocitato anche la tornata elettorale, dal momento che la legge 19 marzo 2020, n. 59, ha disposto la concentrazione delle scadenze elettorali (c.d. election-day), sommando alle elezioni suppletive, amministrative e regionali anche il voto nel referendum "oppositivo" promosso ai sensi dell'art. 138 Cost.
Il risultato oggettivo e' quello di piegare anche il referendum (campagna e voto) lungo l'asse del conflitto maggioranza/opposizione.
Cio' detto, il No al referendum puo' essere, anche solo in parte, legittimato da quella che si e' definita una questione di metodo?
Risponderei convintamente in maniera positiva, per almeno due ragioni: quanto si e' detto sin qui dimostra che quel metodo di mettere le mani sulla Costituzione va allontanato una volta per tutte dal panorama della politica nostrana; sotto altro profilo, forse piu' importante, si puo' dire che a metodo non corretto corrispondono, in genere, risultati pessimi. E cosi' pare anche stavolta.
Massimo Luciani lo ha scritto a chiare lettere: "Delle due l'una: o la riforma serve a tagliare i costi, e allora e' davvero poca cosa, oppure intende sottolineare una sorta di inutilita' del Parlamento. E allora e' pericolosa".
Sotto l'aspetto dell'impegno per le casse dello Stato, nessuno ha messo in discussione che il taglio lineare di deputati e senatori vale soltanto lo 0,007% della spesa pubblica e il 2,5% delle spese annuali di Camera e Senato.
La riduzione di 345 parlamentari, dunque, comporta un risparmio irrisorio.
In compenso, lungi dall'"aumentare l'efficienza e la produttivita' delle Camere" (cosi' la relazione di accompagnamento), determina il concreto pericolo di ulteriore rallentamento, se non di paralisi, delle attivita' parlamentari. O almeno di quelle che, in un'ottica che sacrifica la rappresentanza in nome della governabilita' celere, potrebbero tranquillamente essere accantonate come superflue: attivita' delle Commissioni e degli organismi di controllo; discussioni approfondite sui disegni di legge; procedimento legislativo ordinario.
Si e' gia' parlato della attuale marginalizzazione del Parlamento nel procedimento di produzione legislativa. Un esempio plastico di tale confinamento in un ruolo secondario rispetto a quello dell'esecutivo e' costituito dalla strumentalizzazione di un istituto come la riserva di assemblea (art. 72, co. 4., Cost.), pensato dai Costituenti per rafforzare la centralita' e l'iniziativa del Parlamento – dunque della volonta' popolare – in materie decisive per la vita dello Stato (disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi).
L'istituto, sotto la spinta di forzature soppressive del dibattito in aula – maxiemendamenti abbinati a continue questioni di fiducia –, si e' risolto nel suo contrario, finendo per favorire prassi tese a scegliere la finzione di discussione in assemblea pur di elidere il dibattito tecnico-politico nelle Commissioni e a garantire, in tal modo, la "sottomissione" della rappresentanza alle ragioni dell'esecutivo e dei suoi vertici (Presidenza del Consiglio e suoi uffici).
Se questo e' lo stato delle cose, va detto che la proposta di riforma, in assenza di modifica dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale, finisce per ingessarlo e, per cosi' dire, istituzionalizzarlo, impedendo definitivamente il doveroso funzionamento delle commissioni.
E' sufficiente porre mente al fatto che le Commissioni del Senato, attualmente, sono in media composte da 21-26 persone.
Pensare che tutte, con la riduzione dei senatori a duecento, continuino con la stessa composizione numerica e' impossibile. Diminuirne i componenti, tuttavia, significa immaginare Commissioni che per funzionare, sia in funzione referente sia in funzione deliberante, si reggano sul voto di poche persone. La situazione non cambia di molto alla Camera, che passerebbe dagli attuali seicentotrenta deputati a quattrocento.
Entrambe le opzioni, comunque, finirebbero per dare cornice istituzionale alla situazione esistente di superamento nei fatti delle Commissioni, formalizzando cosi' la scelta per i procedimenti legislativi pilotati per intero dall'esecutivo.
