[Nonviolenza] Telegrammi. 3791
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- Date: Sat, 4 Jul 2020 19:19:44 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3791 del 5 luglio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Eredita' di Gregory Bateson. Nel quarantesimo anniversario della scomparsa
2. Annamaria Rivera: Prefazione all'edizione italiana di "Guerra e sacrificio" di Mondher Kilani (2008)
3. Alcune poesie di Wislawa Szymborska
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. EREDITA' DI GREGORY BATESON. NEL QUARANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA
Quarant'anni fa, il 4 luglio 1980, moriva Gregory Bateson, che e' stato uno dei migliori maestri di ogni persona amica della nonviolenza.
Nelle opere di Bateson (e innanzitutto in Verso un'ecologia della mente) e da Bateson ispirate (e innanzitutto in Pragmatica della comunicazione umana) tu trovi strumenti ermeneutici ed operativi d'ineguagliato valore per la comprensione dei conflitti e la pratica risanatrice; tu trovi ricerche ed analisi che molto contribuiscono alla percezione, all'interpretazione e al miglioramento dei complessi interdipendenti rapporti tra umanita' e natura, tra persona e persona, tra pensiero e linguaggio, tra cultura e cultura e tra culture ed ambienti; tu trovi esperienze e riflessioni orientate al rispetto e all'aiuto dell'altro e del mondo, alla solidarieta', alla condivisione, alla convivenza; tu trovi esempi e modelli per un sentire, un pensare, un agire che alla violenza si oppone; tu trovi un inesauribile tesoro di materiali ed utensili per il reciproco ascolto e il mutuo soccorso, per l'azione buona, per il bene comune, per la nonviolenza in cammino.
Con gratitudine che non si estingue lo ricordiamo; e della sua opera continuiamo ad avvalerci nell'impegno quotidiano per la pace, la giustizia, la solidarieta', la salvezza comune dell'umanita' e della biosfera.
*
Una minima notizia su Gregory Bateson (scritta ormai diversi anni fa, e certamente da aggiornare per la parte bibliografica)
Gregory Bateson e' nato nel 1904 a Grantchester, Cambridge, in Inghilterra, figlio di un eminente scienziato; compie studi naturalistici ed antropologici, di logica, cibernetica e psichiatria; un matrimonio con la grande antropologa Margaret Mead; Bateson ha dato contributi fondamentali in vari campi del sapere ed e' uno dei pensatori piu' influenti del Novecento; e' scomparso nel 1980 a San Francisco, in California.
Tra le opere di Gregory Bateson: Naven, Einaudi, Torino 1988; Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, 1990; Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, 1995; Una sacra unita', Adelphi, Milano 1997; (in collaborazione con la figlia Mary Catherine Bateson), Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano 1989, 1993. Si vedano anche i materiali del seminario animato da Bateson, "Questo e' un gioco", Raffaello Cortina Editore, Milano 1996.
Tra le opere su Gregory Bateson: per un avvio cfr. AA. VV. (a cura di Marco Deriu), Gregory Bateson, Bruno Mondadori, Milano 2000; Sergio Manghi (a cura di), Attraverso Bateson, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998; Sergio Manghi, La conoscenza ecologica. Attualita' di Gregory Bateson, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004. Cfr. anche Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1996, 1997, particolarmente sulle implicazioni educative e la valorizzazione in ambito pedagogico della riflessione e dell'opera di Bateson. Una bibliografia fondamentale e' alle pp. 465-521 di Una sacra unita', citato sopra. Indicazioni utili (tra cui alcuni siti web, ed una essenziale bibliografia critica in italiano) sono anche nel servizio con vari materiali alle pp. 5-15 della rivista pedagogica "Ecole", n. 57, febbraio 1998. Altri numeri monografici di riviste a Bateson dedicati: "Oikos", n. 1, 1990; "Aut aut", nn. 251 (1992), 269 (1995), 282 (1997); "Rivista di psicoterapia relazionale", n. 8, 1998. Tra i frutti e gli sviluppi del lavoro di Bateson c'e' anche la "scuola di Palo Alto" di psicoterapia relazionale: di cui cfr. il classico libro di Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971; Carlos E. Sluzki, Donald