[Nonviolenza] Telegrammi. 3752



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3752 del 27 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Ricordando don Milani
2. Proposta di una lettera da inviare al governo
3. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
4. Alcuni estratti da Amin Maalouf, "Il naufragio delle civilta'" (Parte seconda e conclusiva)
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. RICORDANDO DON MILANI

Ricorre il 27 maggio l'anniversario della nascita di Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che nacque a Firenze il 27 maggio 1923 e a Firenze mori' il 26 giugno 1967.
E' difficile rendere un'idea di quanto decisivo sia stato per la mia generazione leggere la Lettera a una professoressa, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Esperienze pastorali.
Sono stati non solo genericamente "testi di formazione" e "livres de chevet", ma hanno costituito strumenti sia di interpretazione del mondo che di lavoro nell'impegno sociale e civile - e quindi politico, nel senso forte del termine - per cercar di contrastare le piu' flagranti ingiustizie e oppressioni, per cercar di contribuire alla lotta delle oppresse e degli oppressi per la liberazione dell'umanita' da ogni violenza ed iniquita'.
Sono libri che insieme ad Erasmo e Voltaire, a Primo Levi e Victor Serge, al Manifesto marx-engelsiano, all'Istituzione negata goriziana, alle Tre ghinee di Virginia Woolf, agli scritti di Rosa Luxemburg e di Carla Lonzi, di Fromm e di Marcuse, di Russell e di Gandhi, di Danilo Dolci e di Aldo Capitini, di sartre e Camus, di Giulio Alfredo Maccacaro e di Ivan Illich, di Agnes Heller e di Laura Conti, di Alex Langer e Giorgio Nebbia, di Simone Weil e di Hannah Arendt, hanno persuaso all'impegno morale e intellettuale, alla solidarieta' con tutte le oppresse e gli oppressi, all'azione nonviolenta concreta e coerente, innumerevoli giovani che sovente a quell'impegno sono restate e restati fedeli per il resto della loro vita.
Nella testimonianza milaniana e della scuola di Barbiana la denuncia dell'oppressione di classe, della guerra, di un'organizzazione della societa' e delle sue strutture fondamentali intesa a sfruttare e rapinare senza freni e senza limiti, a escludere e opprimere giungendo fino all'orrore dei lager e dell'atomica, e' cosi' nitida ed intransigente, ed esposta con tale chiarezza di dettato, precisione di argomenti e sincerita' di sdegno, che ancor oggi se una giovane amica o un giovane amico mi chiede da dove iniziare le sue letture adulte, rispondo di solito da don Milani, e per anni io stesso ho letto, riletto, commentato e ragionato quei libri con loro negli incontri di accostamento alla nonviolenza che insieme abbiamo fatto: nelle scuole, nei centri sociali, con le volontarie e i volontari in servizio civile, nei gruppi di militanti politici di base.
E non solo la denuncia della violenza e dell'ingiustizia, ma anche la concreta costruzione di un'alternativa nonviolenta in primo luogo attraverso l'educazione come prassi di liberazione (e' la formula di Paulo Freire) ha caratterizzato la testimonianza milaniana e della scuola di Barbiana: la nonviolenza personalmente vissuta, meditata, praticata, con la fatica e con la verita' che le sono inerenti, contro ogni alienante menzogna e consumistica mercificazione, contro ogni rassegnazione e contro ogni subalternita' all'ideologia e ai poteri dominanti.
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Gli anniversari possono dar luogo a due contrapposte modalita' di memoria e di relazione: una che per cosi' mummifica le figure, raggela gli eventi, ipostatizza e quindi distanzia e neutralizza le esperienze e le riflessioni, e cosi' tradisce il senso di quel che si ricorda; e l'altra che invece si pone all'ascolto e alla sequela delle testimonianze di cui si fa memoria, e si ripromette di prolungarne ed inverarne ancora qui e adesso il valore, l'insegnamento, la verita', l'appello alla lotta per il bene comune dell'umanita': e questo vuole essere il nostro commemorare.
Ricordare don Milani significa allora proseguire qui e adesso la lotta contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ricordare don Milani significa allora proseguire qui e adesso la lotta in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani contro poteri dominanti schiavisti e rapinatori, insensatamente onnidistruggitori ed effettualmente necrofili.
Ricordare don Milani significa allora proseguire qui e adesso la lotta in difesa di quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' che i poteri dominanti stanno avvelenando, devastando, desertificando.
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E quindi ricordare don Milani significa oggi in Italia opporsi al regime di apartheid, alla schiavitu' e all'omissione di soccorso, alle abominevoli violazioni dei diritti umani che non solo i poteri mafiosi, ma anche imprenditori vampiri, forze politiche esplicitamente razziste e finanche governanti passati e presenti hanno commesso e continuano a commettere in flagrante violazione della Costituzione italiana, della legalita' che salva le vite, del diritto internazionale, del senso stesso di umanita'.
E pertanto lottare per l'abolizione immediata di tutte le antileggi hitleriane imposte dal precedente governo con i due scellerati, perversi ed infami "decreti sicurezza della razza".
E pertanto lottare per il rispetto del dovere di soccorrere e accogliere i naufraghi in pericolo di morte.
