[Nonviolenza] Telegrammi. 3713



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3713 del 18 aprile 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Poiche' vi e' una sola umanita'
2. Prima che sia troppo tardi. Un appello
3. Una lettera da inviare al governo
4. Una lettera da inviare ai Comuni
5. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
6. Albertina Vittoria: Pietro Ingrao (2017)
7. Omero Dellistorti: Namboua' (una sua conferenza stampa)
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. POICHE' VI E' UNA SOLA UMANITA'

Poiche' vi e' una sola umanita'
noi dichiariamo che ogni essere umano
abbia rispetto e solidarieta'
da chiunque altro sia essere umano.

Nessun confine puo' la dignita'
diminuire umana, o il volto umano
sfregiare, o denegar la qualita'
umana propria di ogni essere umano.

Se l'edificio della civilta'
umana ha un senso, ed esso non e' vano,
nessuno allora osi levar la mano
contro chi chiede ospitalita'.

Se la giustizia e se la liberta'
non ciancia, bensi' pane quotidiano
hanno da essere, cosi' il lontano
come il vicino merita pieta'.

Nel condividere e' la verita'
ogni volto rispecchia il volto umano
nel mutuo aiuto e' la felicita'
ogni diritto e' un diritto umano.

Se vero e' che tutto finira'
non prevarra' la morte sull'umano
soltanto se la generosita'
sara' la legge di ogni essere umano.

La nonviolenza e' questa gaia scienza
che lotta per salvar tutte le vite
la nonviolenza e' questa lotta mite
e intransigente contro ogni violenza.

2. REPETITA IUVANT. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. UN APPELLO

Prima che sia troppo tardi il governo faccia uscire dalle carceri sovraffollate le persone li' ristrette e le trasferisca o nelle rispettive abitazioni o in altri alloggi adeguati in cui per quanto possibile siano anch'esse al riparo dal rischio di contagio che in tutti i luoghi sovraffollati e' enorme.
Gia' troppe persone sono morte.
Di seguito una bozza di lettera che proponiamo di inviare al Ministero della Giustizia, ed alcuni indirizzi utilizzabili a tal fine.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
*
La bozza di lettera
"Signor ministro della Giustizia,
come sa, con la fine del fascismo in Italia e' stata abolita la pena di morte, e la Costituzione repubblicana stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'".
Per contrastare l'epidemia di coronavirus e cercar di salvare vite umane sono state adottate - sia pure con grave ritardo - misure di distanziamento tra le persone, unico modo efficace di contenere il contagio.
Ma queste misure non possono essere adottate efficacemente in luoghi sovraffollati come le carceri italiane.
Cosicche' chi si trova nelle carceri italiane, come ristretto o come custode, e' esposto al piu' grave pericolo.
E' esposto al pericolo di essere contagiato e di rischiare la vita. E vive in una condizione di torturante paura senza potervi sfuggire.
E' palese che la permanenza in carcere, sic stantibus rebus, e' incompatibile con le indispensabili misure di profilassi per contenere il contagio; e' incompatibile con le norme sul cosiddetto "distanziamento sociale" (pessima formulazione con cui in queste settimane viene indicato il tenersi di ogni persona ad adeguata distanza dalle altre, volgarizzato col motto "restate a casa"); e' incompatibile con il fondamentale diritto di ogni essere umano alla tutela della propria vita.
Ne consegue che finche' l'epidemia non sia debellata occorre vuotare le carceri e - per dirla in breve - mandare tutti i detenuti nelle proprie case con l'ovvio vincolo di non uscirne.
Naturalmente vi saranno casi in cui cio' non sia possibile (i colpevoli di violenza domestica, ad esempio), ma anche questi casi particolari potranno essere agevolmente risolti con la collocazione in alberghi o altre idonee strutture in cui il necessario "distanziamento sociale" sia garantito.
Non si obietti che tale proposta e' iniqua: piu' iniquo, illecito e malvagio sarebbe continuare ad esporre insensatamente alla morte degli esseri umani.
E non si obietti che cosi' si rischia di non poter controllare l'effettiva costante permanenza in casa degli attuali detenuti: oggidi' non mancano affatto le risorse tecnologiche per garantire un efficace controllo a distanza che le persone attualmente ristrette destinatarie di tale provvedimento restino effettivamente nelle loro case (ovvero nelle abitazioni loro assegnate).
Ne' si obietti che cosi' si garantisce il diritto alla casa ai criminali mentre persone che non hanno commesso delitti ne sono prive: e' infatti primario dovere di chi governa il paese garantire un alloggio a tutte le persone che si trovano in Italia; nessuno deve essere abbandonato all'addiaccio o in una baracca, a tutte le persone deve essere garantita una casa: si cessi pertanto piuttosto di sperperare risorse pubbliche a vantaggio dei ricchi e si provveda a rispettare concretamente i diritti fondamentali di ogni persona, adempiendo ai doveri sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica italiana.