C. Ransom, Il doppio legame, Astrolabio - Ubaldini, Roma 1979, Fabbri - Rcs Libri, Milano 2007; e su cui cfr. Edmond Marc, Dominique Picard, La scuola di Palo Alto, Red Edizioni, Como 1996. Una bibliografia aggiornata di e su Bateson e' nel sito del "Circolo Bateson" (www.circolobateson.it), da cui estraiamo anche alcune ulteriori segnalazioni: G. Bateson, J. Ruesch, La matrice sociale della psichiatria, Il Mulino, Bologna 1976; Gregory Bateson, Perceval. Un paziente narra la propria psicosi, 1830-1832, Bollati Boringhieri, 2005; Gregory Bateson, L'umorismo nella comunicazione umana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006; AA.VV., Legami con G. Bateson, Libreria editrice universitaria, Verona 2006; Bagni G., Conserva R., Insegnare a chi non vuole imparare. Lettere dalla scuola, sulla scuola e su Bateson, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2005; Bateson M. C., Our own metaphor: a personal account of a conference on conscious purpose and human adaptation, Knopf, New York 1972, Smithsonian Institution Press, Washington-London 1991; Bateson M. C., Con occhi di figlia, Feltrinelli, Milano 1985; Bertrando Paolo, Bianciardi Marco (a cura di), La natura sistemica dell'uomo. Attualita' del pensiero di Gregory Bateson, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009; Brockman J. (a cura di), About Bateson. Essays on Gregory Bateson, Wilwood House, London 1978; Brunello S., Gregory Bateson, Edizioni G. B., Padova 1992; Casadio Luca, Tra Bateson e Bion. Alle radici del pensiero relazionale, Antigone Edizioni, Torino 2010; Cotugno A., Di Cesare G. (a cura di), Territorio Bateson, Meltemi, Roma 2001; De Biasi R., Gregory Bateson, Cortina, Milano 1996; Greppi Olivetti A., Moietta E., Giochi con carte truccate. La tautologia in Gregory Bateson, Pellicani, Roma 1994; Lipset D., Gregory Bateson. The Legacy of a Scientist, Beacon Press, Boston 1982; Madonna G., La psicoterapia attraverso Bateson, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Pauze' R., Gregory Bateson, itineraire d'un chercheur, Eres, Ramonville Saint-Agne 1996; Sala M., Il volo di Perseo, Junior, Bergamo 2004; Tamburini P. (a cura di), Gregory Bateson, maestro dell'ecologia della mente, Universita' Verdi, Bologna 1987; Winkin Y. (a cura di), Bateson: premier etat d'un heritage, Seuil, Parigi 1988; Zoletto D., Pensiero e scrittura del doppio legame, Edizione Universita' di Trieste, Trieste, 2001; Zoletto D., Il doppio legame. Bateson Derrida, Bompiani, Milano, 2003.
*
Anche nel ricordo di Gregory Bateson opponiamoci alla guerra e a tutte le uccisioni; opponiamoci al razzismo e a tutte le persecuzioni; opponiamoci al maschilismo e a tutte le oppressioni.
Anche nel ricordo di Gregory Bateson impegniamoci per i diritti umani di tutti gli esseri umani e in difesa dell'intero mondo vivente.
E qui e adesso, nell'Italia di oggi, perseveriamo nel premere nonviolentemente su governo e parlamento per quattro provvedimenti necessari e urgenti:
1. far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani: semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro;
2. abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
4. legiferare la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
*
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Difendere dalla devastazione quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA DI "GUERRA E SACRIFICIO" DI MONDHER KILANI (2008)
[Dal sito www.tecalibri.info riprendiamo il seguente estratto dal libro di Mondher Kilani, Guerra e sacrificio, Dedalo, Bari 2008, pp. 5-14]
"Mais nous sortirons un jour de l'age du bronze et de la prehistoire quand la pitie' l'emportera sur le gout du sang et le respect des droits de l'animal sur la cruaute' des ses bourreaux"
(Theodore Monod)
La citazione in esergo, tratta da un'intervista a Theodore Monod, scienziato, esploratore, etnografo, militante pacifista e animalista, e' un utile spunto per esporre brevemente uno dei nuclei di riflessione – il piu' centrale, forse – di questo prezioso libro di Mondher Kilani. Mi riferisco alla sua rilettura critica del sacrificio, che e' in realta' la chiave dell'analisi della violenza estrema e della guerra, che egli qui propone.
