[Nonviolenza] La nonviolenza contro il razzismo. 428
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- Date: Sat, 11 Apr 2020 12:01:08 +0200
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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 428 dell'11 aprile 2020
In questo numero:
1. Prima che sia troppo tardi. Un appello
2. Una lettera da inviare al governo
3. Una lettera da inviare ai Comuni
4. Ahmed Ben Bella
5. Gustavo Bontadini
6. Erskine Caldwell
7. Teresa Claramunt
8. Enrica Collotti Pischel
9. Dolores del Rio
10. Cesare Garboli
11. Primo Levi
12. Henri-Irenee Marrou
13. François Maspero
14. Jacques Prevert
15. Dino Provenzal
16. Natalino Sapegno
17. Ljudmil Stojanov
18. Fred Uhlman
19. Federigo Verdinois
20. Kurt Vonnegut
21. Andrea Graziosi: Vittorio Foa (2012)
1. REPETITA IUVANT. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. UN APPELLO
Prima che sia troppo tardi il governo faccia uscire dalle carceri sovraffollate le persone li' ristrette e le trasferisca o nelle rispettive abitazioni o in altri alloggi adeguati in cui per quanto possibile siano anch'esse al riparo dal rischio di contagio che in tutti i luoghi sovraffollati e' enorme.
Gia' troppe persone sono morte.
Di seguito una bozza di lettera che proponiamo di inviare al Ministero della Giustizia, ed alcuni indirizzi utilizzabili a tal fine.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
*
La bozza di lettera
"Signor ministro della Giustizia,
come sa, con la fine del fascismo in Italia e' stata abolita la pena di morte, e la Costituzione repubblicana stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'".
Per contrastare l'epidemia di coronavirus e cercar di salvare vite umane sono state adottate - sia pure con grave ritardo - misure di distanziamento tra le persone, unico modo efficace di contenere il contagio.
Ma queste misure non possono essere adottate efficacemente in luoghi sovraffollati come le carceri italiane.
Cosicche' chi si trova nelle carceri italiane, come ristretto o come custode, e' esposto al piu' grave pericolo.
E' esposto al pericolo di essere contagiato e di rischiare la vita. E vive in una condizione di torturante paura senza potervi sfuggire.
E' palese che la permanenza in carcere, sic stantibus rebus, e' incompatibile con le indispensabili misure di profilassi per contenere il contagio; e' incompatibile con le norme sul cosiddetto "distanziamento sociale" (pessima formulazione con cui in queste settimane viene indicato il tenersi di ogni persona ad adeguata distanza dalle altre, volgarizzato col motto "restate a casa"); e' incompatibile con il fondamentale diritto di ogni essere umano alla tutela della propria vita.
Ne consegue che finche' l'epidemia non sia debellata occorre vuotare le carceri e - per dirla in breve - mandare tutti i detenuti nelle proprie case con l'ovvio vincolo di non uscirne.
Naturalmente vi saranno casi in cui cio' non sia possibile (i colpevoli di violenza domestica, ad esempio), ma anche questi casi particolari potranno essere agevolmente risolti con la collocazione in alberghi o altre idonee strutture in cui il necessario "distanziamento sociale" sia garantito.
Non si obietti che tale proposta e' iniqua: piu' iniquo, illecito e malvagio sarebbe continuare ad esporre insensatamente alla morte degli esseri umani.
E non si obietti che cosi' si rischia di non poter controllare l'effettiva costante permanenza in casa degli attuali detenuti: oggidi' non mancano affatto le risorse tecnologiche per garantire un efficace controllo a distanza che le persone attualmente ristrette destinatarie di tale provvedimento restino effettivamente nelle loro case (ovvero nelle abitazioni loro assegnate).
Ne' si obietti che cosi' si garantisce il diritto alla casa ai criminali mentre persone che non hanno commesso delitti ne sono prive: e' infatti primario dovere di chi governa il paese garantire un alloggio a tutte le persone che si trovano in Italia; nessuno deve essere abbandonato all'addiaccio o in una baracca, a tutte le persone deve essere garantita una casa: si cessi pertanto piuttosto di sperperare risorse pubbliche a vantaggio dei ricchi e si provveda a rispettare concretamente i diritti fondamentali di ogni persona, adempiendo ai doveri sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica italiana.
Signor ministro della Giustizia,
prima che sia troppo tardi si adottino i provvedimenti necessari per vuotare le carceri e mettere in sicurezza per quanto possibile la vita dei detenuti e del personale di custodia.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Voglia gradire distinti saluti,
Firma, luogo, data
Indirizzo del mittente"
*
Alcuni indirizzi utilizzabili
protocollo.gabinetto at giustizia.it,
fulvio.baldi at giustizia.it,
leonardo.pucci at giustizia.it,
gianluca.massaro at giustizia.it,
chiara.giacomantonio at giustizia.it,
roberto.natali at giustizia.it,
giuseppina.esposito at giustizia.it,
marcello.spirandelli at giustizia.it,
clelia.tanda at giustizia.it,
sabrina.noce at giustizia.it,
vittorio.ferraresi at giustizia.it,
andrea.giorgis at giustizia.it,
ufficio.stampa at giustizia.it,
andrea.cottone at giustizia.it,
gioele.brandi at giustizia.it,
mauro.vitiello at giustizia.it,
concetta.locurto at giustizia.it,
giampaolo.parodi at giustizia.it,
roberta.battisti at giustizia.it,
marina.altavilla at giustizia.it,
rita.andrenacci at giustizia.it,
dgmagistrati.dog at giustizia.it,
giuditta.rossi at giustizia.it,
antonia.bucci at giustizia.it,
paolo.attardo at giustizia.it,
tommaso.salvadori at giustizia.it,
daniele.longo at giustizia.it,
redazione at giustizia.it,
callcenter at giustizia.it,
*
Preghiamo chi ci legge di diffondere questa proposta anche ai mezzi d'informazione e ad altre persone di volonta' buona, associazioni ed istituzioni.
2. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO
Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI
Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.
4. MEMORIA. AHMED BEN BELLA
L'11 aprile del 2012 moriva Ahmed Ben Bella
militante anticolonialista e antirazzista
per il diritto e la liberazione dei popoli
con gratitudine lo ricordiamo.
5. MEMORIA. GUSTAVO BONTADINI
L'11 aprile del 1990 moriva Gustavo Bontadini
filosofo ed educatore
con gratitudine lo ricordiamo.
6. MEMORIA. ERSKINE CALDWELL
L'11 aprile del 1987 moriva Erskine caldwell
scrittore i cui libri ci hanno nutrito
con gratitudine lo ricordiamo.
7. MEMORIA. TERESA CLARAMUNT
L'11 aprile del 1931 moriva Teresa Claramunt
militante anarchica
con gratitudine la ricordiamo.