Signor ministro della Giustizia,
prima che sia troppo tardi si adottino i provvedimenti necessari per vuotare le carceri e mettere in sicurezza per quanto possibile la vita dei detenuti e del personale di custodia.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Voglia gradire distinti saluti,
Firma, luogo, data
Indirizzo del mittente"
*
Alcuni indirizzi utilizzabili
protocollo.gabinetto at giustizia.it,
fulvio.baldi at giustizia.it,
leonardo.pucci at giustizia.it,
gianluca.massaro at giustizia.it,
chiara.giacomantonio at giustizia.it,
roberto.natali at giustizia.it,
giuseppina.esposito at giustizia.it,
marcello.spirandelli at giustizia.it,
clelia.tanda at giustizia.it,
sabrina.noce at giustizia.it,
vittorio.ferraresi at giustizia.it,
andrea.giorgis at giustizia.it,
ufficio.stampa at giustizia.it,
andrea.cottone at giustizia.it,
gioele.brandi at giustizia.it,
mauro.vitiello at giustizia.it,
concetta.locurto at giustizia.it,
giampaolo.parodi at giustizia.it,
roberta.battisti at giustizia.it,
marina.altavilla at giustizia.it,
rita.andrenacci at giustizia.it,
dgmagistrati.dog at giustizia.it,
giuditta.rossi at giustizia.it,
antonia.bucci at giustizia.it,
paolo.attardo at giustizia.it,
tommaso.salvadori at giustizia.it,
daniele.longo at giustizia.it,
redazione at giustizia.it,
callcenter at giustizia.it,
*
Preghiamo chi ci legge di diffondere questa proposta anche ai mezzi d'informazione e ad altre persone di volonta' buona, associazioni ed istituzioni.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
*
Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455

6. MAESTRI. ALBERTINA VITTORIA: PIETRO INGRAO (2017)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]

Le origini e l'antifascismo
Pietro Ingrao nacque a Lenola (oggi provincia di Latina) il 30 marzo 1915 da Francesco Renato, impiegato comunale, vicino ai socialisti riformisti, e da Celestina Notarianni. Studio' al Liceo classico di Formia e comincio' ad appassionarsi di letteratura. Tra i suoi insegnanti ebbe Gioacchino Gesmundo e Pilo Albertelli, entrambi caduti nell'eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944), che influenzarono la sua formazione e l'avvicinamento all'antifascismo.
Trasferitosi a Roma per frequentare l'Universita', dove si laureo' in giurisprudenza e in lettere e filosofia, Ingrao si iscrisse al Gruppo universitario fascista (GUF) e partecipo' ai Littoriali della cultura e dell'arte di Firenze (1934), dove arrivo' terzo al concorso di poesia e a quello di teatro, e di Roma (1935), dove arrivo' secondo al concorso di poesia e non classificato a quello di organizzazione politica. Si tratto' di esperienze importanti, non solo per lui ma per molti suoi coetanei, come ricordo' in seguito, poiche' i Littoriali costituirono un luogo di contatto con una realta' nazionale in cui "migliaia di giovani studenti, lontani e separati gli uni dagli altri da pesanti barriere provinciali, si trovarono a discutere insieme di cultura, di politica, di questioni sociali" (Ingrao, 1990, p. 11). In quelle occasioni Ingrao (per il quale la guerra di Spagna fu determinante per il proprio impegno politico) ebbe modo di stabilire i primi rapporti con alcuni giovani con i quali avrebbe dato vita al gruppo antifascista romano e, tra questi, Antonio Amendola (terzogenito di Giovanni e fratello di Giorgio, comunista, espatriato clandestinamente), vincitore del concorso di critica letteraria a Roma, che lo spinse "energicamente verso la cospirazione antifascista e comunista" (p. 12). Attraverso di lui e il fratello minore Pietro, Ingrao conobbe alcuni giovani dediti all'attivita' antifascista (Paolo Bufalini, Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli, Bruno Sanguinetti) e, successivamente, Mario Alicata, che ai Littoriali di Napoli (1937) aveva conosciuto lo stesso Amendola e altri giovani impegnati nel campo letterario e artistico (Antonello Trombadori, Renato Guttuso, Girolamo Sotgiu). Inizialmente l'attivita' rimase su un terreno di discussione antifascista, ma muto' quando tra il dicembre del 1939 e il gennaio del 1940 Lombardo Radice, Natoli e Pietro Amendola furono arrestati e in aprile condannati dal Tribunale speciale in seguito ai rapporti che avevano stabilito con alcuni giovani comunisti di Avezzano. Per Ingrao e Alicata, che non erano a conoscenza di questi collegamenti, come non sapevano dei contatti dei loro amici con il centro estero del Partito comunista d'Italia, questo evento fece "precipitare la situazione, perche' di fronte al fatto che loro andavano in galera, noi" – ricorda in una sua testimonianza – "ancora di piu' fummo portati a diventare un nuovo centro organizzatore": in quel momento avvennero "quelle cose che si leggono nei romanzi: quelli sono andati dentro, adesso tocca a noi" (Vittoria, 1977, p. XXXII). Fu allora infatti che Ingrao compi' la scelta comunista, assumendo con Alicata, Bufalini e Antonio Amendola la guida dell'organizzazione cospirativa.
