[Nonviolenza] Telegrammi. 3716



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3716 del 21 aprile 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: Ricordando Ernesto Buonaiuti
2. Prima che sia troppo tardi. Un appello
3. Una lettera da inviare al governo
4. Una lettera da inviare ai Comuni
5. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
6. Margherita Karen Hassan: Davide Lajolo (2004)
7. Omero Dellistorti: Tantalone
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: RICORDANDO ERNESTO BUONAIUTI

Commosso ricordo in questo anniversario Ernesto Buonaiuti
i cui libri nutrienti ho letto
che disse no al fascismo e che sapeva
che occorre amare insieme l'umanita' e la verita'
perche' la verita' non e' altra cosa
che volere il bene comune
riconoscere che siamo una sola umana famiglia
prendersi cura del mondo vivente
adempiere il primo dovere che consiste nel salvare le vite
soccorrere accogliere assistere ogni persona bisognosa di aiuto
mai dimenticando che l'altro dell'altro sei tu
sapendo che solo insieme ci possiamo salvare
che essere umano tra esseri umani e' la cosa migliore
e che al male occorre opporsi facendo il bene
alla violenza opponendo la nonviolenza
all'indifferenza la misericordia
che ovunque ti trovi sei sempre sulla strada verso Gerico.

Qui lo ricordo e insieme a lui ricordo
Vittorio Emanuele Giuntella con cui un giorno a Capranica
di Buonaiuti ragionammo forse quarantacinqu'anni fa
e di nonviolenza mi fu indimenticabile maestro.

2. REPETITA IUVANT. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. UN APPELLO

Prima che sia troppo tardi il governo faccia uscire dalle carceri sovraffollate le persone li' ristrette e le trasferisca o nelle rispettive abitazioni o in altri alloggi adeguati in cui per quanto possibile siano anch'esse al riparo dal rischio di contagio che in tutti i luoghi sovraffollati e' enorme.
Gia' troppe persone sono morte.
Di seguito una bozza di lettera che proponiamo di inviare al Ministero della Giustizia, ed alcuni indirizzi utilizzabili a tal fine.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
*
La bozza di lettera
"Signor ministro della Giustizia,
come sa, con la fine del fascismo in Italia e' stata abolita la pena di morte, e la Costituzione repubblicana stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'".
Per contrastare l'epidemia di coronavirus e cercar di salvare vite umane sono state adottate - sia pure con grave ritardo - misure di distanziamento tra le persone, unico modo efficace di contenere il contagio.
Ma queste misure non possono essere adottate efficacemente in luoghi sovraffollati come le carceri italiane.
Cosicche' chi si trova nelle carceri italiane, come ristretto o come custode, e' esposto al piu' grave pericolo.
E' esposto al pericolo di essere contagiato e di rischiare la vita. E vive in una condizione di torturante paura senza potervi sfuggire.
E' palese che la permanenza in carcere, sic stantibus rebus, e' incompatibile con le indispensabili misure di profilassi per contenere il contagio; e' incompatibile con le norme sul cosiddetto "distanziamento sociale" (pessima formulazione con cui in queste settimane viene indicato il tenersi di ogni persona ad adeguata distanza dalle altre, volgarizzato col motto "restate a casa"); e' incompatibile con il fondamentale diritto di ogni essere umano alla tutela della propria vita.
Ne consegue che finche' l'epidemia non sia debellata occorre vuotare le carceri e - per dirla in breve - mandare tutti i detenuti nelle proprie case con l'ovvio vincolo di non uscirne.
Naturalmente vi saranno casi in cui cio' non sia possibile (i colpevoli di violenza domestica, ad esempio), ma anche questi casi particolari potranno essere agevolmente risolti con la collocazione in alberghi o altre idonee strutture in cui il necessario "distanziamento sociale" sia garantito.
Non si obietti che tale proposta e' iniqua: piu' iniquo, illecito e malvagio sarebbe continuare ad esporre insensatamente alla morte degli esseri umani.
E non si obietti che cosi' si rischia di non poter controllare l'effettiva costante permanenza in casa degli attuali detenuti: oggidi' non mancano affatto le risorse tecnologiche per garantire un efficace controllo a distanza che le persone attualmente ristrette destinatarie di tale provvedimento restino effettivamente nelle loro case (ovvero nelle abitazioni loro assegnate).
Ne' si obietti che cosi' si garantisce il diritto alla casa ai criminali mentre persone che non hanno commesso delitti ne sono prive: e' infatti primario dovere di chi governa il paese garantire un alloggio a tutte le persone che si trovano in Italia; nessuno deve essere abbandonato all'addiaccio o in una baracca, a tutte le persone deve essere garantita una casa: si cessi pertanto piuttosto di sperperare risorse pubbliche a vantaggio dei ricchi e si provveda a rispettare concretamente i diritti fondamentali di ogni persona, adempiendo ai doveri sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica italiana.