E pertanto lottare per il rispetto del diritto d'asilo che la Costituzione della Repubblica italiana riconosce ad ogni essere umano che nel suo paese d'origine non vede rispettati i diritti che l'ordinamento giuridico italiano riconosce ad ogni essere umano.
E pertanto lottare per riconoscere finalmente tutti i diritti sociali, civili e politici, tutti i diritti umani, a tutte le persone che vivono in Italia.
Lottare affinche' l'Italia torni ad essere quella descritta nella Costituzione della Repubblica: un paese civile, una comunita' di persone libere e solidali, eguali in diritti, che condividono il bene ed i beni, che non permettono che nessuna persona sia uccisa, violata, umiliata: perche' ogni volta che un essere umano subisce violenza tutte e tutti quella violenza subiamo.
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E ugualmente significa opporsi alla produzione e al commercio delle armi italiane che acquistate da regimi criminali menano strage nel sud del mondo. Le armi sono sempre nemiche dell'umanita', poiche' la loro funzione e' uccidere gli esseri umani. Senza disarmo l'umanita' non si salvera' dalla catastrofe.
E significa opporsi altresi' allo sperpero mostruoso di ingentissime risorse pubbliche per le armi e le organizzazioni istituzionalmente preposte all'uccidere; investendo invece quelle risorse in difesa della vita, della salute, dell'ambiente; investendole in solidarieta', accoglienza, assistenza; investendole in promozione della democrazia, della legalita' che salva le vite, della sicurezza comune che solo scaturisce dall'eguaglianza di diritti e dalla civile convivenza.
E in questa tragica esperienza dell'epidemia di coronavirus ricordare don Milani significa anche impegnarsi affinche' finalmente siano soccorse tutte le persone che hanno bisogno di aiuto, tutte senza eccezioni, perche' ogni vita umana e' un valore infinito.
Ricordare don Milani, opporsi ad ogni violenza, recare aiuto ad ogni persona che di aiuto ha bisogno: sono una sola, una stessa cosa; sono l'antifascismo vivente, sono la nonviolenza in cammino.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.
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Una minima notizia su don Lorenzo Milani
Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore.
Tra le opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: don Lorenzo MIlani, Tutte le opere, Mondadori, Milano 2017 (finalmente disponibile, e' l'accurata e integrale edizione di riferimento lungamente attesa). Edizioni delle opere singole: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Altri testi e documenti ha pubblicato ancora la Lef (Il catechismo di don Lorenzo; Una lezione alla scuola di Barbiana; La parola fa eguali).
Tra le opere su Lorenzo Milani: sono assai numerose, fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta', supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. E ancora: Gerlando Lentini, Don Lorenzo Milani servo di Dio e di nessun altro, Gribaudi, Torino 1973; Giampiero Bruni, Lorenzo Milani profeta cristiano, Lef, Firenze 1974; Renato Francesconi, L'esperienza didattica e socio-culturale di don Lorenzo Milani, Cpe, Modena 1976; Piero Lazzarin, Don Milani, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1984; Francesco Milanese, Don Milani. Quel priore seppellito a Barbiana, Lef, Firenze 1987; Giuseppe Guzzo, Don Lorenzo Milani. Un itinerario pedagogico, Rubbettino, Soveria Mannelli 1988; Giovanni Catti (a cura di), Don Milani e la pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1988, 1990; Francuccio Gesualdi, Jose' Luis Corzo Toral, Don Milani nella scrittura collettiva, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1992.Tra i testi apparsi di recente: Domenico Simeone, Verso la scuola di Barbiana, Il segno dei Gabrielli, Negarine 1996; Michele Ranchetti, Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002; Mario Lancisi, Alex Zanotelli, Fa' strada ai poveri senza farti strada, Emi, Bologna 2003; Mario Lancisi, No alla guerra!, Piemme, Casale Monferrato 2005; Sergio Tanzarella, Gli anni difficili, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, 2008; Jose' Luis Corzo Toral, Lorenzo Milani. Analisi spirituale e interpretazione pedagogica, Servitium, Sotto il Monte (Bergamo) 2008; Frediano Sessi, Il segreto di Barbiana, Marsilio, Venezia 2008; Sandra Gesualdi e Pamela Giorgi (a cura di), Barbiana e la sua scuola. Immagini dall'archivio della Fondazione Don Lorenzo Milani, Inprogress-Aska - Fondazione Don Lorenzo Milani, Firenze 2014

2. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA AMIN MAALOUF, "IL NAUFRAGIO DELLE CIVILTA'" (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[dal sito www.tecalibri.info riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Amin Maalouf, Il naufragio delle civilta', La nave di Teseo, Milano, 2019]

Da pagina 180
Lo spirito del tempo di solito funziona senza che nessuno lo noti. Ma a volte il suo effetto e' cosi' evidente che possiamo quasi vederlo intervenire in tempo reale. E' questa, in effetti, l'impressione che ho avuto quando ho nuovamente rivolto l'attenzione alla storia recente per provare a trarne qualche lezione.