8. MEMORIA. ENRICA COLLOTTI PISCHEL
L'11 aprile del 2003 moriva Enrica Collotti Pischel
sinologa illustre
militante per la liberazione delle oppresse e degli oppressi
con gratitudine la ricordiamo.
9. MEMORIA. DOLORES DEL RIO
L'11 aprile del 1983 moriva Dolores del Rio attrice
la cui presenza rendeva un film indimenticabile
con gratitudine la ricordiamo.
10. MEMORIA. CESARE GARBOLI
L'11 aprile del 2004 moriva Cesare Garboli
critico letterario finissimo
acuto indagatore del cuore umano e del mondo
con gratitudine lo ricordiamo.
11. MEMORIA. PRIMO LEVI
L'11 aprile del 1987 moriva Primo Levi
il migliore dei maestri
il migliore dei compagni
con gratitudine lo ricordiamo.
12. MEMORIA. HENRI-IRENEE MARROU
L'11 aprile del 1977 moriva Henri-Irenee Marrou
fu resistente storico esimio ed uomo saggio
con gratitudine lo ricordiamo.
13. MEMORIA. FRANCOIS MASPERO
L'11 aprile del 2015 moriva François Maspero
libraio editore scrittore
militante per la liberazione di tutti i popoli e le persone tutte
con gratitudine lo ricordiamo.
14. MEMORIA. JACQUES PREVERT
L'11 aprile del 1977 moriva Jacques Prevert
il primo poeta che ciascuno incontra
con gratitudine lo ricordiamo.
15. MEMORIA. DINO PROVENZAL
L'11 aprile del 1972 moriva Dino Provenzal
docente e prolifico scrittore
perseguitato dal fascismo
con gratitudine lo ricordiamo.
16. MEMORIA. NATALINO SAPEGNO
L'11 aprile del 1990 moriva Natalino Sapegno
che ci ha insegnato a leggere e a parlare
a ricordare ed a saper chi siamo
e quali siano i doveri nostri di esseri umani
con gratitudine lo ricordiamo.
17. MEMORIA. LJUDMIL STOJANOV
L'11 aprile del 1973 moriva Ljudmil Stojanov
poeta e narratore
che denuncio' gli orrori della guerra
con gratitudine lo ricordiamo.
18. MEMORIA. FRED UHLMAN
L'11 aprile del 1985 moriva Fred Ulhman
pittore scrittore e testimone
con gratitudine lo ricordiamo.
19. MEMORIA. FEDERIGO VERDINOIS
L'11 aprile del 1927 moriva Federigo Verdinois
che ci fece conoscere letterature e autori
con gratitudine lo ricordiamo.
20. MEMORIA. KURT VONNEGUT
L'11 aprile del 2007 moriva Kurt Vonnegut
oppositore della guerra e scrittore incomparabile
con gratitudine lo ricordiamo.
21. MAESTRI. ANDREA GRAZIOSI: VITTORIO FOA (2012)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]
Vittorio Foa nacque a Torino il 18 settembre 1910, terzogenito di Ernesto Ettore (1871-1966) e di Lelia Della Torre (1883-1968).
I fratelli maggiori, Anna (1908-2006) e Giuseppe (1909-1996), emigrarono per le leggi razziali negli Stati Uniti e presero la cittadinanza americana. Giuseppe, ingegnere aeronautico, fu poi professore alla George Washington University. Anna si trasferi' col marito, l'architetto Davide Jona, a Cambridge, Massachusetts. Senza l'impegno politico, e quindi l'arresto, anche Vittorio – chiamato cosi' per celebrare la dinastia e il Risorgimento che avevano emancipato gli ebrei – sarebbe probabilmente divenuto un cittadino statunitense.
Foa stesso ha presentato la sua vita come una serie di rotture in cui la continuita', se c'e', e' espressa in esse e da esse, sottolineandone quindi l'apertura. E' una visione coerente con quella che ebbe del processo storico, che vide come "successione di ambiguita' entro le quali operano le alternative, le scelte" (Passaggi, 2000, p. 125). Di qui la passione per la politica intesa come non lasciarsi vivere e cercare invece di partecipare alla costruzione del proprio domani dando cosi' un senso al proprio essere e al proprio agire" (ibid., p. 37). Anche per questo gli fu possibile avere più vite: c'e' il Foa giovane torinese, il Foa cospiratore e poi dirigente politico della Resistenza e del Partito d'Azione, il Foa leader del movimento operaio e della nuova sinistra, e l'uomo che a settant'anni trovo' l'energia per cercare di reinventare una sinistra che sentiva in crisi terminale.
Sposato con Lisa Giua (1923-2005), nel 1945, e con Maria Teresa (Sesa) Tato', nel 2005, ebbe tre figli: Anna (1944), Renzo (1946-2009) e Bettina (1951).
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Giovinezza e antifascismo, 1910-1943
La prima vita fu agiata. Il padre, avvocato non praticante e commerciante in carbone, ammiratore di Giolitti e del progresso nazionale e liberale che aveva dato la liberta' agli ebrei, era figlio di Giuseppe (1840-1917), rabbino di Torino fino al 1903. Il culto del progresso era ancora piu' vivo nella madre, un'ebrea di Alessandria alla quale Foa fu molto legato anche perche', di salute cagionevole, fu ritirato da scuola, ed ebbe in lei, diplomata al magistero, la sua maestra. All'atmosfera famigliare contribuivano l'ammirazione per il prozio, Natale Della Torre, esule rivoluzionario a Parigi, e l'impegno dell'avvocato Vittorio Luzzatti, un parente del padre, nella difesa di Ferruccio Parri accusato dell'espatrio di Turati. L’infanzia e la prima giovinezza furono dominate dal desiderio del padre, amato ma esigente, di costruire il successo di un figlio che costringeva a "utilizzare ogni attimo della giornata" per prepararsi alle imprese che lo attendevano (Riprendere tempo, 1982, p. 99). Foa ne senti' il peso, e vide poi nella politica anche la liberazione da un tempo scandito dall'alto e dall'esterno.
Il naufragio del Titanic, e soprattutto quello dell'Europa nella grande guerra, furono i suoi primi ricordi, e al primo conflitto mondiale assegno' poi un ruolo cruciale nella sua lettura del XX secolo. A otto anni scrisse una breve storia della rivoluzione russa con Lenin e Trockij che "ammazzavano la gente senza pieta'", e Kerenskij e i liberali "simpaticissimi... ma terribilmente scarognati" (Lettere della giovinezza, 1998, pp. 514 s.). L'immagine della Camera del Lavoro devastata e incendiata dai fascisti, e soprattutto l'omicidio Matteotti, ribaltarono pero' il segno del suo schieramento.
