[Nonviolenza] Telegrammi. 3753
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- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 27 May 2020 19:28:06 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3753 del 28 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Proposta di una lettera da inviare al governo
2. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
3. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
4. Emilio Renzi: Enzo Paci (2014)
5. Roberto Gronda: Giulio Preti (2016)
6. Enrico Peyretti presenta "Potere forte. Attualita' della nonviolenza" di Roberta Covelli
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO
Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
2. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI
Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
3. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
*
Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455
4. MAESTRI. EMILIO RENZI: ENZO PACI (2014)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]
Enzo Paci nacque a Monterado (Ancona) il 18 settembre 1911, da Corrado, veterinario, e da Maria Sbriscia, ambedue di Senigallia.
Frequento' il liceo a Cuneo, dove il padre si era trasferito per lavoro, e si iscrisse alla facolta' di lettere e filosofia dell'Universita' di Pavia. In quella sede segui' soprattutto le lezioni dello studioso di filosofia greca Adolfo Levi. Dopo due anni passo' all'Universita' di Milano, attratto dal filosofo Antonio Banfi, con cui si laureo' nel 1934 discutendo una tesi destinata a diventare la sua prima opera a stampa: Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone (Messina-Milano 1938).
I corsi di Banfi vertevano su Edmund Husserl, Georg Simmel, Friedrich Nietzsche e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, all'insegna di un razionalismo critico che rifiutava l'idealismo di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, cui contrapponeva una visione della ragione come problematicismo umanistico. Dal maestro Paci apprese la fenomenologia husserliana e assorbi' un'idea e una pratica non settoriali della cultura. Ne derivo' la propensione a una fenomenologia delle espressioni culturali che non negava anzi rafforzava la speculazione teoretica.
Dell'esistenzialismo che veniva affermandosi in Francia e in Germania, Paci offri' una lettura in cui Soeren Kierkegaard, Karl Jaspers e Jean Wahl prevalevano su Martin Heidegger: l'esistenza e' colta come possibilita', quindi e' liberta' in opposizione a ogni determinismo e nichilismo. Lungo questa interpretazione Paci incontro' Nicola Abbagnano, diventando con lui il capofila dell'"esistenzialismo positivo". Insieme, nel 1943, condussero per la rivista Primato, lettere e arti d'Italia, di Giuseppe Bottai, l'inchiesta sull'esistenzialismo, destinata a restare un riferimento nella storia della filosofia italiana del Novecento.
Nel 1940, diventato nel frattempo docente nei licei (Parma, Padova), si sposo' con Elena Fagiolo, docente di materie scientifiche.
Nello stesso anno raccolse i saggi del periodo in Pensiero, esistenza e valore (Messina-Milano), dove "valore" e' cifra della trascendenza, mediazione tra l'assoluto del pensiero e la finitezza dell'esistenza. E' il senso della fondazione che nel Paci maturo sarebbe diventata tensione alla verita'; quando l'esistenza si fa valore l'individuo assurge a dignita' di persona.
Alla politica complessiva di un Bottai mediatore tra le diverse anime del fascismo puo' essere ricondotta in ultima analisi l'attivita' pubblicistica di Paci nelle riviste dette giovanili degli anni Trenta. La riflessione banfiana sulla crisi dello spirito europeo come contrasto tra teoresi filosofica e totalita' statuali si trasformo' in lui in un interesse per il rapporto tra impegno politico e societa' che, in forme anche molto diverse, resto' una costante di tutto il suo itinerario. Negli inediti quaderni di appunti, studiati da Amedeo Vigorelli, un ventenne Paci aveva cercato in Croce e in Gentile e soprattutto in Piero Gobetti una chiave di spiegazione della crisi della societa' italiana nel primo dopoguerra. Il fallimento della "rivoluzione liberale" di Gobetti e prima ancora della democrazia parlamentare lo porto' a condividere una visione della civilta' italica quale fondamento e centro della civilta' europea e quindi del "nuovo ordine" da costruire, esprimendosi con toni vitalistici.
Il momento della verita' giunse quando, richiamato alle armi allo scoppio della seconda guerra mondiale, catturato dopo l'8 settembre in Grecia e deportato negli Oflag (campi di prigionia per ufficiali) di Beniaminowo in Polonia e poi di Wieztendorf presso Amburgo, Paci rifiuto' di aderire alla Repubblica sociale italiana (RSI), il che gli avrebbe permesso di rientrare in Italia. Testimonianze indipendenti (Antonio Rossi, Alessandro Natta) attestano che si adopero' sul piano morale per i commilitoni e fu apprezzato docente nei corsi organizzati nelle baracche.
Le lezioni su Thomas Mann, Thomas Stearns Eliot, Rainer Maria Rilke, Paul Valery, Marcel Proust furono raccolte in Esistenza e immagine (Milano 1947). Del resto lo stesso Ingens sylva. Saggio sulla filosofia di G.B. Vico (ibid. 1949) puo' esser letto come una metafora della prigionia nella "barbarie", e non solo perche' l'occasione esterna fu il casuale possesso di un esemplare della biografia di Fausto Nicolini sul giovane Vico.
