[Nonviolenza] Telegrammi. 3830



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3830 del 13 agosto 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. "L'Italia aderisca al Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari". Una lettera aperta alla Presidente del Senato e al Presidente della Camera
2. Ancora una volta chiediamo
3. Paolo Finzi ricorda Roberto Ambrosoli (2020)
4. Paolo Finzi ricorda Umberto Marzocchi (2005)
5. Paolo Finzi presenta "La fiaccola dell'anarchia" di Paolo Becherini (2020)
6. Paolo Finzi: La gestazione e la nascita di "Umanita' Nova" nel 1919-1920 (1975)
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. APPELLI. "L'ITALIA ADERISCA AL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI". UNA LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL SENATO E AL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Gentilissima Presidente del Senato della Repubblica,
gentilissimo Presidente della Camera dei Deputati,
ricorrendo nei giorni scorsi il LXXV anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, tanto il Presidente della Repubblica, quanto Lei, Presidente del Senato, e Lei, Presidente della Camera, ha e avete diffuso messaggi di cordoglio per le vittime e di esortazione all'impegno affinche' simili orrori non abbiano a ripetersi mai piu' e si proceda quindi verso il disarmo, la pace, la cooperazione fra tutti i popoli nel riconoscimento della comune umanita' di tutti gli esseri umani; nella consapevolezza che le armi atomiche mettono in pericolo l'esistenza stessa dell'umanita' nel suo insieme.
Orbene, come e' noto, il 7 luglio 2017 una conferenza ad hoc dell'Onu ha adottato il necessario e non piu' rinviabile "Trattato per la proibizione delle armi nucleari", che entrera' in vigore dopo che almeno cinquanta Stati lo avranno sottoscritto e ratificato.
L'Italia e' tra i paesi che questo fondamentale Trattato ancora non lo hanno ne' sottoscritto, ne' ratificato.
In mancanza di questa firma ogni dichiarazione da parte dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali del nostro paese di cordoglio per le vittime e di apprensione per le sorti dell'umanita', ogni appello da parte dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali del nostro paese all'impegno altrui in assenza del nostro, rischia di apparire - ahinoi - come un vaniloquio, un esercizio di retorica, un atto di ipocrisia. E siamo certi che non erano questi il sentimento e l'intenzione vostra e del Presidente della Repubblica.
Come gia' innumerevoli associazioni umanitarie ed innumerevoli cittadine e cittadini, vi esortiamo pertanto anche noi ad assumere un impegno concreto, preciso e non piu' rinviabile: adoperarvi affinche' l'Italia sottoscriva e ratifichi nel piu' breve tempo possibile il Trattato Onu del 7 luglio 2017 per la proibizione delle armi nucleari.
E' in vostro potere convocare le Conferenze dei capigruppo di entrambi i rami del Parlamento affinche' l'organo legislativo del nostro ordinamento giuridico deliberi un documento in tal senso che impegni e vincoli l'esecutivo.
E' in vostro potere promuovere il pronunciamento del Parlamento italiano.
E' in vostro potere far si' che l'Italia finalmente si esprima con un atto giuridico cogente in pro del bene comune dell'umanita' aderendo al Trattato che impedisca alle armi atomiche di tenere sotto ricatto e minacciare di distruzione l'intera famiglia umana.
Le ragioni per farlo le avete enunciate voi stessi, cosi' come il Presidente della Repubblica, pochi giorni fa. A quelle vostre sentite parole date effettuale seguito, date autentico inveramento.
Ve lo chiedono tutte le associazioni umanitarie, l'intera comunita' scientifica, tutte le cittadine e tutti i cittadini di volonta' buona; ve lo chiede una lettura avvertita della nostra Costituzione, della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani; ve lo chiede l'umanita' intera; ve lo chiedono le generazioni future.
Augurandovi ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 12 agosto 2020

2. REPETITA IUVANT. ANCORA UNA VOLTA CHIEDIAMO

Ancora una volta chiediamo che  si realizzino immediatamente quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
4. formare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
*
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.

3. MEMORIA. PAOLO FINZI RICORDA ROBERTO AMBROSOLI (2020)
[Da "A. Rivista anarchica" n. 443 del maggio 2020, con il titolo "Non solo Anarchik" e il sommario "Padre del piu' noto fumetto anarchico mondiale. Certo. Ma anche fine pensatore e compagnone esilarante. Se n'e' andato proprio quando ci poteva essere di aiuto per capire meglio e per ridicolizzare il potere"]

Per quanto possa voler bene a un suo figlio – generato quando aveva circa 25 anni – nessun padre puo' essere identificato con la sua creatura, anche se questa nel corso del tempo ha visto la propria fama crescere un po' dappertutto. E quella del padre, pur modesto, anche.
E' una regola che vale anche per Roberto Ambrosoli, il primo anarchico di lingua italiana – che noi si sappia – morto per Covid-19, nell'ospedale Mauriziano di Torino lo scorso mese di aprile. Nato a Milano nel 1942, aveva vissuto nel capoluogo lombardo fino agli anni dell'adolescenza. Al ginnasio e poi liceo classico aveva conosciuto e fatto subito amicizia con Amedeo Bertolo, con il quale partecipa – prima iniziativa pubblica – a una manifestazione di solidarieta', davanti al consolato ungherese a Milano, con il popolo ungherese in rivolta contro la repressione staliniana nel 1956.
Quell'amicizia durera' poi per tutta la vita, anche quando Roberto prima segue i genitori a Napoli poi si stabilisce a Torino. Negli anni '60 contribuisce a tener viva "la fiammella" dell'anarchismo nel capoluogo piemontese, con Gerardo Lattarulo e altre/i militanti piu' anziani. Dalla seconda meta' degli anni '60 partecipa alla vita dei Gruppi Giovanili Anarchici Federati, che poi (eliminando l'aggettivo "giovanili") durano fin verso la fine degli anni '70 per poi sciogliersi, dopo aver contribuito a dar vita a varie iniziative prevalentemente editorial-culturali, a partire da questa rivista, le edizioni Antistato e poi Eleuthera, il Centro Studi Libertari / Archivio Pinelli, la rivista quadrilingue "Interrogations", il Comitato Spagna Libertaria, la redazione della rivista "Volonta'" e poi – in continuazione ideale – la rivista "Libertaria".