Signor ministro della Giustizia,
prima che sia troppo tardi si adottino i provvedimenti necessari per vuotare le carceri e mettere in sicurezza per quanto possibile la vita dei detenuti e del personale di custodia.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Voglia gradire distinti saluti,
Firma, luogo, data
Indirizzo del mittente"
*
Alcuni indirizzi utilizzabili
protocollo.gabinetto at giustizia.it,
fulvio.baldi at giustizia.it,
leonardo.pucci at giustizia.it,
gianluca.massaro at giustizia.it,
chiara.giacomantonio at giustizia.it,
roberto.natali at giustizia.it,
giuseppina.esposito at giustizia.it,
marcello.spirandelli at giustizia.it,
clelia.tanda at giustizia.it,
sabrina.noce at giustizia.it,
vittorio.ferraresi at giustizia.it,
andrea.giorgis at giustizia.it,
ufficio.stampa at giustizia.it,
andrea.cottone at giustizia.it,
gioele.brandi at giustizia.it,
mauro.vitiello at giustizia.it,
concetta.locurto at giustizia.it,
giampaolo.parodi at giustizia.it,
roberta.battisti at giustizia.it,
marina.altavilla at giustizia.it,
rita.andrenacci at giustizia.it,
dgmagistrati.dog at giustizia.it,
giuditta.rossi at giustizia.it,
antonia.bucci at giustizia.it,
paolo.attardo at giustizia.it,
tommaso.salvadori at giustizia.it,
daniele.longo at giustizia.it,
redazione at giustizia.it,
callcenter at giustizia.it,
*
Preghiamo chi ci legge di diffondere questa proposta anche ai mezzi d'informazione e ad altre persone di volonta' buona, associazioni ed istituzioni.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
*
Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455

6. MAESTRI. MARGHERITA KAREN HASSAN: DAVIDE LAJOLO (2004)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]

Davide Lajolo nacque a Vinchio, presso Asti, il 29 luglio 1912, da Giuseppe e Caterina Garberoglio, detta Lina.
La madre apparteneva a una delle poche famiglie benestanti del paese; il padre, invece, era un contadino di umili origini. La famiglia, composta di quattro figli maschi (il L. fu l'ultimo di loro) viveva esclusivamente dei prodotti delle vigne di proprieta': la migliore e la piu' cara al L. era il bricco di S. Michele. L'economia familiare, dunque, legata com'era all'andamento della raccolta, non fu mai stabile ne' particolarmente fiorente.
Il L. frequento' la scuola a Vinchio fino alla fine della terza elementare, il grado di istruzione massima previsto nel paese. Nel 1922 lascio' per la prima volta la sua casa per proseguire gli studi nell'unico istituto dove si pagava una retta ridotta, il collegio-seminario dei salesiani a Castelnuovo.
Questo primo distacco dai suoi affetti fu estremamente doloroso, tanto che, appena arrivato, tento', senza successo, di fuggire dal collegio.
A causa del suo carattere turbolento, il L. fu costretto a cambiare tre istituti, trasferendosi, di volta in volta, da Castelnuovo a Torino, da Torino a Fossano e, infine, a Cuneo; i suoi risultati scolastici furono, comunque, sempre eccellenti. Frequento' poi il liceo Plana di Alessandria, dove ebbe modo di entrare in contatto con alcuni giovani dei Gruppi universitari fascisti (GUF) con cui comincio' a frequentare manifestazioni e sedi fasciste locali.
Gli anni del liceo furono durissimi per la famiglia del L., che a stento riusciva a tirare avanti; preoccupato per questa situazione, il giovane L. si fece illudere dalla retorica fascista, che predicava un radicale cambiamento sociale a favore dei poveri, diventando un fascista convinto.
Dopo la maturita' classica, il L., per ragioni economiche, rinuncio' all'universita' per frequentare il primo corso ufficiali di complemento a Moncalieri; fu l'ennesima, dolorosa separazione dalle sue radici e dal suo "nido". Nel 1934 era gia' sottotenente al XXXVII fanteria e, alla fine dello stesso anno, nella speranza di intraprendere stabilmente la carriera militare, decise di fare domanda come volontario in Abissinia, ma non venne richiamato. Quella domanda gli valse, comunque, la partenza per la guerra di Spagna.
L'impiego di retrovia in Spagna significo' per il L. uno stipendio fisso e anche l'occasione giusta per dimostrare i suoi ideali fascisti, nonostante i dubbi che cominciava a nutrire sulla politica del regime. Durante la permanenza in terra iberica scrisse anche alcuni articoli sulla guerra per il settimanale del GUF e per il Popolo d'Italia; il ricordo di quell'esperienza e' nella sua prima pubblicazione: Bocche di donne e di fucili (con prefaz. del gen. A. Bergonzoli, Osimo 1939).
