[Nonviolenza] La nonviolenza contro il razzismo. 380



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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 380 del 7 febbraio 2020

In questo numero:
1. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
2. One Billion Rising 2020: Partecipa con noi all'evento mondiale di febbraio
3. Lorenzo Milani: Lettera ai giudici

1. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

2. INIZIATIVE. ONE BILLION RISING 2020. PARTECIPA CON NOI ALL'EVENTO MONDIALE DI FEBBRAIO
[Da "One Billion Rising" (per contatti: obritalia at gmail.com) riceviamo e diffondiamo]

Buongiorno,
vi scriviamo perche' anche quest'anno One Billion Rising vuole far sentire la propria voce contro la violenza. A febbraio, in particolare nella settimana di San Valentino, saremo insieme nelle strade, nelle piazze, nei teatri, nelle scuole d'Italia e di tutto il mondo per manifestare contro ogni violenza e discriminazione, con ogni espressione artistica: danza, musica, teatro, lettura, proiezioni, ecc.
Un evento mondiale che si svolge ogni anno in 200 paesi del pianeta, mobilitando un miliardo di persone unite nell'affermare una cultura della liberta', del rispetto e della solidarieta', linfa vitale per una rivoluzione pacifica e arma contro ogni violenza.
In particolare quest'anno in Italia vogliamo sensibilizzare le persone e le istituzioni sull'importanza dei centri antiviolenza nell'accogliere e restituire una vita alle donne vittime di abusi e sulla necessità di sostenere e garantire continuità ai centri che operano con professionalita'. A questo tema importantissimo vogliamo aggiungere anche l'importanza di credere, tutti noi e le istituzioni, alle donne vittime di violenza, per dare loro la possibilita' di ricominciare. Per focalizzarci su questi due temi, proponiamo di associare alle manifestazioni artistiche, alcune letture (in calce trovate alcuni suggerimenti). In particolare abbiamo pensato anche alla lettura in pubblico di storie di donne (ne stiamo raccogliendo alcune e ve le manderemo via mail mantenendo l'anonimato o potete scegliere di raccontarne altre). E' importante dar voce alle loro testimonianze per ricordare alle persone che l'abuso e le violenze sulle donne sono una tragica realta' che riguarda tutti noi. Ci sono delle donne, ci sono famiglie dietro i dati statistici e ci sono tante persone e strutture che lavorano per costruire un percorso di "rinascita" che vanno sostenuti.
Per questo vi chiediamo di partecipare a One Billion Rising 2020 con un evento, un momento di incontro da organizzare nella vostra citta', nelle piazze, nelle scuole, nei teatri diffondendo la notizia e coinvolgendo più persone possibili. Poiche' il 14 febbraio 2020 sara' venerdi', gli eventi potranno essere organizzati anche nei giorni precedenti e successivi.
Per facilitare l'organizzazione dell'evento vi inviamo alcune semplici indicazioni da seguire.
- Iscrizione al sito per segnalare il tuo evento: clicca su http://bit.ly/Registra_il_t uo_evento_sulla_pagina_interna zionale_OBR e invita altre associazioni, gruppi, persone a partecipare... piu' siamo, meglio e'!
I nostri riferimenti: vi chiediamo di seguirci sui social, condividere i contenuti e invitare i propri contatti a fare lo stesso, cosi' da diffondere anche li' il nostro messaggio. Inviateci foto, video dell'organizzazione e dell'evento.
Sito ufficiale  https://www.onebillionrising.org
Facebook https://www.facebook. com/obritalia
Instagram https://www.instagram.com/onebillionrisingitalia/
Email obritalia at gmail.com
Hashtag ufficiali: #1billionrising  #RiseInSolidarity  #RiseResistUnite
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Dal nostro sito puoi scaricare:
- Loghi ufficiali, asset social, materiali utili
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Nel corso della campagna saranno creati asset social che condivideremo con voi
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Si puo' organizzare un flash mob durante l'evento del 14 febbraio o nei giorni vicini, seguendo la canzone Break the chain e il tutorial ufficiale http://youtu.be/_U5C ZfPydVA o creando una  nuova coreografia. L'evento One Billion Rising puo' essere caratterizzato da performance artistiche di ogni genere e da momenti di lettura.
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Per quanto riguarda le autorizzazioni, bisogna affiggere un avviso pubblico di ripresa video nei luoghi in cui viene organizzata la manifestazione e, se si vogliono riprendere e/o intervistare le persone presenti, suggeriamo di chiedere loro di firmare una liberatoria cosi' da poter usare i video sui siti web, social e per eventuali montaggi.
