[Nonviolenza] Telegrammi. 3823



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3823 del 6 agosto 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Sergio Zavoli
2. Dopo la bomba di Hiroshima il compito piu' urgente dell'umanita' e' il disarmo
3. Ancora una volta chiediamo
4. "La nuova Ferrara" ricorda Paolo Finzi
5. Claudia Notargiacomo ricorda Paolo Finzi
6. Eleonora Dottori: A Jesi gli anarchici ricordano Paolo Finzi
7. Nelly Sachs: E' l'ora planetaria dei fuggiaschi
8. Nelly Sachs: Se soltanto sapessi
9. Nelly Sachs: Vecchi
10. Benito D'Ippolito: I vecchi
11. Segnalazioni librarie
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. LUTTI. SERGIO ZAVOLI

E' deceduto Sergio Zavoli, giornalista.
Con gratitudine lo ricordiamo.

2. L'ORA. DOPO LA BOMBA DI HIROSHIMA IL COMPITO PIU' URGENTE DELL'UMANITA' E' IL DISARMO

Ricorre il 6 agosto l'anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima nel 1945.
Dopo di allora l'umanita' sa di avere il dovere di abolire le guerre e le armi se vuole sopravvivere.
Troppo tempo si e' atteso, e troppe altre stragi si sono susseguite: occorre cominciare il disarmo subito, prima che sia troppo tardi.
E cominciare il disarmo innanzitutto smantellando tutti gli arsenali nucleari ed impegnandosi a non piu' costruire bombe atomiche.
Cosi' come chiede l'Onu che il 7 luglio 2017 ha adottato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, trattato che lo stato italiano scandalosamente ancora non ha sottoscritto.
Cosa si attende ancora?
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L'Italia sottoscriva il trattato dell'Onu per la proibizione delle armi nucleari.
L'Italia inizi il disarmo, cessi di produrre armi, cessi di vendere armi a regimi criminali e stragisti.
L'Italia avvii finalmente la difesa popolare nonviolenta ed una politica internazionale di cooperazione civile e di aiuto umanitario che escluda ogni intervento armato.
L'Italia cessi di prendere parte a missioni armate ed operazioni militari in diversi paesi del mondo.
L'Italia si adoperi per lo scioglimento di tutte le coalizioni militari internazionali il cui fine reale e' imporre con la violenza un dominio imperiale e razzista.
L'Italia si adoperi quindi anche innanzitutto per lo scioglimento della Nato.
L'Italia si adoperi per il riconoscimento, il rispetto e la promozione dei diritti umani con metodi e strumenti d'intervento pienamente adeguati: ovvero esclusivamente con le risorse della nonviolenza, della cooperazione, del dialogo, del contrasto coerente e intransigente a tutti i poteri criminali.
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Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Riconoscere che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le persecuzioni, a tutte le oppressioni, a tutte le violenze.
Solo la nonviolenza e' adeguata a contrastare la violenza.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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In allegato riproponiamo un testo capitale dell'illustre filosofo Guenther Anders (1902-1992), le sue "Tesi sull'eta' atomica".
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Allegato. Guenther Anders: Tesi sull'eta' atomica
[Riprendiamo questo breve ma capitale testo dall'appendice all'edizione italiana del libro di Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und Nagasaki, apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino 1961, nella traduzione di Renato Solmi. Come li' si specifica, queste Tesi sull'eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un dibattito sui problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di studenti dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell'ottobre 1960 nella rivista 'Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur' - nota del traduttore"]

Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e' cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e' l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita' dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine stessa.
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Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come "dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato il problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e' sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo". Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata, siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
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Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
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Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta e spreco di tempo.
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Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata solo con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non regge. 1) La bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita' di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra dell'ipocrisia.
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Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi', nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale, ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
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Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e' solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma anche quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano nell'ambito del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui, presso di noi, poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle generazioni", a cui appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati appartengono a questa "internazionale": poiche' con la nostra fine perirebbero anch'essi, per la seconda volta (se cosi' si puo' dire) e definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa seconda morte sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
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Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe. Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e' gia' di per se' abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe' il mondo stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa "astrazione totale" (che corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell'immaginazione, alla nostra capacita' di distruzione totale) trascende le forze della nostra immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma poiche', come homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra "ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di rappresentarci anche il nulla.
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Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca: "Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine di cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi non sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
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Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra il dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la nostra capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
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Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione. Si puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita', dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto", tanto piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone premendo un tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola persona. Al "subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo per provocare gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che e' troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un meccanismo inibitorio).
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La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti) e l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo della verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa testimone": molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la filosofia greca. Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli "escapisti" di oggi non e' la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in contrasto con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente dilatati.
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Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado della nostra angoscia. - Nulla di piu' falso della frase cara alle persone di mezza cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa tesi ci e' inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi viviamo piuttosto nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine all'angoscia. L'imperativo di allargare la nostra immaginazione significa quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura. Postulato: "Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche quello di far paura. Fa' paura al tuo vicino come a te stesso". Va da se' che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1) Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di quelli che potrebbero schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante, poiche' invece di rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un'angoscia amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe capitarci.
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Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio' che possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente irrealizzabile. Non e' nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio' che non possiamo immaginare.
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Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si puo' fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze spaziali e temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione e' stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella, che diventa ogni giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di immaginare cio' che si produce.
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Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui possiamo assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che possiamo utilizzare sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi' ci siamo messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette "pulite", sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi cerchiamo di migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione, che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile diventare. Distruggere meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile neppure in seguito.
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Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di noi all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo incompetenti nel "campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a non "immischiarci". L'uso di questi termini e' addirittura la prova della loro incompetenza morale: poiche' in tal modo essi mostrano di credere che la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del "to be or not to be" dell'umanita'; e di considerare l'apocalissi come un "ramo specifico". E' vero che molti di loro si appellano alla "competenza" solo per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola "democrazia" ha un senso, e' proprio quello che abbiamo il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni che concernono la "res publica", che vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale e non ci riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come cittadini e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi siamo la "res publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione sulla nostra sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai. Rinunciando a "immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere democratico.
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Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E' giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come tale dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal lavorare; 2) dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di non aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo "lavorare" intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne' deve piu' riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta moralmente neutrale: "non olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo lavoro puo' macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di sentirsi colpevole, poiche' non solo non occorre rispondere del lavoro che si fa, ma esso - in teoria - non puo' rendere colpevoli. Stando cosi' le cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale ("ogni agire e' lavorare") nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e' abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal modo pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e' piu' un lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si fa nulla (anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e l'annientamento). L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora necessario) non si accorge piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo dell'azione e quello che la subisce non coincidono piu', poiche' la causa e l'effetto sono dissociati, non puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in analogia a "schizofrenia". E' chiaro che solo chi arriva a immaginare l'effetto ha la possibilita' della verita'; la percezione non serve a nulla. Questo genere di mimetizzamento e' senza precedenti: mentre prima i mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell'azione, e cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all'autore di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una vittima; in questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
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Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne non hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie"). La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento davanti a cui non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di menzogne; e cio' perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni. Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora si camuffano in altre guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno gia' in se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l'espressione "armi atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende, poiche' da' per scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo al punto che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni, presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose' irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche' lavori "coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza del mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si traveste ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se non sa che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia' accaduto. Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito all'agire degli uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella dei prodotti. Essi sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba atomica (per il semplice fatto di esistere) e' un ricatto costante: e nessuno potra' negare che il ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha trovato la sua forma piu' menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani pulite, non c'entriamo. Assurdita' della situazione: nell'atto stesso in cui siamo capaci dell'azione piu' enorme - la distruzione del mondo - l'"agire", in apparenza, e' completamente scomparso. Poiche' la semplice esistenza dei nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda consueta: che cosa dobbiamo "fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come "deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito.
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Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione "reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire, "agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e' ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato (trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del fatto che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai prodotti: i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere, diventano pseudopersone.
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Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e nell'avere solo quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che potremmo assumerci come agire personale.
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Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che la subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita', peraltro affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai vista. Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la vittima non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla di piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima, e' quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara' quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei" di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non potra' entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
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Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore degli uomini, la massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa? Continuiamo come se non lo fossimo!".