In varia misura Roberto partecipa a queste numerose iniziative, sempre portando la sua particolare carica umana di simpatia e al contempo la profondita' della sua riflessione. Dai suoi scritti nel primo decennio di vita di "A" (gli anni Settanta) emerge una convinta adesione all'analisi socio-politica ed economica propria dei Gruppi Anarchici Federati, che identifica nella nuova classe emergente della tecno-burocrazia "i nuovi padroni", con un'attenzione particolare alle nuove forme del dominio. Riletta oggi, alla luce delle trasformazioni in corso nell'era e con la scusa della pandemia, gia' si colgono in quell'analisi – e in certe pagine di Roberto – alcuni segni di quella tecnocrazia "medica" e non solo che domina nei mezzi di comunicazione e pervade ogni giorno di piu' il tessuto sociale.
C'e' dunque un Roberto colto, riflessivo, attento osservatore sociale che si affianca al disegnatore di Anarchik, al compagnone politicamente impegnato, al traduttore di saggi e libri.
Una delle sue battute ricorrenti era "certo, certo", un modo per confermare quanto detto dal suo interlocutore con l'anglosassone sottolineatura che tutto e' opinabile, niente va preso per verita' assoluta, tutto si puo' prestare anche a un sorriso. Per lui l'humour non era una scelta relazionale, per "fare il simpatico". Era proprio cosi' Roberto.
Tante altre cose si potrebbero dire e raccontare di lui, ma il nostro Ambreus – se fosse qui, ora – strabuzzerebbe gli occhi e mi direbbe "Taglia, taglia. Hai scritto gia' troppe stronzate".
Gli obbedisco, ora.
Ma gia' sul prossimo numero riparleremo di lui. Cercando di fare del nostro peggio.

4. MEMORIA. PAOLO FINZI RICORDA UMBERTO MARZOCCHI (2005)
[Da "A. Rivista anarchica" n. 308 del maggio 2005, con il titolo "Il mio Umberto" e il sommario "L'incontro nel 1971, a Lisbona nel '74, su un treno a parlare di Berneri... Marzocchi nel ricordo di un redattore di A"]

"Opperbacco! Marzocchi sono io". Il vecchietto, con quel curioso pizzetto bianco, fece un salto dalla poltrona in cui era seduto. Dall'altra parte del tavolino, gli occhi vividi di Alfonso Failla seguivano la scena divertiti.
9 aprile 1971. Il giorno dopo sarebbe cominciato a Carrara il nono congresso della FAI e i compagni erano gia' affluiti numerosi da tutta Italia. Non pochi facevano riferimento alla casa di Alfonso Failla, lungo il vialone che dal mare porta nel cuore di Carrara. C'era un bell'andirivieni di vecchie barbe, giovani capelloni e gente varia. C'ero anch’io, appena arrivato in auto da Milano, con un bel paccone di riviste "A" – il n. 3, fresco di stampa.
Appena entrato in casa Failla, mi presentai: "Sono Paolo Finzi, della rivista "A": ho una delega di Umberto Marzocchi". Fu a questo punto che il vecchio Umberto usci' fuori con quell'interiezione che gli avrei poi sentito ripetere tante volte negli anni successivi. Il fatto e' che Marzocchi aveva inviato un certo numero di deleghe (in bianco), da lui firmate, a un compagno del Circolo "Ponte della Ghisolfa" che gli aveva comunicato che da Milano saremmo scesi numerosi per il Congresso: c'erano Luciano, Fausta, Amedeo, Rossella, Umberto, Enrico, Cesare e altri del Circolo che era stato (fino a un anno e mezzo prima) quello di Pino Pinelli. Deleghe in bianco, appunto, segno di una stima che travalicava i formalismi. Per cui anche la mia delega era firmata da Marzocchi, che nemmeno mi conosceva.
In realta' sia lui sia Failla mi conoscevano di nome quale collaboratore di "Umanita' Nova" e questo favori' – una volta chiarita la questione della delega – l'inizio di un dialogo che non si e' piu' interrotto.
Luglio 1974, Lisbona. In un localino della citta' vecchia sono a pranzo numerosi esponenti dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche. E' il 19 luglio e da tre mesi e' caduta la dittatura di Salazar e la "rivoluzione dei garofani" ha riportato l'inebriante odore della liberta' – ma solo in Portogallo, che' in Spagna perdura da quasi 40 anni la dittatura del cattolicissimo Franco. Qui, nel cuore della Lisbona finalmente libera, si sono dati appuntamento in un teatro stracolmo gli anarchici e gli anarcosindacalisti lusitani, ma anche tanti provenienti dall'estero – i piu' coccolati ed applauditi, gli spagnoli.
In questo ristorantino poco lontano dal teatro ci sono personaggi come Balkansky, dell'Unione degli Anarchici Bulgari in esilio, e altri vecchi militanti francesi, italiani, spagnoli, portoghesi e di altre nazionalita' che non ricordo.
Mi affaccio e Umberto mi viene incontro con il suo dentatissimo sorriso. Mi presenta agli altri come un bravo giovane compagno, ma la cosa pare strana ad alcuni di questi anziani militanti. Il motivo? Non ero della Federazione Anarchica Italiana, e nella loro concezione un po' burocratica, o chiusa, era difficile comprendere che un anarchico "bravo" non facesse riferimento all'Organizzazione (con la "O" maiuscola). Mi sentii un po' a disagio.
Ci penso' Umberto, che della FAI e dell'IFA era convintissimo esponente ma al contempo sapeva andare al di la' di questi aspetti formali, a sciogliere l'atmosfera e a spiegare ai commensali e compagni che in Italia c'erano buone relazioni tra la FAI e tanti compagni che nella FAI non si riconoscevano, ma che cionondimeno portavano avanti attivita' serie – come noi di "A".