Come avevo potuto non vedere una congiunzione cosi' forte tra gli eventi? Avrei dovuto trarre da molto tempo questa conclusione, che oggi mi salta agli occhi; e cioe' che eravamo appena entrati in un'era radicalmente paradossale in cui la nostra visione del mondo sarebbe stata trasformata, o addirittura completamente stravolta. Da allora il conservatorismo si sarebbe preteso rivoluzionario, mentre i sostenitori del "progressismo" e della sinistra non avrebbero avuto altro scopo che la conservazione dello status quo.
Nei miei appunti, ho iniziato a parlare dell'"anno del capovolgimento", o talvolta dell'"anno del grande stravolgimento", e ad elencare i fatti notevoli che giustificavano tali definizioni. Ce ne sono molti, e ne citero' solo alcuni in queste pagine. Sono soprattutto due quelli che mi sembrano particolarmente emblematici: la rivoluzione islamica proclamata in Iran dall'ayatollah Khomeini nel febbraio 1979; e la rivoluzione conservatrice realizzata nel Regno Unito dal primo ministro Margaret Thatcher nel maggio 1979.
C'e' un oceano di differenze tra i due eventi, come tra queste due forme di conservatorismo. E anche, ben inteso, tra i due personaggi chiave; per trovare nella storia d'Inghilterra un equivalente di quello che e' successo in Iran con Khomeini, dovremmo tornare indietro ai tempi di Cromwell, quando i rivoluzionari regicidi erano sia puritani che messianisti. Tra questi due eventi esiste, pero', una certa somiglianza, non riducibile alla prossimita' delle date. In un caso come nell'altro, e' stata sollevata la bandiera della rivoluzione in nome di forze sociali e di dottrine che fino ad allora erano state le vittime, o almeno gli obiettivi, delle rivoluzioni moderne: in un caso, i fondamenti dell'ordine morale e religioso; nell'altro, i fondamenti dell'ordine economico e sociale.
Ciascuna di queste due rivoluzioni avrebbe avuto enormi ripercussioni a livello planetario. Le idee della signora Thatcher avrebbero rapidamente conquistato gli Stati Uniti con l'arrivo di Ronald Reagan alla presidenza; mentre la visione khomeinista di un islam al tempo stesso insurrezionale e tradizionalista, risolutamente ostile verso l'Occidente, si sarebbe diffusa in tutto il mondo, assumendo forme molto diverse, e travolgendo gli approcci piu' concilianti.
[...]
L'avvento della signora Thatcher non avrebbe avuto la stessa importanza se non fosse stato parte di un movimento profondo e ampio che sarebbe andato rapidamente al di la' delle frontiere dell'Inghilterra. Prima verso gli Stati Uniti, con l'elezione di Reagan nel novembre 1980; poi verso il resto del mondo. I precetti della rivoluzione conservatrice anglo-americana verranno adottati da molti leader della destra e della sinistra, a volte con entusiasmo, a volte con rassegnazione. Diminuire l'intervento del governo nella vita economica, limitare la spesa sociale, dare maggiore flessibilita' agli imprenditori e ridurre l'influenza dei sindacati saranno considerate le norme di una buona gestione degli affari pubblici.
Uno dei libri emblematici di questa rivoluzione e' il romanzo intitolato  Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante). Opera di una emigrata russa trasferitasi negli Stati Uniti, Ayn Rand, racconta di uno sciopero organizzato non dai lavoratori, ma dagli appaltatori e dalle "menti creative" esasperate dai regolamenti iniqui. I1 titolo evoca la figura mitologica di Atlante che, stanco di portare il peso di tutta la terra sulla schiena, finalmente scuote vigorosamente le spalle - ed e' questo movimento di esasperazione e rivolta che esprime il verbo to shrug, al passato shrugged.
Questo romanzo a tesi, pubblicato nel 1957 e di cui molti conservatori americani, sostenitori di un "libertarismo" risolutamente antistatalista, avevano fatto la loro Bibbia, e' stato superato dalla realta'. La rivolta degli abbienti contro gli interventi di uno stato ridistributore di ricchezze non e' avvenuta nel modo in cui la scrittrice l'aveva descritta, ma e' accaduta. Ed e' stata coronata dal successo. Cio' ha avuto l'effetto di accentuare notevolmente le disuguaglianze sociali, fino al punto di creare una piccola casta di super-miliardari, ognuno dei quali piu' ricco di intere nazioni.
L'altra "rivoluzione conservatrice", quella dell'Iran, avrebbe avuto, allo stesso modo, ripercussioni significative su tutto il pianeta.
Non era in alcun modo una rivolta dei ricchi contro i poveri - al contrario, e' avvenuta nel nome dei poveri, i "dannati della terra", e da questo punto di vista era in linea con altre rivoluzioni del XX secolo. Cio' che la rendeva atipica, pero', era il fatto che fosse diretta da un clero socialmente conservatore, esasperato dalle riforme che, dal suo punto di vista, andavano contro la religione e i valori tradizionali.
*
Da pagina 201
Un altro evento che descriverei come un'ulteriore "delusione" per i sovietici - anche se all'epoca probabilmente non l'hanno percepita cosi' - e' stato l'assassinio di Aldo Moro, il leader della Democrazia cristiana che si batteva per un compromesso storico tra il suo schieramento politico e il partito comunista. Rapito dalle Brigate Rosse in una strada di Roma il 16 marzo 1978, e' stato trovato morto nel bagagliaio di un'auto il 9 maggio successivo.