Come e' ben noto, il sacrificio e' stato considerato, soprattutto dall'antropologia, un'istituzione fondamentale alla base della "civilizzazione" umana, un dispositivo indispensabile a sublimare, canalizzare, addomesticare la violenza, per ristabilire l'equilibrio sociale. Distanziandosi da molte interpretazioni convenzionali, Kilani ne mostra, invece, gli aspetti piu' problematici e inquietanti, comprese l'indifferenza o la crudelta', sia pure sublimate ed espiate mediante il rito, verso la sorte delle creature sacrificate. Cosi' facendo, egli implicitamente rifiuta di considerare al pari di un dato della natura la millenaria propensione umana a fare degli animali gli esseri per eccellenza sacrificabili.
Soprattutto egli osa mettere in discussione la consolidata tendenza a collocare concettualmente su due versanti diversi, o addirittura opposti, la grande violenza distruttiva, che si manifesta attraverso la guerra e il genocidio, e la piccola violenza sacralizzata, regolatrice della brutale violenza originaria, che si esprime attraverso il sacrificio. Mostra cosi', in modo convincente, come la ragione sacrificale non sia appannaggio esclusivo delle societa' tradizionali, ma permei i genocidi perpetrati in epoca contemporanea e perfino la guerra globale attuale; e come, d'altro canto, il sacrificio non sia sempre – al contrario di cio' che pensa una buona parte degli antropologi – quell'atto simbolico, restauratore dell'equilibrio sociale, che sempre metterebbe in scena una violenza minima e stilizzata al massimo.
"Il movimento della ragione sacrificale – afferma a giusta ragione Kilani – puo' anche invertire il suo corso" e finire per sostenere e legittimare veri e propri massacri. Insomma, ben lontana dall'essere sempre contenuta, la violenza che si pratica attraverso il sacrificio puo', in circostanze specifiche, tracimare e produrre carneficine su larga scala: gli esempi storici non mancano, andando dalle stragi di dimensioni abnormi dei sacrifici umani aztechi fino alla macellazione di montoni su scala industriale che oggi connota i sacrifici in occasione della festa musulmana di Aid el-Kbir.
E' evidente che, quando il capro espiatorio si moltiplica a dismisura e la quantita' dei sacrificati prevale sulla qualita' del simbolo dell'espiazione, la ragione sacrificale soccombe alla violenza concreta e brutale. Del resto, ritenere che alla base del sacrificio vi sia un'originaria pulsione verso la violenza, tanto primordiale e ineluttabile da esigere un istituto culturale basilare che la sublimi e la regoli, non e' forse cedere a una forma di determinismo naturalistico?
A mio parere, una delle ragioni per cui la convenzionale lettura del sacrificio ha potuto affermarsi, al punto da divenire uno dei luoghi comuni piu' indiscutibili della teoria antropologica, risiede nella scarsa considerazione riservata ai non-umani in quanto esseri morali – senzienti, sensibili, affettivi, intelligenti. Essendo essi implicitamente e/o inconsapevolmente valutati quasi al pari di cose, per la maggior parte degli antropologi (con alcune eccezioni importanti, tra cui Claude Levi-Strauss ed Edmund Leach) la loro messa a morte non ha mai costituito ragione di dilemma morale o epistemologico; mentre, paradossalmente, un certo disagio morale o concettuale e' conosciuto da molte delle societa' tradizionali in cui era/e' praticato il sacrificio (e la caccia). Non a caso esse si sono dotate sia di dispositivi rituali compensatori o espiatori, atti a riparare simbolicamente all'animalicidio, sia di una serie di metafore eufemistiche volte a dissimulare la sofferenza, l'uccisione, il sacrificio cruento degli animali.
Anche a tal riguardo si puo' ravvisare una certa analogia fra guerra e sacrificio. Infatti, ad accomunarli vi e', fra le altre cose, la tendenza a dissimulare la violenza e a giustificare i massacri in nome di qualche ragione morale o religiosa superiore. Ma cio' non deve trarci in inganno: prendere alla lettera cio' che gli attori sociali dicono di se stessi non e' una buona lezione di antropologia o di sociologia.