Dal nostro sito puoi scaricare:
Autorizzazione riprese, liberatorie per l'utilizzo delle riprese di persone
- Avviso Pubblico riprese
- Autorizzazione Copyright (al momento del 2019, in arrivo autorizzazione 2020)
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Per quanto riguarda le letture, oltre a I Monologhi della Vagina di seguito troverete, come suggerimento, alcuni testi della fondatrice di One Billion Rising, Eve Ensler:
- "L'Ufficio della schiavitu' sessuale" http://bit.ly/uffici o_della_schiavitu_sessuale
- "L'insurrezione" http://bit.ly/insurrezione
- "La mia rivoluzione" http://bit.ly/la_ mia_rivoluzione
- "Preghiera di un uomo" http://bit.ly/preghiera_ di_un_uomo
- "Fino a quando" http://bit.ly/fino_a_quando
- "E poi saltavamo" http://bit.ly/e_poi _saltavamo
- la traduzione di M.G. Di Rienzo del brano musicale "Break the chain" credits Tena Clark - Musiche Tena Clark/Tim Heintz http://bit.ly/traduzione_testo _BreakTheChain
- qui se volete potete trovare altre idee: https://www.onebillionrising.org
Per dichiarare l'adesione e ricevere maggiori informazioni o inoltrare richieste potete scriverci al seguente indirizzo: obritalia at gmail.com
Grazie per tutto quello che potrete fare! #RiseInSolidarity
Un abbraccio
Il team di One Billion Rising Italia

3. MAESTRI. LORENZO MILANI: LETTERA AI GIUDICI
[Riproponiamo la "Lettera ai giudici" del 18 ottobre 1965 di don Lorenzo Milani, che insieme alla precedente "Lettera ai cappellani militari toscani..." e ad altri materiali conflui' nel volume degli atti del processo a don Milani L'obbedienza non e' piu una virtu'. E' un testo capitale, come tutti sanno, che ad ogni lettura di nuovo t'illumina e fortifica. Oggi si puo' leggere ell'edizione critica di tutte le opere del priore di Barbiana: Don Lorenzo Milani, Tutte le opere, Mondadori, Milano 2017, vol. I, pp. 939-961.
Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: don Lorenzo MIlani, Tutte le opere, Mondadori, Milano 2017 (finalmente disponibile, e' l'accurata e integrale edizione di riferimento lungamente attesa). Edizioni delle opere singole: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Altri testi e documenti ha pubblicato ancora la Lef (Il catechismo di don Lorenzo; Una lezione alla scuola di Barbiana; La parola fa eguali). Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta', supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. E ancora: Gerlando Lentini, Don Lorenzo Milani servo di Dio e di nessun altro, Gribaudi, Torino 1973; Giampiero Bruni, Lorenzo Milani profeta cristiano, Lef, Firenze 1974; Renato Francesconi, L'esperienza didattica e socio-culturale di don Lorenzo Milani, Cpe, Modena 1976; Piero Lazzarin, Don Milani, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1984; Francesco Milanese, Don Milani. Quel priore seppellito a Barbiana, Lef, Firenze 1987; Giuseppe Guzzo, Don Lorenzo Milani. Un itinerario pedagogico, Rubbettino, Soveria Mannelli 1988; Giovanni Catti (a cura di), Don Milani e la pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1988, 1990; Francuccio Gesualdi, Jose' Luis Corzo Toral, Don Milani nella scrittura collettiva, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1992.Tra i testi apparsi di recente: Domenico Simeone, Verso la scuola di Barbiana, Il segno dei Gabrielli, Negarine 1996; Michele Ranchetti, Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002; Mario Lancisi, Alex Zanotelli, Fa' strada ai poveri senza farti strada, Emi, Bologna 2003; Mario Lancisi, No alla guerra!, Piemme, Casale Monferrato 2005; Sergio Tanzarella, Gli anni difficili, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, 2008; Jose' Luis Corzo Toral, Lorenzo Milani. Analisi spirituale e interpretazione pedagogica, Servitium, Sotto il Monte (Bergamo) 2008; Frediano Sessi, Il segreto di Barbiana, Marsilio, Venezia 2008; Sandra Gesualdi e Pamela Giorgi (a cura di), Barbiana e la sua scuola. Immagini dall'archivio della Fondazione Don Lorenzo Milani, Inprogress-Aska - Fondazione Don Lorenzo Milani, Firenze 2014]

Barbiana, 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch’io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza.
La malattia è l’unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa è proprio l’accusa che mi si fa in questo processo. Ma esso non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.