Ancora oggi, dopo quarant'anni, e' difficile dire con certezza chi ha ordinato l'assassinio, e a quale obiettivo specifico mirasse. Sono state avanzate molte teorie, che non cerchero' qui di illustrare. Gli assassini obbedivano a un'organizzazione segreta, a dei "servizi" stranieri o solo ai propri deliri ideologici? Il loro obiettivo era impedire al partito cattolico di legittimare i comunisti e cosi' aprire loro la strada al potere? O, al contrario, impedire ai comunisti di rammollirsi e tradire cosi' gli ideali del marxismo-leninismo? Il dibattito non e' mai stato chiuso in modo definitivo.
Una cosa mi sembra certa oggi: al di la' dell'omicidio di un uomo, cio' che fu buttato nella spazzatura della Storia fu una promettente utopia.
Era nell'aria da decenni. Nata per alcuni dalla paura di un disastro nucleare, e per altri dal puro desiderio di vedere l'umanita' finalmente riconciliata, si basava su una domanda piena di speranza: se il comunismo e il capitalismo, anziche' continuare a combattersi senza sosta in tutto il pianeta, si avvicinassero gradualmente l'un l'altro e arrivassero a una sintesi - il primo mostrandosi piu' preoccupato per la liberta' e la democrazia, il secondo introducendo una dose maggiore di giustizia sociale? Non sarebbe allora la fine di questo estenuante confronto di blocchi contrapposti, che rischia di annientare l'intera umanita'?
Tale prospettiva non era necessariamente irragionevole. Menti brillanti ci hanno creduto - scrittori, filosofi, storici, ma anche qualche leader politico. Tra cui, appunto, Aldo Moro. Il suo paese poteva legittimamente aspirare, in questa materia, al ruolo di pioniere. Patria dei papi e cuore del mondo cattolico, l'Italia ha avuto anche il partito comunista piu' potente e autorevole del mondo occidentale, quello che ha goduto piu' di tutti gli altri di grande prestigio intellettuale; sotto la guida del suo segretario generale Enrico Berlinguer, un uomo appartenente alla nobilta' sarda e non alla classe operaia, si era pronunciato pubblicamente a favore del multipartitismo e della liberta' di espressione nei paesi dell'Est. Aldo Moro non poteva sperare in un partner migliore per realizzare il suo sogno di un "compromesso storico" tra i due sistemi che si contendevano il pianeta.
Ma questo sogno non piaceva certo ai leader sovietici. Parlando dell'omicidio del leader democristiano come di una delusione per loro, mi colloco dal punto di vista dell'osservatore esterno e tardivo che puo' contemplare con calma anche cio' che e' successo nei decenni successivi; che sa quindi che gli eredi di Lenin erano alla vigilia di una  debacle  politica e morale da cui non si sarebbero ripresi; e che la linea mediana sostenuta da Moro e Berlinguer era, per i comunisti di tutto il mondo, non una trappola a cui dovevano sottrarsi, ma esattamente il contrario: l'ultima possibilita' di evitare la trappola mortale che iniziava a incombere su di loro.
Detto cio', non sono sicuro che questa opportunita' esistesse ancora nel 1978. Forse il sistema era gia' irrecuperabile - da quando era stata soffocata la Primavera di Praga nel 1968, da quando era stata schiacciata la rivolta ungherese nel 1956, o anche prima. Cio' che e' certo e' che, dopo la morte del compromesso storico all'italiana, non si sono presentate altre opportunita' affinche' la guerra fredda si concludesse con un pareggio. La disfatta del campo socialista stava diventando ineluttabile.
Oggi, senza alcun merito, noi lo sappiamo; nel 1978, i sovietici non lo sapevano.
Peraltro, quell'anno avrebbe portato loro un altro inconveniente di rilievo. E anche questa volta, per una casuale coincidenza di luoghi e simboli, fra tutte le citta', proprio a Roma.
Ho gia' ricordato, senza soffermarmici troppo, l'elezione nell'ottobre 1978, per la prima volta dopo piu' di quattrocentocinquant'anni, di un papa non italiano, polacco per la precisione, che aveva passato la maggior parte della sua vita di prelato sotto un regime filosovietico. Non e' privo di importanza il fatto che l'avvento di Giovanni Paolo II si sia verificato nello stesso momento in cui un altro polacco, altrettanto ostile al comunismo, occupava alla Casa Bianca la posizione chiave di consigliere per la Sicurezza nazionale, con la missione di aiutare il presidente degli Stati Uniti a elaborare una propria strategia e metterla in atto.
Zbigniew Brzezinski, detto Zbig, non ha mai nascosto che le sue origini costituivano un elemento determinante della sua visione politica. Quando fu eletto il presidente Jimmy Carter, il suo consigliere lo convinse che, per la prima visita all'estero, avrebbe dovuto andare a Varsavia. Fin dal suo arrivo, e nonostante l'opposizione dell'ambasciatore degli Stati Uniti, Zbig insistette per incontrare il piu' feroce oppositore delle autorita' comuniste, il cardinale Wyszynski, primate della chiesa polacca, cui aveva assicurato il suo sostegno.