Eufemistica per antonomasia e' la strategia retorica che si accompagna alla guerra globale contemporanea: dall'utopia dello "zero morti", ovvero di una guerra-non guerra chirurgica, asettica, infallibile, incruenta (ma solo per la propria parte) – utopia che Kilani analizza diffusamente e con acutezza – all'abituale ricorso a metafore volte ad attenuare, minimizzare o dissimulare la realta' dei bombardamenti, delle stragi, delle violenze, delle torture inflitte alle popolazioni oggetto dell'attenzione dei liberatori occidentali in armi.
Non si puo' negare che sia proprio di tutte le guerre moderne il ricorso a lessici astratti, mondati del sangue, della sofferenza, della morte. Ma la guerra imperialista attuale – che il nostro autore definisce, sulla scia di von Clausewitz, come totale e come tendente a un'inarrestabile escalation verso l'estremo – presenta in piu' la specificita' di proporsi come una ininterrotta operazione di mantenimento della pace, presentata ora come un'azione di polizia internazionale contro il terrorismo, ora come un intervento "democratico" per liberare gli altri dalla tirannia e dalla barbarie. Di conseguenza, le locuzioni eufemistiche – "missione internazionale", "operazione di sicurezza", "intervento umanitario", "lotta al terrorismo", "missili intelligenti", "danni collaterali", ecc. – le sono intrinseche, oltre tutto rafforzate dall'astrattezza dell'apparato tecnologico altamente sofisticato mediante il quale e' condotta.
Questo apparato consente alle truppe imperiali di sentirsi – illusoriamente – del tutto al riparo dal sangue, dalla violenza, dalla morte; permette agli spettatori occidentali di assistere alle operazioni belliche e ai loro effetti come se fossero di fronte a un videogame, o comunque a uno spettacolo virtuale fra i tanti; infine – conviene aggiungere – rende possibile la straordinaria perdita del senso di responsabilita', e del senso delle proporzioni, che si riscontra tra i vertici politici, anche di sinistra, dei paesi europei che partecipano alla guerra imperiale.
Pure a tal proposito ritorna utile la categoria di ragione sacrificale, che Kilani propone come chiave interpretativa non solo della guerra, ma anche dell'esclusione sociale e/o dell'annientamento fisico di ampie categorie di esseri umani, considerati scarti. Dalle retoriche utilizzate dalla politica istituzionale per giustificare la partecipazione alla guerra – abitualmente e ufficialmente denominata "missione di pace" –, traspare l'argomento secondo il quale la sorte di un certo governo di coalizione di un paese europeo non troppo importante varrebbe bene i "sacrifici umani" imposti agli altri, cioe' la devastazione degli stati-canaglia, le stragi di civili, le violenze, le ingiustizie, le tragedie che si consumano sulla scena internazionale. In tal senso, le vittime – che si afferma retoricamente di voler salvare dal peggio — diventano doppiamente capri espiatori: esse sono immolate non solo a causa della volonta' di potenza imperiale, ma anche per scopi mediocri come quello di garantire la stabilita' governativa di qualche stato europeo alleato.
Andando ancora piu' al fondo della questione, come ci invita a fare il nostro autore, possiamo legittimamente domandarci se non si possa parlare di sacrificio "ogni volta che si esercita una violenza sull'altro al di fuori di qualunque quadro giuridico, di ogni tutela dei diritti della vittima"; se, insomma, non siamo in presenza di un meccanismo di tipo sacrificale ogni volta che la violenza e' accompagnata da una messa in scena rituale che afferma "la rottura assoluta tra il sacrificante-carnefice, identificato come umano, e il sacrificato-vittima, privato della propria umanita'".
La negazione dell'altro, perfino come avversario o nemico reale, e' un tratto peculiare anche della guerra globale e totale dei nostri giorni. Guerra asimmetrica, priva di reciprocita' (ancora una categoria-chiave dell'antropologia cui Kilani ricorre ampiamente), essa si preclude qualsiasi possibilita' di negoziato e quindi ogni prospettiva di uscita dallo stato di conflitto permanente e illimitato.