Oltre alla letteratura e alla poesia, un altro grande interesse di Ingrao divenne il cinema. Con Gianni Puccini, conosciuto ai Littoriali fiorentini, e Giuseppe De Santis, nel 1935 si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia, dove frequento' per un anno il corso di regia e collaboro', come altri giovani antifascisti, alla rivista Cinema, diretta da Vittorio Mussolini. Nel 1940 questo gruppo di amici conobbe il regista Luchino Visconti, con il quale ebbe inizio una significativa collaborazione per la stesura di sceneggiature, che tuttavia non si realizzarono (Ingrao lavoro' alla novella di Verga Jeli il pastore). Si realizzo' invece il film Ossessione (1943), tratto dal romanzo dell'americano James Cain Il postino suona sempre due volte, che fu il primo film del neorealismo cinematografico italiano. La sceneggiatura era firmata da Alicata, De Santis, Antonio Pietrangeli, Puccini, Visconti, mentre la firma di Ingrao, che pure vi aveva partecipato, non apparve per motivi cospirativi (A. Trombadori, Significato dei film del primo Visconti, in l'Unita', 26 gennaio 1976).
L'attivita' del gruppo dei comunisti romani prosegui' dopo gli arresti del 1939-40 e si diramo' in contatti con giovani di altre posizioni politiche (liberalsocialisti e cattolici comunisti), con alcuni operai della capitale e con altri ambienti intellettuali fra Pisa (la Scuola normale superiore), Perugia e Milano, venendo via via segnata da nuove retate e condanne. Alla fine del 1942, in seguito ai rapporti stabiliti con un gruppo di operai, artigiani e studenti, che stampava un foglio intitolato Scintilla, furono arrestati Alicata, Gianni e Dario Puccini, Marco Cesarini Sforza, mentre Ingrao riusci' a fuggire (furono deferiti al Tribunale speciale il 17 aprile 1943, compreso Ingrao, "irreperibile", Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Affari generali e riservati, 1903-49, b. 16, f. 198: Scintilla). Precedentemente, infatti, Alicata e Ingrao avevano stabilito che se uno dei due fosse stato arrestato, l'altro si sarebbe recato a Milano dove, in contatto con il centro interno comunista, avrebbe cercato di espatriare, un fatto nuovo e significativo che denotava il livello cospirativo raggiunto dai giovani del gruppo romano. Ingrao si reco' dunque a Milano e, dopo un fallito tentativo per passare in Svizzera, ando' in Calabria, continuando a svolgere attivita' organizzativa per il Partito comunista italiano (PCI) e poi di nuovo a Milano, dove si trovava il 25 luglio 1943, alla caduta del fascismo, e dove a Porta Venezia tenne il suo primo comizio.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 fu impegnato nella redazione milanese dell'Unita' clandestina e quindi in quella romana, per poi passare a lavorare nella Federazione comunista della capitale. Nel novembre del 1944 si arruolo' nel Corpo italiano di liberazione, nella Divisione Mantova, non impegnata in zone di combattimento.
In quegli anni Ingrao conobbe la sorella di Lombardo Radice, Laura, insegnante nelle scuole superiori e anche lei impegnata nell'attivita' antifascista, con la quale inizio' una storia d'amore – mentre si fingevano fidanzati per scambiare informazioni sull'attivita' cospirativa – durata tutta la vita. Si sposarono dopo la liberazione di Roma, il 24 giugno 1944 in Campidoglio e dal matrimonio nacquero cinque figli: Celeste, Bruna, Chiara, Renata, Guido.
*
Il dopoguerra e la Guerra fredda
Alla fine della guerra Ingrao riprese il proprio posto all'Unita', della quale divenne direttore nel 1947 e vi rimase per dieci anni. Alle elezioni del 1948 fu eletto deputato, venendo confermato alla Camera fino alla X legislatura. Membro del Comitato federale di Roma e dal 1948 del Comitato centrale, Ingrao – come i suoi amici del gruppo romano – fu tra i dirigenti comunisti della generazione piu' giovane, cresciuta sotto il fascismo e formatasi nella lotta antifascista, che il segretario del PCI Palmiro Togliatti riteneva componente fondamentale di quello che nel 1944 aveva definito "partito nuovo".
Negli anni piu' duri dello scontro tra i blocchi americano e sovietico, Ingrao si schiero' tra quanti avevano una posizione piu' aperta rispetto alla componente del PCI vicina a Pietro Secchia, ostile al moderatismo togliattiano. Quando, a meta' degli anni Cinquanta, questa componente fu sconfitta, anche nell'ambito degli organismi dirigenti comunisti si verifico' un cambio generazionale, a cominciare dal ruolo assunto da Giorgio Amendola come responsabile della Commissione organizzazione, prima diretta da Secchia. Ingrao entro' come membro candidato nella Direzione, di cui divenne membro effettivo all'VIII congresso del PCI (Roma, 8-14 dicembre 1956), quando fu chiamato anche nella Segreteria e alla guida della Commissione stampa e propaganda. Sempre attivo nella vita del Partito a tutti i livelli, Ingrao si distinse per la grande capacita' retorica e comunicativa.