A Wieztendorf Paci entro' in contatto con un ufficiale francese prigioniero dal 1940, il filosofo Paul Ricoeur, che stava traducendo il primo libro delle Ideen di Husserl e strinse con lui un'amicizia duratura. Dopo il rientro in Italia, il 20 agosto 1945, pote' abbracciare la figlia Francesca Romana, nata due anni prima, e rivide Banfi.
Nel diario, conservato nell'Archivio Enzo Paci, a Banfi che gli comunicava la sua adesione al Partito comunista italiano (PCI) parlando di "richiamo alla vita", Paci oppose: "Un giorno lo sentii anch'io. Ma proprio perche' non sapevo vivere e la vita mi mancava [...] anch'io disprezzavo il puro uomo di cultura – una posizione che la mia anima ha duramente scontato [...] in quei due anni di ascesi di fronte all'assoluto e alla morte [...] Vivere nell’immanenza portando in se' il senso della trascendenza".
La saturazione della problematica esistenzialistica e la ripresa del confronto con lo storicismo italiano furono sviluppate in Il nulla e il problema dell'uomo (Torino 1950) e in Esistenzialismo e storicismo (Milano 1950).
Nel secondo si coagulo' un dialogo iniziato dieci anni prima con Croce, cui Paci obiettava che la categoria del vitale o utile o economico precede le altre forme dello spirito, le quali dunque da essa nascono. Percio' esistenza e conflitto ossia esistenzialismo e storicismo non erano necessariamente antitetici. Il nulla e il problema dell'uomo e' un'argomentazione a favore di un umanesimo che si avvale del neokantismo di Ernst Cassirer non meno che del Mondo magico di Ernesto de Martino: un etnologo inquieto cui Paci dedico' sempre una ricambiata attenzione.
Nel 1951 Paci fondo' aut aut. Rivista di filosofia e di cultura. L'ascendenza kierkegaardiana del titolo va integrata con una dichiarazione nell'editoriale Civilta' o barbarie (1, pp. 3-5), che rimandava alla battaglia laica per la "liberta' della cultura", cui attendevano Norberto Bobbio e Umberto Campagnolo. Coadiuvato da Gillo Dorfles, da Luigi Rognoni e negli anni da piu' giovani collaboratori, aut aut si ritaglio' presto un risalto anche internazionale dovuto alla varieta' e modernita' degli scritti ospitati, che andavano dall'architettura alla musica, dalla pittura alla poesia. Paci ebbe rapporti stretti con gli architetti razionalisti milanesi (Ernesto Rogers, Lodovico Belgiojoso) e fu nella redazione di Casabella-Continuita'. L'apertura culturale fu parte integrante e significativa dell'approdo filosofico cui giunse all'inizio degli anni Cinquanta e che chiamo' "relazionismo".
Nello stesso 1951 vinse la cattedra di filosofia teoretica a Pavia dove insegno' fino al 1958.
Dall'esistenzialismo al relazionismo (Messina-Firenze 1957) ricolloco' sin dal titolo il piu' focalizzato Tempo e relazione (Torino 1954 [Milano 1965]), nei termini della ricerca di un fondamento piu' proprio. Il relazionismo e' una "filosofia del tempo", della sua "irreversibilita'" e dei processi delle situazioni esistenziali e degli sviluppi delle scienze e delle tecniche. E' evidente il debito nei confronti dell'organicismo di Alfred North Whitehead. In questo sviluppo l'uomo dell'esistenzialismo sfugge a una possibile estenuazione, perche' il soggetto e' in una "visione 'relazionata' della cultura, dell'arte, della vita" (p. 11) e si apre alla storicita' concreta, di contro insomma alle assolutizzazioni disincarnate dell'idealismo e dello scientismo. Nella relazionalita' del finito Paci innesto', oltre a una rilettura dello "schematismo trascendentale" di Kant in quanto sintesi tra l'empirico e il concettuale, i fondamenti della fenomenologia: il rigore della "riduzione", la messa tra parentesi dei "pre-giudizi", l'"andare alle cose stesse".
Cosi' il successivo e pieno "ritorno a Husserl" fu anche una reinterpretazione del primo Husserl dell'apprendistato banfiano e si inseri' nella Husserl-Renaissance che andava manifestandosi in Europa grazie alla pubblicazione degli inediti a cura di Hermann Leo Van Breda: una strategia di traduzioni e studi il cui acme fu la cura dell'Omaggio a Husserl (Milano 1960).
Il passaggio nel 1958 da Pavia all'Universita' di Milano fu il consolidamento di un ruolo di magistero non dalla sola cattedra, in quanto esercitato anche mediante le case editrici e le conferenze. Nacquero infatti come trasmissioni del Terzo programma della Radio italiana la Storia del pensiero presocratico (Torino 1957) e La filosofia contemporanea (Milano 1957; nuova ed. accresciuta, ibid. 1974), nonche' L'opera di Dostoevskij (Torino 1956).