Il L. torno' in Italia nel 1938; era ormai conosciuto in ambiente fascista e gli venne affidata la direzione del settimanale della federazione di Ancona, la Sentinella adriatica; contemporaneamente, ottenne anche una collaborazione con il Corriere adriatico. Nel 1939, prima di venire richiamato alle armi, sposo' Rosetta Lajolo, dalla quale, nel 1942, ebbe l'unica figlia, Laurana. Nel corso della guerra combatte' in Jugoslavia, in Grecia, quindi a Valona, in Albania, raggiungendo il grado di capitano. Rientrato in patria, l'orrore per l'esperienza bellica appena vissuta, il dolore per i morti innocenti, gli impedirono di tornare a occuparsi della federazione e del giornale.
Negli anni di vita militare il L. aveva scritto poesie di stampo ermetico, incentrate proprio sul rifiuto della guerra e della morte, poi pubblicate in due diverse raccolte, Nel cerchio dell'ultimo sole (Genova 1940) e Ponte alla voce (Asti 1943). Per lui la poesia costitui', e non solo in questo periodo, un momento di leale riflessione su se stesso, una fedele compagna di vita; molte sue liriche, tuttavia, sono ancora inedite.
L'8 settembre 1943 il L. decise di restare a Vinchio e di "voltare gabbana", organizzando, con il nome di battaglia di Ulisse, la lotta partigiana insieme con altri giovani del suo paese. Inizialmente, a causa dei trascorsi fascisti, non gli fu facile essere accettato dai compagni partigiani, ma il L. seppe dimostrare la sua lealta' alla causa e venne presto nominato comandante del raggruppamento comprendente l'VIII e la IX divisione Garibaldi del basso Monferrato e, successivamente, vicecomandante di zona del Corpo volontari della liberta' del Monferrato.
Durante la lotta partigiana, il L. strinse amicizia, tra gli altri, con F. Scotti, la cui storia di coerente comunista narro' in parallelo, e a contrasto con la sua, ne Il "voltagabbana" (Milano 1963), sorta di autobiografia, resoconto preciso e ricco di particolari della sua vita, dalla nascita sino alla fine della guerra.
Mentre partecipava alla Resistenza, il L. prese la tessera del Partito comunista italiano (PCI); terminata la guerra, fu presentato da Scotti a G. Amendola, che gli propose di occuparsi delle pagine culturali dell'Unita'. Circa tre mesi dopo la Liberazione, quando aveva gia' iniziato la carriera di giornalista, il L. dovette scontare una pena di due mesi nel carcere di Torino per aver difeso, in un articolo, due partigiani che in quegli stessi giorni erano stati condannati.
Nel 1945 venne pubblicato Classe 1912 (Asti), in cui il L. narra la sua storia di partigiano: dalla difficolta' iniziale alla guerriglia, comprese le speranze, le amicizie, le dolorose perdite umane che segnarono la sua esperienza. Il libro fu ripubblicato trent'anni dopo con un nuovo titolo A conquistare la rossa primavera (Milano 1975).
Il L. comincio' la sua esperienza all'Unita' il 30 aprile 1945, prima a Torino, come caporedattore, poi, dal 1947, a Milano, come vicedirettore e corsivista e quindi, dal 1948 al 1958, come direttore dell'edizione dell'Italia settentrionale.
Durante la sua lunga direzione, il L. cerco' di fare dell'Unita' un giornale popolare, secondo l'accezione gramsciana, attorno e attraverso il quale costruire un'autentica cultura nazionalpopolare; cerco' di aprire il quotidiano ai più diversi argomenti, facendone una scuola per molti aspiranti giornalisti e un punto di riferimento culturale non solo per i politici ma anche per gli intellettuali e i simpatizzanti del partito. Lo sport, la moda e la cronaca conquistarono spazi via via piu' ampi, ma la sua direzione si caratterizzo' soprattutto per la qualita' e l'indipendenza della "terza pagina", cui il L. teneva moltissimo e alla quale collaborarono alcune tra le firme piu' prestigiose dell'epoca, come C. Pavese - al quale venne affidata la rubrica "Dialoghi col compagno" -, I. Calvino, A. Gatto, R. Vallone, Natalia Ginzburg, Paola Masino, S. Micheli, F. Venturi; e proprio la terza pagina fu spesso accusata dal partito di essere troppo "indipendente" e di privilegiare l'aspetto letterario rispetto a quello ideologico.
A partire dagli anni Cinquanta, in quinta pagina furono inseriti i supplementi La Domenica dei piccoli, appuntamento settimanale con i fumetti a cura di Lino Picco (G. Rodari), e l'Unita' della donna, sulla quale tennero una rubrica fissa prima Sibilla Aleramo - i "Consigli di Sibilla" - quindi Anna Maria Ortese. Del 1952, poi, e' l'avvio del numero del lunedi', nel quale fu ampliato lo spazio dedicato allo sport. Sempre nel 1952, il L. aveva fondato il giornale sportivo Il Campione, che diresse fino al 1956.