Di fronte agli eventi dell'"indimenticabile 1956" (come scrisse sull'Unita', 14 giugno 1957, e come intitolo' una lezione del 1971 sulla storia del PCI: 1977, pp. 101-154), Ingrao assunse una posizione interlocutoria. Nelle riunioni della Direzione sostenne che la discussione nata tra gli iscritti al PCI dopo il XX congresso del Partito comunista dell'Unione sovietica (PCUS) (14-24 febbraio 1956) e la pubblicazione in occidente del "rapporto segreto" di Chruscev, fosse "un fatto positivo e sano", invitando anche a riflettere sul fatto che tra i militanti vi era "stato uno choc molto forte" (20 giugno 1956, in Quel terribile 1956, 1996, p. 67). D'altra parte, ribadi' che quanto era avvenuto in Unione sovietica poneva "problemi politici, non solo storici, al movimento comunista internazionale che non possiamo ignorare" (18 luglio 1956, p. 125). Quando, in ottobre, scoppio' la rivolta in Ungheria, Ingrao assunse un atteggiamento fortemente critico contro gli insorti, con due editoriali sull'Unita' (25 e 27 ottobre) e negli interventi alla Direzione comunista: "Non possiamo legittimare la rivolta armata nei paesi socialisti. Una cosa e' il giudizio sulle cause degli avvenimenti ungheresi, un'altra giustificare l'insurrezione. Non possiamo ammettere che dei compagni accettino che si vada a rovesciare la stella rossa", affermo' il 30 ottobre, accusando "di frazionismo" gli intellettuali romani che avevano scritto una lettera di protesta (p. 229). Col senno di poi ammise che "la valutazione d'insieme che demmo della rivolta ungherese [...] fu in radice sbagliata" e confido' di aver esposto in un incontro privato a Togliatti il proprio giudizio negativo sull'invasione sovietica dell'Ungheria, ricevendo dal segretario comunista la secca risposta di essere del parere opposto (Ingrao, 1990, pp. 89, 91). Riguardo all'VIII congresso del PCI, invece, come affermo' nella lezione del 1971, espresse una valutazione positiva poiche' da li' fu affermata "l'esigenza della piena autonomia di decisione e di scelta di ogni partito comunista e il superamento della concezione del partito-guida e dello Stato-guida" (L'indimenticabile 1956, cit., 1957, p. 148).
Da quella data si pose nel PCI la questione dell'URSS, delle sue realizzazioni e del ruolo del PCUS come "partito guida" degli altri partiti comunisti. Ne fu esempio il modo in cui al Comitato centrale del 10-11 novembre 1961 alcuni dirigenti (ma non Togliatti) accolsero positivamente le decisioni del XXII congresso dei comunisti sovietici (17-31 ottobre 1961), nel quale Chruscev aveva formulato pubblicamente nuove denunce delle violazioni della legalita' socialista nell'epoca staliniana. Ingrao ribadi' l'esigenza "di una ricostruzione storica" e la necessita' di andare a fondo sugli errori politici commessi, mettendo al tempo stesso in guardia sulla "delicatezza" della questione, poiche' si trattava del PCUS, la "forza che piu' ha dato e piu' da' al cammino del socialismo". Bisognava insomma appoggiare la svolta che si stava compiendo all'interno del partito sovietico, ma al tempo stesso – come affermo' nella riunione di Direzione di poco successiva – salvaguardarlo (Il Pci e lo stalinismo, 2007, pp. 237, 322).
*
Il confronto nel PCI
Con gli sviluppi della politica italiana e il delinearsi dei governi di centrosinistra, all'interno del PCI cominciarono a maturare due posizioni divergenti tra Amendola, per il quale occorreva dichiararsi a favore del governo programmatico, e Ingrao, che invece riteneva necessario dare battaglia contro la preclusione a sinistra. Differenziazioni accresciute dopo la formazione del governo di centrosinistra organico Moro-Nenni e rese ancor piu' manifeste all'indomani della morte di Togliatti (21 agosto 1964). Su proposta del nuovo segretario, Luigi Longo, Ingrao fu chiamato a prendere il posto di Togliatti alla presidenza del gruppo comunista alla Camera.
Lo scontro tra la sinistra del Partito, rappresentata da Ingrao, e la destra rappresentata da Amendola e da Alicata emerse in maniera esplicita all'XI congresso (Roma, 25-31 gennaio 1966), gia' segnato da diverse opinioni nel corso del dibattito precongressuale, durante il quale Ingrao aveva accusato il Partito di non aver saputo indicare un progetto alternativo a quello della programmazione capitalistica e all'intervento dello Stato, e aveva altresi' insistito sulla necessita' di una discussione ampia.
Alla tribuna dell'XI congresso, Ingrao intervenne con una frase divenuta famosa: "Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso" dalle parole di Longo (XI Congresso del PCI. Atti e risoluzioni, Roma 1966, p. 265), rendendo per la prima volta esplicito in un'occasione pubblica il dissenso all'interno del PCI. Al di la' del disaccordo su singoli aspetti della politica economica e del programma del Partito, fu proprio la rivendicazione del dissenso a determinare il contrasto. "Appena finii capii subito – ha ricordato egli stesso (1990, p. 143) –: la sala in piedi applaudiva. La presidenza e tutto il gruppo dirigente rimase fermo al suo posto, gelido: nessuno mi strinse la mano". Alicata in particolare gli rispose che "questa rivendicazione del dubbio permanente" non aiutava "ne' la democrazia, ne' l'unita' del partito" (XI Congresso, cit., 1966, p. 466 ss.). Pietro Nenni, nei suoi diari, parlo' di "linciaggio" di Ingrao (Gli anni del centro sinistra, Milano 1982, p. 589).