3. REPETITA IUVANT. ANCORA UNA VOLTA CHIEDIAMO

Ancora una volta chiediamo che  si realizzino immediatamente quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
4. formare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
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Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.

4. MEMORIA. "LA NUOVA FERRARA" RICORDA PAOLO FINZI
[Dal sito de "La nuova Ferrara" riprendiamo il seguente articolo del 22 luglio 2020 dal titolo "Addio a Paolo Finzi, amico di De Andre' e degli anarchici Pinelli e Valpreda" e il sommario "Si e' tolto la vita a Forli' travolto da un treno. II legame con Ferrara, la citta' della madre"]

La tragedia
Lunedi' pomeriggio, nei pressi della stazione di Forli', si e' fatto travolgere da un treno in corsa: ma solo ieri la notizia della sua morte e' rimbalzata in tutta Italia, dopo la certa identificazione, sulla base dei documenti che aveva in tasca con una delle ultime residenza, qui in citta' a Ferrara.
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Nella galassia anarchica
Paolo Finzi aveva 69 anni ed era un personaggio di spicco della galassia anarchica italiana: lui milanese, con origini ferraresi da parte di madre, era un anarchico storico, e giovanissimo fece parte del circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa", diventando amico di Giuseppe Pinelli. Lui stesso, appena 18enne, con Pinelli fu fermato e interrogato dalla Polizia nel dicembre del 1969, in merito alla strage di Piazza Fontana, e venne subito scagionato perche' quel pomeriggio era in casa sua a Milano: Pinelli invece... Ma la sua storia non si puo' fermare qui: negli anni settanta fondo' la rivista anarchica "A" di cui era ancora redattore mentre dalla meta' degli anni ’80 la sua amicizia con Fabrizio De Andre' lo ha successivamente portato a curare numerose iniziative legate al cantautore genovese. Sempre fermo ai principi dell'anarchia, negli anni ’80, dopo l’assoluzione di Pietro Valpreda dall'accusa di essere l'autore della strage di Piazza Fontana, lo accompagno' in una lunga serie di conferenze in tutta Italia e in questi anni fu autore di libri e dossier su personaggi anarchici.
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un forte legame con Ferrara
Il legame che aveva con Ferrara era fortissimo, grazie alla madre Matilde Bassani di origini ebraiche, socialista e antifascista: venne arrestata proprio dai fascisti ferraresi nel 1942 per aver fatti parte di una rete clandestina di Soccorso rosso nella nostra provincia, partecipando poi alla Resistenza a Roma in Bandiera Rossa. Finzi si divideva dunque tra la sua Milano e la citta' di Ferrara, dove ha anche vissuto minato dalle gravi malattie che lo rendevano sempre piu' vulnerabile. A Forli' si era recato per seguire una delle tante iniziative culturali di cui era promotore o in cui veniva coinvolto. Una tragedia per cui lui stesso non ha lasciato messaggi rimbalzata ieri in tutta Italia, soprattutto nel milanese dove e' fortissimo il suo ricordo. E a Ferrara, dove anche qui gli addetti ai lavori, pur riconoscendo che la sua era una vita isolata, ricordano che era conosciuto per la sua storia di militante anarchico e perche' amico di De Andre' e della famiglia di Giuseppe Pinelli.