A tal proposito si puo' richiamare l'attenzione, en passant, sull'analogia che lega la guerra globale all'ideologia e alle pratiche coloniali. L'una e le altre sono connotate da un'asimmetria riguardante non solo l'oggettiva, quasi assoluta supremazia militare rispetto all'avversario e la negazione a esso dello statuto di nemico legittimo, o addirittura di essere umano, ma anche l'esercizio e la valutazione della violenza: pure se infrange ogni regola del diritto e delle convenzioni internazionali, se fa strage di popolazioni civili, se ricorre alle bombe a grappolo, perfino mimetizzate da aiuti alimentari, la propria violenza e' rappresentata come legittima in ogni caso; la violenza degli altri, al contrario, per quanto difensiva e reattiva, e' sempre cieca, illegittima, barbara, sleale.
In piu', il mancato riconoscimento dell'avversario e la degradazione a terrorismo di ogni espressione di opposizione e conflitto non fanno che favorire la risposta terroristica reale. E questa, per quanto aberrante, finisce per risultare pressoche' l'unica possibile e funzionale a uno stato permanente di guerra asimmetrica e non-dichiarata. In realta', guerra totale e risposta terroristica si alimentano reciprocamente e incessantemente. Entrambe muovono – mi sembra – da una sorta di teologia estrema, che annulla i soggetti storici sciogliendoli nelle immagini metafisiche dei rispettivi "imperi del Male"; entrambe cancellano ogni possibilita' di discorso politico e di risoluzione negoziata, in favore di un discorso fondato su valori ultimi e assoluti, in definitiva fondamentalista.
Per definire gli effetti dell'inveramento attuale della guerra totale descritta da von Clausewitz, Kilani riprende, mutuandolo da Giorgio Agamben, il concetto arendtiano di stato di eccezione permanente. Per quanto abusato, esso si presta bene a indicare come la sospensione del diritto nazionale e internazionale e delle garanzie democratiche, nonche' l'indistinzione fra guerra e pace, spazio interno e spazio esterno, funzioni civili e funzioni militari, siano diventate la regola.
Lo stato di eccezione permanente si nutre di xenofobia e razzismo, e al tempo stesso li alimenta e li riproduce. Ne e' un'illustrazione esemplare la tendenza, fatta propria anche dall'Unione europea, ad associare la "lotta contro il terrorismo" con le politiche di controllo e di contenimento dei flussi migratori: cosa che incrementa l'ecatombe dei "clandestini" e alimenta nell'opinione pubblica il pregiudizio che sospetta i migranti, soprattutto se provenienti da paesi musulmani, di complicita' o contiguita' con lo spazio del terrorismo.
Opposti e speculari, tanto il discorso islamista che sorregge il terrorismo quanto il teorema dello scontro di civilta', che e' una parte rilevante dell'ideologia della guerra globale, spacciano la leggenda di due blocchi monolitici – l'Islam e l'Occidente – contrapposti e irriducibili, di due civilta' e sistemi di valori radicalmente differenti e antagonisti. Kilani mostra bene, invece, quanti scambi, intrecci, continuita', sovrapposizioni leghino i due mondi e come essi siano coinvolti in una dialettica di mimetismo e rivalita' reciproci. A suo parere, siamo in presenza "di un solo mondo, di un solo "blocco occidentale", percorso da fratture delle quali una, attualmente la piu' palese, ma non la piu' essenziale, risiede in un certo irredentismo islamista – irredentismo piu' spettacolare che realmente minaccioso per l'impero".
E' vero: come ci insegna l'antropologia, la tendenza a deumanizzare gli altri, nemici potenziali o reali, non riguarda solo le guerre moderne, ma e' un tratto che si ritrova assai frequentemente nelle relazioni e nei conflitti fra i gruppi umani piu' svariati e differenti, nello spazio e nel tempo. Nondimeno, la guerra totale contemporanea ci offre numerosi e specifici esempi di negazione dell'umanita' dell'altro. Gli emblemi piu' efficaci per rappresentarla potrebbero essere le immagini dell'incappucciato di Abu Ghraib, della soldatessa Lynndie England che, sorridente, trascina al guinzaglio un prigioniero iracheno nudo, delle altre pratiche di estrema degradazione dell'umano che ci hanno rivelato le foto-ricordo dei soldati statunitensi.