Il contrasto ando' oltre il dibattito del congresso e si concretizzo' nel tentativo – portato avanti da Amendola, Alicata e Giancarlo Pajetta – di estromettere Ingrao dalle cariche direttive. Longo, sostenuto da Enrico Berlinguer e da Giorgio Napolitano, si oppose: Ingrao rimase nella Direzione e nel ruolo di presidente del gruppo del PCI alla Camera, ma usci' dalla Segreteria e fu inserito in un nuovo organismo, l'Ufficio politico. Gli esponenti della sinistra del Partito piu' vicini a lui, come Rossana Rossanda e altri che di li' a qualche anno avrebbero dato vita al Manifesto, furono invece estromessi dai loro incarichi.
Nuove tensioni si crearono quando la rivista Il Manifesto (diretta da Rossanda e Lucio Magri), nacque sulla base del convincimento – come affermava l'editoriale del primo numero del 23 giugno 1969 – di essere entrati in una "fase nuova" della lotta del movimento operaio a livello italiano e internazionale, che avrebbe potuto prefigurare trasformazioni rivoluzionarie. Gli autori furono messi sotto accusa non solo per le posizioni contrastanti con quelle del Partito, ma soprattutto per il carattere "frazionistico" che assumeva la loro attivita' con la nascita del periodico. In occasione del Comitato centrale (15-17 ottobre 1969) che prese in esame la questione, Ingrao espresse la propria "divergenza" e il proprio disappunto contro il "tutto o niente", rimarcando la necessita' di "rompere l'illusione nefasta [...] di rinnovare "separandosi"" (La questione del "manifesto", Roma 1969, p. 106). Di conseguenza non si distinse dal resto del Comitato centrale che il 26 novembre voto' la radiazione di Natoli, Rossanda e Luigi Pintor (e dal partito di Magri, che non era membro del Comitato centrale). Successivamente, sostenendo che la radiazione fu "un brutto errore" del PCI, ammise di aver sbagliato "seriamente" con il proprio voto a favore, ma ribadi' che lo aveva fatto perche' convinto che qualsiasi discorso di apertura andasse portato avanti "dentro" il Partito e non fuori (Ingrao, 1990, 165-6).
Quanto era successo nell'agosto del 1968, l'invasione delle truppe del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia che metteva fine alla "primavera di Praga" di Alexander Dubcek, porto' Ingrao a riflettere ancor piu' sui paesi comunisti dell'Europa orientale e sulla necessita' che dovesse esservi un nesso tra il socialismo e la democrazia. Fu tra i membri della direzione del PCI presenti a Roma che approvarono la risoluzione in cui veniva espresso un "grave dissenso" nei confronti della scelta sovietica, anzi, secondo il ricordo di Napolitano, che presiedeva la riunione, propose ritocchi "in senso rafforzativo" della condanna (Napolitano, 2005, pp. 87 s.).
*
Le svolte degli Anni Settanta e Ottanta
Mentre i suoi interessi di studio andavano concentrandosi sul tema della crisi dello Stato e delle istituzioni, nel 1975 fu nominato presidente del Centro di studi e iniziative per la riforma dello Stato (CRS), fondato dal PCI nel 1972, che di fronte ai successi nelle elezioni amministrative del 1975 e nelle politiche del 1976 diveniva un importante strumento di analisi. Dopo le elezioni del 20 giugno 1976, Ingrao lascio' quell'incarico, essendo stato eletto presidente della Camera dei deputati, primo comunista ad assumere una carica cosi' prestigiosa.
Nel discorso di insediamento, il 5 luglio 1976, rifacendosi all'esperienza unitaria della Resistenza, Ingrao mise in luce come i grandi problemi posti dalla crisi economica, politica e sociale richiedessero "di camminare con nuovo slancio sulla strada maestra indicata dalla Costituzione, che fissa per noi tutti le regole della convivenza civile e politica e chiama le classi lavoratrici a partecipare finalmente alla direzione dello Stato". Sottolineo' altresi' la novita' della situazione creatasi dopo il grande successo elettorale del PCI: "nella larghezza e varieta' dei consensi che hanno portato alla mia elezione" (Ingrao ottenne al primo scrutinio la maggioranza dei due terzi componenti l'Assemblea necessaria per l'elezione), egli infatti coglieva "il segno che sta avanzando fra le forze politiche l'esigenza di un rapporto nuovo, che [...] porti ad un rinvigorimento e ad un arricchimento delle istituzioni democratiche" (http://storia.camera.it/presidenti/ingrao-pietro#nav).