5. MEMORIA. CLAUDIA NOTARGIACOMO RICORDA PAOLO FINZI
[Dal sito "Sonda Life" (www.sonda.life) riprendiamo il seguente articolo del 22 luglio 2020 dal titolo "Paolo Finzi, Anarchico"]

Riferimento, maestro di liberta' e confronto. Se penso ai momenti di scambio, cio' che ricordo e' di aver ricevuto molto. Non di conoscenza voglio parlare in queste poche righe, ma dell'opportunita' di comprendere il significato della parola rispetto, nella sua accezione piu' profonda e vera. Ed e' incontrando quest'uomo dall'animo fine, sensibile, dall'intelligenza complessa e capace di cogliere i significati piu' preziosi, che ho saputo cosa fosse anarchia, al di la' di ogni strumentalizzazione o utilizzo mediocre. Ed e' grazie a Paolo Finzi che ho saputo chi fosse un Anarchico.
Il pensiero sottile, l'anarchismo e la forza di chi e' pronto ad affrontare le conseguenze delle proprie scelte, fanno di quest'uomo una figura di riferimento per intere generazioni. Perché tutto cio' continui ad illuminare e a rappresentare motivo di evoluzione e speranza diviene fondamentale dare spazio a strumenti capaci di preservare la memoria.
Molti i modi e le occasioni di fare cultura, a partire dall'informazione e l'ambiente scolastico per passare al mondo dell'arte, per esempio, in tutte le sue espressioni. Che si tratti di musica o teatro, che si tratti di letteratura, poesia o arte visiva, vi e' una grande responsabilita' per noi tutti, quella di fare da strumento e ponte perche' il passato insegni, non venga cancellato e stravolto, ma raccontato con la sola arma che serve: la verita'. Ed e' di questo che ringraziamo Paolo Finzi, del suo immenso altruismo, perche' la verita' e' difficile, scomoda e dura.

6. MEMORIA. ELEONORA DOTTORI: A JESI GLI ANARCHICI RICORDANO PAOLO FINZI
[Dal sito "QdM Notizie" (www.qdmnotizie.it) riprendiamo il seguente articolo del 22 luglio 2020 dal titolo originale "Jesi. Morte di Paolo Finzi: gli anarchici ricordano il compagno milanese" e il sommario "Lo scorso gennaio era stato a Jesi con il libro 'Non ci sono poteri buoni': una serata dedicata all’amico Fabrizio De Andre'"]

Accorato e intenso il ricordo delle sezioni anarchiche di Jesi, Senigallia e Chiaravalle per Paolo Finzi, milanese, 69 anni, direttore di "A - Rivista Anarchica".
Paolo Finzi fu ospite a Jesi, al Centro Studi Libertari "Luigi Fabbri" di via Pastrengo lo scorso gennaio con il suo ultimo libro "Non ci sono poteri buoni" nell'ambito di una serata su Fabrizio De Andre', amico dell'anarchico milanese. Una iniziativa che andava oltre il ricordo della figura dell'amico cantautore e del compagno genovese, per rappresentare una bella testimonianza di vita, di lotta, di crescita, narrazione di un mondo che non e' piu'.
"E' stata molto partecipata la conferenza di Paolo – ricordano le sezioni anarchiche – prima della pandemia, un mondo fa. Per alcuni di noi Paolo era la rivista "A", con il suo inconfondibile marchio di copertina, ripreso piu' volte da tanti esperimenti editoriali dell'anarchismo, in Italia e fuori, lungo un tempo che copre mezzo secolo di storia".
Finzi e' morto lunedi' scorso a Forli': "Trovare la rivista esposta nelle edicole della periferia italiana, in giro per le grandi citta' o all'entrata delle sedi dei compagni, era qualcosa di buon augurio. Non si puo' ricordare Paolo senza mettere l'uomo e il compagno all'interno del contesto storico e di vita che ha attraversato. Figlio di quella generazione di giovani ricca di speranze e di tensioni verso il futuro, gia' conoscitrice di molte cose, ma inestinguibilmente assetata di nuovi saperi. La generazione della fine degli anni Sessanta, cresciuta fra utopie vissute e strategie della tensione subite, fra un prossimo assalto al cielo annunciato e le rotture interne a un movimento anarchico che soffriva il mutare degli scenari sociali ed economici, le contraddizioni di classe e di ceto, le spinte liberali, umaniste e sindacali, poco rappresentative di quella questione sociale che ne aveva caratterizzato i decenni migliori".
In direzione ostinata e contraria al mutare degli eventi "Paolo e' riuscito a mantenere una lucidita', coerenza di pensiero e costruzione dell'azione, sempre legate alla societa' in cui viveva, ai tempi che stava attraversando. Lui, come molti compagni appartenenti alla sua generazione. Scontato dire che su alcune cose non ci si trovava d'accordo. La genuinita' del pensiero e dell'uomo sta nell'essere vivo quando non tutto quello che dice, non tutto quello che fa e' condiviso. Vale per molte situazioni, ancor piu' per l'agire e il pensare libertario. E questo aspetto probabilmente rappresenta l'eredita' piu' importante di Paolo Finzi, il compagno di Milano, il direttore della rivista "A", l'infaticabile e generoso cacciatore di morosi di abbonamenti non pagati. A noi, figli della generazione successiva all'assalto al cielo, l'insegnamento di Paolo, la sua storia e le sue storie, debbono servire per riuscire a tenere in mano il testimone da passare alla generazione di ribelli e di rivoluzionarie, di refrattarie e militanti, di libere e bestemmiatori incalliti, che c'e' gia'. Ciao Paolo. Ciao Anarchico".
La sezione Ferrer di Chiaravalle, la Bakunin e il Centro Studi Libertari di Jesi, il Circolo Studi Sociali Manni di Senigallia mandano un abbraccio alla famiglia, alla redazione di "A", alle compagne e ai compagni che gli erano piu' prossimi.