Sull'Unita' il L. firmava anche corsivi - con il suo vecchio nome di battaglia, Ulisse - e, con nome e cognome, articoli di fondo e i suoi "dialoghi a puntate" su grandi temi, quali l'arte o la pace; riusci', comunque, a essere giornalista militante, una voce del PCI, e, insieme anche ad aprirsi all'avversario, ospitando articoli e opinioni che contrastavano, in parte o del tutto, con quelle del quotidiano che dirigeva: fu, per esempio, uno dei primi comunisti a intessere un dialogo con i cattolici.
Negli anni della sua direzione, molti avvenimenti politici nazionali e internazionali resero il suo ruolo estremamente difficile: la guerra fredda, la scomunica delle dottrine comuniste e marxiste da parte del S. Uffizio, il rapporto Chruscev e le rivelazioni sullo stalinismo.
Fu certamente questo un evento doloroso per il L., diviso tra la fedelta' al partito e ai suoi ideali e la ricerca della verita', tra la responsabilita' di dover dirigere il giornale e il suo dramma interiore, una seconda delusione prossima a quella giovanile provocatagli dal fascismo.
I fatti del 1956, poi, lo segnarono profondamente, anche se infine decise di rimanere alla direzione del quotidiano per continuare la sua battaglia - da "comunista scomodo" - dall'interno del partito. Il '56 fu anche l'anno del suo viaggio in Cina, in occasione del congresso del Partito comunista cinese, dei suoi incontri con Mao Tse Tung e Ciu En Lai e del serrato confronto con il loro percorso politico. Nella redazione dell'Unita' il L. ebbe anche modo di conoscere molti scrittori, artisti, personaggi influenti della vita culturale e politica italiana di quel periodo: oltre a C. Pavese, con il quale instauro' una profonda amicizia, S. Quasimodo, G. Feltrinelli, E. Montale, E. Vittorini, D. Buzzati, V. De Sica, C. Zavattini, P.P. Pasolini (che nel 1971 gli dedico' la poesia Trasumanar e organizar) e, ovviamente, Ingrao, direttore dell'Unita' di Roma, P. Togliatti, U. Terracini. Il suo impegno in redazione, non gli impedi' di dedicarsi, negli stessi anni, alla politica attiva, di fare comizi - a volte anche piu' di uno al giorno - per stare a contatto con gli operai e la gente comune.
Fu probabilmente proprio a causa della sua "indipendenza" che il partito, all'inizio del 1958, preferi' togliergli la direzione del quotidiano e candidarlo alle elezioni: fu eletto deputato del PCI per tre legislature, dal 1958 al 1972.
Nella seconda legislatura fu deputato-questore alla Camera e, per diverso tempo, membro della commissione di vigilanza sulla RAI-TV. Da parlamentare il L. si batte' per un sistema radiotelevisivo imparziale, non lottizzato, a volte con qualche successo: come quando, nel 1960, ottenne dall'allora presidente del Consiglio A. Fanfani, che fosse concesso lo spazio televisivo, aperto alle opposizioni, nelle tribune politiche e sindacali; si occupo' anche di censura cinematografica, della difesa dei diritti degli operai delle fabbriche del Nord e dei coltivatori diretti, e dei rapporti tra Stato e Chiesa, contro l'ingerenza clericale nella vita politica e culturale del Paese. Nel 1965, insieme con S. Pertini, riusci' a far approvare alla presidenza della Camera dei deputati l'istituzione di una commissione preposta all'acquisto di opere d'arte contemporanea - altra sua grande passione - per il palazzo di Montecitorio.
Gli anni in cui il L. fu deputato alla Camera, furono anche quelli in cui si dedico' piu' intensamente alla scrittura. Del 1960 e' la fortunata biografia dell'amico Pavese, "Il vizio assurdo" (Milano; rist., Pavese, ibid. 1984), in cui egli - grazie alla possibilita', offertagli dalla sorella dello scrittore, di consultarne per primo le carte private - cerco' di tracciare un ritratto dell'uomo, dell'intellettuale e dello scrittore diverso da quello che lo stesso Pavese aveva fornito nel Mestiere di vivere.
Nel suo libro, il L. intese in primo luogo riabilitare politicamente l'amico, soprattutto agli occhi di quanti gli rimproveravano di non aver preso parte alla Resistenza. E lo fece sottolineando il suo impegno politico e culturale a favore della liberta' e della democrazia, definendolo un intellettuale organico, seppur slegato da molte delle dinamiche interne al partito stesso; volle poi mettere in primo piano il suo forte attaccamento al paese natale, Santo Stefano Belbo, e alle Langhe in generale. Nel gennaio 1974 la cooperativa teatrale degli Associati porto' in scena, per la prima volta, la riduzione teatrale del Vizio assurdo: un'opera nata dalla collaborazione del L. con D. Fabbri. Il regista fu G. Sbragia mentre per interpretare Pavese fu scelto l'attore L. Vannucchi.