Va poi rimarcato che, in assenza di riforma del bicameralismo perfetto, i motivi principali di rallentamento dei procedimenti di formazione della legge non vengono scalfiti.
Accanto ai guasti appena accennati, la riduzione del numero dei parlamentari – anticipata rispetto a una riforma elettorale che si annuncia ancora incerta nei tempi e nei contenuti – incide in maniera pesante sulla rappresentanza, lasciandone senza dubbio prive le periferie territoriali, sociali e politiche.
Anche in questo caso i numeri dicono molto, se non tutto.
La riduzione percentuale media del tasso di rappresentanza al Senato e' del 36,5%. Alcune regioni, tuttavia, passando dalla possibilita' di vedere eletti sette senatori (il limite minino previsto dalla legge attuale, fatta eccezione per Valle d'Aosta e Molise) a quella di tre senatori soltanto, subiscono una riduzione della rappresentanza pari al 57,1%. Allo stesso modo, la Calabria, con i suoi circa due milioni di abitanti, andrebbe ad eleggere lo stesso numero di senatori del Trentino, popolato da poco piu' di un milione di abitanti. Ovvio che il voto degli elettori di quest'ultima regione valga la meta' di quello di un residente nella prima.
Anche ammettendo che la rappresentanza e' comunque espressa dai programmi nazionali dei partiti e delle organizzazioni politiche, ai quali i candidati si riportano fedelmente, tali squilibri non sembrano accettabili.
A cio' si aggiunga che la competizione elettorale avverra' in collegi che consentiranno l'individuazione di pochi eletti.
Inevitabilmente cio' determinera' soglie "naturali" di sbarramento alte, ben oltre quel 5% sul quale le forze politiche stanno discutendo in sede di modifica della legge elettorale. C'e' chi le calcola in una percentuale compresa tra il 12% e il 20%, ma, indipendentemente dalla precisione aritmetica, e' giocoforza che la riduzione dei parlamentari, a ordinamento elettorale invariato, comportera' il rafforzamento delle forze politiche maggiori, con buona pace delle minoranze politico-sociali e della possibilita' di incalzare le grandi organizzazioni lungo la strada del cambiamento e dell'ascolto.
La conclusione appena esposta diventa ancor piu' evidente se si pensa che, a sistema di attribuzione dei seggi invariato – maggioritario con liste bloccate – ci troveremo di fronte a macro-collegi nei quali i candidati dovranno confrontarsi con grandi porzioni di territorio e con un grande numero di elettori. Piu' concretamente, significa che a correre con probabilita' di successo potranno essere solo due tipologie di candidati: quelli dotati di un patrimonio misurabile in cospicue risorse economiche e quelli muniti di un altro tipo di patrimonio, apprezzabile in termini di "potere" nell'organizzazione di appartenenza, conformismo alle decisioni del capo, attitudine alla disciplina di partito. L'optimum per avere chances sarebbe sommare le due ricchezze.
Il rafforzamento delle oligarchie – l'eterogenesi dei fini di cui si e' detto – e' forse l'aspetto piu' imperdonabile della proposta di riforma, perche' muove in direzione esattamente contraria rispetto ai bisogni attuali della Repubblica parlamentare.
Viene da chiedersi che fine faranno, con questo aumento esponenziale del potere di scelta dei vertici di partito, quei formidabili dissenzienti e irregolari – Stefano Rodota', Mario Gozzini, Franca Ongaro Basaglia, Adele Faccio, ma e' solo un elenco sentimentale che ognuno puo' completare – che hanno popolato le aule parlamentari e che, nelle maglie di controlli comunque ferrei dei partiti di massa, riuscivano a esprimere istanze culturali e politiche avanzate e non subalterne, tali da rendere piu' civile e laico il tessuto legislativo del Paese.