Una precisazione a proposito del difensore. Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore d’ufficio di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo può promettere nè come avocato nè come uomo.
Ho capito le sue ragioni e non ho insistito.
Un’altra precisazione a proposito della rivista che è coimputata per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera incriminata fin dal 23 febbraio.
Solo successivamente (6 marzo) l’ha ripubblicata "Rinascita" e poi altri giornali.
È dunque per motivi procedurali cioè del tutto casuali ch’io trovo incriminata con me una rivista comunista.
Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse d’altri argomenti. Ma essa non merita l’onore d’essersi fatta bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non violenza.
Il fatto non giova alla chiarezza cioè alla educazione dei giovani che guardano a questo processo.
Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa.
Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola.
Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno. 365 giorni l’anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell’orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.
La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapete che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme.
Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio di un giornale. Si presentava come un "Comunicato dei cappellani militari in congedo della regione toscana". Più tardi abbiamo saputo che già questa dizione è scorretta. Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale di 120. Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano, pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che non è stato invitato e che è sdegnato della sostanza e della forma del comunicato.
Il testo è infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola "espressione di viltà".
Il Prof. Giorgio Peyrot dell’Università di Roma sta curando la raccolta di tutte le sentenze contro obiettori italiani.
Mi dice che dalla liberazione in qua ne sono state pronunciate più di 200. Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna ha trovato la parola viltà o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato espressioni di rispetto per la figura morale dell’imputato. Per esempio: "Da tutto il comportamento dell’imputato si deve ritenere che egli sia incorso nei rigori della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino, 19 dicembre 1963, imputato Scherillo; 3 giugno 1964, imputato Fiorenza). In tre sentenze del T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare valore morale e sociale (19 ottobre 1953, imputato Valente; 11 gennaio 1957, imputato Perotto; 7 maggio 1957, imputato Perotto). Allego il testo completo dei risultati della ricerca che il Prof. Peyrot ha avuto la bontà di fare.
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella mia duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cos ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita.
Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande "I care". È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore" il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego".
Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe che nè le autorità civili, nè quelle religiose avevano reagito.
Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione ne vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l’unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi.
Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (utili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d’una "guerra giusta". D’una guerra cioè che fosse in regola con l’articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l’abbiamo trovata.
Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri: ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con "interviste" piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle "interviste" senza curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4 1965). La nostra lettera è stata incriminata.
Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale.
Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode che leggono i giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione.
Un mio figliolo ha per professore di religione all’Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judò. Che ha l’automobile.
Non toccava a lui chiamare "vili e estranei al comandamento cristiano dell’amore" quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui.
E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici.
A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona. La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè di senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non sono tutte giuste.
Sono vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico.
Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall’altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.
Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al processo legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge e d’obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell’imputato ed è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta.
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l’anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che sono venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore.
L’ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d’aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime!
Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente.
Vi ho fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al progresso legislativo.
Ma è poi reato?
L’assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta costituzionale "al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali". (Ordine del giorno approvato all’unanimità nella seduta del 11 dicembre 1947).
Una di queste conquiste morali e sociali è l’articolo 11: "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito a buttare tutto all’aria: all’aria buona. La storia come la insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora.
Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero ha interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che è una scorsa su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia.
È dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle guerre future.
Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano cosi bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali. A sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria”.
Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano.
I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2 % della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare. Dal ’22 al ’45 il certificato elettorale non arrivo più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel ’47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di quell’articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata.
Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata al potere.
Allora l’esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta.
Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compreso con 93.000 lire al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente figlio di poveri.
Allora l’esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza.
Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria? Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di Napoleone in Russia. Forse l’esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l’esercito inglese a Suez. Forse l’esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l’esercito russo in Polonia.
Forse l’esercito italiano al Piave. Ma non certo l’esercito italiano il 24 maggio.
Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria.
Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l’idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l’idolo cattivo (la speculazione degli industriali).
Dar la vita per nulla è peggio ancora. I nostri maestri non ci dissero che nel ’66 l’Austria ci aveva offerto il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso andare a morire è uccidere senza scopo. Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com’è complessa la verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell’entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.
Lo dico perché alcuni mi accusano di aver mancato di rispetto ai caduti. Non è vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi parrebbe di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo. Per esempio quel re che scappò a Brindisi con Badoglio e molti generali e nella fretta Si dimenticò perfino di lasciar gli ordini. Del resto il rispetto per i morti non può farmi dimenticare i miei figlioli vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno sapranno offrire la loro vita in sacrificio ne sarò orgoglioso, ma che sia per la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.
