[Nonviolenza] Telegrammi. 3832
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- Date: Fri, 14 Aug 2020 20:44:54 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3832 del 15 agosto 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Il governo del disprezzo e della ferocia
2. E' deceduto Pedro Casaldaliga, luminosa figura della nonviolenza, compagno di vita e di lotte di tutte le oppresse e di tutti gli oppressi
3. No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
4. Ancora una volta chiediamo
5. "L'Italia aderisca al Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari". Una lettera aperta alla Presidente del Senato e al Presidente della Camera
6. Elena Buccoliero: Siamo tutte Laura Massaro
7. "Moked" ricorda Tullio Levi
8. Maria Angela Brega ricorda Paolo Finzi
9. Cascina Torchiera ricorda Paolo Finzi
10. Mario Di Vito ricorda Paolo Finzi
11. Silvia Pinelli ricorda Paolo Finzi
12. Paolo Finzi: Esperanto (1981)
13. Per sostenere "A. Rivista anarchica", ricordando Paolo Finzi
14. Segnalazioni librarie
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'
1. LE ULTIME COSE. IL GOVERNO DEL DISPREZZO E DELLA FEROCIA
Delle decine di migliaia di morti in Italia per l'epidemia
il governo centrale mezzo-razzista e i governi regionali razzisti
portano una primaria tragica responsabilita'
Non fossero stati insipienti e e tracotanti
non fossero stati intempestivi e inadeguati
non fossero stati irresponsabili ed egotisti
non fossero stati cosi' sprezzanti e cosi' feroci
decine di migliaia di vittime innocenti
sarebbero ancora vive
Chi questo non lo vede e' cieco
chi questo lo dimentica e' stolto
chi questo lo passa sotto silenzio e' complice
2. MAESTRI. E' DECEDUTO PEDRO CASALDALIGA, LUMINOSA FIGURA DELLA NONVIOLENZA, COMPAGNO DI VITA E DI LOTTE DI TUTTE LE OPPRESSE E DI TUTTI GLI OPPRESSI
Alcuni giorni fa, l'8 agosto 2020, e' deceduto Pedro Casaldaliga, vescovo, poeta, luminosa figura della teologia della liberazione e dell'opzione preferenziale per i poveri, amico della nonviolenza, voce delle oppresse e degli oppressi in lotta per la vita, la dignita', la liberazione e il bene comune dell'umanita'.
E' stato un generoso e coraggioso testimone e combattente nonviolento contro lo sfruttamento schiavista e genocida, contro il militarismo e il fascismo, contro il razzismo e il colonialismo, contro l'imperialismo, contro il modo di produzione che sacrifica innumerevoli vite umane alla massimizzazione del profitto di un'infima minoranza di privilegiati, contro il sistema di potere globale e l'ideologia totalitaria dei vampiri la cui avidita' non ha limite e che non esitano a distruggere innumerevoli esseri umani innocenti e in misura crescente e con ritmo sempre piu' accelerato lo stesso mondo vivente.
Piu' volte minacciato di morte dai poteri economici, politici, militari e ideologici della violenza dominante, Pedro Casaldaliga mai si arrese, mai cedette, mai tacque.
Per l'intera sua vita ha testimoniato la verita', la solidarieta', il dovere della responsabilita' e della condivisione del bene e dei beni fra tutti gli esseri umani.
Lo ricordiamo come un maestro e un compagno, e lo ringraziamo ancora per il luminoso esempio e per tutti i doni che ha lasciato all'umanita'.
*
Una minima notizia su Pedro Casaldaliga
Pedro Casaldaliga, nato in Catalogna il 16 febbraio 1928, nel 1968 ando' missionario nel Mato Grosso brasiliano; e' stato vescovo di Sao Felix de Araguaia. Coraggioso difensore della vita, della dignita' e dei diritti di tutte le oppresse e di tutti gli oppressi, teologo della liberazione, testimone della nonviolenza, perseguitato, poeta, esempio dell'umanita' come dovrebbe essere. E' deceduto l'8 agosto 2020.
Tra le opere di Pedro Casaldaliga: Credo nella giustizia e nella speranza, Asal, Roma 1976; La morte che da' senso al mio credo, Cittadella, Assisi 1979; Nella fedelta' ribelle, Cittadella, Assisi 1985; Fuoco e cenere al vento, Cittadella, Assisi 1985; Il volo del quetzal, La Piccola, Celleno 1989; In cerca di giustizia e liberta', Emi, Bologna 1990; (con Jose' Maria Vigil), Spiritualita' della liberazione, Cittadella, Assisi 1995; Solo i sandali e il Vangelo, Edb, Bologna 2016.
Tra le opere su Pedro Casaldaliga: Teofilo Cabestrero, La lotta per la pace. Le cause di Pedro Casaldaliga, La Piccola, Celleno 1992.
*
Rechiamo incisi nella memoria alcuni suoi versi.
Scrisse:
Mi diranno sovversivo;
rispondero': e' vero.
Per il mio popolo che lotta, vivo;
con il mio popolo che marcia, cammino.
(...)
Incito alla sovversione
contro il potere e il denaro.
Voglio sovvertire la legge
che perverte il popolo in gregge
e il governo in macellaio.
(Credo nella giustizia e nella speranza, Asal, Roma 1976, p. 63).