Zbig sognava di travolgere, indebolire e idealmente smantellare l'impero costruito dai sovietici dietro la cortina di ferro. A questo obiettivo, che sembrava esageratamente ambizioso, il consulente si dedico' con passione, e con abilita', durante l'unico mandato del "suo" presidente, ed e' ragionevole dire che la "connessione polacca" che ci fu in quegli anni tra Washington e il Vaticano effettivamente permise di allentare la presa del "grande fratello" russo sui suoi vassalli dell'Europa dell'Est, in particolare dopo la comparsa, nel 1980, del movimento Solidarnosc diretto da Lech Walesa.
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Da pagina 211
Quando tento di fare un bilancio del XX secolo, mi sembra che esso sia stato il teatro di due "famiglie" di calamita', l'una generata dal comunismo, l'altra dall'anticomunismo.
Alla prima appartengono tutte le ingiustizie commesse in nome del proletariato, del socialismo, della rivoluzione o del progresso; gli episodi furono molti, sotto tutti i cieli - dai processi di Mosca e dalle carestie in Ucraina agli oltraggi della Corea del Nord, fino al genocidio cambogiano. Alla seconda famiglia appartengono gli abusi commessi in nome della lotta contro il bolscevismo. Anche in questo caso, gli episodi sono stati innumerevoli; fra questi, il piu' devastante fu certamente il cataclisma planetario causato dalla "peste nera" del fascismo e del nazismo.
La percezione di questi crimini e' stata altalenante. Nell'immediato dopoguerra, la maggior parte degli storici riteneva eccessivo, inappropriato e persino sospetto mettere sullo stesso piano i crimini del regime hitleriano con quelli del regime sovietico. E se l'immagine di Stalin alla fine si appanno', quella del suo predecessore, Lenin, rimase integra per molto tempo.
L'immagine di Mao Tse-tung ha sperimentato analogamente alti e bassi. Le sue spettacolari iniziative, come ad esempio la grande rivoluzione culturale proletaria, all'epoca erano state incensate da intellettuali di fama internazionale. Oggi sono giudicate molto severamente, ma "il grande timoniere" non ha conosciuto la stessa sfortuna del "piccolo padre dei popoli". Non c'e' stata effettivamente nessuna "demaoizzazione" e se anche i suoi successori si sono discostati dalla sua linea, hanno tenuto pero' il suo mausoleo in piazza Tienanmen, quale simbolo di continuita' politica e stabilita'.
Solo con la fine della guerra fredda, col fallimento del modello collettivista e con la disgregazione dell'Unione Sovietica e' stato possibile scherzare sui "piccolo libro rosso", fare confronti tra Stalin e Hitler e mettere in discussione l'immagine di Lenin. Si e' smesso di vedere in lui il rispettabile fondatore di un potere socialista che poi i suoi eredi hanno pervertito; gli si attribuisce oggi una grande responsabilita' per tutto cio' che e' successo dopo la rivoluzione di ottobre, la quale e' ridotta ormai, da alcuni storici, al rango di un volgare colpo di stato, audace, certo, ma che non aveva niente dell'insurrezione popolare.
Questo non ci dovrebbe colpire, e' un giusto riequilibrio delle cose. Il comunismo ha avuto le sue possibilita', piu' di qualsiasi altra dottrina, e le ha sprecate. Avrebbe potuto far trionfare i suoi ideali, e invece li ha sviliti. Per molto tempo e' stato giudicato con troppa indulgenza, e adesso lo giudichiamo con severita'.
Possiamo concludere che, dopo questa correzione di prospettiva, la nostra visione dei crimini del XX secolo e' adeguata ed equilibrata? Non del tutto, purtroppo. Per quanto riguarda gli abusi commessi dai regimi comunisti, stiamo analizzando ora le loro ultime opacita' e illusioni. Lo stesso vale per gli abusi commessi dal nazismo, dal fascismo e da tutti coloro che ruotavano nella loro orbita fra gli anni trenta e quaranta. Gli storici continueranno a scavare, a riflettere, a riferire e a interpretare, come la loro disciplina li spinge a fare; ma e' ragionevole pensare che il quadro d'insieme che possediamo della prima parte del secolo appena trascorso corrisponda ormai, per l'essenziale, alla realta'.
Al contrario, la nostra visione rimane incompleta, e a volte chiaramente di parte, quando si tratta dei crimini commessi durante la guerra fredda, tra la meta' degli anni quaranta e l'inizio degli anni novanta. Non c'è stata, forse, alla fine della seconda guerra mondiale, una compiacenza per gli abusi commessi da parte dei vincitori - quelli di Stalin, ovviamente, ma anche le carneficine compiute dagli occidentali a Dresda o a Hiroshima? La fine della guerra fredda ha dato luogo a questo tipo di fenomeno. Se piu' nessuno oggi mette in discussione gli atti mostruosi commessi dai regimi che si spacciavano per marxisti-leninisti - in Ungheria, in Etiopia, in Cambogia o a Cuba -, cio' che e' stato fatto in nome della lotta al comunismo e' spesso ancora considerato, se non come un intervento necessario, quanto meno come un "effetto collaterale", spiacevole senza dubbio ma inevitabile, e intercorso nella ricerca di una giusta causa.