Ingrao non fu convinto dell'astensione comunista al governo monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti (come, in precedenza, non era rimasto convinto della formula berlingueriana del "compromesso storico"), poiche' riteneva che "bisognava costringere la DC a una scelta chiara, che mettesse veramente in crisi la sua situazione interna", ma dato il ruolo che gli era stato affidato usci' "dalla lotta politica immediata" (Ingrao, 1990, pp. 169, 171 s.).
Dallo scranno di presidente della Camera, Ingrao ebbe modo di conoscere "da vicino" gli apparati dello Stato e i problemi del funzionamento dell'assemblea rappresentativa, tuttavia – in quegli anni segnati dai crescenti atti di terrorismo e di conflittualita' sociale – non riusci' ad avviare le trasformazioni che riteneva necessarie. Quando, la mattina del 16 marzo 1978, giunse la notizia del rapimento di Aldo Moro e dell'uccisione dei cinque uomini della scorta, il suo "assillo" fu di dare subito il governo al Paese, "anche perche' questo dipendeva anche da me; era l'unico atto concreto che potevo fare e che contava" (p. 177). Ingrao vi riusci' e il secondo governo Andreotti fu varato quello stesso pomeriggio, con i voti favorevoli del PCI.
Dopo l'uscita del PCI dalla maggioranza di governo alla fine del 1978 e l'arretramento subito alle elezioni del giugno 1979, Ingrao non accetto', nonostante le pressioni del suo Partito, di mantenere la propria carica e torno' al CRS, dove rimase presidente fino al 1993. Fu in linea con le scelte di Berlinguer in merito alla condanna dell'invasione sovietica dell'Afghanistan (dicembre 1979) e al mutamento della linea politica a favore dell'alternativa, anche se si oppose all'ipotesi di "governi intermedi", ritenendo necessaria una "radicalita'" della proposta, che mettesse la Democrazia cristiana del tutto fuori dal governo, come affermo' a una riunione del febbraio 1983 (Barbagallo, 2006, pp. 432 s.). A un convegno organizzato dal CRS e dalla Fondazione Istituto Gramsci nell'ottobre del 1985, Ingrao lancio' infatti la proposta di un "governo costituente" da contrattare con tutte le forze che avevano dato vita alla Costituzione per la "riforma dello Stato" (Benadusi, 2006, p. 34). Ritenendo necessario che il CRS si aprisse anche a studiosi non comunisti, Ingrao si impegno' per la sua trasformazione in associazione autonoma dal PCI, avvenuta nella primavera del 1985: come affermo' nella relazione alla prima assemblea dell'associazione (20 gennaio 1986), se da un lato le forze che sostenevano il Centro erano di sinistra, dall'altro era infatti necessaria "la larghezza di un confronto che scavalca frontiere ideologiche e culturali" (p. 28).
Il contesto era cambiato all'interno del PCI, fortemente provato dalla morte di Berlinguer (11 giugno 1984), mentre nuove trasformazioni si profilarono durante la segreteria di Achille Occhetto (che proveniva dalla sinistra ingraiana). Ingrao le approvo' e anzi proprio per favorire il rinnovamento, dopo il XVIII congresso (Roma, 18-22 marzo 1989), come altri leader di vecchia generazione, si dimise dalla Direzione. Dissenti' invece dalle dichiarazioni di Occhetto all'indomani della caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989), che prefiguravano il cambiamento del nome del PCI.
Ingrao si schiero' contro la proposta del segretario di avviare una fase costituente per una nuova formazione politica perche' – come scriveva nel dicembre del 1989 nella bozza della mozione per il congresso straordinario – tale proposta rappresentava "un arretramento ideale e pratico rispetto ai nuovi compiti che stanno dinnanzi al nostro paese e ai popoli del mondo", mentre si rendeva necessario "sviluppare il patrimonio del nostro partito" sostenendo che, anche di fronte al crollo dei regimi comunisti dell'Europa orientale (nei confronti dei quali aveva maturato posizioni sempre piu' critiche), parlare ancora di comunismo aveva senso. Piuttosto, riteneva che grande attenzione dovesse essere posta sulla questione del disarmo e della pace. In maniera ferma, infine, Ingrao rivendicava il ruolo svolto dal PCI nel corso del Novecento, alla guida delle lotte "per la redenzione degli oppressi, per la tutela degli sfruttati, per l'emancipazione del mondo del lavoro", e per questo dichiarava che esso doveva mantenere viva la propria tradizione (Ingrao, 2015, pp. 77, 79, 95).
La mozione Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra, promossa da Ingrao (assieme ad Aldo Tortorella, Alessandro Natta, Giorgio Chiarante, Gavino Angius, Luciano Barca, tra gli altri), ottenne al XIX congresso del PCI (Bologna, 7-11 marzo 1990) il 29,7% dei voti dei delegati, contro il 66,9% della mozione presentata da Occhetto e il 3,4% della mozione di Armando Cossutta.
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Gli anni Novanta e il nuovo partito
Alla fine del settembre 1990 gli esponenti dell'opposizione alla svolta di Occhetto si incontrarono in un seminario ad Arco di Trento, dove Ingrao si dichiaro' contrario a una scissione, perche' "non ci credo che cosi' salviamo il nome ed una identita'": come gia' aveva sostenuto in passato nel caso del Manifesto, ribadi' che si dovesse rimanere dentro il Partito e "costruire nel gorgo" (2015, pp. 257, 259).