Al liceo D'Azeglio, che frequento' con discontinuita', ebbe tra i suoi compagni Giancarlo Pajetta, arrestato e processato dal Tribunale speciale, che suscito' in lui per la prima volta ammirazione per il coraggio e la determinazione dei comunisti. Fece allora grandi letture, alimentate dal catalogo delle edizioni Gobetti, piu' di 100 volumi che andavano da Luigi Sturzo a John Stuart Mill, dallo stesso Gobetti a Goethe, lesse Marx, e comincio' a frequentare la montagna, destinata a giocare un ruolo importante nella sua vita.
Dopo la maturità decise di fare subito il servizio militare. Fu prima soldato e poi sottotenente di complemento nel reggimento del principe ereditario, di cui frequento' l'ambiente. Il rapporto con l'Universita' non fu quindi stretto. Si laureo' comunque giovanissimo in legge nel 1931 con una tesi su Il criterio differenziato fra la diffamazione e l'ingiuria nel nuovo codice penale, "senza sapere nulla di diritto" (Riprendere tempo, 1982, p. 99). Questo anche perche' sentiva piu' forte l'attrazione per la questione operaia, concretizzata dall'incontro con la rivista I problemi del lavoro, con cui Rinaldo Rigola e Ludovico D'Aragona fiancheggiavano l'esperimento corporativo mantenendo tuttavia un "linguaggio del tutto estraneo allo stile fascista" (Il cavallo e la torre, 1991, p. 36). A essa Foa mando' il suo primo articolo, in cui sosteneva che i salari potevano aumentare solo a scapito del profitto o di altri settori dell'economia. Fu influenzato anche della rivista clandestina Voci d'Officina (1931), fondata da Aldo Garosci e di ispirazione operaistica e gobettiana.
Nel 1933 Leone Ginzburg, alla cui memoria e famiglia rimase sempre legato, gli chiese se voleva partecipare all'attivita' clandestina di Giustizia e Liberta'. Avrebbe poi ricordato come "la scelta della cospirazione" fosse stata "determinata dalla insopportabilita' di una vita tutta gia' decisa, dal bisogno sempre piu' imperioso di decidere io stesso il mio futuro", e come alla fin fine il fattore chiave che lo aveva spinto all'attivita' politica fosse stato "la cappa di noia, la coltre di stupidita'" con cui identificava il fascismo (Riprendere tempo, 1982, p. 80). I mesi dell'impegno cospirativo, sotto il nome di Marcello, furono felici: gia' influenzato dalle teorie di Gaetano Mosca, scopri' il valore della democrazia diretta, e quindi dell'azione come soluzione anche personale, basata sul rifiuto della scissione tra presente e futuro, tra mezzi e fini. Anche per questo, pur cospirando contro il fascismo, Foa e i suoi compagni rifiutarono di definirsi "antifascisti; quella espressione di pura negazione ci disturbava, ci definiva solo per negazione e disconosceva in qualche modo la nostra positivita'. Preferivamo definirci postfascisti per affermare il nostro disegno per il futuro" (Passaggi, 2000, p. 45).
Tra il 1933 e il 1934 pubblico' con lo pseudonimo di Emiliano sui Quaderni di Giustizia e Liberta' quattro articoli dedicati all'analisi del corporativismo come ideologia di un ingannevole intervento diretto dello Stato nell'economia. Nel 1934, dopo l'arresto di Leone Ginzburg e del suo gruppo, Vittorio e Michele Giua, padre di Lisa e Renzo, sottrattosi all'arresto con la fuga, presero la direzione del nucleo giellista di Torino. La loro attivita' fu stroncata con gli arresti del 15 maggio 1935, resi possibili dalla delazione di Dino Segre (in arte Pitigrilli). Con Foa furono arrestati oltre al fratello Beppe e ad altri poi rilasciati o inviati al confino (tra cui Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, Carlo Levi e Cesare Pavese), Michele Giua, Vindice Cavallera, Massimo Mila e Augusto Monti. Gli arresti furono accompagnati da una campagna antisemita e Foa, trasferito a Regina Coeli, fu condannato dal Tribunale speciale nel febbraio 1936 a 16 anni di reclusione, scontati fino al giugno 1940 nel carcere romano.
A Regina Coeli Foa e i nuovi venuti formarono con Riccardo Bauer e Ernesto Rossi un gruppo unito da forti vincoli umani e intellettuali che contribuirono a fare di quegli anni di carcere, segnati da grandi discussioni e dall'arrivo di libri, visite e pacchi di famiglie sempre vicine, anni di una Bildung testimoniata dalle piu' di 500 lettere spedite ai genitori e ai familiari piu' stretti. Tra gli autori letti e commentati si trovano economisti come Ludwig von Mises, Friedrich August von Hayek, Irving Fisher e Maffeo Pantaleoni, classici del liberalismo come John Stuart Mill, e del Risorgimento come Silvio Spaventa, Carlo Cattaneo, e Luigi Settembrini, ma anche Benedetto Croce, Adolfo Omodeo, Giolitti, e memorialistica politica, per esempio sulla prima guerra mondiale, i trattati e l'immediato dopoguerra.
Allo scoppio della guerra Foa fu trasferito a Civitavecchia, e poi nel maggio 1943 a Castelfranco Emilia, da dove fu liberato solo il 23 agosto, quasi un mese dopo la caduta del fascismo. Recatosi subito a Torino ritrovo', assieme ai famigliari, Lisa (Lisetta) Giua, con cui comincio' una storia d'amore e vita in comune destinata a durare 35 anni. Non aveva allora contatti col neonato Partito d'Azione (PdA), ma vi entro' quando il gruppo giellista ne prese in Piemonte la guida.
*
Resistenza e Partito d'Azione, 1943-1948
Lo scritto piu' importante della Resistenza e' forse I partiti e la nuova realta' italiana (la politica del CLN), del marzo 1944, in cui, sulla scorta di Mosca e Roberto Michels e riallacciandosi all'esperienza consigliare, criticava partiti e democrazia rappresentativa e auspicava che i comitati di liberazione nazionale diventassero espressione unitaria delle autonomie e di un autogoverno delle masse costruito dal basso. Il popolo al centro di questa rivoluzione non era solo quello "lavoratore" a cui lo riducevano i comunisti e Foa poneva il problema dei "ceti intermedi", produttori indipendenti, impiegati, pensionati, sbandati e contadini. Chiese dapprima l'espropriazione e la gestione diretta della Fiat da parte di commissioni di tecnici, impiegati e operai in nome della nazione. La sua attenzione si sposto' pero' presto sulla inopportunita' di un piano di nazionalizzazioni. La differenza fondamentale, sostenne, era quella tra un'economia libera, e quindi anarchica, e un'economia guidata da piano e programmazione, non quella tra economia privata e pubblica. Questa economia guidata poteva quindi comprendere un importante settore privato e sarebbe stata piu' produttiva di un'economia integralmente nazionalizzata e tesa alla completa utilizzazione delle capacita' produttive del paese, che avrebbe portato all'autarchia.