Bisognerà ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il territorio nazionale. Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la bocca.
È perché i nostri maestri ce l’avevano presentato come un eroe fascista. Si erano dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato vivo il 4 novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non avrebbe mosso un passo di la da Salorno per lo stessissimo motivo per cui quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da Salorno e s’era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera.
"Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti politici di Cesare Battisti, vol. II, p. 96-97). "Certi italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini d’Italia estesi fino al Brennero" (ivi).
Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L’Alto Adige, dove nessun soldato italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.
Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar soddisfazione a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni. In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere sono concetti superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar di posto secondo il capriccio delle fortune militari non può esser dogma di fede nè civile nè religiosa.
Ci presentavano l’Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l’Impero. I nostri maestri s’erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla. Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per esser più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo esser stato così volgarmente mistificato dai miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l’obbligo non solo morale (come dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto, compresa l’obbedienza militare come ce la insegnavano allora? Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora a oggi non hanno più studiato ne pensato, non me.
Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l’aiuto d’un giurista. Ma a scuola una copia dei Codici l’abbiamo.
Nel testo stesso dell’art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all’art. 51 del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando l’atto comandato è manifestamente delittuoso. Che l’ordine deve avere un minimo d’apparenza di legittimità. Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un ordine di strage di civili (13-12-1949, imputato Strauch).
Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una coscienza e deve saperla usare quando è l’ora. Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimità una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei, la tortura, una guerra coloniale?
Oppure, può avere un minimo di parvenza di legittimità un atto condannato dagli accordi internazionali che l’Italia ha sottoscritto?
Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che "è praticamente impossibile all’individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve" (Lettera al Clero 14-4-1965). Certo non voleva riferirsi all’ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). E neppure all’uso dei gas.
Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile chiudere gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17 maggio 1925 ratificato dall’Italia il 3-4-1928 fu violato dall’Italia per prima il 23 dicembre 1935 sul Tacazze. L’Enciclopedia Britannica lo da per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici ("L’Avvenire d’Italia" articoli di Angelo del Boca del 13-5-1965 al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935), di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). Hailè Selassiè l’ha confermato autorevolmente e circostanziatamente (intervista per "L’Espresso" 29 settembre 1965 e sg.).
Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d’iprite sono criminali di guerra e non sono ancora stati processati.
Sono processato invece io perché ho scritto una lettera che molti considerano nobile.
(Carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarietà delle commissioni interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei Valdesi).
Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine? Oggi poi le convenzioni internazionali sono state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d’un generale.
Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D’Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre.
A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano obbedito. L’umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c’è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono ne all’una ne all’altra non sono che un’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca.
Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati. E invece bisogna dir loro che Claude Tatherly, il pilota di Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha fatto quand’era "un bravo ragazzo", "un soldato disciplinato" (secondo la definizione dei suoi superiori), "un povero imbecille irresponsabile" (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (Carteggio di Claude Tatherly e Gunter Anders, Einaudi, 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: "Tant’è ladro chi ruba che chi para il sacco".
Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due.
Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori.
Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millenni non toglie il sonno all’uomo d’oggi.
E così siamo giunti a quest’assurdo che l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente.
A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo ne davanti agli uomini ne davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.
Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua scuola e con la sua lettera di aver reso un servizio alla società civile, non di aver compiuto un reato. Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato. Quest’accusa se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli, mette in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrerà infatti che condanniate le idee personali di un prete strano. Ma io sono parte viva della Chiesa anzi suo ministro. Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento essa mi avrebbe condannato. Non l’ha fatto perché la mia lettera dice cose elementari di dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da 2.000 anni. Se ho commesso reato perseguiteci tutti.
Ho evitato apposta di parlare da non violento. Personalmente lo sono. Ho tentato di educare i ragazzi così. Li ho indirizzati per quanto ho potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le tecniche non violente).
Ma la non violenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato lo è certamente Mi sarà facile dimostrare che nella mia lettera ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo dalla storia. La storia d’Italia fino al 1929 nella mia lettera è identica a come la raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio parroco mi diceva che "La Squilla", il giornale cattolico di Firenze, aveva in vetta e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento! In quanto alla storia più recente cioè al giudizio sulle guerre fasciste, può anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente un nostalgico, ma è notorio che la gran maggioranza dei preti sostiene un partito democratico che fu il principale autore della Costituzione (dunque anche della parola ripudia).
Veniamo alla dottrina. La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andrò a cercare teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si può domandarlo a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: "Se il padre o la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?".