Buon vecchio Umberto, che mi sei stato in tante cose Maestro e con cui ho fatto delle memorabili litigate. Mi ricordo, sempre negli anni '70, nel breve volgere dell'oretta ferroviaria che collega Firenze a Bologna, la tua capacita' di coinvolgimento mentre, in corridoio, raccontavi a decine di compagni assiepati intorno a te, il riconoscimento del cadavere di Camillo Berneri durante le tragiche giornate del maggio '37 a Barcellona.
Per la nostra giovane ed entusiasta generazione, vecchi come Umberto erano delle bandiere, dei punti di riferimento. E lui ne era ben conscio e un po' si crogiolava di questi occhioni aperti, di questa nostra insaziabile curiosita' di ascoltare.
Il mio Umberto e' stato anche quello di Aurora, la mia compagna, e di Gemma, sua sorella gemella. Un Umberto che le due "failline" mi hanno sempre raccontato, quello degli anni '50 e '60 che per loro era come uno zio specialissimo – quello con cui trascorrevano ore nella sede del Germinal a ciclostilare il Bollettino Interno della FAI, quello che andavano a prendere e ad accompagnare alla stazione di Avenza o a Villa Maria, la pensione che aveva scelto come suo alloggio nel corso dei suoi mille viaggi da Savona a Carrara, quello – soprattutto – che nel corso del Congresso Anarchico Internazionale tenutosi a Carrara nell'agosto '68 aveva strenuamente difeso insieme con il caliente Failla l'autonomia dell'anarchismo dal pasticciaccio para-marxista di Daniel Cohn-Bendit e dei "neo-anarchici" sessantottini (ed una bella testimonianza di quei giorni ci ha dato Massimo Ortalli all'indomani della morte di Failla, su queste colonne – cfr. "A" 135, marzo 1986).
Questi miei ricordi sono ben poca cosa, a fronte della mole di impegno militante sviluppata da Marzocchi, di cui il libro di Giorgio Sacchetti – ne sono certo, conoscendone e apprezzandone le doti umane e "professionali" – ci dara' certo conto. Ma fanno parte di un rapporto cosi' profondo che nemmeno la sua morte, quasi vent’anni fa, ha potuto troncare.
A volte me lo rivedo al fianco e vorrei potergli parlare, ascoltare la sua opinione su quanto accade, scaldarmi alla storia della sua esperienza umana e sociale. Peccato che non sia piu' possibile. Opperbacco!

5. MEMORIA. PAOLO FINZI PRESENTA "LA FIACCOLA DELL'ANARCHIA" DI PAOLO BECHERINI (2020)
[Da "A. Rivista anarchica" n. 443 del maggio 2020, con il titolo "Quella fiaccola empolese"]

Empoli, citta' metropolitana di Firenze, 49.871 abitanti. Una delle tante citta' toscane, siano esse capoluogo di provincia o meno, che costituiscono parte importante di una regione – la Toscana, appunto – in cui la presenza delle idee e delle attivita' anarchiche affonda le proprie origini agli inizi della storia del movimento socialista, operaio e contadino. Una storia di un secolo e mezzo, che dalle origini della Prima Internazionale (Rimini, 1872) arriva ai giorni nostri, senza soluzione di continuita' rispecchiando le grandi vicende nazionali (la nascita dei sindacati, la prima guerra mondiale, il fascismo e la multiforme opposizione, la Resistenza, il secondo dopoguerra, la strategia della tensione, il terrorismo, ecc.) sempre con una forte connotazione locale, con un radicamento e una passionalita' particolari.
Va dato grande merito all'amico fraterno e militante anarchico Paolo Becherini (Empoli, 1956) di aver pubblicato, a proprie spese, con la curatela della figlia Emma, questo librone (La fiaccola dell'anarchia, Edizioni autogestite, Empoli 2019, pp. 512, euro 20) ricchissimo di foto, manifesti, volti, manifestazioni. La vita militante di Paolo e' la ragione e il collante di queste pagine, che pur strettamente legate appunto all'impegno militante di un singolo, non indulgono ad alcun autoreferenziale personalismo, ma si proiettano sul territorio, ad Empoli innanzitutto, ma anche in tante cittadine e borghi circostanti delle campagne e colline circostanti, tra l'Arno e l'Arbia, verso Firenze, Siena, Prato, Pistoia. Una bella terra, che tante volte percorsi negli anni '70 quando quasi in ogni paese c'era almeno un compagno, a volte un piccolo collettivo, un gruppetto anarchico, un collettivo di donne.
Tanta gente, complessivamente, tipi del '68 e anni immediatamente successivi, parte di quella generazione – come me – affacciatasi in quegli anni all'impegno politico. Ma in questa calda terra toscana, con forti analogie con altre regioni del Centro Italia (Umbria, Marche, Emilia Romagna) l'antica e profonda tradizione del movimento socialista e libertario, contadino e operaio, offriva la presenza meravigliosa di (ancora) tante anarchiche e anarchici, libertari che nelle iniziative pubbliche indossavano il fiocco alla Lavaliere, si vestivano bene, amavano l'opera.
Il libro del nostro Paolo per me, che negli anni '70 piu' volte partecipai nella sede anarchica empolese a riunioni dei Gruppi Anarchici Toscani, ma anche ad Empoli andai con mio suocero Alfonso Failla a trovare Oberdan Degli Innocenti – chi non lo conosceva in quel pezzo di Toscana libertaria? – e' un vero e proprio tuffo nella memoria. Ma anche per chi piu' giovane non ha simili ricordi da Mesozoico, e' un quaderno di appunti freschi e densi di storia umana e politica vissuta fino in fondo, nelle lotte per l'autogestione, le occupazioni, la diffusione della stampa, il dibattito sulla violenza, le conferenze e tante altre iniziative di cui Paolo e' stato (e rimane) allegro e inossidabile punto di riferimento.