Nonostante la centralità dell'esperienza partigiana (ne Il cavallo e la torre il capitolo sulla Resistenza e' intitolato Il punto alto) non amava parlare delle esperienze vissute nel 1943-45 tra Milano e Torino. Agli amici si aggiunsero allora gli Spinelli, i Venturi e Riccardo Lombardi, e ai capi giellisti Leo Valiani, che esercito' su di lui grande fascino e autorita'. I mesi della Resistenza furono tuttavia i mesi di Lisa, partigiana comunista combattente, incinta di Anna e ricoverata sotto falso nome in ospedale, arrestata dalla banda Koch e capace di sfuggire alle sue torture. Il matrimonio fu poi celebrato nel 1945 da Ada Gobetti, vicesindaco di Torino, la quale spiego' che cio' era necessario per dare il cognome alla figlia Anna, disconosciuta alla nascita per ragioni cospirative.
Dopo la liberazione Foa contribui' a orientare la politica del PdA in senso consigliare, indicando nei comitati di liberazione aziendali i futuri consigli di fabbrica. L'esaltazione della vittoria, lo porto' pero' a sopravvalutare il ruolo delle resistenze e della "insurrezione" europea nella guerra, quasi che a sconfiggere i tedeschi fossero stati i partigiani e non le truppe alleate, il cui arrivo cambio' radicalmente la situazione. Questo mutamento, derivante dall'assoluta sproporzione delle forze in campo, e dall'indiscutibile perdita di autonomia dell'Italia, fu invece interpretato come una ripresa delle forze reazionarie, capaci di far arretrare le aspirazioni al rinnovamento.
Il pessimismo era alimentato anche dall'incapacita' di comprendere la novita' dei partiti di massa rispetto al sistema parlamentare precedente il fascismo. La loro affermazione fu quindi vista come restaurazione dell'Italia prefascista, un fraintendimento che peso' sul futuro stesso del PdA. Alla sua unificazione nell'estate del 1945, Foa entro' con Valiani, Ugo La Malfa, Emilio Lussu e Oronzo Reale nella segreteria di un partito che deteneva con Parri la guida del governo, ma si sentiva gia' in difficolta'. Queste furono confermate a novembre dalla caduta di Parri, e al congresso del febbraio 1946 dall'uscita di La Malfa e Parri da un partito una cui componente gia' guardava all'unificazione coi socialisti. Foa era invece ostile a questa ipotesi e nel suo intervento ribadi' la necessità di superare "l'antitesi tra i gruppi di interessi dotati di protezione e le grandi masse prive di protezione" (I congressi del Partito d'Azione, a cura di G. Tartaglia, Roma 1984, pp. 200 s.). Di qui la proposta di una politica economica tesa al benessere popolare, incarnatasi nella richiesta di un piano organico di lavori pubblici, che permettesse una ripresa economica capace di aiutare le masse popolari, accollando alle classi abbienti i principali costi della ricostruzione. Propose anche "la costituzionalizzazione degli obiettivi di una politica economica e sociale diretta alla redistribuzione equa della ricchezza e l'attribuzione delle relative 'garanzie costituzionali' a un'Alta Corte di Giustizia, la futura Corte costituzionale" (Vittorio Foa, sindacalista, politico, scrittore, 2010, p. 86).
Alle elezioni amministrative del 1946 il PdA subi' una dura sconfitta, confermata da quelle per la Costituente, in cui il partito elesse solo sette rappresentanti, tra cui Foa. La sua critica ai partiti di massa, forgiatisi centralisticamente per adeguarsi allo Stato che si proponevano di influenzare o conquistare, si fece allora piu' radicale. Alla Costituente, in cui si aggrego' al gruppo autonomista, si batte' per la combinazione dei diritti politici con quelli economici, apertamente teorizzati come tali in I diritti economici nella Costituzione (1947).
Nell'autunno del 1946, la preoccupazione che le agitazioni che scuotevano il paese potessero portare a una ripetizione della tragedia del primo dopoguerra spinse Lombardi a chiedere alla CGIL di rappresentare tutto il popolo lavoratore, disoccupati compresi, e non solo gli operai, e di perseguire "non solo un'azione sindacale ma una politica sindacale", che la trasformasse nel "massimo organismo politico del paese" (Lettera alla Cgil, in Scritti politici, a cura di S. Colarizi, Venezia 1978). Foa avrebbe poi definito il 1946-1947, segnato dalle convulsioni del PdA, come "uno dei periodi piu' torbidi della mia vita" (Scritti politici, 2010, XII). L'uscita di sicurezza, trovata nel 1948-1949, fu quella di mettere al centro del suo impegno "un sindacalismo militante e fortemente politico che fosse capace di incidere sui rapporti sociali e politici e di forzare il quadro politico con il quale si confrontava" (Vittorio Foa e le trasformazioni della societa' italiana, 2011, p. 103). Prima pero' visse la crisi terminale del PdA. Foa, che Valiani riteneva favorevole al PCI, in cui militava Lisa, fu dapprima favorevole a una alleanza con PSI e PCI, ma si schiero' poi con la maggioranza che decise la confluenza nel PSI.
L'amarezza per la sconfitta dell'aprile 1948 e per il sorpasso comunista nei confronti del PSI, porto' gli ex azionisti a partecipare alla fondazione della corrente Riscossa socialista che contestava a Pietro Nenni e Rodolfo Morandi la subordinazione ai comunisti. Nenni, sconfitto, riconquisto' pero' presto il partito. Il sindacato divenne allora la casa di un Foa deluso dai partiti, e capace grazie a esso di sfuggire almeno in parte alla logica di schieramento di quegli anni, limitandosi a episodiche esaltazioni dello stachanovismo. Anche per lui, tuttavia, la parte giusta era quella dominata dai comunisti, alla cui influenza non gli sarebbe stato del resto facile sfuggire viste le sue vicende politiche e sentimentali.
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Operai e sindacato, 1949-1969
Nell'autunno 1949, eletto vicesegretario confederale e responsabile dell'ufficio studi della CGIL, si trasferi' a Roma con la famiglia. L'incontro con Giuseppe Di Vittorio, poi definito un maestro, fu facilitato dalla tradizione sindacalista rivoluzionaria da cui questi proveniva. Foa e Bruno Trentin, chiamato a collaborare all'ufficio studi, trovarono in lui un dirigente convinto, come loro, che il sindacato non fosse "solo un soggetto sociale ma politico, libero, autonomo, democratico, non unico ne' obbligatorio e soprattutto unitario" (Vittorio Foa, sindacalista, politico, scrittore, 2010, p. 64).