Quando, al XX e ultimo congresso del PCI (Rimini, 30 gennaio - 3 febbraio 1991), nacque il Partito democratico della sinistra (PDS), Ingrao vi aderi' e continuo' a mantenere un proprio ruolo come coordinatore dell'area dei comunisti democratici.
Al Congresso Ingrao concentro' il suo intervento sulla situazione internazionale, esprimendo il proprio allarme per la svolta segnata dalla guerra del Golfo da poco iniziata (17 gennaio) e la preoccupazione che l'Italia non scegliesse la via della pace come prioritaria per la soluzione del conflitto in Iraq. Il tema della pace divenne ancor piu' centrale nella sua riflessione e nell'impegno politico. Su sollecitazione di Lombardo Radice, egli aveva peraltro partecipato alla prima marcia per la pace Perugia - Assisi (24 settembre 1961) organizzata da Aldo Capitini (conosciuto da Ingrao ai tempi della cospirazione antifascista), assieme alla moglie Laura e alle figlie adolescenti, "debitamente adorne di cartelli che condannavano la guerra" (Ingrao, 2006, p. 295).
Nel 1992, tuttavia, rinuncio' alla propria candidatura alle elezioni e l'anno successivo prese la sofferta decisione di uscire dal PDS, dimettendosi anche da presidente del CRS.
Motivo' la propria decisione – maturata all'indomani della vittoria dello schieramento in favore del sistema maggioritario e uninominale al referendum del 18 aprile 1993, essendosi egli dichiarato contrario – a un convegno dell'area dei comunisti democratici (15 maggio 1993). Il suo era ormai divenuto un dissenso di fondo nei confronti del PDS, a partire dall'analisi sulla crisi in atto nel Paese, fino all'appoggio al governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi (28 aprile), che egli riteneva invece espressione di un'"operazione trasformistica di ricambio". Il PDS aveva perso il contatto con le lotte dei lavoratori ed era "sempre piu' strutturato con un centro leaderistico che fa capo alla persona del segretario": "Vedo solo buio. Ed esco dal mio partito", annuncio', perche' con il PDS non c'era piu' "un linguaggio comune" ed esso non costituiva piu' per lui il luogo della "socialita' politica". Tuttavia Ingrao non intendeva ritirarsi dalla politica, ma si proponeva di "sperimentare altri luoghi dove costruire un rapporto tra immediatezza della condizione sociale e azione politica generale" e "cimentarsi con le forme nuove del linguaggio politico, cioe' con i media", nella convinzione che si potesse ricostituire un nuovo polo, che punti "a ricostruire una cultura critica dell'esistente e ad aiutare il rifiorire di una sinistra alternativa" (2015, pp. 595-605).
Piu' avanti si avvicino' al Partito della rifondazione comunista, al quale aderi' il 3 marzo 2005. Nel marzo del 2010 si dichiaro' per Sinistra ecologia e liberta'.
In quegli anni riprese la sua iniziale (e mai cessata) passione per la poesia e pubblico' alcune raccolte (Il dubbio dei vincitori, Milano 1986; L'alta febbre del fare, Milano 1997; Variazioni serali, Milano 2000). Continuo' a portare avanti la riflessione sugli eventi che aveva vissuto e scrisse l'autobiografia Volevo la luna (Torino 2006). Il 23 marzo 2003, da tempo malata, mori' la moglie Laura.
Mori' a Roma il 27 settembre 2015, avendo da poco varcato la soglia dei cento anni.
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Opere principali
Oltre ai testi citati, Masse e potere, Roma 1977; Crisi e terza via, intervista di R. Ledda, Roma 1978 (nuova ed. dei due volumi, a cura di G. Liguori, Roma 2015); Tradizione e progetto, Bari 1982; Le cose impossibili. Un'autobiografia raccontata e discussa con Nicola Tranfaglia, Roma 1990 (Roma 2011); Interventi sul campo, Napoli 1990; Appuntamenti di fine secolo, Roma 1995 (con R. Rossanda); La guerra sospesa. I nuovi connubi tra politica e armi, Bari 2003; Mi sono molto divertito. Scritti sul cinema (1936-2003), a cura di S. Toffetti, Roma 2006 (con L. Benadusi e L. Pallanch); La Tipo e la notte. Scritti sul lavoro, a cura di F. Marchiano', Roma 2013; Crisi e riforma del Parlamento, Roma 2014; Coniugare al presente. L'Ottantanove e la fine del Pci. Scritti (1989-1993), a cura di M. L. Boccia - A. Olivetti, Roma 2015.
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Fonti e bibliografia
L'archivio di Pietro Ingrao e' conservato a Roma presso il Centro per la riforma dello Stato, cfr. L'Archivio di Pietro Ingrao. Guida alle carte del Centro studi per la Riforma dello Stato, a cura di L. Benadusi - G. Cerchia, Roma 2006. Sul sito http://www.pietroingrao.it/ si possono consultare materiali, documenti, video. Per gli interventi negli organismi dirigenti del PCI si veda l'Archivio del PCI conservato presso la Fondazione Gramsci di Roma. Per l'attivita' parlamentare e la presidenza della Camera si veda il portale storico della Camera dei deputati, http://storia.camera.it/presidenti/ingrao-pietro#nav; http://storia.camera.it/deputato/pietro-ingrao-19150330#nav.; necrologi e ricordi sono apparsi su tutti i quotidiani italiani.