Procuratevelo questo librone, bell'esempio di quanto tante altre compagne e compagni della nostra generazione, dopo decenni di presenza militante, potrebbero fare. Ma quasi nessuna/o di noi l'ha fatto e ancora una volta val la pena citare quanto Gaetano Salvemini disse ad Armando Borghi, per invitarlo a scrivere la propria autobiografia (cosa che poi Borghi fece e in piu' di un libro): "Se non la scrivete voi anarchici la vostra storia, chi altro potrebbe farlo?".
Il gigantesco patrimonio di umanita', relazioni, attivita', contatti, tipi di persone che Paolo ha incrociato nel sua perdurante militanza anarchica ci viene incontro attraverso la sua scrittura, semplice, chiara, a tratti romantica come lo conosco da mezzo secolo.
Il libro e' acquistabile sul sito www.etsy.com

6. MEMORIA. PAOLO FINZI: LA GESTAZIONE E LA NASCITA DI "UMANITA' NOVA" NEL 1919-1920 (1975)
[Da "A. Rivista anarchica" n. 440 del febbraio 2020, nel dossier "Umanita' Nova compie cento anni" con il titolo "Nel 1919 e 1920 la gestazione del quotidiano" e il sommario "Nel 1975, per la prima volta su Umanita' Nova, settimanale della FAI (Federazione Anarchica Italiana), appare uno scritto che ricostruisce la sua nascita come quotidiano anarchico. A scriverlo, un redattore della nostra rivista. Lo ripubblichiamo qui"]

Il problema della stampa ha sempre avuto all'interno del movimento anarchico una costante attenzione. E non poteva essere altrimenti in considerazione dell'importanza che gli autentici rivoluzionari gli danno da sempre per la propagazione del loro progetto rivoluzionario e di tutto cio' che possa servire per accrescere la volonta' di lotta proletaria.
Oggi la situazione della stampa anarchica italiana e' quella che e', con buone intenzioni, discreti se non ottimi lavori, ma che coprono purtroppo molte volte delle carenze teoriche, politiche, organizzative che, inutile nascondercelo, fanno spesso da freno per lo sviluppo della nostra incidenza tra le masse. Cosicche' molte volte i compagni, i gruppi teorizzano, mitizzano una situazione storica precedente quasi a cautelarsi dalle indiscutibili difficolta' del lavoro quotidiano di ogni rivoluzionario.
Ed e' per evitare questi abbagli che offriamo alla lettura dei compagni questo articolo, affinche' faccia chiarezza su uno dei punti meno conosciuti, perlomeno alle giovani generazioni, della storia del movimento: la nascita del quotidiano anarchico "Umanita' Nova". Pensiamo che cio' sia di stimolo a un ripensamento complessivo sul problema della nostra stampa e sulla necessita' di compiere, sempre e comunque, nuovi passi in avanti sia a livello organizzativo, sia a livello giornalistico, per una maggiore affermazione delle teorie e delle pratiche anarchiche e libertarie nel tessuto sociale.
Negli anni 1915-1918, in coincidenza con la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale, la repressione statale contro i "sovversivi" si fa pesantissima.
Ad esserne colpiti sono innanzitutto gli anarchici e i sindacalisti libertari, i quali, coerentemente con la tradizione internazionalista del movimento operaio, svolgono una propaganda disfattista, contro la guerra voluta dalla borghesia. Nel corso della guerra, la quasi totalita' della stampa libertaria viene ridotta al silenzio: solo un periodico – il settimanale "L'Avvenire Anarchico" di Pisa – esce regolarmente senza alcuna interruzione. Tutti gli altri, prima o poi, sono ridotti al silenzio: i due settimanali "Volonta'" (Ancona) e "Il Libertario" (La Spezia) cessano le pubblicazioni rispettivamente nel luglio 1915 e nel maggio 1917, per gli altri fogli anarchici la sorte non e' diversa. Nella primavera del '18 anche "L'Universita' Popolare" (Milano), che durante la guerra svolge una precisa funzione di orientamento anti-bellicista, scompare.
All'indomani dell'armistizio, parallelamente alla generale ripresa del movimento anarchico e dell'Unione Sindacale Italiana, la stampa libertaria riprende fiato, un po' alla volta. Nel 1919, a fine febbraio ricomincia le pubblicazioni "Il Libertario" (La Spezia), mentre contemporaneamente ad Ancona esce il numero unico "Guerra e Pace", che precede e preannuncia la ripresa della pubblicazione di "Volonta'", che a sua volta riprende (quindicinale) un mese dopo. A fine marzo a Roma iniziano le pubblicazioni del settimanale "La Valanga", mentre in varie localita' si segnalano – nei primi mesi del '19 – nuove testate e numeri unici. Nel complesso, dunque, si assiste ad una generale ripresa della pubblicistica libertaria.
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Il convegno di Firenze
Che la questione della stampa sia particolarmente sentita dagli anarchici lo dimostra il fatto che la si trova anche all'ordine del giorno del primo convegno anarchico del dopoguerra, a carattere nazionale, tenutosi a Firenze dal 12 al 14 aprile. In quella sede viene decisa, fra l'altro, la costituzione dell'Unione Anarchica Italiana, sulla base di una intesa generale che possiamo definire "di massima". Per quanto concerne "la sistemazione della nostra stampa" (cosi' suona testualmente l'ultimo punto all'o.d.g) vengono avanzate numerose proposte, alcune delle quali contrastanti.
Ecco le principali: la fondazione di un giornale organo ufficiale della U.A.I.; la soppressione di tutti i fogli esistenti e la fondazione di un giornale che possa raccogliere l'adesione di tutti gli anarchici; la conferma della validita' di tutte le testate esistenti e la fondazione di nuovi giornali anarchici in quelle zone che ne siano sprovviste; infine – ed e' questa la proposta ad imporsi al centro dell'attenzione – la realizzazione di un quotidiano anarchico. Ad avanzare quest'ultima proposta sono gli anarchici milanesi Ettore Molinari e Nella Giacomelli, anche a nome di altri compagni.