Con Trentin frequentavano allora casa Foa Luciano Romagnoli, gli Steve, i Giolitti, i Balbo, Ada Gobetti, Natalia Ginzburg, Riccardo Lombardi e Fernando Santi, cui si aggiunsero in seguito gli Sclavi, i Giovannini e altri esponenti della sinistra sindacale. La figura dominante era quella di Lisa, che andava costruendo forti contatti internazionali, dai marxisti americani Paul Baran e Paul Sweezy ai dirigenti dei partiti comunisti e dei movimenti di liberazione nazionale, conosciuti anche grazie a Rinascita, ai protagonisti della dissidenza est-europea, entrati prepotentemente in casa Foa alla fine degli anni Sessanta. Vittorio, spesso in giro per l'Italia, portava alla famiglia la sua energia e la sua curiosita', e i suoi fratelli ormai statunitensi vi portarono, con le loro visite e i loro pacchi, la cultura e il nuovo modello di vita americani. Anche se non mancavano i libri sulla Shoah, a cominciare da quelli del parente Primo Levi, si prestava tuttavia poca attenzione all'ebraismo. C'era certo la coscienza che "eravamo ebrei", ma Vittorio si definiva un ebreo assimilato e "i discorsi d'identita' in se' lo interessavano poco, gli sembravano banali" (ibid. , pp. 118 s.).
Arrivato alla CGIL, si occupo' del Piano del lavoro, che mirava a uno sviluppo fondato sul pieno impiego, i bisogni popolari e una forte domanda pubblica. L'avvio del "miracolo economico" era fuori dell'orizzonte di una sinistra convinta, sulla scorta delle analisi staliniane e del ricordo della crisi del 1929, che il capitalismo fosse incapace di riprendersi: ancora nel maggio 1953 Foa sostenne che "il sistema produttivo italiano" attraversava "un periodo di stagnazione e di indebolimento dei fattori di progresso e sviluppo" (Vittorio Foa e le trasformazioni della societa' italiana, 2011, p. 97). In quello stesso anno fu eletto parlamentare per il PSI, un mandato rinnovato nel 1958 e poi ancora nel 1963. Nel 1955 venne la sconfitta della FIOM nelle elezioni per le commissioni interne alla Fiat, cui Di Vittorio rispose con un'autocritica coraggiosa – la colpa era del sindacato, non degli operai che la CGIL non conosceva piu' – avviando cosi' una nuova stagione sindacale basata sulla scelta di ripartire dalla condizione operaia e dalla contrattazione aziendale. Foa fu allora mandato con Agostino Novella a dirigere la FIOM, che oriento' in base all'idea che fosse necessario capire cosa era diventata la fabbrica in modo da poter dare nuove basi all'iniziativa operaia.
Alla FIOM resto' solo due anni, fino alla morte di Di Vittorio nel 1957, ma l'impulso che gli diede fu sufficiente a lanciare il ripensamento della sinistra sulla realta' del capitalismo, che ebbe luogo tra il dibattito del 1956 su Lavoratori e progresso tecnico e il convegno dell'Istituto Gramsci sulle Tendenze del capitalismo italiano del 1962. Soprattutto, la svolta del 1955 capovolse "la legittimazione dell'azione operaia", che non era piu' fatta dipendere dall'organizzazione e dalla politica, ma fatta salire dalla classe (ibid., p. 100). Foa si avviava cosi' a diventare il teorico dell'autonomia operaia, una posizione che gli diede grande visibilita' nella nuova sinistra che stava emergendo anche grazie alla denuncia chrusceviana dei crimini di Stalin al XX congresso.
I Foa sostennero la svolta sovietica, convinti che essa aprisse una stagione segnata dalla ricerca di un nuovo socialismo. Questa ricerca si incarno' allora nel Mondo operaio di Raniero Panzieri e si manifesto' al congresso socialista di Venezia del 1957, in cui Foa riporto' alle elezioni per il Comitato centrale piu' voti di Nenni, accusato di aprire a un accordo con la DC. Foa, che a fine anno entro' nella segreteria della CGIL, pubblico' su Mondo operaio un articolo, Il neocapitalismo e' una realta', con cui assumeva la guida intellettuale della nuova sinistra sindacale per la sua capacita' di guardare in faccia la realta' che il boom economico andava disegnando, e per i duri attacchi subiti per questo dalla stampa comunista. Negli anni successivi Foa e Panzieri avrebbero continuato a collaborare, prima nella corrente Sinistra socialista, fondata nel 1959, e poi in Quaderni Rossi, che apri' nel 1961 il suo primo numero con un editoriale dello stesso Foa, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, che ne allargo' la fama negli ambienti internazionali della nuova sinistra.
Nella testimonianza di chi gli era vicino, Foa era allora "un uomo duro, rigoroso, spesso spigoloso" (Vittorio Foa, sindacalista, politico, scrittore, 2010, p. 32). Tesi, oltre che con i nenniani, o Pertini, erano i suoi rapporti con Lelio Basso, e tesi divennero anche i rapporti con Panzieri. Il conflitto fu innescato dagli scontri del luglio 1962 a Piazza Statuto, che la CGIL e il PCI denunciarono come teppismo antioperaio. Panzieri, pur non portandone la responsabilita', aveva invece cercato di comprenderne le ragioni e aveva criticato il sindacato, una critica che Foa mal sopporto'.
Appoggio' la svolta operata dalla Cassa per il Mezzogiorno nel 1959 in favore di investimenti industriali spesso affidati all'industria di Stato. Dopo aver votato nel 1962 per il programma economico presentato da Lombardi al Comitato centrale, e per il governo Fanfani, che il PSI appoggio' dall'esterno, si schiero' pero', insieme ai sindacalisti della sinistra socialista, contro il centrosinistra in nome di un socialismo che fosse al contempo contro il capitalismo e il comunismo filosovietico. Divenne cosi' uno dei fondatori del PSIUP (Partito socilista italiano di unita' proletaria), che ebbe pero' vita breve e difficile: nel 1968 esplosero le contraddizioni tra la sua ala filosovietica, che appoggio' l'invasione di Praga, e l'anima libertaria, cui apparteneva Foa, che in quei mesi fu l'unico importante dirigente della Resistenza a schierarsi con i movimenti giovanili. Lo fece pero' difendendo la CGIL, come testimonio' nel 1969 la normalizzazione da lui imposta allo PSIUP di Torino, diretto da Pino Ferraris.