I saggi e i corsi su Husserl tra la fine dei Cinquanta e i pieni Sessanta furono pubblicati in due opere tra le sue maggiori: Tempo e verita' nella fenomenologia di Husserl (Bari 1961) e Funzione delle scienze e significato dell'uomo (Milano 1963). La fenomenologia nell'interpretazione paciana e' teleologia, ossia orizzonte di un rapporto intenzionale e intersoggettivo in cui la prima persona, o persona come presenza "in carne e ossa", eros e bisogno a un tempo, riacquistava un senso pratico-storico anche attraverso la epoche' come esercizio di ascesi.
In mezzo, il Diario fenomenologico (Milano 1961) mostro' la continuita' e l'importanza in Paci della "scrittura" come cifra dello stretto nesso tra "Io autobiografico" e "Io filosofante" (Papi, 1990, pp. 215 s.), mentre la conferenza tenuta a Praga nel 1962 sul Significato dell'uomo in Marx e Husserl mise in chiaro che Paci intendeva raccordare il tema della originarieta' del vissuto con le espressioni contemporanee del rifiuto delle feticizzazioni dell'uomo, della tecnica fine a se stessa e del lavoro alienato, vale a dire, l'ideologismo e l'oggettivazione. La critica dell'economia politica di Marx unitamente al marxismo italiano (Antonio Labriola, Rodolfo Mondolfo, Antonio Gramsci) cerco' riconoscimento (e contraccambio) nel "precategoriale" husserliano e nelle tesi antimaterialistiche della Critica della ragione dialettica (1960) di Jean-Paul Sartre.
Nei movimenti studenteschi internazionali del Sessantotto Paci scorse il punto di inveramento della sua nuova stagione di rapporto tra impegno e societa' in mutazione e da mutare. Tenne conferenze ai seminari estivi di Korcula in Jugoslavia e in Universita' statunitensi e canadesi. Una riconsiderazione del "negativo" e un riordinamento del suo intero lavoro filosofico con un rimando finale all'utopia come rinascita di Ernst Bloch, in Idee per una enciclopedia fenomenologica (Milano 1973), chiusero la sua vita sempre attiva.
Mori' a Milano il 21 luglio 1976.
*
Opere: Oltre a quelle citate: Principi di una filosofa dell'essere, Modena 1939; Introduzione e scelta a F. Nietzsche, Antologia, Milano 1940; Relazioni e significati I (Filosofia e fenomenologia della cultura), ibid. 1965; Relazioni e significati II (Kierkegaard e Th. Mann), ibid. 1965; Relazioni e significati III (Critica e dialettica), ibid. 1966; Prefazione alla III edizione italiana di E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, ibid. 1968; Colloqui con Banfi, in aut aut, 1986, 214-215, pp. 72-77; Il senso delle parole (1963-1974), a cura di P.A. Rovatti, Milano 1987 (contiene Sulla fenomenologia del negativo, 1974).
Fonti e bibliografia: Le carte personali e la biblioteca sono conservate presso l'Archivio Enzo Paci a Milano. G. Semerari, L'opera e il pensiero di E. P., in Rivista critica di storia della filosofia, XXXII (1977), pp. 78-94; Bibliografia degli scrittidi E. P., a cura di A. Civita, Firenze 1983, da integrare con Strumenti bibliografici, a cura di A. Sardi, in Omaggio a P., I, Testimonianze; II, Incontri, a cura di E. Renzi - G. Scaramuzza; Attraverso la fenomenologia. L'esperienza filosofica di E. P., in aut aut, 1986, 214-215; G.D. Neri, 1945: Un confronto teologico-politico fra Banfi e Paci, ibid., pp. 57-71; A. Vigorelli, L'esistenzialismo positivo di E. P. Una biografia intellettuale (1929-1950), Milano 1987; F. Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, P., Preti, Milano 1990, pp. 215-234; Vita e verita'. Interpretazione del pensiero di E. P., a cura di S. Zecchi, Milano 1991; L'esistenzialismo in Italia: i testi integrali dell'inchiesta su "Primato" nel 1943 e la discussione sulla filosofia dell'esistenza fino ai nostri giorni, a cura di B. Maiorca, Milano 1993; A. Natta, L'altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, Torino 1997, p. 65; S. Mancini, L'orizzonte del senso. Verita' e mondo in Bloch, Merleau-Ponty, P., Milano 2005; A. Rossi, Deportato n. 5500. 8 settembre 1943 - 6 settembre 1945, Fasano 2005; In ricordo di un maestro. E. P. a trent'anni dalla morte, a cura di G. Cacciatore - A. Di Miele, Napoli 2009; E. Renzi, E. P. e Paul Ricoeur. In un dialogo e dodici saggi, Milano 2010; Il coraggio della filosofia. aut aut, 1951-2011, a cura di P. A. Rovatti, Milano 2011; A. Di Miele, Antonio Banfi E. P.: Crisi, eros, prassi, Milano 2012.
5. MAESTRI. ROBERTO GRONDA: GIULIO PRETI (2016)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]
Giulio Preti, ultimo di cinque figli, nacque a Pavia il 9 ottobre 1911, da Roberto e da Alberta Giulia Mariani.