L'entusiasmo per un simile progetto e' quasi generale: basti pensare al fatto che il movimento anarchico italiano non ha mai avuto un suo quotidiano, se si eccettua un periodo fra il febbraio ed il marzo 1909, quando il settimanale "La Protesta Umana" (Milano) si era trasformato in quotidiano, salvo poi riprendere, dopo diciassette numeri quotidiani, la periodicita' originaria.
Nel corso dello stesso convegno di Firenze, pero', si levano alcune voci di dissenso. Luigi Fabbri, per esempio, che gia' si e' dichiarato scettico di fronte alla costituzione dell'U.A.I. (secondo lui, la fondazione di un'organizzazione anarchica a carattere nazionale dovrebbe essere la conseguenza di un serio lavoro organizzativo su base locale, e non il risultato di una semplice discussione fra poche decine di convenuti, alcuni dei quali scarsamente rappresentativi) solleva una serie di riserve pratiche, come la mancanza di mezzi finanziari e di compagni in grado di impiantare e mandare avanti una simile iniziativa. Anche altri militanti ben conosciuti e generalmente stimati (Virginio Mazzoni, Guglielmo Boldrini, ecc.) si associano sostanzialmente alle obiezioni di Fabbri.
L'orientamento prevalente nei convenuti, pero', e' decisamente favorevole, anzi addirittura entusiasta, di fronte alla proposta dei milanesi, tanto che alla fine viene approvata la seguente mozione: "Il convegno approva l'idea dei compagni proponenti la fondazione di un quotidiano, affida a quei compagni di studiarne le basi pratiche, mettendosi in rapporto e d'accordo col Comitato dell'Unione Anarchica Italiana nominato dal congresso e lascia ad essi l'incarico di fare appello ai compagni d'Italia per la raccolta di adeguati mezzi finanziari".
Nel corso del convegno si apre, di fatto, la sottoscrizione pro-quotidiano: i minatori anarchici dell'Isola d'Elba e di S. Giovanni dei Sabbioni, per esempio, sottoscrivono subito per 6.000 lire.
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Obiettivo: 150.000 lire
Terminato il convegno di Firenze, la discussione sul progetto quotidiano continua, cosi' come la sottoscrizione.
Uno dei problemi discussi e' quello della somma necessaria per poterne iniziare le pubblicazioni. Una voce particolarmente autorevole in questo campo specifico e' quella dell'anconetano Cesare Agostinelli, amministratore di "Volonta'" e – in passato – di altre pubblicazioni anarchiche: secondo una sua stima, non meno di 600.000 lire sono necessarie per la realizzazione del quotidiano. "Nessuno – scrive Agostinelli – a meno che non sia un pazzo da legare, (...) potra' credere che si possano fra noi, di cui il 90 p.c. e' composto di miseri operai, pur vendendo anche la camicia, raccogliere le 600.000 lire indispensabili". Di ben diverso avviso e' pero' il gruppo promotore dell’iniziativa, che stabilisce in 150.000 lire l'obiettivo della sottoscrizione, sufficiente per dare il via alle pubblicazioni.
Di fronte ai molti dubbi, ai timori, all'opposizione avanzata da alcuni settori del movimento anarchico, il gruppo promotore risponde puntualmente sulle colonne de "Il Libertario", il settimanale che dal 1903 – a parte la suaccennata interruzione nel periodo bellico – esce regolarmente a La Spezia, curato da Pasquale e Zelmira Binazzi, da dove poi viene diffuso in tutta Italia. S'informano i lettori dell'andamento della sottoscrizione, delle difficolta' tecniche che man mano si presentano, del dibattito generale in corso fra gli anarchici sull'utilita' o meno del quotidiano. A questo proposito va sottolineato il fatto che, con il passare delle settimane e con il progressivo notevole successo della sottoscrizione, l'opposizione e lo scetticismo di alcuni si attenuano. Di cio' e' chiara testimonianza il numero speciale interamente dedicato alla questione del quotidiano che il giornale anarchico "Iconoclasta!" fa uscire a fine luglio. Si tratta di una raccolta di prese di posizione, di lettere, di articoli, tutti concernenti il progettato quotidiano: una decina di interventi sono favorevoli all'iniziativa, mentre solo due la contrastano. Fra le voci favorevoli, quelle di Carlo Molaschi, Bruno Filippi, Temistocle Monticelli, Corrado Quaglino; contrarie solo quelle di Luigi Fabbri e Leda Rafanelli.
Il "fronte" fra sostenitori ed avversari del quotidiano, dunque, passa indistintamente all'interno delle varie tendenze dell'anarchismo. Va poi sottolineato il fatto che ormai anche gli oppositori, certamente impressionati dal successo della sottoscrizione, si dichiarano comunque disposti ad aiutare il quotidiano, nel caso si riesca a farlo sorgere.
Sempre sullo stesso numero dell'"Iconoclasta!" Nella Giacomelli comunica il titolo del futuro giornale e spiega, in un lungo articolo, il perche' di questa scelta: "Umanita' Nova – scrive la Giacomelli (sotto lo pseudonimo di "Petit Jardin") – e' il titolo del Quotidiano anarchico in progetto, titolo mite, quasi evangelico, non intonato – qualcuno dice – al concitato respiro della societa' in fermento, al tumultuoso avvicendarsi di eventi, al minaccioso delinearsi di azioni violente e di propositi audaci di quest'ora che viviamo. (...) All'estetica di un gesto supremamente sfidatore abbiamo sostituito la bellezza intrinseca e profonda d'una finalita' chiara e incalunniabile. (...) Umanita' Nova! Esso abbraccia nella sua significazione completa il massimo delle nostre aspirazioni, e ci segna il cammino per pervenirvi senza deviamenti. (...) L'alba rossa che gia' splende nel cielo d'oriente annuncia il fatale avvento dei nuovi tempi. (...) Ci incamminiamo verso l'ineluttabile. La rivoluzione non e' piu' un sogno; il comunismo libertario e' una meta raggiungibile; l'ideale anarchico non e' piu' un'utopia".