Cio' che ho appena detto deve certo essere sfumato. La compiacenza verso questi abusi non e' stata sistematica. La repressione selvaggia esercitata contro i marxisti da alcune dittature di destra, come quella di Pinochet in Cile, o quelle dei militari argentini e brasiliani, e' stata ampiamente denunciata. E la "caccia alle streghe" condotta negli anni cinquanta dal senatore Joseph McCarthy e' un tema ricorrente del cinema e della letteratura americani. Ma non appena arriviamo ai crimini commessi in nome dell'anticomunismo, contro le elite del mondo musulmano, le coscienze si anestetizzano.
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Da pagina 255
Al crepuscolo del XX secolo si e' detto che, a partire da quel momento in poi, il mondo sarebbe stato segnato da uno "scontro di civilta'", in particolare tra le religioni. Per quanto desolante, questa previsione non e' stata smentita dai fatti. L'errore grave e' stato pensare che questo clash tra le diverse aree culturali avrebbe rafforzato la coesione all'interno di ognuna; invece e' successo il contrario. Cio' che caratterizza l'umanita' di oggi non e' una tendenza a riunirsi nell'ambito di gruppi molto vasti, ma una propensione alla frammentazione e alla divisione, spesso nella violenza e nell'acrimonia.
La cosa si verifica con tutta evidenza nel mondo arabo-musulmano, che sembra aver assunto su di se' il compito di amplificare fino all'assurdo i difetti della nostra epoca. Se il livello di ostilita' tra questa parte del mondo e il resto del pianeta non smette di aumentare, le lacerazioni peggiori si produrranno al suo interno, come testimoniano gli innumerevoli sanguinosi conflitti che si sono succeduti negli ultimi decenni dall'Afghanistan al Mali passando per il Libano, la Siria, l'Iraq, la Libia, lo Yemen, il Sudan, la Nigeria o la Somalia.
Si tratta certamente di un caso estremo. Non si riscontrano gli stessi livelli di disgregazione in altre "aree di civilizzazione", anche se la tendenza alla frammentazione e alla tribalizzazione e' presente ovunque. La vediamo nella societa' americana, cosa che ha portato certi spiriti maliziosi a parlare di "Stati Disuniti". La vediamo nell'Unione Europea, che e' stata scossa dalla defezione della Gran Bretagna cosi' come dalle crisi e dalle tensioni legate alle migrazioni. La vediamo in modo particolarmente marcato in alcuni dei grandi e vecchi paesi del continente, unificati da secoli e un tempo a capo dei piu' vasti imperi, ma che oggi devono fare i conti (come in Catalogna, in Scozia e altrove) con movimenti indipendentisti forti e determinati. Senza dimenticare la vecchia Unione Sovietica e gli altri paesi un tempo comunisti dell'Europa orientale, che formavano nove stati alla caduta del Muro di Berlino, mentre oggi se ne contano ventinove...
Probabilmente non c'e', per queste diverse frammentazioni, una spiegazione semplice e univoca. Tuttavia possiamo individuare, al di la' delle specificita' locali, pulsioni simili chiaramente legate allo "spirito del tempo". In particolare mi sembrano in aumento, in ciascuna societa' come nell'intera umanita', i fattori di disgregazione rispetto a quelli di coesione. Cio' che rende ancor piu' grave questa tendenza e' che oggi il mondo e' pieno di "falsi collanti" i quali, come l'appartenenza religiosa, fingono di unire gli uomini ma in realta' svolgono il ruolo opposto.
Come preludio alla mia riflessione su cosa e' diventata la solidarieta' umana, e' mio dovere ricordare un'idea che esercita ancora un'influenza determinante sulla mentalita' dei nostri contemporanei, nonostante risalga all'Inghilterra del XVIII secolo, secondo la quale ogni individuo dovrebbe agire secondo i propri interessi, la somma di tutti questi egoismi andando necessariamente a beneficio dell'intera societa'; come se una "mano invisibile" intervenisse in modo provvidenziale per armonizzare l'insieme delle nostre azioni - operazione sottile, complessa e misteriosa che i governi sarebbero incapaci di svolgere e da cui farebbero meglio ad astenersi in quanto un loro intervento complicherebbe le cose, piuttosto che facilitarle.
Formulata da Adam Smith in un'opera pubblicata nel 1776, questa idea e' ritornata estremamente attuale verso la fine degli anni settanta e influenza in maniera significativa la mentalita' dei nostri contemporanei. Possiamo ben immaginarne le implicazioni politiche e l'attrattiva per tutti coloro che diffidano del ruolo dello stato in quanto regolatore dell'economia e ridistributore delle ricchezze; non stupisce, quindi, che i sostenitori delle rivoluzioni conservatrici in stile thatcheriano o reaganiano l'abbiano recuperata per proprio conto e che ci abbiano visto il criterio fondante della loro visione del mondo.