*
Scrisse:
Per socializzazione intendo la maggiore partecipazione possibile di tutti i cittadini, con il piu' elevato livello possibile di uguaglianza, nei beni della natura e in quelli di produzione.
Per raggiungere cio', evidentemente, sara' necessario togliere e distruggere l'egoismo del capitale, il privilegio delle minoranze, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
(La morte che da' senso al mio credo, Cittadella, Assisi 1979, p. 108).
*
Scrisse:
Il primo mondo consumista e' un antropofago che sta mangiando il terzo mondo.
(Nella fedelta' ribelle, Cittadella, Assisi 1985, p. 65).
*
Scrisse:
I costruttori della Citta'
- la Citta' di Dio, la citta' dell'uomo -
abitano sempre in periferia.
(Fuoco e cenere al vento, Cittadella, Assisi 1985, p. 41).
*
Scrisse:
Da lontano,
ogni montagna e' azzurra.
Da vicino,
ogni persona e' umana.
(Fuoco e cenere al vento, Cittadella, Assisi 1985, p. 41).
*
Scrisse:
Votate no alla guerra e alla morte, fratelli.
(Il volo del quetzal, La Piccola Editrice, Celleno 1988, p. 142).
*
Scrisse:
Fratelli nostri
che siete nel Primo Mondo:
(...)
rispettate il nostro pane quotidiano,
rinunciando voi
al vostro sfruttamento quotidiano.
Non vi intestardite
a ricevere da noi il debito che non abbiamo fatto
e che continuano a pagare
i nostri bambini,
i nostri affamati,
i nostri morti.
Non cadete piu' nella tentazione
del lucro, del razzismo, della guerra;
noi faremo in modo
di non cadere nella tentazione
dell'ozio o della sottomissione.
E liberiamoci gli uni gli altri
da ogni male.
(Citato in Teofilo Cabestrero, La lotta per la pace. Le cause di Pedro Casaldaliga, La Piccola Editrice, Celleno 1992, pp. 108-109).
*
Nel ricordo e alla scuola di Pedro Casaldaliga proseguiamo nella lotta nonviolenta contro ogni violenza, contro ogni inquita', contro ogni ingiustizia, contro ogni rapina e asservimento.
Nel ricordo e alla scuola di Pedro Casaldaliga proseguiamo nella lotta nonviolenta contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Nel ricordo e alla scuola di Pedro Casaldaliga proseguiamo nella lotta nonviolenta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e per la salvaguardia dell'intero mondo vivente, casa comune dell'umanita' che e' una.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la liberazione comune, per il bene comune dell'umanita', per la salvezza dell'intero mondo vivente.
E qui e adesso, nel ricordo e alla scuola di Pedro Casaldaliga, ancora una volta chiediamo che si realizzino immediatamente quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
4. formare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'. Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele. Salvare le vite e' il primo dovere.
Nel ricordo e alla scuola di Pedro Casaldaliga la nonviolenza e' in cammino.
3. REPETITA IUVANT. NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE CHE MUTILA LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E MIRA AD IMPORRE UN REGIME TOTALITARIO NEL NOSTRO PAESE
Al referendum costituzionale sulla mutilazione del parlamento del 20-21 settembre 2020 voteremo no.
Siamo contrari a ridurre il Parlamento a una tavolata di yes-men al servizio di esecutivi tanto insipienti quanto tracotanti e dei grotteschi e totalitari burattinai razzisti e militaristi che li manovrano.
Siamo contrari al passaggio dalla democrazia rappresentativa, per quanto imperfetta essa possa essere, al fascismo.
La mutilazione del parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari ha questo significato e queste fine: favorire il passaggio da una democrazia costituzionale gia' profondamente ferita a un regime sempre piu' antidemocratico ed eslege, sempre piu' protervo e brutale.
Al referendum del 20-21 settembre 2020 votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie.
No all'antiparlamentarismo, che alla separazione e all'equilibrio dei poteri, alla rappresentanza proporzionale dell'intera popolazione e alla libera discussione e consapevole deliberazione vuole sostituire i bivacchi di manipoli, l'autoritarismo allucinato, plebiscitario e sacrificale, il potere manipolatorio dei padroni occulti e palesi delle nuove tecnologie della propaganda e della narcosi.
No al fascismo, crimine contro l'umanita'.
No alla barbarie, che annichilisce ogni valore morale e civile, che perseguita ed estingue ogni umana dignita' e virtu', che asservisce la societa' alla menzogna e alla violenza.
4. REPETITA IUVANT. ANCORA UNA VOLTA CHIEDIAMO
Ancora una volta chiediamo che si realizzino immediatamente quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
4. formare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
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Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
5. REPETITA IUVANT. "L'ITALIA ADERISCA AL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI". UNA LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL SENATO E AL PRESIDENTE DELLA CAMERA
Gentilissima Presidente del Senato della Repubblica,
gentilissimo Presidente della Camera dei Deputati,
ricorrendo nei giorni scorsi il LXXV anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, tanto il Presidente della Repubblica, quanto Lei, Presidente del Senato, e Lei, Presidente della Camera, ha e avete diffuso messaggi di cordoglio per le vittime e di esortazione all'impegno affinche' simili orrori non abbiano a ripetersi mai piu' e si proceda quindi verso il disarmo, la pace, la cooperazione fra tutti i popoli nel riconoscimento della comune umanita' di tutti gli esseri umani; nella consapevolezza che le armi atomiche mettono in pericolo l'esistenza stessa dell'umanita' nel suo insieme.