I genitori, emiliani di origine, erano entrambi maestri elementari. Sposatisi con rito civile a La Maddalena nel 1891, vissero in Sardegna prima di stabilirsi, nel 1896, a Pavia. Il padre, repubblicano e socialista, coltivava interessi letterari: autore di racconti per bambini, pubblico' un volume di poesie intitolato Visioni (Pavia 1911).
Cresciuto in un ambiente modesto, ma culturalmente vivace, Preti fu studente curioso e intelligentissimo e frequento' con ottimi risultati le scuole inferiori, rivelando pero' fin da subito quell'irrequietezza che ne caratterizzo' l'esistenza. Rimasto orfano del padre a otto anni, e nonostante le difficolta' economiche della famiglia, riusci' a proseguire negli studi fino a conseguire la maturita' classica nel 1929.
Datano a quel periodo i primi studi di linguistica, disciplina per cui nutri' sempre un vivo interesse, nonche' i primi contatti con Luigi Suali, professore di indologia presso il locale Ateneo pavese, che esercito' su di lui una profonda influenza. Nell'ottobre del 1929 si iscrisse al corso di laurea in filosofia dell'Universita' di Pavia, dove segui' le lezioni di Guido Villa, di Adolfo Levi e, appunto, di Suali. Durante gli anni universitari strinse amicizia con Luigi Heilman, Gianfranco Contini, Enzo Paci. Fu proprio grazie a Paci che Preti entro' in contatto con Antonio Banfi, professore di storia della filosofia presso l'Universita' di Milano, e con il ricchissimo ambiente culturale che si era formato assistendo alle sue lezioni. Il magistero di Banfi fu decisivo per la sua formazione intellettuale: decise quindi di abbandonare la tesi che aveva concordato con Suali e si laureo' l'8 novembre 1933 con Villa discutendo una tesi su Edmund Husserl, autore che costitui' sempre per lui un punto di riferimento costante.
Dalla tesi trasse il suo primo articolo, Filosofia e saggezza nel pensiero husserliano, pubblicato in Archivio di filosofia (IV (1934), 1, pp. 83-88), cui seguirono I fondamenti della logica formale pura nella "Wissenschaftslehre" di B. Bolzano e nelle "Logische Untersuchungen" di E. Husserl, apparso nella rivista anti-idealista Sophia (III (1935), 2, pp. 187-194; 3-4, pp. 361-376) di Carmelo Ottaviano, in cui e' esposto con favore l'approccio antipsicologista alla logica di Husserl e di Bernard Bolzano.
Ma l'incontro con il circolo di Banfi non fu rilevante soltanto per la sua maturazione filosofica: in quegli incontri conobbe Daria Menicanti, che sposo' nel 1937 e a cui, anche dopo la separazione avvenuta nel 1954, rimase sempre legato da profondo affetto.
Nel 1934 Preti si trasferi' a Milano e nel 1936 vinse il concorso per l'insegnamento di filosofia e storia nei licei, venendo nominato l'anno successivo professore – dapprima straordinario e poi ordinario – di filosofia e pedagogia presso il Regio Istituto magistrale Guido Albergoni di Crema. Nello stesso anno fu nominato assistente volontario alla cattedra di storia della filosofia di Banfi.
Allo stesso anno data anche l'articolo Difesa del principio di immanenza (Sophia, IV (1936), 2-3, pp. 281-301) in cui attraverso una critica al realismo metafisico di Ottaviano, formulo' il principio cardine del suo pensiero: la tesi, che gli giungeva mediata da Husserl e da Banfi, della natura correlativa di soggetto e oggetto. Nel 1938 diede alle stampe una traduzione della Monadologia di Gottfried Leibniz, prima tappa di un lungo percorso di confronto con il pensiero leibniziano e con la cultura filosofica e scientifica del Seicento. Su quel plesso di temi e problemi, che gli apparivano come il momento centrale nella formazione dell'Europa moderna, torno' non a caso a piu' riprese, prima con uno studio monografico su Isaac Newton (Milano 1950) e poi con il libro Il cristianesimo universale di Leibniz (Milano-Roma 1953). Sempre nel 1938 pubblico' nel Giornale critico della filosofia italiana (n. 6, pp. 391-406), diretto da Giovanni Gentile, Tipologia e sviluppo nella teoria hegeliana della storiografia filosofica in cui formulo' i principi di un'attivita' storiografica filosoficamente impegnata che accompagno' sempre, influenzandola, la sua riflessione teorica. A partire dal 1940 ebbe inoltre inizio la sua collaborazione con la neonata rivista di Banfi Studi filosofici.
Dopo un anno di congedo, a partire dal primo ottobre 1942 Preti venne trasferito al liceo scientifico Torquato Taramelli di Pavia. Durante gli anni del secondo conflitto mondiale continuo' a pubblicare con regolarita' nonostante le difficolta': nello stesso anno apparvero l'antologia I presocratici (Milano 1942) e la Fenomenologia del valore (Milano-Messina 1942), in cui veniva discusso per la prima volta un tema – quello della natura del valore – centrale nella sua riflessione matura.