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La tempesta degli anni Settanta
Al congresso della CGIL del luglio 1969, Foa – impegnato nella battaglia per la riforma delle pensioni e contro le gabbie salariali – fu uno dei piu' convinti sostenitori dell'unita' sindacale. A quello successivo, che elesse Lama segretario, annuncio' il suo distacco dal sindacato, motivando la sua scelta con l'eta' e ragioni di salute. Non era certo sua intenzione dedicarsi al lavoro di partito, ma l'abbandono delle cariche sindacali avrebbe segnato l'inizio del suo ritorno dopo vent'anni alla politica attiva. Pensava di inaugurare un nuovo ciclo della sua vita, dedicato allo studio della storia, di cui il contributo alla Storia d'Italia Einaudi sulle lotte operaie e sindacali in Italia (1973) fu uno dei primi frutti. Vi si leggeva tra l'altro che "fin dai loro inizi [esse] presentano forti elementi di autonomia, non seguono passivamente ne' le leggi del mercato ne' la disciplina politica, ma si costruiscono sull'autocoscienza della condizione di lavoro e dei bisogni" (p. 1787). La risonanza di queste tesi nell'Italia dei primi anni Settanta fu enorme e il Foa che salutava in nome dei bisogni la rottura del rapporto tra paga e rendimento rafforzo' la sua posizione di teorico principale dell'autonomia operaia, nel cui nome giunse a criticare aspramente lo Statuto dei Lavoratori.
Totale fu, al contrario, l'appoggio dato ai consigli di fabbrica, in cui Foa vide un importante esperimento di democrazia diretta, e di cui il suo amico Trentin fu il dirigente sindacale di riferimento. Ma se questi vi vedeva le istanze di base di un nuovo sindacato unitario, Foa rivendico' la loro autonomia anche rispetto al sindacato, scorgendovi i soggetti di un nuovo movimento di massa, tra il sindacale e il politico, proiettato all'esterno della fabbrica. Fu questa la fase piu' estremista della vita di Foa, trasportato dalle lotte operaie e sindacali. Le sue teorie attirarono l'attenzione dei giovani economisti della neonata facolta' di economia di Modena, dove era gia' iscritta la figlia Bettina, e dove Foa contribui' a organizzare nel 1973 e 1974 due brevi corsi di economia, intitolati L'attuale situazione economica e le scelte di fronte al movimento operaio, rivolti a militanti e potenziali studenti di tutto il paese.
Intanto si era consumata la crisi dello PSIUP, il cui gruppo dirigente, dopo la sconfitta alle elezioni del 1972, entro' in maggioranza nel PCI. Insieme ad altri leader della sinistra sindacale, Foa fondo' invece il Partito di Unita' proletaria, il PdUP, che nel 1974 si uni' al Manifesto, aggiungendo al suo nome un "per il comunismo" che Foa osteggio'. Base della piattaforma politica del partito era l'idea che nel 1972-73 l'iniziativa operaia aveva subito una sconfitta; il governo delle sinistre, reso possibile dall'onda lunga delle lotte degli anni precedenti, diventava cosi' il rimedio politico a una situazione non piu' positiva. Nel 1974-75 Foa credette fortemente a questa ipotesi. Nel 1976, eletto a Milano e Napoli, si dimise a favore di candidati di Avanguardia operaia e Lotta continua, una scelta che fu criticata, provocandogli amarezza. Soprattutto, il recupero democristiano, la polarizzazione dell'elettorato tra DC e PCI e i passi in direzione di un accordo tra i due partiti maggiori posero fine alle sue speranze, accentuandone il pessimismo. Dapprima rispose rifugiandosi in una crescente radicalita', che lo lasciava pero' insoddisfatto. Come avrebbe in seguito ricordato, "si chiudeva una fase lunga e importante della mia vita, che mi era sempre apparsa come uno sviluppo logico dell'impegno politico e morale della mia giovinezza. Vivevo male quella crisi, non ero capace di governarla, mi sembrava finisse un intero mondo con tutte le sue presenze e le sue voci" (Passaggi, 2000, p. 28).
Nel 1976, sotto il peso della contestazione femminista alla logica operaista, si era sciolta Lotta continua, in cui militava la moglie Lisa, con la quale si stava consumando una rottura dolorosa. La ferita era profonda, e agli amici il Foa del 1980, su cui pesavano interrogativi politici, intellettuali e ideali radicali, apparve provato, anche fisicamente. Come avrebbe dichiarato a Carlo Ginzburg, il suo ripensamento ebbe poco a che fare col caso Moro o il terrorismo, condannabili anche da una prospettiva politica tradizionale di sinistra (Dialogo, 2003, p. 21). I fattori fondamentali furono piuttosto il femminismo e i nuovi movimenti del 1977: il primo perche' recideva le radici teoriche dell'ipotesi che aveva affidato le prospettive della liberazione collettiva all'evoluzione del rapporto capitale-lavoro; i secondi perche' con la loro contestazione ai sindacati segnavano "la sconfitta dell'operaismo vincente nel 1969" (Il cavallo e la torre, 1991, p. 304).
Il 1979 e la sconfitta elettorale della sinistra accelerarono la svolta. A fine anno un Foa personalmente, politicamente e intellettualmente scosso, decise di rispondere alla crisi "con il silenzio. Decisi di tacere per quattro anni e ci riuscii" (Passaggi, 2000, p. 104). Quel silenzio politico divenne l'incubazione di una "fantastica vecchiaia" durata 30 anni, e resa possibile proprio da quell'atto di rottura e rinascita (Vittorio Foa, sindacalista, politico, scrittore, 2010, p. 38). All'inizio esso coincise pero' con una tempesta, causata dalla "vastita' della devastazione delle lunghe certezze della mia vita" (La politica e la persona, 1986, pp. 71 s.). Anche per questo lo studio della storia gli apparve come un appiglio sicuro, rafforzando l'idea che bisognasse cercare nel passato le risposte alle domande del presente. Era una reazione simile a quella di altri intellettuali, tra cui molti amici di Giustizia e Liberta' nel dopoguerra, e di dirigenti politici americani ed europei che amici sarebbero diventati, come Edward Palmer Thompson e David Montgomery, dopo la scossa del 1956. Proprio dagli studi di Thompson Foa prese una categoria, quella di "tempo", che gli parve per alcuni anni il concetto capace di ridurre di nuovo tutto a unita', sostituendo l'ormai improponibile "centralita' operaia". Il tempo era infatti centrale sia per gli operai sia per le donne e i giovani, e puntare su di esso sembrava rendere possibile il superamento della visione del lavoro come valore fondante.