Orbene, come e' noto, il 7 luglio 2017 una conferenza ad hoc dell'Onu ha adottato il necessario e non piu' rinviabile "Trattato per la proibizione delle armi nucleari", che entrera' in vigore dopo che almeno cinquanta Stati lo avranno sottoscritto e ratificato.
L'Italia e' tra i paesi che questo fondamentale Trattato ancora non lo hanno ne' sottoscritto, ne' ratificato.
In mancanza di questa firma ogni dichiarazione da parte dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali del nostro paese di cordoglio per le vittime e di apprensione per le sorti dell'umanita', ogni appello da parte dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali del nostro paese all'impegno altrui in assenza del nostro, rischia di apparire - ahinoi - come un vaniloquio, un esercizio di retorica, un atto di ipocrisia. E siamo certi che non erano questi il sentimento e l'intenzione vostra e del Presidente della Repubblica.
Come gia' innumerevoli associazioni umanitarie ed innumerevoli cittadine e cittadini, vi esortiamo pertanto anche noi ad assumere un impegno concreto, preciso e non piu' rinviabile: adoperarvi affinche' l'Italia sottoscriva e ratifichi nel piu' breve tempo possibile il Trattato Onu del 7 luglio 2017 per la proibizione delle armi nucleari.
E' in vostro potere convocare le Conferenze dei capigruppo di entrambi i rami del Parlamento affinche' l'organo legislativo del nostro ordinamento giuridico deliberi un documento in tal senso che impegni e vincoli l'esecutivo.
E' in vostro potere promuovere il pronunciamento del Parlamento italiano.
E' in vostro potere far si' che l'Italia finalmente si esprima con un atto giuridico cogente in pro del bene comune dell'umanita' aderendo al Trattato che impedisca alle armi atomiche di tenere sotto ricatto e minacciare di distruzione l'intera famiglia umana.
Le ragioni per farlo le avete enunciate voi stessi, cosi' come il Presidente della Repubblica, pochi giorni fa. A quelle vostre sentite parole date effettuale seguito, date autentico inveramento.
Ve lo chiedono tutte le associazioni umanitarie, l'intera comunita' scientifica, tutte le cittadine e tutti i cittadini di volonta' buona; ve lo chiede una lettura avvertita della nostra Costituzione, della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani; ve lo chiede l'umanita' intera; ve lo chiedono le generazioni future.
Augurandovi ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 12 agosto 2020
6. RIFLESSIONE. ELENA BUCCOLIERO: SIAMO TUTTE LAURA MASSARO
[Dal sito di "Azione nonviolenta" (www.azionenonviolenta.it)]
Sta per compiere un anno di vita il comitato "Madri unite contro la violenza istituzionale" costituito da Laura Massaro, nota per aver lottato strenuamente affinche' il suo bambino rimanesse con lei.
Aveva ritirato la querela contro l'ex partner violento convinta dal legale, e a quel punto i maltrattamenti sono scomparsi dall'orizzonte e il Tribunale per i Minorenni di Roma ha ritenuto che il figlio, restio ad incontrare il papa', fosse condizionato in negativo dalla mamma e dovesse trasferirsi dal padre. Una decisione presa nonostante psicologi e assistenti sociali avessero descritto l'uomo "aggressivo e persecutorio" e suggerissero di proteggere il legame affettivo del bimbo con la madre. A propria volta il padre ne chiedeva l'affido esclusivo, oppure l'inserimento in una comunita'. La Corte d'Appello minorile, con sentenza divenuta definitiva, ha stabilito che il bambino deve rimanere con la mamma.
Collocare questa vicenda in un tribunale per i minorenni e' per me molto strano. Nei miei anni bolognesi ho conosciuto un orientamento diverso, riassunto in un opuscolo che alla domanda "Se chiedo aiuto mi porteranno via i bambini?" risponde un sicuro no, per ogni donna che sia protettiva verso i figli e in grado di occuparsene.
Eppure quello di Laura Massaro non e' un caso isolato nella giustizia italiana ordinaria e minorile. Grazie al lavoro del Comitato, la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere ha richiesto gli atti di 572 procedimenti giudiziari. Tanti sarebbero i casi documentati nei quali donne che hanno denunciato la violenza del partner rischiano l'allontanamento dei bambini perche' ritenute alienanti, morbose, simbiotiche e via di questo passo. Il rifiuto dei figli di vedere il padre sarebbe stato interpretato come frutto del condizionamento materno, un modo per far entrare dalla finestra quella "sindrome di alienazione parentale" (PAS) che il DSM 11, manuale diagnostico delle malattie mentali, ha fatto uscire dalla porta, negando che esista una patologia individuabile con questo nome.
Non conosco quei 572 fascicoli, da qui l'uso del condizionale, ma che questa forma di violenza istituzionale avvenga nei tribunali italiani e' certo. E io continuo a non capire. Se un bimbo ha paura del papa', perche' forzare il bambino e non, invece, chiedere al padre di riconoscere i propri errori e di superarli?