In piena estate, quattro mesi dopo il convegno di Firenze, si sono raccolte oltre 60.000 lire, mentre altre 35.000 sono state promesse in forma impegnativa.
Nel frattempo il dibattito continua, spostandosi pero' dalla questione generale (fare o non fare il quotidiano?) a quelle piu' specifiche (come farlo?). Per quanto riguarda la direzione del giornale, in un primo tempo vengono fatti i nomi di Luigi Galleani e di Errico Malatesta come condirettori: ma il primo (rientrato in Italia nel luglio del '19 in seguito alla sua espulsione dagli Stati Uniti) rinuncia, giudicando Malatesta il piu' indicato per assumersi quell'impegno.
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L’opinione di Malatesta
E Malatesta, esule a Londra e ancora impossibilitato a rientrare in Italia (il consolato non gli concede il passaporto), che cosa pensa? La sua opinione sul quotidiano risulta inequivocabile in seguito alla pubblicazione su "Il Libertario" di due sue lettere.
Nella prima, indirizzata a Mario Senigalliesi e datata 17 luglio, il vecchio anarchico fra l'altro afferma: "Quando mi scrivi parlami del quotidiano, che credo, io pure, sara' di grande utilita' e mettera' il nostro movimento sopra basi larghe, quali non le abbiamo mai avute. Naturalmente ci sono dei pericoli, ma non si fa nulla senza affrontare pericoli. E poi, o prima o dopo, bisognava farlo. Non possiamo eternamente limitarci ai settimanali letti solo dai compagni, o pochi di piu'".
Nella seconda, indirizzata a "Petit Jardin" e datata 10 agosto, Malatesta sviluppa piu' ampiamente il suo pensiero: "Si', certamente, io sono entusiasta del progetto quotidiano, e credo che coloro che ne hanno avuto l'idea e vi hanno persistito malgrado la timidita' o il misoneismo di tanti e pur ottimi e devoti compagni, hanno reso alla causa un grande servigio. Ora, o mai, e' tempo di lavorare in grande scala. Eventi importanti, decisivi, maturano in tutto il mondo e noi dobbiamo metterci in posizione di far sentire l'influenza e l'opera nostra. Un quotidiano e' un'arma di cui non possiamo piu' fare a meno senza condannarci alla parte di Cassandre inascoltate. (...) Io credo che i danari si possano trovare. Se si sono trovate 50.000 lire malgrado la timidezza o l'opposizione di tanti compagni, si deve poter trovare facilmente tutta la somma necessaria quando si ottenesse il consenso generale dei compagni e la propaganda pel giornale fosse fatta sempre in modo conveniente. L'estero puo' dare ed io credo dara' somme importanti. (...) Il giornale, e' stato convenuto ed e' necessario, deve essere l'organo di tutti gli anarchici delle varie tendenze. E' cio' possibile? Io lo credo, anzi veramente io credo che, tolte di mezzo le questioni di persone, gli equivoci di linguaggio e l'amore della posa, differenze essenziali non ve ne siano mai state, e soprattutto non ve ne sono ora tra gli anarchici sinceri. Il principio di liberta' ci concilia tutti. Tra comunisti ed individualisti, quando si tratti davvero di comunisti anarchici e di individualisti anarchici, non vi e' stata mai altra differenza che un grande malinteso. Tra organizzatori ed antiorganizzatori... via, a vergogna di noi organizzatori, io ho visto molto spesso gli antiorganizzatori piu' e meglio organizzati degli organizzatori, quantunque lo siano stati sempre poco gli uni e gli altri. (...) L'obbiezione piu' grave contro il quotidiano, vista la debolezza del nostro movimento, e' il pericolo dell'accentramento e del monopolio della direzione del movimento in poche mani. Il pericolo c'e', ma non vi si rimedia astenendosi dal fare. Se i compagni sono in genere inattivi e senza spirito d'iniziativa, il movimento viene sempre monopolizzato da qualche gruppo o da qualche individuo attivo. Il rimedio, la garanzia l'hanno i compagni tutti nella loro attivita', nella loro attitudine a pensare, a criticare, ad agire. Il quotidiano, quando sia in mano a persone sincere e senza mire personali, dando al movimento un'ampiezza sconosciuta in mezzo a noi, dovrebbe invece portare il pungolo del pensiero anarchico in tutti i gruppi e suscitare il sorgere di mille attivita' spontanee e indipendenti".
Un'ulteriore testimonianza sull'attitudine di Malatesta di fronte al progettato quotidiano ci viene da Luigi Fabbri, che di Malatesta e' sempre stato intimo compagno e amico, ma che – come abbiamo visto – in questo caso ha un'opinione divergente: "Nel luglio del 1919 in una lunga lettera da Londra, Malatesta (...) mi parlava anche del progettato quotidiano anarchico, da far uscire in Italia – di cui avevano preso l'iniziativa i compagni di Milano, e che era stata accettata dal congresso anarchico di Firenze dell'aprile (1919) – e lo approvava caldamente, contro la mia opinione allora piuttosto contraria. Trovava le mie obiezioni pratiche e di principio abbastanza giuste per tempi normali; ma secondo lui eran, desse, obiezioni completamente superate e vinte dalle circostanze contingenti e dalle necessita' superiori d'una imminente rivoluzione. Prevedeva egli il maggior esito per il futuro giornale; ed i fatti dovevano poi dargli completamente ragione".
Cosi' scrive Fabbri quindici anni dopo quegli avvenimenti.
Bisogna aver sempre presente questa "certezza" rivoluzionaria che nel 1919, all'indomani della fine della guerra, caratterizza il movimento operaio in Italia: "l'alba rossa che gia' splende nel cielo d'oriente" abbiamo visto scrivere alla Giacomelli, con chiaro riferimento alla rivoluzione russa. Di "necessita' superiori d'una imminente rivoluzione" parla dal canto suo Malatesta, e negli stessi termini, con lo stesso spirito, si esprimono quasi tutti gli altri anarchici intervenuti nel dibattito sul quotidiano. Perfino Fabbri, scrivendo all'indomani del convegno di Firenze, afferma che: "V'e' una ragione formidabile che oggi milita a favore dei partigiani del quotidiano: il bisogno di un organo giornaliero, dato il momento che attraversiamo. Se anche un quotidiano non dovesse vivere che dieci o dodici mesi, l'opera sua oggi non sarebbe inutile, e potrebbe essere un coefficiente di vittoria o per lo meno di affermazione e di progresso niente affatto indifferente".