Il particolare rapporto di Pavese con la sua terra d'origine e le radici contadine costituirono certamente ulteriori, profondi motivi di legame con il L. che dedico' molti racconti al suo paese, tra le colline del Monferrato, e alla sua gente, come I me' (Firenze 1977) e Il merlo di campagna e il merlo di citta' (Milano 1983). Lo stesso tipo di legame porto' il L. a occuparsi di altri due scrittori delle Langhe, B. Fenoglio e G. Gozzano. Al primo dedico' il volume Fenoglio, un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe (ibid. 1978); al secondo alcuni saggi pubblicati in diverse raccolte, tra cui Poesia come pane. Incontri e saggi (ibid. 1973).
Il L. amava mettere continuamente a confronto i suoi tre autori langaroli, ben diversi fra loro, quasi la comune origine li rendesse in qualche modo parenti, come dimostra il volume Cultura e politica in Pavese e Fenoglio (Firenze 1970).
Il L. fu anche, e forse soprattutto, autore autobiografico: le vicende pubbliche e private furono, per l'uomo e per il politico, talmente intense e a volte drammatiche, da richiedere, sempre, ulteriori riflessioni che egli affidava, appunto, agli scritti. Nel 1977, nel suo A veder l'erba dalla parte delle radici (Milano), il L. racconta di un grave attacco cardiaco che lo costrinse a letto, in una clinica, per diverso tempo e di come il timore della morte e la speranza di sopravvivere ancora una volta lo avessero portato a concepire un'idea diversa, ribaltata, di liberta', scevra di burocratismo e di potere, finalmente ancorata al suo significato originale piuttosto che alle sue diverse conseguenze pratiche: "credo di avere scoperto le radici di cio' che nasce e di cio' che muore. Prima osservavo l'erba che spunta fuori, ora sono riuscito a vederla dalla parte delle radici nascoste nella terra" (p. 54).
Come sintesi conclusiva nel 1981 apparve Ventiquattro anni. Storia spregiudicata di un uomo fortunato (Milano), narrazione diaristica delle vicende politiche, culturali e professionali che, in quei ventiquattro anni, segnarono le sue esperienze personali e professionali. Il volume comincia esattamente dove si era interrotto il Voltagabbana. Alcuni dei suoi libri piu' significativi furono dedicati dal L. anche alla politica o, meglio, ai politici che incontro' nella sua lunga militanza, come I rossi (ibid. 1974), Finestre aperte a Botteghe Oscure (ibid. 1975) e Il volto umano di un rivoluzionario. La straordinaria avventura di G. Di Vittorio (con prefazione di L. Lama, Firenze 1979).
Il L., che aveva abbandonato la direzione dell'Unita' per disciplina di partito, nonostante preferisse di gran lunga fare il giornalista e lo scrittore piuttosto che il deputato, ebbe la fortuna di tornare al suo lavoro in due significative occasioni: nel 1960, quando, ancora parlamentare, fondo', insieme con G. Vigorelli, L'Europa letteraria, e nel 1971, quando accetto' di dirigere il settimanale Giorni - Vie nuove, fondato da L. Longo, rimanendovi per dieci anni.
Con Giorni - Vie nuove il L. tornava al giornalismo militante, riprendendo in parte la politica editoriale che aveva promosso all'Unita', il tentativo, cioe', di costruire un giornale popolare, attento ai grandi temi politici e sociali; e al rapporto con i lettori, egli tenne sempre in modo particolare, cercando di coinvolgerli attivamente nella vita del giornale sia attraverso l'abbonamento e la diffusione, sia attraverso la partecipazione ai dibattiti e alle discussioni che in esso avevano luogo. Nel caso specifico di Giorni, poi, l'intento principale fu quello di farne il settimanale della sinistra unita, finanziariamente indipendente sia dal PCI, sia dal Partito socialista italiano, che il L. sperava di vedere presto insieme con il governo. In particolare, nel 1971 e nel 1975, decise di pubblicare nel settimanale le rivelazioni di A. Dubcek e di J. Smrkovsky sui retroscena dell'occupazione sovietica della Cecoslovacchia. La sua battaglia per un "socialismo dal volto umano", la strenua difesa della "primavera di Praga" e le pesanti condanne dello stalinismo, gli costarono non solo durissime accuse da parte di molti esponenti del suo partito, ma anche, e soprattutto, la non rielezione, sempre nel 1975, al comitato centrale. Ancora una volta, il "comunista scomodo" aveva toccato una ferita aperta e il suo essere un "oppositore dall'interno", in un'ottica pero' sempre propositiva, non venne compresa ne' accettata dai suoi compagni.
Dopo Veder l'erba dalla parte delle radici (premio Viareggio per la narrativa in quello stesso anno), il L. dedico' ai suoi amici artisti e pittori l'ultimo libro: Gli uomini dell'arcobaleno (Parma 1984).
Il L. mori' a Milano il 21 giugno 1984.