Punto di partenza era il riconoscimento della tensione vitale fra esistenza e ragione: Preti osservava che solo perche' l'uomo era anima oltre che spirito, esistenza finita caratterizzata dal bisogno, poteva accedere alla dimensione del valore. Da quel testo emergeva la sua attenzione per l'esistenzialismo – mediato tuttavia da una forte enfasi posta sulla dimensione corporea – cosi' come il profondo interesse per Blaise Pascal, un autore di cui amo' sempre moltissimo la sensibilita' nel cogliere la drammaticita' della condizione umana, e cui dedico' vari lavori: il libro Pascal e i giansenisti (Milano 1944), l'edizione degli Opuscoli e scritti vari (Roma-Bari 1959) e la traduzione delle Provinciali (Torino 1972).
Ma e' con Idealismo e positivismo (Milano 1943), apparso per i tipi di Bompiani, che il pensiero pretiano assumeva per la prima volta i suoi tratti caratteristici. La convergenza di positivismo e idealismo in un razionalismo antimetafisico definiva l'orizzonte teorico di una riflessione strutturata attorno ad alcuni principi fondamentali: la concezione della filosofia come indagine delle forme della cultura; la teoria dei concetti come metodi di risoluzione dell'esperienza nel pensiero; la tesi della vuotezza dei simboli linguistici che, proprio perche' vuoti, predeterminano i modi del proprio riempimento e della propria verificazione; il riconoscimento dell'autonomia delle rappresentazioni simboliche.
Dopo avere preso parte durante la Resistenza alle attivita' clandestine del Partito comunista italiano (PCI) e del Fronte della gioventu', Preti partecipo' ai dibattiti politici e culturali che seguirono la Liberazione denunciando con forza quelle soluzioni compromissorie che secondo lui avevano tradito lo spirito dell'esperienza resistenziale. E quando si concluse la breve fase della sua militanza nelle file del PCI, Preti continuo' a intervenire sui problemi piu' urgenti del suo tempo sulle pagine de La Cittadella e del Politecnico di Elio Vittorini.
L'impegno civile pero' non lo distolse mai dal lavoro filosofico; anzi lo spinse a formulare una proposta teorica in cui l'esigenza democratica che rivendicava come prassi politica potesse essere motivata razionalmente. Quelli dell'immediato dopoguerra furono per Preti anni difficili, caratterizzati da un profondo isolamento intellettuale e da una crescente insoddisfazione professionale – la sua aspirazione a una cattedra universitaria fu ripetutamente frustrata e dovette aspettare il 1950 per ottenere un incarico di filosofia morale presso l'Ateneo pavese; soltanto nel 1954 riusci' a vincere (giungendo terzo) il concorso da professore straordinario di storia della filosofia grazie all'appoggio di Nicola Abbagnano, Gustavo Bontadini ed Eugenio Garin, che successivamente ne favori' la chiamata alla facolta' di magistero di Firenze dove Preti rimase per tutta la vita, con l'eccezione di un breve e burrascoso passaggio alla facolta' di lettere della stessa Universita'.
Tuttavia proprio in quegli anni Preti giunse a gettare le basi di quello che piu' tardi defini' "il mio punto di vista empiristico", attraverso un approfondimento delle istanze costruttive insite nel suo razionalismo critico (Il mio punto di vista empiristico, in Id., Saggi filosofici, I, a cura di M. Dal Pra, Firenze 1976).
L'allontanamento da Banfi fu il segno di questa nuova fase di pensiero. Pur ribadendo i propri debiti intellettuali nei confronti del maestro, Preti riconosceva di inclinare ormai verso un "illuminismo" e "nuovo positivismo" che mal si accordava con la tendenza banfiana a insistere sull'autonomia della ragione rispetto all'intelletto. E faceva i nomi di Rudolf Carnap, John Dewey – di cui tradusse in italiano, rispettivamente, i Fondamenti di logica e matematica (Torino 1956) e Problemi di tutti (Milano 1950) – e Charles Morris come motivi ispiratori di una filosofia pluralista, convenzionalista e relativista (Lettera a Banfi del 24 luglio 1949, in Rivista di storia della filosofia, XLII (1987), 1, pp. 82 s.).
Obiettivo di Preti era scongiurare il rischio di autoritarismo implicito nel realismo metafisico. Per evitare che fosse un atto autoritario a definire il vero e il falso occorreva ristabilire la centralita' dell'intelletto e delle sue pratiche intersoggettive di costituzione dell'oggettivita'. Diveniva cosi' urgente tanto una corretta comprensione del principio di verificazione quanto la chiarificazione della funzione svolta dalle categorie nell'esperienza. Al primo compito Preti dedico' numerosi scritti, fra cui il saggio Le tre fasi dell'empirismo logico (in Rivista critica di storia della filosofia, IX (1954), 1, pp. 38-51). Influenzato da Carl Gustav Hempel, Preti individuava nell'empirismo logico una traiettoria di progressiva liberalizzazione dei criteri di verificazione delle teorie che consentiva di rigettare l'idea di un'unita' materiale della scienza a favore di una pluralita' di universi di discorso diversi "per la stessa nozione di verita'" (Di alcune concezioni scientifiche della filosofia di oggi, in Saggi filosofici, I, cit., p. 273). Ma gli effetti di una tale liberalizzazione erano controbilanciati dall'affermazione dell'unita' del metodo scientifico e dalla centralita' che, sulla scia di George Edward Moore, Preti assegnava al senso comune.