Intendiamoci: negare la PAS non esclude che i condizionamenti esistano, e in fondo tutti noi basiamo i nostri convincimenti rielaborando l'esperienza che in qualche modo ci condiziona. Peraltro anche picchiare una donna davanti ai figli e' un modo per condizionarli. Ribattono infatti le madri: i bambini non vogliono incontrare il papa' perche' e' stato violento davanti a loro. Una violenza di cui gli stessi bambini sono oggetto gia' per avervi assistito, e spesso per esserne stati colpiti direttamente.
Che cosa accade, dunque? La donna avanza una querela contro il maltrattante e questo da' impulso ad un procedimento penale. Poi, non volendo piu' vivere insieme, chiede – o entrambi chiedono – la separazione o di regolare l'affidamento dei figli, e da qui un procedimento civile. Sulla base della Convenzione di New York, legge per l'Italia dal 1991, e delle norme successive, i bambini dai 12 anni in avanti (ancor prima se capaci di discernimento) hanno il diritto di essere ascoltati dal giudice. Per quanto ne so, nei tribunali ordinari accade raramente, e comunque ci sono gli infradodicenni per i quali prendere decisioni. Si procede affidando una ctu (consulenza tecnica d'ufficio) a uno psicologo giuridico, affinche' valuti la situazione e indichi il migliore affidamento dei piccoli.
Ora, se come spesso accade il giudice civile chiede al consulente di ignorare i maltrattamenti, in quanto non ancora confermati da sentenza, e' evidente che la valutazione sara' scollata dalla realta'. Le eventuali aggressioni non sono solo comportamenti da valutare in sede penale, sono un'esperienza tangibile nei pensieri e nelle emozioni delle persone coinvolte. Non capirlo e' una miopia che conduce a decisioni violente, come concludere che il bambino ha paura del papa' per colpa della mamma e per questo deve abitare col papa'. E d'altra parte, che altra motivazione si potrebbe pensare, se non la perfidia delle donne, una volta che i maltrattamenti siano stati esclusi all’origine?
Il senatore Pillon aveva tentato di fissare questo percorso mentale. Il disegno di legge non e' passato ma, a quanto pare, tanti tribunali lo stanno applicando, con il pauso di parte dell'opinione pubblica. E' un fatto molto grave. Da' il segno di quanto il peso della violenza familiare sulla crescita dei bambini sia misconosciuto, nella cultura diffusa e in quella giudiziaria.
Le conseguenze sono molteplici e pervasive. Non di rado, nelle separazioni, l'avvocato suggerisce alla donna il ritiro delle querele per mostrarsi al giudice la disponibilita' a non accanirsi sul passato. Del resto e' frequente che le querele vi siano da ambo le parti: da una parte le botte, dall'altra l'allontanamento dei bambini, la sottrazione di beni o altro. Aggiungiamo il fatto che una separazione consensuale e' piu' rapida e meno costosa di una giudiziale, quindi piu' conveniente per tutti.
Il ritiro della querela pero' interrompe quasi sempre il procedimento penale (solo per le violenze gravissime si va avanti d'ufficio) e invalida la testimonianza della donna in sede civile. Quelle umiliazioni, quei lividi, quelle fratture, dal punto di vista giudiziario scompaiono, e' come non fossero mai esistiti. Si riducono le possibilita' di proteggere donne e bambini da ulteriori violenze; non si possono emanare ordini di protezione, o stabilire incontri protetti padre-figlio, se manca l'indizio che qualcosa di grave sia gia' avvenuto.
Ulteriore conseguenza, questo orientamento di parte della magistratura fa si' che le donne diventino sempre piu' restie a denunciare per paura di perdere l'affidamento dei figli, e cosi' non si proteggono, e non proteggono i loro bambini.
Leggo su Il Fatto Quotidiano un inquadramento ancora piu' ampio, secondo cui dietro tutto questo ci sarebbe un disegno complessivo di stampo maschilista per rimettere le donne al loro posto, presumo tra cucina e camera da letto. Ancora, il settore prevalente della psicologia giuridica avrebbe sposato questo indirizzo e lo trasmetterebbe nella formazione di psicologi, avvocati e magistrati, assicurandosi la propria sopravvivenza e generosi incassi (per una consulenza tecnica, anche 8-10mila euro).
"Siamo tutte Laura", si legge sui cartelli delle manifestazioni del Comitato. Personalmente sono molto contenta che questo comitato ci sia, ritengo porti avanti una lotta necessaria, fondata, giusta. Sono sempre perplessa quando le rivendicazioni vengono urlate. Mi sembra si confezioni una griglia di lettura del reale dietro cui e' facile nascondersi. Ho conosciuto madri maltrattate che erano anche, e indipendentemente dalle violenze subite, maltrattanti, o tossicodipendenti, non in grado di occuparsi dei figli in quella fase della loro vita. Voglio dire, cioe', che niente e' semplice e univoco, e venire picchiate dal partner non significa automaticamente essere buone madri. Ogni caso va guardato volta per volta e in profondita'. Mi rendo conto, pero', che in una campagna di comunicazione questi distinguo si perdono, e di fronte a un sistema giudiziario che trasforma la vita di tante donne in un ritornello senza soluzione lo dico anch'io, "siamo tutte Laura".