*
Fonti e bibliografia: Materiale edito e inedito riguardante il L. e' conservato a Vinchio presso l'Archivio dell'Associazione Davide Lajolo Onlus. S. Terzi [Nerone], D. L. lui (Dalla casa dei vivi), [Reggio Emilia] 1985; C. Testa, Conversando con Ulisse, Alessandria 1989; D. L. poesia e politica. Atti del Convegno, Santo Stefano Belbo 1989, a cura del Centro studi Davide Lajolo, Alessandria 1990; M. Venturi, Sdraiati sulla linea. Come si viveva nel PCI di Togliatti, Milano 1991, ad ind.; Voci dal quotidiano. L'Unita' da Ingrao a Veltroni, a cura di L. Paolozzi - A. Leiss, Milano 1994, ad ind.; B. Pischedda, Due modernita': le pagine della cultura dell'Unita' 1945-1953, Milano 1995, passim; D. L., Vinchio e' il mio nido (catal.), a cura di L. Lajolo, Vinchio s.d. [ma 1999]; M. Rendina, Diz. della Resistenza italiana, Roma 1995, sub voce.

7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: TANTALONE

Era fatto cosi', Tantalone: non gli stava mai bene niente. Ogni tre parole due bestemmie, ogni cinque minuti una baccagliata. Gli volevamo bene lo stesso, era fatto cosi', pero' era sempre una bella scocciatura.
Tu gli dicevi "Bongiorno, Tantalo'" e lui subito "Bongiorno un par de ciuffoli, nu' lo vedi che sta ppe' ppiove?".
Tu gli dicevi "Se lo famo 'n cognacchino?" e lui rispondeva "Ficchetelo in mezzo a le cornaccia tue".
Se qualcuno  che non lo vedeva da parecchio tempo s'avvicinava a braccia aperte, lui quando il soggetto in movimento era giunto a distanza adeguata gli mollava una zampata dove si sentiva meglio.
Era fatto cosi'.
*
Lo chiamavano Tantalone dopo che ebbe ammazzato uno. Prima lo chiamavano Tontolone, perche' era proprio un pezzo di pane. Ma a forza di chiamarlo Tontolone oggi e Tontolone domani era finita che non ne poteva piu'. Perche' non e' che lo chiamassero Tontolone e basta, no, dopo ci facevano il raglio, il fischio, il pernacchio, lo gnaulio, l'ululato, e pure l'uomo piu' buono del mondo viene il momento che gli pigliano i cinque minuti.
Dopo gli era pure dispiaciuto di aver ammazzato il cugino, che erano pure stati a scuola insieme e io lo so perche' c'ero pur'io a scuola con loro che allora c'era solo la pluriclasse al paese; eravamo amici tutt'e tre, sempre insieme a fare baldoria e sempre insieme a fare le male azioni che ci chiamavamo i tre moschettieri, cosi' ci chiamavamo.
Mi fece proprio dispiacere quando Tantalone ammazzo' Rugagnetto, pero' io glielo avevo detto un miliardo di volte a Rugagnetto di farla finita, che gia' a scuola era lui che gli aveva messo quel soprannome e sempre lui faceva il maestro del coro e lo chiamava Tontolo' tutte le volte che c'era qualcuno che sentiva. Era maligno Rugagnetto era, lo dico con tutto che eravamo amici, perche' la verita' e' la verita' e uno ha da essere amico della magica verita' piu' che un plotone. Che e' un modo di dire antico di quando c'era sempre la guerra, non come adesso che la gente s'ammazza senza bisogno della scusa della guerra.
Dopo che ebbe ammazzato il cugino fini' al gabbio, e' naturale. E usci' dal gabbio che gli erano venuti tutti i capelli bianchi.
Il giorno prima che uscisse dal carcere, che al paese lo avevamo saputo da Nazareno che fa la guardia e allora sta in galera tutto il giorno pure lui solo che lo pagano e la sera torna a casa, al bar ci fu un consiglio come quello degli indiani che devono decidere tra il calumette della pace e l'ascia di guerra: eravamo io, Attila, Manolonga e Gino il baro, che siamo quelli che al bar ci stiamo sempre giorno e notte e siamo una specie di capoccia del paese, pure perche' se qualcuno ruga lo fa una volta sola e il giorno dopo lo trovano impalato dietro al monnezzaro e la casa bruciata. Ci vuole qualcuno che mantiene l'ordine e la disciplina.
Cosi' prendemmo la decisione che a Tontolone non si doveva piu' chiamarlo Tontolone ma Tantalone, che gli assomiglia ma non e' un'offesa che uno ti ci sbudella. E quando la mattina dopo scese dal pullman, che la fermata e' proprio davanti al bar, fui io a fare il comitato d'accoglienza e gli strillai: "Allora t'hanno rimannato a casa, eh, Tantalo'". E lui: "Com'hai detto?". E io: "Allora t'hanno rimannato a casa, eh, Tantalo'". E lui: "Nun ho capito bene l'ultima parola". E io: "L'ultima parola era Tantalo'". E lui: "E che vorrebbe da di'?". E io: "Gnente, e' un nome de uno antico". "Bono o cattivo?". "Cattivo come la fame". "Allora me sta bene". Poi entro' nel bar a ciuccasse. Ando' esattamente cosi', ho saltato solo le bestemmie, le sue e le mie. Le bestemmie si dicono li' per li' perche' si devono dire e ci stanno bene, ma quando poi racconti i fatti fanno brutta impressione perche' sembrano una cosa da cafoni e a nessuno gli piace di sembrare un cafone.