E' paradossale come l'antipolitica nostrana non sappia concepire la politica in altro modo che come secca alternativa tra privilegio di casta e avventura dell'"uno vale uno", dimenticando l'ingrediente fondamentale della lotta consapevole e collettiva per i diritti. Soltanto cosi', all'interno di questo bivio fasullo, e' spiegabile la svendita della rappresentanza alla pancia delle persone.
In conclusione, dunque, la ragione principale per respingere questa riforma costituzionale risiede nell'attitudine di quest'ultima a delegittimare e mortificare il Parlamento, piu' che a rafforzarlo e vivacizzarlo.
Si misura qui l'enorme distanza che separa la legge attuale dai disegni di legge progressisti di riduzione del numero dei Parlamentari avanzati negli anni Ottanta (a firma, tra gli altri, di Stefano Rodota' e Gianni Ferrara). Quei progetti avevano l'obiettivo dichiarato di avvicinare rappresentanti e rappresentati, di rendere piu' coesa e agile l'istituzione rappresentativa e di restituire competitivita' alla legge ordinaria quale fonte di produzione del diritto ordinaria. Non a caso, a queste proposte si accompagnava la previsione del monocameralismo o, comunque, una riforma "nel" bicameralismo.
Al contrario, la revisione che ci apprestiamo a votare finisce per sfibrare la rappresentanza parlamentare, con il pericolo che in futuro se ne possa predicare in maniera definitiva l'irrilevanza.
Avremmo bisogno di altre riforme, senza necessita' di toccare la Costituzione: partire da una seria opera di igiene della grammatica parlamentare, effettuabile anche con semplici modifiche dei regolamenti, per terminare con una legge elettorale che torni a mettere nelle mani degli elettori il potere di scelta.
Soltanto cosi', verosimilmente, potranno essere rivitalizzate quelle formazioni politiche e quelle organizzazioni sociali che, ormai sclerotizzate, hanno smesso di catalizzare la partecipazione e di raccogliere i bisogni per trasformarli in diritti.
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Riferimenti bibliografici e citazioni
Le affermazioni di Felice Besostri sono contenute in Il Taglio dei Parlamentari e' un regalo alla Casta, pubblicato in Left, 27 agosto 2020, mentre le parole di Massimo Luciani si trovano nell'intervista rilasciata a Repubblica, 21 agosto 2020: Referendum, Massimo Luciani: Con il si' al taglio dei parlamentari, le Camere non funzioneranno. Le piu' chiare osservazioni in punto di matematica della rappresentanza sono in Perche' No, a cura di Andrea Fabozzi, pubblicato su Il Manifesto, 20 agosto 2020, e in No al referendum sul taglio dei parlamentari, Le Talpe di Volerelaluna, n. 22-2020, reperibile su www.volerelaluna.it. Limpido come di consueto, sempre sul punto, Domenico Gallo, I numeri del referendum, pubblicato il 4 settembre 2020 sul Corriere dell'Irpinia e rinvenibile su www.domenicogallo.it. Il riferimento alla democrazia immaginaria e' invece tratto da un articolo di Pierfranco Pellizzetti, sul blog di Micromega del 28 agosto 2020, dal titolo Sentitamente Si'.

3. DOCUMENTAZIONE. ROSY BINDI: LA COSTITUZIONE NON E' DEI GOVERNI, MA DEGLI ITALIANI. IL REFERENDUM NON E' DEI PARTITI, MA DEI CITTADINI. IO SONO FIDUCIOSA
[Dal sito noiperilno.it]

Iniziamo l'ultima settimana di campagna referendaria carichi del sostegno delle numerose (ad oggi piu' di 1200!) sottoscrizioni che ha ricevuto il nostro appello.
Siamo fiduciosi perche' qualunque potra' essere il risultato stiamo contribuendo ad una partecipazione consapevole e informata, vero antidoto ad un voto motivato soltanto dall'unica ragione che accompagna la campagna per il Si': il taglio delle poltrone!
In questi giorni ho ascoltato e letto con attenzione le ragioni del Si', ma non sono riuscita a trovarne una davvero convincente, anche tra quelle argomentate da autorevoli costituzionalisti.