7. MEMORIA. "MOKED" RICORDA TULLIO LEVI
[Dal sito di "Moked"]
Tullio Levi (1939-2020)
Un punto di riferimento per l'ebraismo torinese, un pezzo fondamentale della sua storia recente, una guida e un amico per chi lo ha conosciuto. E' con affetto e cordoglio che Torino e il mondo ebraico salutano Tullio Levi, scomparso in queste ore all'eta' di 80 anni.
Imprenditore e presidente della Comunita' ebraica torinese dal 1981 al 1987 e dal 2005 al 2011, Levi e' stato una delle colonne dell'ebraismo piemontese. "Con Tullio scompare un grande protagonista della vita comunitaria torinese e italiana. Nel suo oltre mezzo secolo di impegno ha impresso una svolta innovativa alla Comunita' – ricorda l'attuale presidente della Comunita' ebraica di Torino Dario Disegni – Nei primi anni '70 creò assieme ad altri, in polemica con un comunita' considerata troppo burocratica, il gruppo HaKeillah portando avanti la visione di una vita comunitaria diversa. Quel gruppo, oltre a fondare il giornale, poi prese la guida della Comunita' e lui stesso ha retto per molti anni la presidenza. Insieme a figure come Guido Fubini, Giuseppe Tedesco, Tullio ha dato un grande impulso alla realta' ebraica torinese, impegnandosi anche nei diversi congressi dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane. Sempre da protagonista, sempre battagliero, lavorando anche al rinnovamento democratico dell'Unione". "Un amico, un maestro, una guida per tutti noi. Il suo entusiasmo positivo riusciva a contagiare tutti", le parole di cordoglio del Gruppo di Studi ebraici di Torino, associazione nata proprio su impulso di Levi, di cui molti ricordano in queste ore l'impegno anche sul fronte culturale, con iniziative e progetti sempre in cantiere. "Mentre gli altri dicevano 'si potrebbe fare quella tal cosa'. Lui l'aveva gia' fatta. Lui non parlava, faceva – ricorda Alda Segre, amica di una vita e per diversi anni rappresentante all'Unione, assieme a Levi, della Torino ebraica – Era un amico con l'A maiuscola. Un uomo mosso dalla generosita' e dallo spirito di servizio. Sempre presente per chiunque avesse bisogno". "Se per noi e' stato un vero chacham, un sapiente, la sua dedizione alla famiglia e' stata un esempio per tutti", ricorda il Gruppo Studi, inviando un abbraccio fortissimo a Silvia, Marta e Filippo, Susanna, Asher, Daniel e a tutta la famiglia. Un abbraccio a cui si unisce questa redazione, che in Tullio Levi ha sempre avuto un amico, un riferimento, un sostenitore. "Sicuramente e' una perdita gravissima per Torino e per l'ebraismo italiano – aggiunge Dario Disegni – ma e' anche la perdita di un amico sincero a cui ero molto legato, con cui ho condiviso molte iniziative. Anche se nell'arco degli anni non mi sono trovato d'accordo su tutte le sue decisione in merito alla vita della comunita' rimane una persona che mi ha insegnato molto, portero' un ricordo indelebile della sua figura, fonte di ispirazione ed esempio da seguire nel mio impegno attuale".
Nato nel 1939, Levi racconto' in un'intervista a Carlo Petrini le vicissitudini familiari durante il fascismo: con le leggi razziste del 1938, il padre Marco, chimico alla Shell di Torino, perse il lavoro e la famiglia fu costretta a trasferirsi, spostandosi fuori citta', a Torre Canavese. "Anche se avevo solo quattro anni – raccontava Tullio Levi – ricordo ancora quel giorno degli inizi di dicembre 1943 in cui vidi comparire davanti al nostro cancello un uomo in uniforme, seppi poi essere il maresciallo dei carabinieri della vicina stazione di Aglie', venuto ad avvisare mio padre che bisognava abbandonasse al piu' presto Torre perche' era cominciata la caccia agli ebrei". A prestare alla famiglia Levi assistenza furono i vicini, la famiglia Antoniono. "Senza alcuna esitazione e incuranti dei rischi cui andavano incontro – ricordava Tullio Levi – essi si offrirono di ospitare mia nonna e, affinche' la separazione non le risultasse traumatica, suggerirono che io, il nipote piu' piccolo, restassi con lei. E cosi' fu, mentre i miei genitori e mio fratello Riccardo trovarono un nascondiglio provvisorio nella canonica dei "Tre Ciuche'", una chiesa isolata di una borgata non lontana da Aglie'". Nel raccontare a Petrini il periodo trascorso nascosto, Levi ricordera' anche le storie del padre degli Antoniono, Pietro, che rievocava la Grande Guerra. "A me quelle storie piacevano molto ma la moglie, che le aveva sentite raccontare un'infinita' di volte, protestava. Allora Pietro mi prendeva per mano e mi diceva "Tullio ven che alura mi e ti 'nduma 'n crota a cante' Bandiera rusa": mi portava in cantina, mi issava a cavallo di una botte e mi insegnava a cantare "Bandiera rossa", finche' non giungeva terrorizzata la moglie a farci tacere e a dirci che era meglio che riprendesse a raccontare le storie della guerra". Nel 1944 la famiglia Levi si ricongiunge e inizia un costante trasferimento per sfuggire alle razzie nazifasciste, sempre con l'aiuto degli Antoniono, fino alla Liberazione.