*
Di lavoro lavorava di giorno all'officina di Sbatacchione ma soprattutto lavorava di notte, pero' mai nel paese, e dopo ogni lavoro non si scordava mai di portare il regaletto agli amici del bar, che saremmo io, Attila, Manolonga e Gino il baro. All'inizio voleva fare per conto suo senza spartire con nessuno, perche' era uno scorbutico da quando era uscito di galera, e scorbutico scorbutico; pero' un giorno gli insegnammo l'educazione e non fu facile neppure in quattro contro uno e tocco' strappargli via tre unghie prima che la facesse finita e capisse le buone maniere, e poi non sgarro' piu'.
Fino a tre giorni fa.
*
Perche' la mattina di lunedi' trovarono seduto per terra appoggiato al cartello stradale con scritto il nome del paese, che pero' sta un par di chilometri fuori del paese, uno senza capoccia; un cadavere, si', un cadavere, perche', voi l'avete visto mai un cristiano senza capoccia che continua a campa'? Io no. E infatti era morto e puzzava, perche' non e' che era senza testa e basta. E siccome era tutto bruciato perche' dopo avergli fatto il lavoretto l'avevano incipriato tutto ben benino dal collo ai piedi di calce viva, la gente si chiedeva chi era il distrattone che aveva perso la testa. Ma non e' che ci volle molto a capirlo, perche' quel giorno Gino il baro al bar non si fece vedere, e chi vuole capire capisce.
Con Attila e Manolonga facemmo un consiglio di guerra. E' chiaro che il primo pensiero era che l'aveva fatto uno di noi tre. Pero' ne parlammo come se tutti e tre pensassimo che fosse stato qualcun altro. Ma chi? Perche' Gino il baro non era uno che si faceva ammazzare facile, era uno che facile ammazzava. Pero' e' vero pure che al paese lo odiavano tutti e si sa che l'odio e' meglio del viagra, ti fa fare quello che neanche te lo immaginavi di saperlo fare. Cosi' il consiglio di guerra si risolse in un nulla di fatto. Tanto per sfogarci la sera demmo fuoco alla farmacia, ma cosi', solo per fare qualche cosa. Che poi era pure una cosa stupida, che il farmacista non solo pagava l'imposta regolare regolare liscio liscio come l'olio ma era pure uno che quando gli chiedevamo qualche cosetta sfiziosa di quelle che avete capito era servizievole sempre. Io dico che si fanno un sacco di cose che se ci pensi non le faresti, perche' lo vedi che sono stupide pero' le fai lo stesso. La gente e' fatta cosi', una cosa giusta non la fa neanche se l'impicchi, invece le scemenze gli riescono pure a occhi chiusi. E' fatta cosi' la gente. Apposta e' facile disprezzarla, no?
Pero' la mattina di martedi' pure Attiletto aveva detto addio al mondo crudele. E stavolta non c'era dubbio alcuno che fosse lui, visto il corpo c'era tutto, o quasi, inchiodato al portone di casa sua, che era in fondo al paese un po' fuori mano. In bocca ci aveva uno straccio che quando lo tirarono fuori era tutto sporco di grasso e puzzava di benzina. E questo circoscriveva le ricerche a chi ci aveva a che fare col distributore di benza o coll'officina del meccanico. Ma al distributore ci lavorava solo Ninetta la pelosa, che era alta un tappo e un barattolo e come faceva a inchiodare Attilone che era alto quasi due metri pace all'anima sua? E allora, eh. E chi ci lavorava all'officina? Sbatacchione, Rivoltelletto e Tantalone. Che erano tre che magnavano i sassi e al posto delle mani ci avevano sei pale.
Mentre che con Manolonga facevamo un nuovo consiglio di guerra ce ne accorgevamo che la gente ci guardava storto, e non solo ci guardava storto - ci guardavano sempre storto tutti quanti - ma sogghignava. Sogghignava, si', avevano preso pelo. Che fu il motivo per cui feci la cianchetta a Lazzarone che ebbe l'infelice idea di passarci vicino e poi gli cercammo le costole una per una a zampate.