La piu' ricorrente: "Da qualche parte bisogna pur cominciare e poi andremo avanti con la legge elettorale, la riforma del bicameralismo, dei regolamenti parlamentari...". Questa motivazione e' solitamente accompagnata dall'altra: "Questo e' un quesito preciso, puntuale, non e' una riforma di sistema contenuta in un grappolo di quesiti, prendere o lasciare in blocco, come le precedenti".
Troppo facile replicare: ma perche' iniziare dai numeri? Esiste un numero perfetto? Saggiamente i Costituenti non avevano fissato il numero dei deputati e dei senatori ma avevano stabilito una percentuale in base alla popolazione. E questa riforma mortificherebbe fortemente la scelta dei Costituenti. E da quando i numeri precedono e non seguono le funzioni, le competenze delle istituzioni?
E' inoltre paradossale che mentre si chiede il voto su questa riforma si annunciano e addirittura si cercano le firme sulle altre riforme, ammettendo cosi' che soltanto le altre riforme, quelle di sistema appunto, garantiranno cio' che si vuol far credere contenga il taglio dei parlamentari: un parlamento piu' efficiente, piu' forte, piu' rappresentativo. Insomma ci viene chiesto di dire Si' a qualcosa che senza "qualcos'altro" ha un unico esito certo: il risparmio di un caffe' all'anno per ogni italiano!
E sul quel "qualcos'altro" ci viene chiesto un atto di fiducia in bianco. Si', in bianco perche' le forze politiche che sono in Parlamento in questa legislatura e che ci chiedono di confermare il taglio lineare di deputati e senatori non hanno la stessa visione di democrazia e di Costituzione. Le une chiedono di riformare la democrazia rappresentativa per rafforzarla, le altre vorrebbero sostituirla con la democrazia diretta. Le une vogliono un Parlamento centrale negli equilibri istituzionali, le altre propongono il presidenzialismo e non fanno mistero di pulsioni sovraniste e populiste.
L'altra ragione che viene avanzata dai sostenitori del Si', che potremmo definire politica, non solo non e' convincente, e' preoccupante: "Se vince il No cade il governo!".
E perche' mai? Questo potrebbe accadere soltanto perche' il governo ci ha messo sopra la testa, non perche' i cittadini respingono la riforma. Ecco perche' sono preoccupata. Chi davvero conosce e vuole difendere la Costituzione non accetta di introdurre una modifica costituzionale nell'accordo di governo. E se lo fa, sbagliando, e onora l'impegno votando Si' dopo aver votato per tre volte No in Parlamento, dovrebbe almeno ridurre il danno lasciando la liberta' di voto al referendum che non e' dei partiti ma dei cittadini.
E' la terza volta che un governo (o alcuni partiti che lo sostengono) mette la testa su una modifica della Costituzione, lo fece Berlusconi, lo fece Renzi, e gli italiani hanno sempre votato a favore della Carta. Perche' non dovrebbero farlo questa volta? Io sono fiduciosa.

4. RIFLESSIONE. GIORGIO GABANIZZA, ALBERTO TOMIOLO, MAO VALPIANA: LE NOSTRE RAGIONI PER IL NO AL REFERENDUM
[Riceviamo e diffondiamo]

Il taglio numerico dei parlamentari rafforza chi vuole marginalizzare le Camere aumentando i poteri del Governo e soprattutto delle forze, spesso oscure, che prendono le decisioni in altri ambiti, extraistituzionali.
Ci sono gia' stati altri tentativi di indebolimento delle istituzioni rappresentative democratiche. Sono stati aboliti i consigli provinciali, sono stati ridotti di numero i consigli comunali e regionali. Con quali risultati? Un maggior distacco dei cittadini dagli eletti e maggior potere alle Giunte anziche' alle Assemblee. La nostra Costituzione ha voluto un'architettura istituzionale adeguata ad una Repubblica parlamentare. La marginalizzazione delle assemblee elettive, tende invece alla trasformazione in senso centralistico, autoritario, oligarchico, presidenzialista.