E alle feste per il 25 aprile cosi' come nelle celebrazioni del Giorno della Memoria Tullio Levi e' sempre stata una presenza costante, cercando di spiegare al grande pubblico il messaggio di questi avvenimenti, al di la' della retorica. Di far capire la pericolosita' della retorica del nemico. "Il pregiudizio nei confronti di chi e' o e' ritenuto straniero o 'diverso', non solo crea le premesse per la sua emarginazione ma puo' portare a scorgere in lui il ‘nemico" da combattere e da distruggere – ricordava in un suo intervento del 2011 –. La storia del popolo ebraico e della sua presenza in Europa, caratterizzata da secoli di antisemitismo di matrice cristiana culminati con la Shoah, costituisce un monito della massima attualita' e coerenza nei confronti della nostra societa' che si trova a dover affrontare il fenomeno dell'immigrazione di massa dai paesi disagiati". Per portare avanti la Memoria e in particolare quella di Primo Levi, di recente si era impegnato nella costituzione dell'associazione Amici del Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino, di cui era vicepresidente.
Nei suoi progetti, anche l'impegno per l'Associazione del Centro Peres per la Pace Italia Onlus, presentato nel 2013. Inaugurandolo, Levi aveva ricordato l'importanza di educare i giovani alla pace, nel segno della lezione del Premio Nobel Shimon Peres. "Un albero cresce bene se ha radici forti, cosi' come una casa la si costruisce dalle fondamenta. Per questo l'educazione dei nostri ragazzi ha un ruolo insostituibile e unico. Essa e' il primo baluardo di una lotta per la pace", le parole di Levi. Un altro esempio della sua inesauribile capacita' di impegnarsi per il prossimo.
Sia il suo ricordo di benedizione.
8. MEMORIA. MARIA ANGELA BREGA RICORDA PAOLO FINZI
[Dalla pagina Facebook di Cascina Torchiera]
Paolo, sarai sempre nel mio cuore, riposa in pace.
9. MEMORIA. CASCINA TORCHIERA RICORDA PAOLO FINZI
[Dalla pagina Facebook di Cascina Torchiera]
Ciao Paolo.
Sei insostituibile.
10. MEMORIA. MARIO DI VITO RICORDA PAOLO FINZI
[Dal sito www.slow-news.com]
Il pomeriggio di lunedi' 20 luglio 2020, il milanese Paolo Finzi era alla stazione di Forli'. Qualcuno, dal binario di fronte, l'ha visto sui binari che camminava. Poi e' passato un treno e poi piu' niente. Nella costellazione anarchica l'elaborazione del lutto e' un qualcosa che prevede molti pensieri e, di conseguenza, molte parole. Si spiega, si racconta, si cerca di dare un senso all'impossibile da capire. Cosa passa per la testa di una persona che decide di uccidersi? Forse la domanda non ha senso, ma qualche risposta esiste lo stesso. "Era malato di depressione? Si'", spiega Enrico, il fratello di Paolo. "Gli ho parlato a lungo, su sua richiesta, anche due giorni prima della sua morte. Non ho cercato di convincerlo. Gli ho solo chiesto di dar tempo, sino a settembre, alle pasticche, alla chimica. Non ha voluto. Aveva gia' scelto. Il problema non era piu' medico. Era esistenziale, filosofico. Sentiva di non aver piu' alcuna forza, fisica e non, per proseguire. Aveva un'impressione di impotenza di fronte alle sfide, anche minute, del vivere. Avvertiva un sentimento di fallimento, che gli spiegavo falso, ma senza successo. Al fondo, non riusciva piu' a sentire 'suo' questo mondo corrotto e iniquo. Non parlava di fallimento dell'anarchismo, anzi. Ma non si credeva piu' parte dell'universo attuale, che gli pareva estraneo, alieno. Lui, che aveva dedicato la sua vita alla liberazione degli umani, non aveva piu' speranza. Non l'ha negata. L'ha lasciata agli altri".
Paolo Finzi era il direttore di "A Rivista Anarchica", il mensile che da mezzo secolo traccia le rotte del pensiero libertario in Italia. Nato a Milano, figlio di una partigiana socialista, Finzi e' diventato anarchico nel 1968, in corrispondenza con l'apertura del circolo Ponte della Ghisolfa. Un anno dopo fu arrestato nell'ambito delle indagini sulla Strage di Piazza Fontana. Al momento dell'esplosione, pero', Paolo era a casa con la febbre e venne rilasciato subito. Gli anarchici con quella bomba non c'entravano nulla, ma all'inizio tutti li guardavano con sospetto. Ne sanno qualcosa, tra gli altri, Pino Pinelli – che precipito' da una finestra della questura milanese – e Pietro Valpreda, che solo dopo diversi anni di galera fu riconosciuto innocente. "A Rivista Anarchica" nascera' nel 1971 e tra i suoi piu' grandi lettori – e sostenitori – ci sarebbe poi stato un certo Fabrizio De Andre'. Il cantautore genovese era solito chiudere i concerti chiedendo se tra il pubblico ci fossero anarchici, perche' avrebbe avuto piacere di salutarli. Una sera al suo camerino si presento' Paolo con una copia di "A". Il resto, in qualche modo, e' storia. "Paolo trovo' in Fabrizio una grande fonte d'ispirazione, forse il modello dell'anarchico che aveva in mente: colto, libero, duro e gentile, ironico e romantico al tempo stesso. Puro. Era cosi' anche lui", ricorda lo scrittore Paolo Cognetti, quello che quando vinse lo Strega nel 2017 si presento' con un fiocco nero alla Lavalliere e nessuno tra i giornalisti presenti capi' che si trattava di un vezzo da antico anarchico. Qualcuno il giorno successivo sostenne in un pezzo che si trattava di "un fioccone da scolaretto".