In definitiva, dal momento che la rivoluzione si impone come necessita' ineluttabile e che il quotidiano e' uno strumento indispensabile per poter efficacemente incidere nel processo rivoluzionario, "Umanita' Nova" e' conseguentemente una necessita' urgente per il movimento anarchico: questa e' l'opinione diffusa tra gli anarchici nel '19, e soprattutto nella seconda meta' dell'anno, quando ormai da un momento all'altro si attende la nascita del giornale.
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"Umanita' Nova s.p.a."
Il 21 settembre si svolge a Genova un'importante riunione tra il gruppo promotore milanese e un certo numero di compagni provenienti da altre localita', tutti particolarmente interessati al quotidiano: vengono presi degli accordi di massima in vista della pubblicazione e della gestione di "Umanita' Nova". Fra l'altro si decide di non iniziare le pubblicazioni prima di avere in cassa le 150.000 lire previste; viene decisa la costituzione della societa' per azioni "Umanita' Nova"; si discute (senza per ora giungere ad una risoluzione) sul problema dei costi tipografici, del numero delle pagine, dell'eventuale accettazione della pubblicita'.
Di particolare importanza e' l'approvazione di una circolare-programma illustrante le intenzioni della redazione: tale circolare, firmata appunto dalla redazione, e' stata in realta' scritta a Londra da Malatesta e verra' ripubblicata sul primo numero di "Umanita' Nova" come presentazione redazionale del quotidiano, sotto il titolo I nostri propositi.
Nel lungo documento sono esposti quei principi base dell'anarchismo che secondo Malatesta e la redazione costituiscono la caratterizzazione degli anarchici, di tutti gli anarchici, rispetto alle altre forze sociali. In particolare, vengono esplicitamente rigettati gli "anarchici" solipsisti (individualisti borghesi) e para-autoritari (bolscevizzanti), mentre per quel che attiene alle molteplici tendenze presenti in seno all'anarchismo viene ribadita la gia' nota impostazione malatestiana, tendente all'associazione di tutti gli anarchici al di la' delle differenti sfumature.
Si giunge ormai alla stretta finale. Per il mese di novembre e' preannunciata l'uscita di "Umanita' Nova"; ma le difficolta' "tecniche" non vengono mai meno e ad esse si aggiunge il provocatorio comportamento dell'apparato statale. Ai primi di novembre, per esempio, viene pubblicata sull'"Avanti!" la seguente lettera, firmata "gli anarchici di Umanita' Nova": "Da alcuni mesi gli anarchici italiani si erano proposti di raccogliere con pubblica sottoscrizione i fondi necessari alla fondazione di un loro giornale quotidiano, Umanita' Nova, per esporre alla luce del sole e... senza bombe le proprie teorie, la propria critica sugli avvenimenti del giorno e sui fenomeni di quest'ora storica. Come si vede, un'intenzione di propositi legittima, un programma di idee, esposto pubblicamente a mezzo della propria stampa settimanale. Niente congiure, niente complotti, niente lavoro sotterraneo. Chiunque sapeva che con Umanita' Nova si poteva corrispondere indirizzando alla Casella Postale 71, Milano. Da quattro mesi durava il lavoro di preparazione; fra qualche settimana avrebbe dovuto uscire, ed ecco che ad un tratto senza alcun motivo palese, senza una giustificazione, una ragione qualsiasi, l'autorita' si impossessa della corrispondenza e dei valori che quotidianamente sono inviati alla Casella Postale (e in questo dev'esser connivente la Direzione delle Poste), rimettendo, dopo ogni comodo spoglio, le lettere ed il resto a posto, dopo cinque o sei giorni dal loro arrivo. Questa manovra ci e' stata rivelata la scorsa settimana, in seguito al ripetuto rinvenimento della casella vuota. Ne volemmo la prova e, conoscendo la mentalita' arretrata e quarantottesca della Questura, indirizzammo noi stessi ad Umanita' Nova una misteriosa lettera, riguardante rivelazioni importanti, plichi da consegnare a persona di tutta fiducia in localita' segreta, a sera tarda, ecc. La lettera, impostata direttamente da noi alla Posta centrale, non ci fu recapitata e le intelligenti autorita' dell'ordine disposero invece un servizio di appostamento al luogo designato per il misterioso convegno, per venire in possesso dell'interessante plico! E si capisce con quale risultato! (...) Orbene, siccome gli anarchici non sono disposti a tollerare piu' oltre questa sconcia commedia delle conquistate liberta' della nuova Italia e dei piagnistei patriottici per le liberta' offese nei comizi elettorali di lor signori, pongono questo semplice dilemma: O la Questura la smette di far man bassa sulla corrispondenza di Umanita' Nova e rispetta il diritto alla liberta' di pensiero, o altrimenti gli anarchici tanto a Milano quanto nelle principali citta' organizzeranno una vivace e tangibile opera di ostruzionismo alle piu' importanti manifestazioni politiche, elettorali, sportive della borghesia (…)".