In Linguaggio comune e linguaggi scientifici (Milano-Roma 1953) Preti formulava invece la propria concezione della natura linguistica e convenzionale dell'a priori e istituiva un nesso fra storicita' e analiticita' delle categorie. Miscelando sapientemente le analisi degli empiristi logici con l'epistemologia pragmatista di Dewey e Morris, Preti mostrava la funzione sistematrice delle categorie, considerate come principi formali e vuoti di selezione e traduzione degli aspetti dell'esperienza nel linguaggio della teoria. Era cosi' in grado di ridefinire in termini funzionalisti il rapporto fra pensiero e realta', dando forma a un "trascendentalismo storico-oggettivo" che vedeva nelle categorie schemi "costruiti dall'uomo" e pertanto mutevoli (G. Preti, Il mio punto di vista empiristi, cit., pp. 485 s.).
Le raffinate analisi con cui Preti cerco' di coniugare temi empiristi e istanze trascendentaliste erano profondamente originali – e non soltanto per la cultura italiana. Ma, per quanto innovativa, la riflessione filosofica di Preti si era alimentata dei rapporti che in quegli anni egli intrattenne con figure di spicco del panorama filosofico italiano. Oltre a Mario Dal Pra – cui fu legato da amicizia e da interessi comuni: per Marx, per Dewey, per la storia della logica medievale – altrettanto importante fu la partecipazione alla stagione neoilluminista, favorita dal rapporto di stima che lego' Preti e Abbagnano e che lo porto' a collaborare alla composizione del Dizionario di filosofia (Torino 1961).
Del neoilluminismo Preti condivideva il giudizio sull'urgenza di emancipare la cultura italiana da ogni ipoteca umanista e idealista. Frutto di quella stagione furono Alle origini dell'etica contemporanea (Bari 1957), Storia del pensiero scientifico (Milano 1957) e, soprattutto, Praxis ed empirismo (Torino 1957) che, edito da Einaudi all'indomani dei fatti di Ungheria, fu un atto di sfida contro il mondo intellettuale di sinistra. Preti vi affermava la necessita' di una filosofia della praxis di orientamento scientifico, sorta dalla convergenza di marxismo, pragmatismo ed empirismo logico, diversa tanto dal materialismo dialettico sovietico quanto dalla tradizione del marxismo italiano. Un materialismo storico che assumesse come punto di partenza l'uomo in carne e ossa nella concretezza dei suoi rapporti economici e sociali e riconoscesse come obiettivo la costruzione di un sapere universale, verificabile e pubblico.
Negli anni successivi alla pubblicazione di Praxis ed empirismo Preti avverti' crescere attorno a se' la diffidenza di un ambiente che, a parte pochi amici (Ermanno Migliorini, Giovanni Nencioni), sentiva ormai estraneo. Furono anni tristi, nei quali al desiderio di lasciare Firenze per Milano si alternava un senso di profonda stanchezza e sfiducia. Pubblico' assai meno che nel decennio precedente, ma l'intensita' della sua riflessione filosofica rimase immutata.
Importante fu la lettura della Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale di Husserl che lo spinse a riformulare la propria filosofia della praxis nei termini di una fenomenologia della carne. Contro la tradizione spiritualista e cristiana Preti affermava che "in principio era la carne" – come recitava il titolo di un lungo saggio rimasto inedito del 1963-64 – e mostrava come ogni conoscenza muovesse e ritornasse a quell'esperienza corporea fondamentale. Era all'interno di questo movimento vitale che si inscriveva la possibilita' del Logos di esercitare la propria funzione costruttiva. Mantenendosi fedele al proprio razionalismo, Preti teneva fermo il carattere formale della ragione e rimarcava che ogni contenuto (etico, estetico, cognitivo) acquistava significato soltanto in relazione a valori o ideali.
La riflessione sul valore costitui' l'asse portante attorno cui ruoto' il pensiero dell'ultimo Preti. Non erano soltanto ragioni di tipo filosofico che lo condussero a scrivere e dedicare corsi universitari al tema del valore. Agirono anche motivi politici e culturali. Preti guardo' con preoccupazione alla democrazia di massa e si oppose con forza a quello che giudicava essere l'irrazionalismo della contestazione studentesca. Riferendosi a Max Scheler, ne riprese la categoria di "risentimento" per indicare il desiderio di sovvertire i valori della civilta' occidentale che vedeva in atto in molti ambiti della societa' contemporanea. Preti affido' la propria risposta a brevi saggi, apparsi in La Fiera letteraria e raccolti in Que sera', sera' (Firenze 1970), e soprattutto a Retorica e logica (Torino 1968), pubblicato ancora una volta da Einaudi, in cui prese posizione sulla questione delle due culture. E lo fece difendendo la funzione dinamica e liberatrice della scienza che, sola, era in grado di superare "la vischiosita'" dell'ethos morale (p. 242). Preti non negava la legittimita' della retorica e della cultura umanistica; sapeva bene che la vita non poteva condividere l'avalutativita' della scienza. Ma riteneva che solo attraverso la scienza una civilta' poteva andare oltre i propri pregiudizi. E pertanto ne sottolineava l'importanza, giungendo ad affermare che in essa risiedeva la civilta' di un popolo.