11. MEMORIA. SILVIA PINELLI RICORDA PAOLO FINZI
[Dalla pagina Facebook di Cascina Torchiera]
Vedeva oltre, viveva del suo anarchismo illuminato, poeta e profeta insieme...
Paolo ciAo.
12. MEMORIA. PAOLO FINZI: ESPERANTO (1981)
[Da "A. Rivista anarchica" n. 90 del marzo 1981, articolo firmato con lo pseudonimo Camillo Levi, con il titolo "Esperanto"]
Se si dovesse giudicare solo in base alla sua diffusione, cioe' al suo successo "di massa", certo il giudizio sull'esperanto non potrebbe essere molto lusinghiero. A quasi un secolo dalla sua "creazione" ad opera del polacco Zamenhof, la grande maggioranza della gente non ne conosce nemmeno l'esistenza e pochissimi se ne sono interessati al punto di studiarlo e di cercare di utilizzarlo. E anche se il giudizio dovesse basarsi sulla "composizione" ideologica e professionale degli esperantisti in genere, non ci sarebbero conclusioni molto positive da trarre: da questo punto di vista, cosi' come nella sua struttura linguistica, l'esperanto e' una lingua neutra. Basterebbe citare in proposito il (relativo) successo che ha incontrato in ambienti ecclesiastici (anche Wojtyla e' un esperantista!) e in altri settori tutt'altro che progressisti.
Eppure vi e' piu' di una ragione per occuparsi dell'esperanto, vincendo quello scetticismo (che e' anche nostro, della redazione) dovuto in parte anche all'ignoranza e al pregiudizio. Se e' vero, per esempio, che in genere il movimento esperantista e' amorfo ed incolore, dedito esclusivamente alla promozione del suo particolare strumento linguistico, non bisogna scordare che vi e' sempre stata (da quasi 70 anni) una corrente di sinistra che ha posto l'accento sulla matrice cosmopolita, internazionalista e anti-bellicista dell'esperanto, considerandolo uno degli strumenti per l'emancipazione sociale dell'umanita'. Organizzativamente questa tendenza si e' riconosciuta grosso modo nella Sennacieca Asocio Tutmonda (S.A.T. - associazione mondiale a/nazionale), creata a Praga nel '21 su basi razionaliste e socialistiche, in netto contrasto con il neutralismo "cieco" dell'esperantismo "ufficiale". In seno al movimento anarchico, l'esperanto poi ha sempre trovato dei ferventi sostenitori, propagandisti e utilizzatori: se in alcuni paesi (come l'Italia) sono sempre stati proporzionalmente pochissimi (anche se conosciuti, come Malatesta), altrove invece si e' abbastanza diffuso negli ambienti anarchici: e' il caso del Giappone, di vari paesi del Centro e Nord Europa, ecc. Dell'esperanto si e' discusso in congressi anarchici "celebri", come quello dell'Unione Anarchica Italiana a Bologna nel luglio '20 (in pieno "biennio rosso") e in quello della C.N.T. a Saragozza nel '36 (alla vigilia della rivoluzione sociale spagnola): una lunga relazione sull'esperanto, proprio in vista del congresso di Bologna, fu pubblicata con ampio risalto sul quotidiano Umanita' Nova. Ancora oggi gli esperantisti libertari hanno un loro periodico, Liberecano Ligilo, oltre ad un certo numero di classici dell'anarchismo tradotti in esperanto.
Ma cio' che maggiormente merita di esser conosciuta e' la storia delle persecuzioni che gli Stati in tutto il mondo hanno scatenato in diverse aree e in diverse epoche contro gli esperantisti: sono pagine sconosciute, che testimoniano della brutalita' del Potere di fronte ad un'idea e ad un progetto che, pur modesti, vengono percepiti come antagonisti proprio per il loro carattere internazionalista. Gia' nel 1905 un quotidiano tedesco classificava l'esperanto come "lingua internazionale degli anarchici"; ma in quegli anni era soprattutto il regime zarista a tentare di ostacolare in tutti i modi l'uso e la propaganda dell'esperanto in Russia. Nonostante l'obiettiva facilita' della lingua, il regime impiego' degli anni per farla apprendere bene ai suoi funzionari addetti alla censura - e nel frattempo vieto' qualsiasi pubblicazione in esperanto. Circondato dalla fama di lingua dei "massoni" e di strumento utilizzato dal nemico per comunicazioni "in codice", in pratica fu vietato per anni: un capo di polizia russo nel 1911 ordino' che venissero distrutti dei manifesti in esperanto con la motivazione (tutta sbirresca nella sua comicita') "perche' gli abitanti non li capiscono". Alle ambasciate russe all'estero fu trasmesso l'ordine di indagare sull'attivita' della Liberiga Stelo (antesignana della S.A.T.), il cui programma aveva entusiasmato molti rivoluzionari russi allo studio dell'esperanto.