C’è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai vostri superiori anche se sono cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni risponderà lui davanti a Dio. Ha pero importanza se ci comanda cose buone o cattive perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio. Tant’è vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni all’obbedienza dal carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito.
Il Concilio di Trento è esplicito su questo punto (Catechismo III parte, IV precetto, 16° paragrafo): "Se le autorità politiche comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato è riservato in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino" cioè di disobbedire allo Stato!
Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato) ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra è l’esaltazione di cittadini che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora anche i miei superficialissimi accusatori la pensano come me. Hanno il solo difetto di ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato è comunista e le vittime sono cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove lo Stato si dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.
Sono cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l’arco dei cattolici che la pensano come me è completo.
Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l’umile pescatore che ha pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l’ordinamento vigente. S. Pietro era un "cattivo cittadino". I vostri predecessori del Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a condannarlo.
Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrire sacrifici ad ogni altare.
In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravvisò un pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento dice: "Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me".
A quei tempi era dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani paressero cattivi cittadini.
Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va diventando ogni giorno più facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini. Ma è per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che come maestro civile sto dando una mano anch’io a migliorarle.
Perché io ho fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia vita mi pare che abbiamo progredito a vista d’occhio.
Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena di morte, l’assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il razzismo, l’inferiorità della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti.
Tutto questo è un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Già oggi la coincidenza è così grande che normalmente un buon cristiano può passare anche l’intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge dello Stato.
Io per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo anche alla fine di questo processo. È un augurio che faccio ai patrioti. Chissà come patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo dall’estero. Da paesi che non hanno esercito di leva o riconoscono l’obiezione. Quelli che le scrivono sono convinti di scriverle a un paese di selvaggi. Qualcuno mi domanda quanto dovrà ancora stare in prigione il povero padre Balducci.
Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono pero dei casi eccezionali nei quali vige l’antica divergenza e l’antico comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso aggiungere altre considerazioni.
Cominciamo dall’obiezione di coscienza in senso stretto. Proprio in quei giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo punto specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto (respicere) per coloro i quali "o per testimoniare della mitezza cristiana, o per riverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza, ricusano per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane crudeltà cui conduce la guerra". (Schema 13 paragrafo 101. Questo è il testo proposto dalla apposita Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi tutte le probabilità d’essere quello definitivo).
Quei 20 militari di Firenze han detto che l’obiettore è un vile. Io ho detto soltanto che forse è un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano dicendo molto più di me.
Ricorderò altri tre fatti sintomatici.
Nel ’18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti, dovettero chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarità canoniche in cui potevano essere incorsi nell’obbedire ai loro ufficiali.
Nel ’29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti, i vescovi dal servizio militare.
Il canone 141 proibisce ai chierici di andare volontari a meno che lo facciano per sortirne prima (ut citius liberi evadant!) Chi disobbedisce è automaticamente ridotto allo stato laicale. La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l’attività militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci.
Quella che lo Stato onora con medaglie e monumenti.
E infine affrontiamo il problema più cocente delle ultime guerre e di quelle future: l’uccisione dei civili. La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel tentare di colpire un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del "Giorno" un articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists, aprile 1964).
Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari (si poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente"). Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere che i civili fossero morti "incidentalmente"). In quella di Corea 48% civili 16% militari (si può ormai sostenere che i militari muoiono "incidentalmente ").
Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d’oggi con l’unità di misura del megadeath (un milione di morti) cioè che le armi attuali mirano direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari.
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente (si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere.
Gandhi l’aveva già capito quando ancora non si parlava di armi atomiche.
"Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra" (Non violence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1).
A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di guerra con termini che servivano già male per la seconda guerra mondiale.
Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perché accusandomi di apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi domani.
Ma nella guerra futura, l’inadeguatezza dei termini della nostra teologia e della vostra legislazione è ancora più evidente.
È noto che l’unica "difesa" possibile in una guerra di missili atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima dell’"aggressore". Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa.
Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20 minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d’un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta non difesa. Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono lanciati l’un l’altro pubblicamente minacce del genere. "Siamo pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene scatenata, diventerà sin dalla primissima ora una guerra termonucleare è una guerra mondiale. Ciò per noi è perfettamente ovvio" (lettera di Krusciov a B. Russel 23-10-1962).
Siamo dunque tragicamente nel reale. Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una "guerra giusta" ne per la Chiesa ne per la Costituzione.
A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza della specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace).
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?
Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l’idea di andare a fare l’eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura. Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d’ogni religione e d’ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l’umanità.
Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima.
Lorenzo Milani

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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 380 del 7 febbraio 2020
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