Nel frattempo la salute di Preti era peggiorata, anche a causa dell'alluvione di Firenze del 1966 che lo aveva costretto a vivere diversi giorni in condizioni di estremo disagio.
Gravemente malato, parti' per l'isola tunisina di Djerba, dove mori' il 28 luglio 1972.
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Fonti e bibliografia: Si vedano almeno: M. Dal Pra, Studi sull’empirismo critico di G. P., Napoli 1988; P. L. Lecis, Filosofia, scienza valori: il trascendentalismo critico di G. P., Napoli 1989; F. Minazzi, L'onesto mestiere del filosofare, Milano 1994; P. Parrini, Filosofia e scienza nell'Italia del Novecento (Sez. II/B), Milano 2004; L. M. Scarantino, G. P.: la costruzione della filosofia come scienza sociale, Milano 2007.
6. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "POTERE FORTE. ATTUALITA' DELLA NONVIOLENZA" DI ROBERTA COVELLI
[Dal sito del Centro studi "Sereno Regis" di Torino.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68.
"Roberta Covelli e' nata nel 1992 in provincia di Milano. Si e' laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora e' dottoranda in diritto del lavoro. Scrive per "Fanpage.it" e per "Valigia Blu". Nel 2019 per Effequ pubblica il suo primo libro, Potere forte"]
Roberta Covelli, Potere forte. Attualita' della nonviolenza, Effequ, Firenze 2019, pp. 176, euro 15.
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L'Autrice e' una giovane giuslavorista, e qui scrive della nonviolenza come un potere, una forza, un'attualita'. Chi vorra' leggere il libro trovera' un idealismo pratico: "Ciascuno cresce solo se sognato", suggerisce una poesia di Danilo Dolci. Perche' la tensione dell'immaginazione e della speranza attiva amplia l'intelligenza pratica, e puo' umanizzare, cioe' de-violentizzare le relazioni umane, a tutti i livelli. Puo' essere sia una resistenza alle violenze istituite e celebrate, sia il fermento di una rivoluzione permanente, lungo il tempo. Chi coltiva la nonviolenza lo spera, sa di non lavorare all'impossibile.
La parola nonviolenza raccoglie una storia, travagliata, ma profonda, dello spirito e dell'azione umana. Capitini, che in questo libro e' il maggiore riferimento, e' un maestro nel pensiero di questo cammino evolutivo. La violenza c'e', e contraddice la dignita' della vita. Ma questo libro afferma che la nonviolenza e' una forza piu' forte della violenza. La parola "forza" e' falsificata, nel linguaggio corrente. Persino in Simone Weil si legge forza nel senso di violenza. Invece, la forza e' un carattere della vita, non della distruzione. Noi pero' chiamiamo "forze armate" l'organizzazione delle armi, studiate solo per uccidere. La "forza" che uccide, o infligge sofferenza, non e' forza, ma violenza, perche' "viola" la vita. La vera forza rispetta e difende anche la vita dell'avversario (non nemico) in un contrasto. La gestione dei conflitti con mezzi nonviolenti e' un "potere forte", mentre la gestione violenta e' la rassegnazione alla sconfitta della vita. Chi "vince" in un conflitto violento e' chi distrugge piu' vita, o la minaccia e la schiaccia: cosi', e' sempre la vita che perde. Se riteniamo che la vita, in tutte le sue dimensioni, e' un valore – cos'altro abbiamo di piu' prezioso? – ogni conflitto violento non ha vincitori, ma e' sconfitta di entrambi i contendenti. E ogni "conflitto" (parola anche questa corrotta, fatta sinonimo di guerra), ogni confronto di differenze umane da comporre, rimane umano solo se, invece della violenza, esercita le forze della vita, che sono: la resistenza non distruttiva, il coraggio, la costanza, la parola, il dialogo, l'intelligenza costruttiva, il calcolo dell'interesse comune, e anche la capacita' di soffrire per risvegliare l'umanita' in letargo nel violento. Cosi', la nonviolenza – termine positivo, da due negazioni – e' vera forza. Ma, proprio come la vita, nasce in germi, ha bisogno di crescere, nutrirsi, esercitarsi, esprimersi, maturare in storia e civilizzazione umana, diventare cultura e arte della convivenza politica planetaria.
Il libro di Roberta Covelli contribuisce a questa ricerca "antica come le montagne", per Gandhi. Ricerca che e' presente, piu' o meno chiara, in tutte le civilta' e spiritualita' umane, nonostante il fracasso mortale delle guerre. Ma "e' un'idea malsana che quando c'e' guerra c'e' storia, quando c'e' pace no. Il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato" (Anna Bravo, La conta dei salvati).