Qualora la proposta di taglio dei parlamentari passasse, l'Italia si collocherebbe in Europa all'utimo posto nel rapporto parlamentare/elettori, cioe' avrebbe il maggiore deficit nella rappresentanza e nella partecipazione democratica. Da sempre l'obiettivo vero di riduzione degli eletti nelle istituzioni democratiche e di introduzione di leggi elettorali maggioritarie o con sbarramento e' di tagliare le minoranze, il pensiero critico, le aree sociali deboli, i non allineati ai capipartito, per far vincere la conservazione e i poteri forti. Quindi avremmo un parlamento molto meno rappresentativo, piu' debole, omologato, intruppato, senza dissenso, tendenzialmente conservatore, ed inoltre molte province saranno prive di parlamentare.
I capipartito per il Si' al taglio dei parlamentari hanno capito che il loro potere aumenterebbe: saranno loro a decidere la composizione delle liste future, e quindi a controllare la totalita' dei parlamentari ridotti. La (contro)riforma costituzionale rafforza il potere della partitocrazia e la vera casta politica.
Gia' altre due volte gli elettori sovrani hanno respinto errate riforme istituzionali. E, si dice, non c'e' due senza tre, auspicando che comunque non ci sia il plebiscito che i partiti della riforma (anti)costituzionale si immaginano. Possiamo sconfiggere chi vuole mutilare il Parlamento.
Noi votiamo NO.
Giorgio Gabanizza, Alberto Tomiolo, Mao Valpiana, ex-consiglieri Regionali del Veneto
Verona, 16 settembre 2020

5. DOCUMENTAZIONE. MASSIMO SICLARI: I TRE MOTIVI PER CUI VOTO NO
[Dal sito www.huffingtonpost.it col titolo "Taglio parlamentari, accolgo l'appello. I tre motivi perche' voto no" e la nota "Lettera di Massimo Siclari, professore Ordinario di diritto costituzionale all'Universita' degli Studi Roma Tre"]

Caro direttore,
ho letto con interesse il suo appello ai costituzionalisti apparso l'8 agosto sull'Huffington Post e ritengo doverosa una risposta appartenendo alla comunita' degli studiosi di diritto costituzionale ed essendomi impegnato, sia nel 2006 sia nel 2016, nelle rispettive campagne referendarie, schierandomi in entrambe le occasioni per un no a due riforme sbagliate, cosi' come votero' NO in occasione della consultazione referendaria dei prossimi 21 e 22 settembre 2020.
Ovviamente, parlo a titolo personale, anche se non credo che la mia posizione sia del tutto isolata rispetto a quella di molti altri colleghi. Lo dimostrano vari scritti apparsi in questi anni su riviste scientifiche cartacee ed on-line oltre che (almeno) un libro dal titolo Meno parlamentari piu' democrazia? a cura di Emanuele Rossi (Pisa University Press, 2020), che presenteremo in un webinar in programma il prossimo 15 settembre presso il Dipartimento di Scienze dell'Universita' di Roma Tre. Com'e' naturale, data la sede, non sara' una sorta di comizio per il no, ma la pluralita' di voci degli invitati assicurera' un confronto fra studiosi di diverse impostazioni scientifiche e posizioni politiche.