7. MAESTRE. NELLY SACHS: E' L'ORA PLANETARIA DEI FUGGIASCHI
[Da AA. VV., L'altro sguardo, Mondadori, Milano 1996, 1999, p. 159 (traduzione di Ida Porena).
Nelly Sachs, nata a Berlino nel 1891, scampata alla Shoah rifugiandosi a Stoccolma nel 1940 con l'aiuto di Selma Lagerloef, a Stoccolma deceduta nel 1970, e' stata una delle piu' alte voci poetiche del Novecento, e profonda una voce del nostro paesaggio interiore; ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1966. Tra le opere di Nelly Sachs: Al di la' della polvere, Einaudi, Torino 1966; Poesie, Einaudi, Torino 1971, 2006; Paul Celan - Nelly Sachs, Corrispondenza, Il melangolo, Genova 1993]

E' l'ora planetaria dei fuggiaschi
E' la fuga travolgente dei fuggiaschi
nella vertigine, la morte!

E' la caduta stellare dalla magica prigione
del focolare, del pane, della soglia.

E' il frutto nero della conoscenza,
angoscia! Spento sole d'amore
in fumo! E' il fiore della fretta
stillante sudore! Sono i cacciatori
fatti di nulla, solo di fuga.

Sono i cacciati, che portano nelle tombe
i loro mortali nascondigli.

E' la sabbia, atterrita,
con ghirlande di commiato.
E' la terra che s'affaccia all'aperto,
il suo respiro mozzato
nell'umilta' dell'aria.

8. MAESTRE. NELLY SACHS: SE SOLTANTO SAPESSI
[Da Nelly Sachs, Poesie, Einaudi, Torino 1971, 2006, p. 17. Traduzione di Ida Porena]

Se soltanto sapessi
cosa hai guardato sul punto di morire:
un sasso, che aveva gia' bevuto
molti sguardi estremi, un cieco sasso
meta di altri sguardi ciechi?

Oppure terra,
sufficiente a riempire una scarpa
e gia' annerita
da tanto addio
e tanta volonta' omicida?

O era forse il tuo ultimo cammino
che ti portava il saluto di tutti i cammini
da te percorsi?

Una pozza d'acqua, un pezzo di metallo luccicante,
forse la fibbia addosso al tuo nemico,
o un altro presagio impercettibile
del cielo?

O forse questa terra
che non congeda nessuno senza amore
ti ha parlato col volo di un uccello
ricordando alla tua anima di quando palpitava
nel corpo riarso dai tormenti?