Dietro quelle immagini non c'e' solo la banalita' del male e il sadismo proprio di tutti i torturatori; c'e' anche un gusto della rappresentazione, della costruzione di perversi tableaux vivants, che ci fa pensare, certo, all'influenza dell'immaginario e dell'estetica pornografici, ma anche a un intento di messa in scena rituale di tipo sacrificale: per divenire sacrificabile, l'altro-umano deve essere prima de-umanizzato, se non bestializzato, cosi' come l'altro-animale deve essere prima de-familiarizzato e ridotto a cosa, oppure a un essere feroce o ributtante.
Come giustamente ci suggerisce Kilani, tutto cio' non riguarda solo l'attuale guerra globale "contro il terrorismo". Si potrebbe affermare che, piu' in generale, le istituzioni che hanno prodotto la "banalita' del male" dei genocidi e dei massacri contemporanei non poche volte abbiano riprodotto le scansioni proprie della scena sacrificale: la designazione di un capro espiatorio, la sua segregazione o esclusione, la sua umiliazione, il suo annientamento morale, la pratica del concentramento o della deportazione, infine la sua eliminazione fisica.
Egli ha dunque perfettamente ragione nel sostenere la continuita' fra sacrificio e guerra, fra potere sacrificale e potere imperiale, ipotizzando che "l'annientamento praticato con i genocidi e con le guerre totali contemporanee" non sia altro "che la trasformazione del potere sacrificale in potere assoluto e indiscusso".
Vi e' la possibilita' di immaginare un dispositivo di regolazione e di riduzione della violenza che non riproponga la mortifera ragione sacrificale? – si chiede conclusivamente Kilani. Piu' ottimista di noi, egli risponde positivamente: conviene scommettere sulla ragione politica. Basata com'e' "sui principi della negoziazione permanente del contratto sociale e della partecipazione dei cittadini", la politica non scongiura la violenza e la guerra, ma almeno le inserisce nella dimensione razionale degli interessi e dei conflitti propri dell'esistenza sociale.
Ma la logica dell'opposizione amico/nemico – potremmo obiettare – non e' ormai penetrata nelle pieghe della politica cosi' profondamente da pervertirla? L'ideologia della "sicurezza globale" non le e' divenuta cosi' intrinseca da produrre incessantemente nemici interni e capri espiatori, sacrificabili con misure eccezionali che divengono permanenti? Sono dubbi che la realta' sotto i nostri occhi ci sollecita quotidianamente.
Forse, per poter riabilitare la politica, dovremmo immaginare un diverso ordine del discorso che la riabiliti: un'antropologia tanto simmetrica da includere ogni altro – umano e non umano – integrando pienamente i loro punti di vista e favorendo cosi' una reciprocita' generalizzata. Forse, per poter immaginare una politica che possa fare a meno della guerra dovremmo decostruire, analizzare, mettere a distanza – come una variante "etnica" fra le tante – quella cultura del dominio sulla natura, sugli animali, sul femminile, su certe categorie umane che sorregge la ragione strumentale e sacrificale della guerra.
3. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA
[Riproponiamo ancora una volta alcune poesie di Wislawa Szymborska estratte da Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009, a cura di Pietro Marchesani.
Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata a Bnin, in Polonia, il 2 luglio 1923 ed e' deceduta a Cracovia il primo febbraio 2012; ha studiato lettere e sociologia a Cracovia; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria", nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e "Kultura"; oltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991 il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book of the Month Club Translation Prize". Tra le opere di Wislawa Szymborska in edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano 1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998; Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore, Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004; La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009]
Vietnam
Donna, come ti chiami? - Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
Perche' ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
Perche' mi hai morso la mano? - Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
Da che parte stai? - Non lo so.
Ora c'e' la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? - Si'.
*
Discorso all'Ufficio oggetti smarriti
Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord,
e anche molti dei per via dall'Est all'Ovest.
Mi si e' spenta per sempre qualche stella, svanita.