I motivi che mi spingono, per la terza volta, a votare no possono cosi' sintetizzarsi:
1) si tratta di una riforma fatta con la logica del "taglio lineare" (peraltro con un risparmio alquanto modesto per le finanze pubbliche), e non con il presupposto di una rivisitazione (ed eventualmente della differenziazione) del ruolo da affidare alle due Camere (il che si era tentato di fare, sia pure in modo un po' maldestro, con le due riforme bocciate in passato);
2) e' una riforma che (pur sostenuta dalla chimerica – almeno allo stato – legge elettorale proporzionale) compromette la rappresentativita' delle due Camere. In origine, la Costituzione prevedeva un numero di deputati e senatori variabile in dipendenza del variare della popolazione italiana. Nel 1963 una legge costituzionale determino' l'attuale numero di 630 deputati e 315 senatori a fronte di un numero di circa 51 milioni di abitanti; oggi la popolazione italiana supera i 60 milioni. Si aggiunga che, dopo la riforma, la proporzione fra eletti ed elettori sara' una delle piu' basse rispetto a quelle relative alle assemblee parlamentari di altri Paesi europei (Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna) di dimensioni paragonabili a quelle dell'Italia;
3) la procedura per approvare una modifica costituzionale prevede delle maggioranze superiori a quelle previste per l'approvazione delle leggi ordinarie (art. 138 Cost.). La ragione di cio' e' che le revisioni della Costituzione debbono essere il frutto di una larga condivisione da parte delle forze politiche presenti in Parlamento. Al riguardo va osservato che, pur essendo stata formalmente rispettata la procedura, la maggior parte dei parlamentari ha votato, almeno una volta, contro il disegno di legge di revisione sul taglio dei parlamentari. Mi sembra che si sia ben lontani da quella necessaria ed ampia condivisione auspicata in sede costituente.
Sotto un profilo piu' generale, si puo' rivolgere alla riforma la critica di essere frutto di una cultura istituzionale, assai diffusa, volta semplicisticamente a metter mano alle istituzioni da parte di forze politiche che nel tempo hanno perso per strada consensi ed interesse da parte degli elettori.
Un ultimo punto: ho ritenuto di rispondere al suo appello perche' mi sono sentito, per cosi' dire, "chiamato in causa". Il rimprovero che in qualche modo rivolge ai costituzionalisti e' di non essere intervenuti con il necessario vigore durante il dibattito parlamentare e successivamente. Al riguardo va fatta qualche precisazione.
In primo luogo, va dato atto che durante l'approvazione del disegno di legge costituzionale, molti colleghi siano stati sentiti in apposite audizioni. Certo non sono stati sentiti tutti, ma in quella sede non sono affatto mancate posizioni critiche sui contenuti della riforma.
In secondo luogo, anche sui giornali sono apparsi articoli o interviste nei quali l'autore o l'intervistato di turno manifestava il profondo disagio rispetto alla riforma, ma, come tanti altri interventi apparsi sulla stampa quest'anno, sono stati letteralmente oscurati dalla valanga d'informazioni relative alla pandemia (il che e' comprensibile). D'altra parte, nello spazio residuo, ha avuto piu' rilievo l'estemporanea (e spesso trascurabile) esternazione via Twitter di un politico o le fotografie apparse sulla pagina Instagram di conduttrici televisive o dell'influencer di turno. Poteva lasciare una traccia piu' profonda l'opinione di un costituzionalista? Poteva suscitare maggiore interesse? Evidentemente non piu' di tanto per i responsabili dei mezzi d'informazione.
Infine, per quanto mi riguarda personalmente, devo dire che l'esposizione mediatica delle mie opinioni realizzatasi in precedenti occasioni non e' dipesa da mie iniziative, ma e' nata, sempre, sulla base di sollecitazioni da parte di giornalisti della carta stampata, di radio e/o televisioni a carattere nazionale o locale, o di testate on-line. Cio' non e' avvenuto a proposito del taglio dei parlamentari, il che non ha impedito che in incontri di studio o in qualche contributo scientifico – pur non espressamente rivolto ad analizzare la legge di riforma in questione – abbia espresso la mia opinione critica su questa o su altre ipotesi di riforma in corso di approvazione, tendenti a superare la democrazia rappresentativa.
La ringrazio per l'attenzione dedicata alle mie considerazioni e le invio i migliori saluti,
Massimo Siclari, ordinario di diritto costituzionale, Universita' degli Studi Roma Tre

6. REPETITA IUVANT. ANCORA UNA VOLTA CHIEDIAMO

Ancora una volta chiediamo che  si realizzino immediatamente quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
4. formare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
*
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.