Intanto si faceva sera e qualche preoccupazione ce l'avevamo tutti e due. Anche perche' tutti e due non eravamo proprio sicuri che l'autore delle due opere d'arte moderna fosse per cosi' dire esterno alla cerchia nostra. Cosi' nessuno dei due s'alzava dalla sedia del bar, che tanto per fortuna restava sempre aperto. Finche' Manolonga, che beveva sempre troppo l'imbecille, dovette andare a fare un goccio d'acqua. Ora, non so se lo sapete, ma il cesso del bar e' meglio non entrarci se non ti vuoi beccare come minimo la lebbra. Cosi' Manolonga usci' per andare ad espletare la funzione corporale conseguente all'eccesso di abbeveramento nel vicoletto a fianco al bar. Usci'. E c'e' bisogno di dirlo?
Ormai albeggiava e quell'imbecille non tornava. Io non ero cosi' fesso da andare nel vicoletto prima che ci fosse luce sufficiente a vedere dove puntare il pistolone che reco sempre meco qual fido compagno d'armi. A un certo punto entra nel bar Checchignola, che s'alza presto perche' fa il giro col camion della monnezza, e dice al sor Otello che sta dietro al bancone: "E sso' tre". E il sor Otello: "Nel vicoletto?". "Nel vicoletto. E se l'e' pure fatta sotto". Allora io: "Checchigno', parla forte che qui nun se sente". E Checchignola: "Sei restato solo, Ciampico'. E mo' che fai?". Non feci niente, restai li'seduto e aspettai. Quando arrivo' la corriera un attimo prima che ripartisse feci tre balzi da pantera e ci zompai sopra. Uno sveglio lo sa quando e' il momento di cambiare aria.
*
Sul pullman c'era pure Tantalone, che mi guardava fisso e non diceva niente. Ci aveva ancora la tuta sporca di sangue. Come aveva fatto a salire sul pullman pure lui? Doveva essere salito alla fermata prima, ma come faceva a saperlo che io avrei attuato quel geniale piano di ritirata strategica e riorganizzazione? La gente e' strana. Oppure era solo una coincidenza. Lui mi guardava e io lo guardavo. Pero' lui era in posizione di vantaggio rispetto a me, perche' stava seduto dall'altra parte tre file dietro cosi' io per guardarlo dovevo girarmi, e ogni volta che mi giravo vedevo che lui mi fissava, stava zitto e fermo e mi fissava, pareva una statua il beccamorto.
Mi tocco' cambiare posto. Scalai di cinque file sempre dal lato mio e adesso ero io che vedevo lui da dietro. Pero' poi si alzo' pure lui e si mise seduto in fondo all'autobus, la carogna. Cosi' non mi resto' che risalire il pullman e mettermi al primo posto vicino all'uscita. Ero pure stanco morto perche' non avevo dormito. Con la mano impugnavo la baiaffa nella saccoccia pronta per l'uso casomai si avvicinasse, e guardando nello specchio che stava in alto in mezzo tra l'autista e lo sportello lo tenevo d'occhio. Decisi di aspettare per vedere se scendeva. Ma arrivammo al capolinea e ci tocco' scendere a tutti e due.
*
C'era un sacco di gente intorno ma a mali estremi estremi rimedi. Tirai fuori il ferro e gli dissi: "Te serve qualche cosa, Tantalo'?". "A me no, e a te?". "Manco a me". "Allora perche' ciai il pezzo in mano?". "E allora perche' ciai la tuta intinta de sangue?". "Te da' fastidio il sangue?". "Te da' fastidio lo schioppo?". "A me no". "Manco a me". Restammo zitti, io sempre con la pistola puntata e il braccio che cominciava a dolermi. Allora lui: "Pesa, eh?". E io: "Potrei pure alleggeri' essa e appesantitte a te". "Davanti a tutta 'sta gente?". "Era meglio se era un pubblico pagante, ma ppe' 'na volta se' po' dda' spettacolo pure aggratisse". "Si lo diche tu". "Lo dico io, si'". E di nuovo silenzio. Poi tantalone disse: "Ciai fatto caso a quello col telefonino?". "E allora?". "Io dico che ha chiamato la pula". "E allora?". "Allora, col ferro in mano". "Allora, tutto zuppo de sangue". "Magari smammamo". "Magari si'". "E allora via". "Pero' va' avanti tu che a mme mme vene da ride".
Lui si giro' e non lo so perche' ma allora sparai, gli sparai tutto il caricatore nella schiena, neppure lo so perche'. Si fanno un sacco di cose strane che se ci ripensi dopo mica lo sai perche' lo hai fatto.
Eravamo pure amici, eravamo stati a scuola insieme.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Ana Nuno, Hannah Arendt, Rba, Milano 2020, pp. 190, euro 9,99.
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Riedizioni
- Vittoria Baruffaldi, C'era una volta l'amore, Einaudi-Gedi, Torino-Roma 2020, pp. 176, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
- Gianfranco Ravasi, Il Cantico dei cantici, Mondadori, Milano 2020, pp. 102, euro 5,90.
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Gialli
- Georges Simenon, Il sorcio, Adelphi, Milano 2017, Gedi, Roma 2020, pp. 156, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica" e a varie altre testate).

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3716 del 21 aprile 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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