Un tale approccio puo' apparire fumoso alle menti razionali. A rigore di logica la teoria della "mano invisibile" sarebbe gia' dovuta cadere nell'oblio da parecchio tempo, tranne forse presso coloro che si interessano alla storia delle scienze economiche, se non addirittura alla loro preistoria. Non e' andata cosi'. L'intuizione immaginifica di Adam Smith ha resistito al tempo cosi' come allo scherno dei detrattori e la fascinazione che esercita e' molto piu' grande oggi rispetto a duecentocinquanta anni fa.
Questa longevita' si spiega innanzitutto con il cocente fallimento del modello sovietico, il quale aveva attribuito grande importanza al carattere "scientifico" del suo socialismo. Quest'ultimo avrebbe dovuto dimostrare che solo lo stato era in grado di razionalizzare i processi di produzione e di distribuzione. Ma ha dimostrato il contrario, cioe' che piu' un'economia e' centralizzata piu' la sua gestione diventa assurda; piu' finge di amministrare le risorse, piu' provoca penuria.
Di conseguenza e' il "socialismo scientifico" a essere caduto nell'oblio della Storia mentre la "mano invisibile" e' tornata in auge, piu' credibile e legittima che mai, al punto da essere rivendicata dai militanti conservatori come il principio fondante del proprio impegno. Perfino la natura misteriosa e alquanto irrazionale di questa teoria si e' rivelata piuttosto accattivante, dal momento che molte persone ci hanno visto una dimensione spirituale, una sorta di approvazione divina dell'esercizio del capitalismo in risposta al dirigismo "ateo".
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Da pagina 280
La terza considerazione si basa sulle due precedenti ma amplia un po' il discorso. Mi chiedo se lo smarrimento degli uomini che constatiamo oggi non sia dovuto in parte alla terribile abitudine che abbiamo preso, a partire dal XIX secolo, di smembrare le aree dove piu' popoli vivevano uno accanto all'altro perché ognuno vivesse separatamente.
Mi capita perfino di pensare che la teoria secondo la quale gli imperi sono delle "prigioni per i popoli" da cui questi devono liberarsi per cominciare a vivere "in casa propria", sotto un proprio governo, dentro i propri confini sia la piu' sanguinaria dei tempi moderni.
Mi riferisco soprattutto al destino delle due grandi entita' multietniche divise all'indomani della prima guerra mondiale: l'impero austro-ungarico, la cui dissoluzione ha fatto decine di milioni di vittime favorendo l'insorgere delle peggiori tirannie; e l'impero ottomano, il cui smembramento e' tuttora in corso, facendo planare su tutta l'umanita' lo spettro del terrorismo e della regressione.
Tuttavia non ho nostalgia di questi imperi. Non sogno affatto di vederli restaurati. Ne' quello degli Asburgo, ne' quello degli zar e ancora meno quello dei sultani. Cio' che rimpiango e' la scomparsa di una certa mentalita' presente ai tempi degli imperi che considerava normale e legittimo il fatto che popoli diversi vivessero all'interno di una stessa entita' politica senza avere per forza la stessa religione, la stessa lingua o lo stesso percorso storico. Non smettero' mai di combattere l'idea secondo cui le popolazioni che hanno lingue o religioni diverse farebbero meglio a vivere separatamente le une dalle altre. Mai accettero' il fatto che l'etnia, la religione o la razza costituiscano fondamenti legittimi sui quali costruire delle nazioni.
A quanti pietosi fallimenti, a quante carneficine, a quante "epurazioni" dovremo ancora assistere prima che questo approccio barbaro alle questioni identitarie smetta di essere considerato normale, realistico e "conforme alla natura umana"?
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Da pagina 307
Tra i fattori determinanti di questo cambiamento ci sono i disordini politici e morali che scuotono il mondo arabo sin dalla grande sconfitta del 1967, che si sono poi aggravati intorno al 1979 con l'inizio delle rivoluzioni conservatrici d'Oriente e d'Occidente e che, a partire dall'11 settembre 2001, hanno fatto "sbandare" l'intero pianeta, provocando reazioni a catena che oggi ci stanno portando verso l'ignoto - di sicuro verso il naufragio.
Uno degli aspetti piu' preoccupanti di questo sbandamento e' la "deriva orwelliana" che il mondo di oggi sperimenta. Chiedo scusa allo scrittore inglese per questo appellativo, ma dal mio punto di vista si tratta di un omaggio, come quando associamo a una determinata patologia il nome dello scienziato che l'ha scoperta e che ha cercato di combatterla.
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Da pagina 310
Oggi la cosa e' meno sicura. Uscito dalla porta, Big Brother rientra in qualche modo dalla finestra. Non a causa della comparsa di un nuovo potere totalitario, ma a causa di un fenomeno piu' diffuso e pericoloso: l'ascesa inesorabile delle nostre ansie per la sicurezza.
Col senno di poi, seppur con una distanza limitata, nel momento in cui scrivo queste righe, e' chiaro che il mondo non tornera' mai piu' a essere lo stesso dopo gli attentati dell'11 settembre. La guerra contro il terrorismo si distingue da tutte quelle che l'hanno preceduta, in particolare dalle due guerre mondiali e dalla guerra fredda, per il fatto che non aspira a concludersi. E' un po' come se avessimo dichiarato guerra al peccato o al Male. Non ci sara' mai un dopoguerra. Non potremo mai abbassare la guardia e proclamare il pericolo superato. Soprattutto quando guardiamo quello che accade nel mondo arabo-musulmano. Quand'e' che questo ritrovera' un po' di equilibrio e di serenita'? L'unica certezza che abbiamo e' che serviranno molti decenni prima di sistemare le cose.