Pur ostacolato dai governi e anche dai partiti sedicenti della classe operaia (i socialisti olandesi lo definirono "un pericoloso giochetto", i socialdemocratici tedeschi "una stupidaggine borghese"), il movimento esperantista non subi' persecuzioni fisiche sistematiche fino all'avvento al potere di Hitler. Gia' nel '25 il fuhrer aveva scritto nel suo "Mein Kampf": "finche' l'Ebreo non sara' diventato padrone degli altri popoli dovra', volente o nolente, parlare la loro lingua, ma appena essi fossero i suoi servi dovrebbero tutti imparare una lingua universale (ad esempio l'esperanto!), cosi' che anche con questo mezzo gli ebrei potrebbero governarli piu' facilmente!". Nel '36, infatti, tutte le associazioni che si occupavano della lingua internazionale (ufficialmente classificata come "lingua di ebrei e comunisti") vennero sciolte in tutti i paesi successivamente annessi o occupati dalle truppe naziste l'esperanto fu messo al bando, gli esperantisti rinchiusi nei campi di concentramento.
Persecuzioni, condanne, torture, vessazioni di ogni tipo caratterizzarono la difficile sopravvivenza degli esperantisti negli anni '30 in Cina, in Giappone e soprattutto nell'U.R.S.S. stalinista. Qui il regime non rinuncio' mai, in proprio, al saltuario utilizzo dell'esperanto, come quando nel '37 pubblico' anche in esperanto la Costituzione del '36 ed alcune opere di Stalin. Ma, al di fuori di questo uso strumentale a fini propagandistici di regime, lo vieto', ne perseguito' i cultori, ne fece fucilare o eliminare in altro modo moltissimi. Dati precisi non se ne sono mai potuti avere, ma - dati i tempi e quel poco che si sa delle immani purghe staliniane - non e' difficile immaginare che sorte sia toccata a tutti coloro che venivano sospettati di avere a che fare con quella "lingua delle spie" come veniva presentato l'esperanto. Da alcuni documenti ufficiali, risulta che gli esperantisti ed i filatelisti erano accomunati nell'elenco delle persone da eliminare nella Grande Purga del '37. Negli ultimi decenni, anche l'esperanto e' stato riabilitato in U.R.S.S., ma solo nell'ambito di un associazionismo controllato dallo Stato e dal Partito: tutto il resto - come sempre per i dirigenti del "socialismo reale" - viene dal maligno.
Queste poche informazioni storiche sul vero e proprio calvario imposto dal potere agli esperantisti, ed in particolare ai suoi settori progressisti, aprono uno squarcio nel velo del silenzio che ha contribuito a relegare l'esperanto in un cantuccio, tra i giocattoli oziosi ed inutili. Evidentemente anche l'esperanto puo' essere un mezzo efficace per avvicinare, se non i popoli (il che puo' essere al massimo un obiettivo "utopistico"), almeno quelle persone, quei militanti che sentono la necessita' di mantenere relazioni dirette con persone di varie nazionalita' - senza dover per questo mettersi a studiare (ammesso che se ne abbia la possibilita') piu' lingue straniere. In questo senso, l'esperanto e' gia' oggi uno strumento usato su discreta scala nelle sue zone "primarie" (Estremo Oriente, Nord Europa) e in piccola misura anche altrove: complessivamente, circa 10 milioni di persone in tutto il mondo parlano e scrivono anche in esperanto.
Alla classica obiezione che sarebbe assurdo quanto impossibile anche solo pensare di "imporre" alla gente di parlare una lingua artificiale, gli esperantisti libertari replicano che l'esperanto dovrebbe essere la seconda lingua per ciascun popolo, quella "internazionale" appunto. E al contempo insistono sulla necessita' di salvare e sviluppare tutte le lingue "locali" (spesso retrocesse e degradate a "dialetti"), in contrasto con le lingue artificiosamente imposte come nazionali (come l'italiano, per esempio, imposto ai sardi, ai siciliani, ai ladini e alle altre "minoranze linguistiche") e con quelle imperialisticamente dominanti sulla scena mondiale (in primo luogo, l'inglese). Il discorso sull'esperanto, dunque, ne implica necessariamente altri che - in quanto anarchici - ci interessano direttamente. Ecco perche', nonostante il nostro stesso scetticismo iniziale (nessuno della redazione e' esperantista), pensiamo utile affrontare anche questo argomento.
13. INIZIATIVE. PER SOSTENERE "A. RIVISTA ANARCHICA", RICORDANDO PAOLO FINZI
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14. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Edith Bruck, Chi ti ama cosi', Marsilio, Venezia 1974, 1995, pp. 114.
- Edith Bruck, Due stanze vuote, Marsilio, Venezia 1991, 1996, pp. 120.
- Edith Bruck, Transit, Marsilio, Venezia 1995, pp. II + 108.
- Edith Bruck, Signora Auschwitz. Il dono della parola, Marsilio, Venezia 1999, pp. 96.
15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
16. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3832 del 15 agosto 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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