P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, IV, Torino 1973, ad ind.; A. Vittoria, Introduzione a M. Alicata, Lettere e taccuini di Regina Coeli, Torino 1977, ad ind.; Ead., Intellettuali e politica alla fine degli anni Trenta: Antonio Amendola e la formazione del gruppo comunista romano, Milano 1985, ad ind.; L. Paolozzi, Voci dal quotidiano: l'Unita' da I. a Veltroni, Milano 1994; Quel terribile 1956. I verbali della Direzione comunista tra il XX Congresso del PCUS e l'VIII Congresso del PCI, a cura di M. L. Righi, Roma 1996, ad ind.; G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo. Un'autobiografia politica, Roma-Bari 2005, ad ind.; F. Barbagallo, Enrico Berlinguer, Roma 2006, ad ind.; A. Vittoria, Storia del PCI 1921-1991, Roma 2006, ad ind.; Il Pci e lo stalinismo. Un dibattito del 1961, a cura di M. L. Righi, Roma 2007, ad ind.; L. Barca, Cronache dall'interno del vertice del PCI, 3 voll., Soveria Mannelli 2005, ad ind.; L. Benadusi, "Le riforme sono belle ma quando vengono?". Ingrao e la storia del CRS, in L'Archivio di Pietro Ingrao (2006), cit., pp. 13-40; G. Cerchia, I., dal CRS alla Presidenza della Camera dei Deputati, andata e ritorno, ibid., pp. 41-57; A. Hoebel, Il PCI di Luigi Longo (1964-1919), Napoli 2010, ad ind.; A. G. Paolino, I. e gli "ingraiani" nel PCI da Budapest a Praga (1956-1958), Alessandria 2012, ad ind.; C. Natoli, La sinistra del PCI negli anni Sessanta, in Studi Storici, LV (2014), 2, pp. 449-480; L. Lombardo Radice - C. Ingrao, Soltanto una vita, Milano 2016, passim.

7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: NAMBOUA' (UNA SUA CONFERENZA STAMPA)

L'ho sempre saputo che sarei diventato qualcuno.
Ero regazzino e gia' ce lo sapevo.
E mo' eccome qui, come un pascia'. Che mi riveriscono tutti. Ce lo sapete che e' un pascia'? E un maragia'? Siete proprio bifolchi siete, lo dicevo io. Per fortuna che ci sono io che vi guido, eh? Ve s'ereno gia' magnati se non c'ero io, eh? Eh?
Se e' un lavoro duro? E' naturale che e' un lavoro duro. Per uomini duri, no? Le pappemolli pussa via, pussa via. No? Mica sarete pappemolli pure voi, no? Eh? Scherzo, scherzo, a chi fa il bravo io gli voglio bene. Finche' fa il bravo e riga dritto.
Altroche'. Altroche'. Mica si diventa quello che so' diventato io senza fatica'. Il pelo sullo stomaco ci vuole, ve lo dico io, i chiodi, il filo spinato ci vuole. Ma quale sarto e quale parrucchiere, la baiaffa. Le bocche da fuoco. E i forni.
Se ci sono pure i dispaceri? E si capisce. Senza dispiaceri non si combina un cavolo di niente. La gente non ti capisce mai, e' il destino dei grandi uomini. Per farsi obbedire ci vuole quello che ci vuole. Funziona piu' uno schizzo di sangue che una sacchetta di calce. Ve lo dico io, ve lo dico. Il sangue e' tutto, andare a scuola non serve a niente, la gente impara solo quando vede gli schizzi di sangue.
E ci credo che ci hanno paura. Se non ci avessero paura striscerebbero come strisciano? La paura e' la chiave universale, l'attaccatutto, la bacchetta magica, il martello del mitico.
Io gia' da regazzino l'avevo capito: se non vuoi essere quello che ci ha paura e se la fa nelle brache, allora devi essere quello che gli mette paura e gliela fa sulla crapa. Eh?
E' filosofia questa, mica ceci.
Se ci ripenso che da giovane volevo fare il pittore. Poi per fortuna e' arrivata la guerra.
Se non ce so' altre domande mo' ve saluto che ci ho da fa' le tredici fatiche de Maciste. Un lider ci ha sempre un casino da fa'. Non e' che i soldi crescono sugli alberi.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Ugo Marazzi (a curadi), Testi dello sciamanesimo, Utet, Torino 1984, Tea, Milano 1990, pp. 616.
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Riedizioni
- Gianfranco Ravasi, Il libro del Qohelet, Mondadori, Milano 2020, pp. 120, euro 5,90.
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Sintesi
- Angelo Ferrillo, Laura Sarnelli, English literature, Edises, Napoli 2010, 2016, 2 voll. per pp. X + 310 (vol. I) + pp. X + 318 (vol. II), euro 9 + 9.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3713 del 18 aprile 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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