9. MAESTRE. NELLY SACHS: VECCHI
[Da Nelly Sachs, Poesie, Einaudi, Torino 1971, 2006, p. 33 (traduzione di Ida Porena)]

Stanno li',
nelle pieghe di questa stella,
coperti da un brandello di notte,
e attendono Dio.
Una spina gli ha serrato la bocca,
la parola gli si e' persa negli occhi
che parlano come fontane
in cui e' affondato un cadavere.
Oh, i vecchi,
che portano negli occhi, unico avere,
la loro bruciata discendenza.

10. LE ULTIME COSE. BENITO D'IPPOLITO: I VECCHI

I.

Muoiono i vecchi
anno dopo anno
giorno dopo giorno
e con loro muore
tutta la sapienza del mondo.

Muoiono soli
nel dolore e nella vergogna
certi soltanto del fallimento
disperati e dispersi
dissipati e dissolti
il cielo si spegne
si spegne il respiro
e muore con loro tutta l'esperienza
la verita' del mondo.

Muoiono corrosi
perdendo passo a passo
la parola il movimento lo sguardo il soffio
l'arte di ricordare la facolta' di ridere
sentendosi diventare
prima legno poi pietra
poi polvere che duole
e il primo alito di vento disperde
e con loro per sempre si perde
il mondo infinito e bellissimo.

Muoiono e tu li senti
che scricchiolano ancora
per dirti un ultimo segreto
per darti un ultimo compito
che tu non riesci a capire a carpire
cosi' bassa e desolata si e' fatta la loro voce
cosi' acciottolata e crepitante la bocca
cosi' scotolata dilavata evanescente la parola.

Resta solo la ruggine e la sabbia
il chiodo confitto del sasso la caracca
il contagio della lingua della morte
le spore del nulla che fermenta.

I vecchi
non scriverle queste parole
non dirle a nessuno.

I vecchi
la gratitudine mista al rimpianto
il rimorso che restera' senza riscatto.

II.

L'ultimo guizzo della candela
l'ultimo soffio del cuore
la cisterna che resta vuota e secca.

I tempi andati che non furono migliori
del presente e di quelli che si preparano
la sofferenza restata irredenta.

Gia' quella che ieri fu vita
e' spettro
che silenzioso s'incammina all'oblio.

III.

Non scriverle queste cose
scrivi piuttosto che nulla muore
che nulla si perde
scrivi che la nostra lotta riscattera'
ogni lacrima ogni goccia di sangue
l'umanita' intera trarra' con se'
verso la gioia avvenire.

Non scriverle queste cose e invece scrivi
che di nessuna vittima dimenticheremo
il nome il volto l'esistenza
che tutte con noi le porteremo
verso il regno della liberta'
che tutti risorgeranno i morti.

Scrivi quello che aiuta a vivere
e tieni per te i tuoi veri pensieri.

Scrivi quello che aiuta a vivere
e tieni per te i tuoi doppi pensieri.

Salvare le vite e' il primo dovere.

IV.

Non ha bisogno di alcun fondamento ulteriore
la decisione di opporsi alla violenza.

Basta per fare la cosa giusta
riconoscere la cosa sbagliata.

E' sufficiente percepire
la tua propria e l'altrui esistenza
per fare la scelta della Resistenza
per fare la scelta della nonviolenza.

Anche se non ci incontreremo piu'
per quest'ora di condivisione
valeva la pena viverla tutta la vita.

Io qui ringrazio ogni persona che ho incontrato.

11. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Luise F. Pusch, Susanne Gretter (a cura di), Un mondo di donne. Trecento ritratti celebri, Pratiche, Milano 2003, pp. 384.
- Eugenia Roccella, Lucetta Scarrafia (a cura di), Italiane, Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del consiglio dei ministri, Roma 2004, tre volumi per oltre 900 pagine complessive (vol. I, pp. XIV + 250; vol. II, pp. XIV + 274; vol. III, pp. XIV + 370).
*
Fantascienza
- Ian McDonald, La terra infranta, Mondadori, Milano 2020, pp. 368, euro 9,90.
*
Gialli
- R. Austin Freeman, L'occhio di Osiride, Mondadori, Milano 1996, 2020, pp. 272, euro 5,90.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3823 del 6 agosto 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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