Mi e' sprofondata nel mare un'isola, e un'altra.
Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli,
chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio.
Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva
e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza.
Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe,
me ne uscivo di senno piu' e piu' volte.
Da tempo ho chiuso su tutto cio' il mio terzo occhio,
ci ho messo una pinna sopra, ho scrollato le fronde.
Perduto, smarrito, ai quattro venti se n'e' volato.
Mi stupisco io stessa del poco di me che e' restato:
una persona singola per ora di genere umano,
che ha perso solo ieri l'ombrello sul treno.
*
Sulla morte senza esagerare
Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessiture, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure cio'
che attiene al suo mestiere:
ne' scavare una fossa,
ne' mettere insieme una bara,
ne' rassettare il disordine che lascia.
Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo ne' abilita'.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Piu' d'un bruco
la batte in velocita'.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo ingrato lavoro.
La cattiva volonta' non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
e', almeno finora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.
Chi ne afferma l'onnipotenza,
e' lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non e'.
Non c'e' vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.
La morte
e' sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno puo' sottrarre
il tempo raggiunto.
*
La fine e l'inizio
Dopo ogni guerra
c'e' chi deve ripulire.
In fondo un po' d'ordine
da solo non si fa.
C'e' chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C'e' chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
C'e' chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.
Non e' fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia' partite
per un'altra guerra.
Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C'e' chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com'era.
C'e' chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto li' si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po' noioso.
C'e' chi talvolta
dissotterrera' da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti.
Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull'erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c'e' chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
*
L'odio
Guardate com'e' sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l'odio.
Con quanta facilita' supera gli ostacoli.
Come gli e' facile avventarsi, agguantare.
Non e' come gli altri sentimenti.
Insieme piu' vecchio e piu' giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non e' mai un sonno eterno.
L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione -
purche' ci si inginocchi per il via.
Patria o no -
purche' si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre tutto solo.
L'odio. L'odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti -
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
puo' contare sulle folle?
La compassione e' mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verita':
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile e' il pathos delle rovine
e l'umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
E' un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante e' pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspettera'.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
- lui solo.
*
La veglia
La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido ne' fracasso
puo' strapparci da essa.
Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che puo' spiegarsi
in molti modi.
La veglia significa la veglia
ed e' un enigma maggiore.
Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giu' farfalle
e anime di vecchi ferri da stiro,
berretti senza teste
e cocci di nuvole.
Ne viene fuori un rebus
irrisolvibile.
Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
e' ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.
Non i sogni sono folli,
folle e' la veglia,
non fosse che per l'ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.
Nei sogni vive ancora
chi ci e' morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra d'un passo.
La fugacita' dei sogni fa si'
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l'oblio.
E' un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.
Non le si puo' sfuggire,
perche' ci accompagna in ogni fuga.
E non c'e' stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.
*
Le tre parole piu' strane
Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba gia' va nel passato.
Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.
Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.
*
Contributo alla statistica
Su cento persone:
che ne sanno sempre piu' degli altri
- cinquantadue;
insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purche' la cosa non duri molto
- ben quarantanove;
buoni sempre,
perche' non sanno fare altrimenti
- quattro, be', forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;
dotati per la felicita'
- al massimo poco piu' di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro piu' della meta';
crudeli,
se costretti dalle circostanze
- e' meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
- non molti di piu'
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatre'
prima o poi;
degni di compassione
- novantanove;
mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.
*
Fotografia dell'11 settembre
Sono saltati giu' dai piani in fiamme -
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno e' ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C'e' abbastanza tempo
perche' si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell'aria,
nell'ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro -
descrivere quel volo
e non aggiungere l'ultima frase.
*
Tutto
Tutto -
una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece e' soltanto
un brandello di bufera.
*
Esempio
Una bufera
di notte ha strappato tutte le foglie dell'albero
tranne una fogliolina,
lasciata
a dondolarsi in un a solo sul ramo nudo.
Con questo esempio
la Violenza dimostra
che certo -
a volte le piace scherzare un po'.
*
Vermeer
Finche' quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Franco Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino 1952, 1972, tre volumi per complessive pp. CXXIV + 1.314.
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3791 del 5 luglio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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