Nel 1980, sempre citando Thompson, Foa vanto' il possibile contributo della storia sociale nella ricerca di vie d'uscita dalla crisi di un movimento operaio che, bloccato nei dogmi ideologici e chiuso nelle istituzioni, non era in grado di leggere la realta'. Si trattava di una visione della storia sociale molto vicina a quella ormai da qualche anno dominante a livello internazionale, forte di una chiara ed esplicita ispirazione (e aspirazione) politica. Tuttavia, la sinistra storiografica italiana, impegnata sul fronte di una storia sociale diversa, non amo' la sua proposta. Nel 1981 il manoscritto della sua Gerusalemme rimandata fu respinto dal comitato dei lettori della Rosenberg & Sellier. Il libro fu poi pubblicato, in una versione radicalmente rimaneggiata, nel 1985 ma anche allora non ebbe successo. Pose pero' le basi della rinascita, intellettuale e politica di Foa, che lo considero' sempre il suo libro piu' caro, e tormentato.
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La nuova vita, 1981-2008
Sempre nel 1981 Foa e Pietro Marcenaro decisero di scrivere insieme un libro-intervista. Foa vi ritorno' sulla "tempesta" in cui viveva e che investiva "strumenti di analisi, modelli culturali e progetti di trasformazione praticati per decenni (marxismo, socialismo)", parlando del suo "bisogno di salvare dalla liquidazione quello che del mio passato sembra a me un nucleo coerente". Per farlo, aggiunse, occorreva "interrogare il passato e verificarne la continuita' col presente", nonche' aprirsi al confronto coi giovani (Riprendere tempo, 1982, p. 96). Era il programma per gli anni successivi, segnati dall'impegno autobiografico e storico; dalla ricerca del dialogo, specie, ma non solo, con i giovani; dal tentativo di ripensare lo stesso significato e i contenuti della sinistra, modificandone la cultura; e da uno sguardo rivolto al futuro.
Il suo rientro nel dibattito politico avvenne nel 1983, con un'intervista su L'Unita'. Nello stesso anno era tornato alla CGIL, assumendo la direzione dell'IRES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali), aveva avviato una nuova stagione di corsi universitari, e iniziato il lavoro preparatorio sulle sue memorie e la storia del XX secolo. Era anche andato a vivere con Sesa Tato' e le loro case, quella di Roma, ma soprattutto quella di Castelforte prima, e di Formia poi, divennero centri di vita e discussioni cui parteciparono nel corso degli anni con interesse e piacere centinaia di persone. L'ospitalita' dei Foa-Tato' era straordinaria e a essa contribuiva anche la trasformazione dell'atteggiamento dello stesso Foa. A Marcenaro, che gli aveva chiesto come avesse fatto a diventare "buono", rispose che era stata la sofferenza del 1976-83 a fargli capire cose nuove.
Lo sforzo di immaginare un nuovo futuro era tanto piu' grande perche' Foa vedeva la crisi delle idee che avevano motivato il suo impegno morale e politico, e sentiva che, almeno in Europa, la secolare stagione in cui era stato possibile pensare di conoscere le strade per arrivare al futuro sognato, era forse finita. Di fronte alla frana delle precedenti certezze, rifiuto' pero' di aggrapparsi all'immagine della propria "coerenza", della sua "identita'", un concetto che proprio allora stava acquistando grande peso nella politica come nella storiografia, ma che Foa non amava. Di identita' discuteva piuttosto con la figlia Anna che, convertitasi all'ebraismo, lo costrinse a riflettere sui suoi rapporti con esso. La sua posizione gli parve ben riassunta da una frase di Freud che aveva dichiarato di essere "completamente estraniato dalla religione dei suoi padri, come da tutte le altre religioni", e di non riuscire a condividere gli ideali nazionalisti, ma anche di sentirsi "nella sua essenza un ebreo che non desidera cambiare questa sua natura" (prefazione all'edizione in ebraico di Totem e Tabu', 1930).
Chi si recava a discutere con Foa era colpito da conversazioni che non ruotavano mai su di lui e i suoi interessi, ma erano piuttosto animate dal suo interesse per la vita, i pensieri e le idee di chi gli parlava. Questi dialoghi contribuirono a libri importanti, come quello di Claudio Pavone sulla Resistenza come guerra civile, o la storia d'Italia di Paul Ginsborg. Altri divennero libri a due mani, ma i piu' rimasero solo conversazioni, di cui tantissime furono quelle con i giovani. La liberta', la storia, la politica, il lavoro, il futuro erano i temi principali di questi dialoghi, animati dalla tensione tra il valore dell'autonomia e quello della solidarieta', tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, dall'anti-determinismo di Foa e dalla sua allergia alle ideologie. Questa tensione era pero' declinata in modo nuovo. Nel 1984, per esempio, quando Foa si pronuncio' contro il referendum sulla scala mobile, il figlio Renzo, caporedattore e poi direttore de L'Unita', si accorse di aver a che fare con una persona passata "dalla 'critica di sinistra' al partito nel quale militavo... a una contestazione moderata, oggi si direbbe riformista" (Noi europei, 2008, pp. 78-80).
Nel 1986 pubblico' con Laura Balbo e Antonio Giolitti due libri dedicati a "una possibile reinvenzione della sinistra". L'anno successivo fu eletto senatore per la Sinistra indipendente, una carica che uso' per dare piu' forza alle sue posizioni e accelerare la crisi dei dogmi della sinistra, come auspico' nelle lezioni tenute a Camerino nel 1988 (Le autonomie e il lavoro). Cerco' anche di influenzare l'evoluzione del PCI, per "rendere possibile a un pezzo importante della societa' italiana di non autoescludersi da una partecipazione diretta al governo della Repubblica» (Passaggi, 2000, p. 136). I suoi sforzi furono perO' ostacolati dall'esplosione del mito gorbaceviano, che ridiede forza all'idea della diversita' comunista.
Nel 1989-91, come buona parte della sinistra non comunista, anche Foa credette che la liquidazione del comunismo fosse foriera di promesse per il rinnovamento della Sinistra. Tuttavia, presto scopri' che con l'URSS e il socialismo reale affondava anche buona parte del bagaglio e della storia di quest'ultima. L'afasia intellettuale di tanti dirigenti comunisti gli fece capire che le speranze di rinnovamento non erano di facile realizzazione. Si rafforzo' allora in lui la convinzione che la parabola del movimento operaio, e del socialismo, tradizionali fosse entrata nella sua fase terminale. Nel 1992 annoto' che "la stessa parola 'sinistra'" era diventata "un feticcio, un robusto reticolato in difesa dell'esistente" e che le "vecchie parole", pur possedendo "una loro verita'", erano diventate "ormai marginali, o almeno molto parziali, sempre piu' parziali" (Passaggi, 2000, pp. 46, 109).