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Il problema della carta
L'uscita di "Umanita' Nova", intanto, viene continuamente rimandata, a causa di un principale impedimento "tecnico": la mancanza di carta. I problemi tipografici, infatti, sono risolti grazie anche all'interessamento del compagno Augusto Micelli, che e' impiegato presso la tipografia Fracchia, dove tutto e' predisposto per la stampa del quotidiano. Proprio nella tipografia Fracchia e' pronta la rotativa che e' stata acquistata a Trento ad un prezzo molto vantaggioso (50.000 lire), dato che si tratta di un macchinario gia' usato durante il conflitto mondiale. Manca pero' la carta: o meglio, la carta non manca nella cartiera statale di Isola del Liri (che detiene il monopolio del settore), e' la volonta' delle autorita' di farla pervenire al quotidiano anarchico che non c'e'. Cosi' il 24 gennaio sull'"Avanti!" compare un comunicato della redazione di "Umanita' Nova" per spiegare perche' il giornale, che proprio quel giorno doveva iniziare le pubblicazioni, non esce. Tre settimane dopo sempre sull'"Avanti!" appare un altro comunicato redazionale, firmato da Errico Malatesta in cui si comunica ai compagni, agli abbonati, al pubblico che la causa per cui non ha potuto iniziare le sue pubblicazioni e' che non ha ancora ottenuto dalla Commissione ministeriale distribuzione carte l'assegnazione chiesta dal 18 gennaio u.s., ne' ha potuto procurarsene in via privata.
Nel frattempo, l'arrivo di Malatesta in Italia (24 dicembre 1919) e la lunga serie di comizi, riunioni, manifestazioni ad esso conseguenti contribuiscono non poco a pubblicizzare ulteriormente l'iniziativa del quotidiano. Pochi giorni dopo il suo sbarco a Taranto, infatti, Malatesta, che e' ufficialmente il direttore del futuro quotidiano, si reca a Milano e visita i locali della redazione, in via Goldoni. Il lungo giro di comizi che intraprende subito dopo gli serve certamente per rinsaldare le basi del quotidiano, per preparare con serieta' il lavoro futuro. Il 18 gennaio si tiene un'importante riunione a Firenze, presente Malatesta, per discutere dei principali problemi connessi ad "Umanita' Nova". L'attesa della sinistra rivoluzionaria e' veramente grande: non solo gli anarchici, ma anche i sindacalisti rivoluzionari dell'U.S.I., i socialisti massimalisti, la Federazione Giovanile Socialista, il Sindacato Ferrovieri, la Federazione dei Lavoratori del mare (il cui segretario, l'on. Giuseppe Giulietti, versa ben 50.000 lire pro-Umanita' Nova) ed altre forze della sinistra di classe guardano al quotidiano anarchico con interesse e speranza.
In un momento dai piu' ritenuto pre-rivoluzionario (o quasi), a nessuno sfugge l'importanza che al quotidiano socialista si affianchi un'altra voce di sinistra; il fatto poi che questa voce sia quella degli anarchici e che a curarne l'espressione sia Errico Malatesta (per il quale gli stessi socialisti avevano ed hanno parole di stima) moltiplica l'importanza dell'avvenimento.
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Il saluto dell'"Avanti!"
Il 26 febbraio, infine, esce il primo numero di "Umanita' Nova", con la data "26-27 febbraio 1920". "L'Avanti!" cosi' accoglie l'avvenimento: "Diamo il nostro cordiale benvenuto a questo confratello che si propone di contribuire alla santa battaglia dell'emancipazione proletaria ed umana da ogni forma di schiavitu'. Se anche vi sono molti punti di sentito dissenso fra noi – specie, per ora, circa i mezzi, i metodi, ecc. – noi auguriamo fervidamente – e ce ne e' arra [cosi' nel testo] del resto l'intelligenza e la probita' di Errico Malatesta – che le eventuali discussioni si vorranno mantenere elevate, serene, eque. Soprattutto conviene tener presente che la classe borghese capitalista, ad onta di tutte le sue aspre divisioni interne, forma pur sempre un blocco solo nella questione di massima di fronte al pericolo di perdere il privilegio. Il proletariato, e chi ne e' interprete e vessillifero, se non viene meno la buona fede, non deve nutrire criterio diverso".
Illustra questo trafiletto un disegno di Scalarini (il noto vignettista politico dell'"Avanti!") riprodotto a pag. 84.
Fin dal suo primo numero, coerentemente con i propositi esposti pubblicamente nella circolare-programma del settembre '19 e riaffermati nel primo editoriale, "Umanita' Nova" svolge un'eccezionale funzione rivoluzionaria, contribuendo ad associare le forze libertarie, a stimolare ed a propagandare le lotte del proletariato, respingendo giorno per giorno le montature e le menzogne della stampa di regime.
Per quasi tre anni, esattamente fino al 2 dicembre 1922, "Umanita' Nova" terra' alta la bandiera dell'anarchismo e, piu' in genere, della lotta rivoluzionaria, in costante polemica con il riformismo ed il politicantismo della sinistra moderata (soprattutto della direzione della C.G.I.L.).
L'arresto di Malatesta e di buona parte della redazione nell'ottobre del 1920, la completa devastazione dei locali redazionali e tipografici ad opera dei fascisti nel marzo del 1921, la conseguente temporanea sospensione delle pubblicazioni fino a maggio (quando riprendera' a Roma, prima settimanale, poi nuovamente quotidiano), provocazioni ed intralci burocratici di ogni tipo, nuove devastazioni ad opera dei fascisti verso la fine del '22: questi alcuni momenti drammatici nella tormentata esistenza del quotidiano anarchico.
Cio' che rimarra' come esempio da imitare sono l'audacia e la ferma volonta' dei suoi promotori in tutta la fase di "gestazione", la limpidezza redazionale e l'incisivita' nelle lotte proletarie grazie all'opera dei redattori (in primo luogo Errico Malatesta) ed infine il grande lavoro "corale" portato avanti dagli anarchici e da migliaia di lavoratori rivoluzionari per garantire l'esistenza di "Umanita' Nova" e per portarne quotidianamente il messaggio rivoluzionario davanti alle fabbriche, ai cantieri, nelle campagne, ovunque si lottasse contro le ingiustizie del sistema autoritario.

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Edoarda Masi, Breve storia della Cina contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1979, pp. IV + 172.
- Edoarda Masi, Il libro da nascondere, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1985, pp. VI + 168.
- Edoarda Masi, Cento trame di capolavori della letteratura cinese, Rizzoli, Milano 1991, pp. 480.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3830 del 13 agosto 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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