Ci aspetta un lungo periodo di disordini, costellato di attentati, massacri e altre atrocita'; un periodo inevitabilmente rischioso e traumatico, nel corso del quale una potenza come gli Stati Uniti, qualunque sia l'amministrazione in carica, vorra' proteggersi, difendersi, dare la caccia ai suoi nemici dovunque si nascondano, ascoltare tutte le loro conversazioni telefoniche, controllare cio' che scrivono su Internet, verificare ogni transazione finanziaria...
E' inevitabile, e si commetteranno degli errori. Quando cercheranno di impedire i trasferimenti di denaro a favore dei terroristi, ne approfitteranno per controllare se i cittadini americani non stiano per caso frodando il fisco. Che rapporto c'e' tra il terrorismo e l'evasione fiscale? Nessuno. Tranne il fatto che, se la tecnologia lo permette ed esiste un pretesto per controllare, controlleranno.
Quando cercheranno di intercettare le comunicazioni telefoniche tra terroristi, ne approfitteranno anche per ascoltare le telefonate dei concorrenti commerciali. Che rapporto c'e' tra le telefonate di un terrorista e quelle di un industriale italiano, francese o coreano? Nessuno. Tranne il fatto che, se esiste un pretesto per ascoltare e la cosa in qualche modo puo' essere d'aiuto alle imprese americane, ascolteranno. Ascolteranno perfino le conversazioni private dei politici tedeschi, brasiliani, indiani o giapponesi; e se questi dovessero scoprirlo si scuserebbero per poi ricominciare, solo con qualche precauzione in piu', cosi' da evitare che la questione trapeli di nuovo.
Ho citato per primi gli Stati Uniti, ma la cosa e' altrettanto vera - o sara' vera nei prossimi anni - per la Russia, la Cina, l'India, la Francia e, piu' in generale, per tutti quei paesi che avranno acquisito le competenze adeguate.
E' quasi una legge della natura umana: tutto cio' che la scienza ci permette di fare prima o poi lo faremo, con un pretesto qualsiasi. Almeno fino a quando i vantaggi ci sembreranno superiori agli svantaggi.
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Da pagina 344
Sono comunque convinto che uno slancio resti tuttora possibile. E' difficile per me credere che l'umanita' si rassegnera' docilmente alla scomparsa di tutto quello che ha costruito. Tutte le societa' umane e tutte le civilta' perderanno se proseguiranno nella loro deriva, mentre vincerebbero tutte se solo correggessero la rotta. Il giorno in cui diventeremo consapevoli di questo, i comportamenti cambieranno radicalmente, la deriva sara' fermata e una dinamica positiva avra' inizio.
E' pertanto necessario - se non imperativo - avvisare, spiegare, esortare e prevenire. Senza pessimismo, condiscendenza ne' scoraggiamento. E soprattutto senza astio. Tenendo sempre a mente che le tragedie che accadono al giorno d'oggi fanno tutte parte di un ingranaggio che nessuno regola e nel quale tutti siamo trascinati: poveri e ricchi, deboli e forti, governati e governanti, che lo vogliamo o no, qualunque siano le nostre appartenenze, le nostre origini o le nostre opinioni.
Al di la' delle vicissitudini e delle urgenze dell'attualita' quotidiana, al di la' del frastuono di questo secolo e delle sue chiacchiere, c'e' una preoccupazione essenziale che dovrebbe guidare di continuo i nostri pensieri e le nostre azioni: come convincere i nostri contemporanei che restando prigionieri di concezioni tribali dell'identita', della nazione o della religione e continuando a esaltare il sacro individualismo stanno preparando un futuro apocalittico per i loro figli?
In un mondo in cui popolazioni diverse vivono vicine e in cui una quantita' enorme di armi letali e' nelle mani di molti, non si puo' dare libero sfogo ai furori e agli egoismi di ognuno. Se pensiamo che, in nome di un comune "istinto collettivo di sopravvivenza", i pericoli svaniranno da soli non daremo prova di essere ottimisti e fiduciosi nei confronti del futuro, ma rimarremo nella negazione, nell'autoinganno e nell'irresponsabilita' piu' totali.

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Donatella Di Cesare, Virus sovrano?, Bollati Boringhieri - Gedi, Torino-Roma 2020, pp. 92, euro 8,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
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Riletture
- Luise F. Pusch, Susanne Gretter (a cura di), Un mondo di donne. Trecento ritratti celebri, Pratiche, Milano 2003, pp. 384.
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Riedizioni
- Gianfranco Ravasi, Daniele e l'apocalittica, Mondadori, Milano 2020, pp. 144, euro 5,90.
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Gialli
- Georges Simenon, La scala di ferro, Adelphi, Milano 2016, Gedi, Roma 2020, pp. 184, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica" e a varie altre testate).

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3752 del 27 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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