L'anno precedente aveva appoggiato la guerra in Iraq, e nel 1995 arrivo' l'incoraggiamento a Gianfranco Fini che a Fiuggi annunciava il superamento del MSI, posizioni che gli attirarono le critiche dei suoi vecchi compagni con i quali pero' non cesso' di discutere. Il dialogo continuo' anche con Renzo che, riflettendo sul comunismo, si era avvicinato alla destra, una posizione che Foa non condivise, ma di cui cerco' di capire le ragioni. Cio' non gli impedi' tuttavia di unirsi alle proteste contro i governi Berlusconi, che attacco' nel suo ultimo intervento a una manifestazione pubblica nel 2002.
Pur confessando di essere annoiato dalla discussione su destra e sinistra, continuo' a riflettere sul significato di quest'ultima, e lo fece in particolare preparando per la pubblicazione le lettere spedite dal carcere. In esse ritrovo' le radici del liberalsocialismo parzialmente offuscato dalle scosse della seconda guerra mondiale, e riaffermato con radicalismo crescente dopo la svolta del 1977-83. Alla difficolta' di trovare, nelle nuove condizioni, "un senso al presente pensando al futuro" (Passaggi, 2000, p. 9), dedico' gli ultimi anni della sua lunghissima vita, allietata nel 2005 dalle nozze con Sesa. Due anni prima era uscito un suo colloquio con Carlo Ginzburg, l'ultimo scritto significativo della sua battaglia per trasformare la cultura politica di una sinistra di cui aveva elaborato una nuova definizione: "Non solo io ma gli altri, non solo qui ma altrove, non solo oggi ma domani" (Vittorio Foa sindalista, politico, scrittore, 2010, p. 44).
Mori' a Formia il 20 ottobre 2008.
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Opere
Scritti autobiografici: Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Torino 1991; Scelte di vita: conversazioni con Giovanni De Luna, Carlo Ginzburg, Pietro Marcenaro, Claudio Pavone, Vittorio Rieser, a cura di A. Ricciardi, ibid. 2010 (tenute a meta' degli anni Ottanta per preparare Il cavallo e la torre).
Filmografia: Nostalgia del Futuro - In viaggio con Vittorio Foa, di P. Medioli, 2003 (http://www.cinemaitaliano.info/nostalgiadelfuturo); Per esempio Vittorio, di P. Medioli, 2010 (http://www.cinemaitaliano.info/peresempiovittorio).
Raccolte di scritti: La cultura della CGIL: scritti e interventi 1950-1970, Torino 1984; Lavori in corso 1943-1946, a cura di F. Montevecchi, ibid. 1999; Scritti politici. Tra giellismo e azionismo (1932-1947), a cura di A. Ricciardi, ibid. 2010.
Opere scelte (vedi anche http://www.vittoriofoa.unimore.it/site/home/bibliografia.html): La "crisi fiduciaria" e gli alti salari, in I Problemi del lavoro, 1932, n. 9, pp. 14 s.; I partiti e la nuova realta' italiana. La politica del C.L.N., in Quaderni dell'Italia libera, marzo 1944 (sotto lo pseudonimo di Carlo Inverni); Il piano economico della CGIL per il risanamento dell'economia nazionale, conferenza tenuta al cinema-teatro Carcano, Milano 1949; Il neocapitalismo e' una realta', in Mondo Operaio, 1957, n. 5 (poi in La cultura della CGIL cit., pp. 41-44); La CGIL di fronte alle trasformazioni tecnologiche nell'industria italiana, con B. Trentin, in Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo, Milano 1960; Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in Quaderni Rossi, 1961, n. 1, pp. 1-17; Alcune indicazioni per una lotta politica sul salario, in Giovane critica, 1971, n. 27; Sindacati e lotte sociali, in Storia d'Italia, V, I documenti, II, Torino 1973, pp. 1783-1828; Sindacati e lotte operaie. 1943-1973, ibid. 1975; Per una storia del movimento operaio, ibid. 1980; I problemi di fondo del sindacato italiano in cento anni di storia. Tre lezioni, Roma 1983; La cultura del sindacato e le sue alternative. Corso integrativo di economia del lavoro, Napoli 1985; La Gerusalemme rimandata. Domande di oggi agli inglesi del primo Novecento [1981-85], Torino 1985 (II ed., con introd. di Pino Ferraris, Torino 2009); Le autonomie e il lavoro. Le lezioni di Camerino su antifascismo e sindacato [1988], Roma 2009; Questo Novecento, Torino 1996; Passaggi, ibid. 2000.
Dialoghi e colloqui: Unire e' difficile. Breve storia del PdUP per il comunismo. Colloqui con Foa, Parlato e Pintor, a cura di R. Pellegrini - G. Pepe, Roma 1977; Riprendere tempo: un dialogo con postilla, con P. Marcenaro, Torino 1982; La politica e la persona [1983], con A. Pesce, in Inchiesta, 71-72 (1986), p. 96; Lettere da vicino. Per una possibile reinvenzione della sinistra, con L. Balbo, Torino 1986; La questione socialista. Per una possibile reinvenzione della sinistra, con A. Giolitti, ibid. 1986; Il difficile cammino del lavoro, con V. Rieser, Roma 1990; Il futuro in mezzo a noi, con F. Farinelli, ibid. 1994; Le virtU' della repubblica, con P. Ginsborg, Milano 1994; Del disordine e della liberta', con R. Foa, Roma 1995 (v. anche Noi europei. Un dialogo tra padre e figlio, ibid. 2008 con una postfazione di R. Foa); Il sogno di una Destra normale, con Furio Colombo, Milano 1995; Il silenzio dei comunisti, con M. Mafai - A. Reichlin, Torino 2002; Un dialogo, con C. Ginzburg, ibid. 2003.
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Fonti e Bibliografia
Roma, Archivio Vittorio Foa, presso Sesa Tato' (ordinato da Andrea Ricciardi, in corso di versamento all'Archivio Centrale dello Stato); Archivio Centrale dello Stato per i documenti relativi all'arresto, al processo e alla detenzione; Archivio storico della CGIL; Lettere della giovinezza. Dal carcere, 1935-1943, a cura di F. Montevecchi, Torino 1998. L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, Firenze 1947; C. Levi, L'orologio, Torino 1950; A. Gobetti, Diario partigiano, Torino 1956; N. Ginzburg, Lessico famigliare, Torino 1963; A. Foa - D. Jona, Noi due, Bologna 1997; L. Foa, e' andata cosI', Palermo 2004; Vittorio Foa. Sindacalista, politico, scrittore, Roma 2010; Vittorio Foa e le trasformazioni della societa' italiana, a cura di A. Andreoni - E. Pugliese, Roma 2011.
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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 428 dell'11 aprile 2020
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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