Una prima idea che voglio sottolineare in questo libro e', appunto, che "la rivoluzione e' aperta", e' continuo divenire: il passaggio dall'io chiuso, disperato e feroce, all'io-tu, all'io-tutti. Una crescita civile umana e' il passaggio dal potere-oggetto, strumento esclusivo di dominio, al potere-verbo, possibilita' di vita realizzata e condivisa da tutti (cfr. pp. 40 e 162). E' quindi il compimento di una democrazia che non sia solo la conta dei numeri, comunque conquistati, ma sia il capitiniano "potere di tutti", la "onnicrazia". C'e' da lavorare, non da disperare.
Difficile scegliere cosa segnalare di piu', nel libro. C'e' la Resistenza italiana (p. 47), ci sono i maggiori casi storici di boicottaggio creativo opposto alla violenza (da p. 61). Come la guerra e' preparata dalla costruzione culturale del nemico, cosi' la nonviolenza riconosce nel nemico un essere umano, anche nella trincea opposta: le fraternizzazioni tra "nemici", le azioni e le spedizioni di pace, dentro la guerra. E si potrebbero aggiungere altri casi storici. Piu' ancora che contro la guerra, la nonviolenza e' stata attiva per i diritti civili, contro le violenze strutturali nella societa', a partire da Gandhi (in Sudafrica prima che in India), dal movimento ispirato da Martin Luther King, con l'invenzione di sempre nuove tecniche (Sharp ne ha collezionate almeno 200).
Trovo ben illustrata la lunga lotta in Sudafrica contro l'apartheid razziale, che non e' senza violenza, ma, per merito di alcune guide di eccezionale saggezza, sfocia non solo nella parita' di diritti civili e politici, ma nella mirabile esperienza della Commissione per la Verita' e la Riconciliazione, modello esemplare. Questo caso storico prezioso porta l'Autrice a ragionare sulla giustizia riparativa (da p. 100). E' questo un passo avanti che ancora attendiamo e cerchiamo nella civilta' giuridica: non la sofferenza della pena in risposta alla sofferenza inflitta col crimine, ma un processo attento e costruttivo di ricomposizione del rapporto umano violato dal crimine. Occorrono altri studi, esperienze, ricerche in questa direzione, perche' il diritto penale, come dice la parola, include la violenza nella giustizia, che dunque non e' abbastanza giusta.
Un altro punto da sottolineare e' la promozione dei diritti sociali (da p. 105), a partire dall'azione inventiva di Danilo Dolci (altro autore di riferimento in questo libro) in Sicilia, a meta' del Novecento. Sono modelli per la costruzione di democrazia sociale, non puramente liberale, di "libere volpi fra libere galline"; sono esperienze delle quali la nonviolenza ben attiva e' ispirazione e carattere costitutivo. Il diritto al lavoro, socialmente garantito, non solo come necessita', ma come espressione della persona umana, e' un obiettivo primario della nostra Costituzione, eppure, come vediamo, e' ancora in balia di una economia di speculazione finanziaria, quindi radicalmente violenta, piu' che di produzione della vita.
Anche la parte sulla educazione e la scuola (da p. 125) e' da indicare come compito di attuazione di nonviolenza positiva. Non mi dilungo sui vari sviluppi, ma registro i caratteri qui ricordati di una scuola nonviolenta: educazione intellettuale, manuale, emotiva. Creativita' e immaginazione, comunicazione, dialogo maieutico, innovazione eccentrica (ex-centrum), sono aspetti di una formazione che rende capaci di concrete azioni sociali di liberazione, di attuazione dei diritti umani. Non il funzionalismo di una societa'-blocco, ma la dinamica del conflitto nonviolento puo' realizzare quella liberazione, quella "ri-evoluzione", intravista da Capitini nel dopoguerra, quel procedere verso la "onnicrazia" politica, ancora assai difficile, ma umanamente irrinunciabile. Questo obiettivo esige un popolo cosciente, non ingannato, non tenuto in minorita'. Ogni cittadino cosciente ne e' un elemento, che agisce nella "compresenza" di tutti, dai predecessori ai posteri, ai quali siamo debitori.
Tanto basta e vale per vedere che la nonviolenza non e' un sogno di anime belle disincarnate, ma un'idea regolativa, un ideale, un obiettivo dell'evoluzione umanizzante della nostra specie e nostra storia.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Alessandro Di Virgilio, Emilio Lecce, Giancarlo Siani ... E lui che mi sorride, PaperFirst, Roma 2020, pp. 128, euro 9,20 (in supplemento a "Il fatto quotidiano").
- Giangiacomo Schiavi (a cura di), Poter capire, voler spiegare. Walter Tobagi quarant'anni dopo, Rcs, Milano 2020, pp. 176, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riletture
- Julia Kristeva, Etrangers a' nous-memes, Fayard, Paris 1988, Gallimard, Paris 1991, pp. 314.
- Julia Kristeva, Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano 1988, 1989, pp. 216.
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Riedizioni
- Luis Sepulveda, Tutte le favole, Guanda, Milano 2017, 2020, Il sole 24 ore, Milano 2020, pp. 430, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3753 del 28 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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