7. REPETITA IUVANT. "L'ITALIA ADERISCA AL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI". UNA LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL SENATO E AL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Gentilissima Presidente del Senato della Repubblica,
gentilissimo Presidente della Camera dei Deputati,
ricorrendo nei giorni scorsi il LXXV anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, tanto il Presidente della Repubblica, quanto Lei, Presidente del Senato, e Lei, Presidente della Camera, ha e avete diffuso messaggi di cordoglio per le vittime e di esortazione all'impegno affinche' simili orrori non abbiano a ripetersi mai piu' e si proceda quindi verso il disarmo, la pace, la cooperazione fra tutti i popoli nel riconoscimento della comune umanita' di tutti gli esseri umani; nella consapevolezza che le armi atomiche mettono in pericolo l'esistenza stessa dell'umanita' nel suo insieme.
Orbene, come e' noto, il 7 luglio 2017 una conferenza ad hoc dell'Onu ha adottato il necessario e non piu' rinviabile "Trattato per la proibizione delle armi nucleari", che entrera' in vigore dopo che almeno cinquanta Stati lo avranno sottoscritto e ratificato.
L'Italia e' tra i paesi che questo fondamentale Trattato ancora non lo hanno ne' sottoscritto, ne' ratificato.
In mancanza di questa firma ogni dichiarazione da parte dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali del nostro paese di cordoglio per le vittime e di apprensione per le sorti dell'umanita', ogni appello da parte dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali del nostro paese all'impegno altrui in assenza del nostro, rischia di apparire - ahinoi - come un vaniloquio, un esercizio di retorica, un atto di ipocrisia. E siamo certi che non erano questi il sentimento e l'intenzione vostra e del Presidente della Repubblica.
Come gia' innumerevoli associazioni umanitarie ed innumerevoli cittadine e cittadini, vi esortiamo pertanto anche noi ad assumere un impegno concreto, preciso e non piu' rinviabile: adoperarvi affinche' l'Italia sottoscriva e ratifichi nel piu' breve tempo possibile il Trattato Onu del 7 luglio 2017 per la proibizione delle armi nucleari.
E' in vostro potere convocare le Conferenze dei capigruppo di entrambi i rami del Parlamento affinche' l'organo legislativo del nostro ordinamento giuridico deliberi un documento in tal senso che impegni e vincoli l'esecutivo.
E' in vostro potere promuovere il pronunciamento del Parlamento italiano.
E' in vostro potere far si' che l'Italia finalmente si esprima con un atto giuridico cogente in pro del bene comune dell'umanita' aderendo al Trattato che impedisca alle armi atomiche di tenere sotto ricatto e minacciare di distruzione l'intera famiglia umana.
Le ragioni per farlo le avete enunciate voi stessi, cosi' come il Presidente della Repubblica, pochi giorni fa. A quelle vostre sentite parole date effettuale seguito, date autentico inveramento.
Ve lo chiedono tutte le associazioni umanitarie, l'intera comunita' scientifica, tutte le cittadine e tutti i cittadini di volonta' buona; ve lo chiede una lettura avvertita della nostra Costituzione, della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani; ve lo chiede l'umanita' intera; ve lo chiedono le generazioni future.
Augurandovi ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 12 agosto 2020

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Massimo Cacciari, Tre icone, Adelphi, Milano 2007, 2018, pp. 56 (+ 4 pp. di repertorio iconografico), euro 7.
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Riletture
- Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria, Bompiani, Milano 1976, 1984, pp. 208.
- Bertrand Russell, Filosofia per non filosofi, Piano B, Prato 2016, pp. 184.
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Riedizioni
- Murakami Haruki, I salici ciechi e la donna addormentata, Einaudi, Torino 2010, 2013, Rcs, Milano 2020, pp. IV + 412, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Maestre
- Clarice Lispector, La passione secondo G. H., Editori La Rosa, Torino 1982, Feltrinelli, Milano 1991, pp. IV + 164.
- Clarice Lispector, Legami familiari, Feltrinelli, Milano 1986, 1999, pp. 126.
- Clarice Lispector, L'ora della stella, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 96.
- Clarice Lispector, Vicino al cuore selvaggio, Adelphi, Milano 1987, Rcs, Milano 2013, pp. 240.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3865 del 17 settembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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