[Nonviolenza] Archivi. 350



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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XX)
Numero 350 del 7 novembre 2019

In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di settembre 2019 (parte quinta)
2. Ricordando Marcel Reich-Ranicki a sei anni dalla scomparsa
3. Omero Dellistorti: Un'avventura del Zeccaccio e Magnachiodi
4. Omero Dellistorti: Cristallo
5. Approssimandosi l'anniversario della nascita di Alfio Pannega
6. Omero Dellistorti: Billibonze se ne frega
7. Omero Dellistorti: Mo' te lo dico io
8. Amleto Fenedisci: Noi reicchiani

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI SETTEMBRE 2019 (PARTE QUINTA)

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di settembre 2019.

2. RICORDANDO MARCEL REICH-RANICKI A SEI ANNI DALLA SCOMPARSA

Mercoledi' 18 settembre 2019 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", si e' tenuta una commemorazione di Marcel Reich-Ranicki (nato a Vladislavia il 2 giugno 1920 e deceduto a Francoforte sul Meno il 18 settembre 2013), ricorrendo il sesto anniversario della scomparsa dell'illustre critico letterario, sopravvissuto del ghetto di Varsavia, testimone della Shoah, oppositore del razzismo e difensore dei diritti umani.
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Nel ricordo di Marcel Reich-Ranicki Le persone partecipanti all'incontro hanno ancora una volta espresso la necessita' e l'urgenza di un adeguato e corale impegno nonviolento dell'intero popolo italiano affinche', dopo la caduta del governo razzista e golpista che lungo un anno ha commesso scellerati crimini contro l'umanita', si torni ora alla legalita' costituzionale e al rispetto dei diritti umani, e si realizzino al piu' presto alcuni obiettivi irrinunciabili:
1. tornare alla legalita' che salva le vite: abrogare immediatamente tutte le misure razziste e persecutorie imposte dal governo razzista teste' caduto (ma anche le altre imposte dai governi precedenti che hanno aperto la strada all'inabissamento nella brutalita' di quest'ultimo anno);
2. tornare al primo dovere di ogni essere umano e di ogni umano istituto: ripristinare l'adempimento del dovere di soccorrere chi e' in pericolo;
3. distinguere il bene dal male: che siano processati nei tribunali della Repubblica i responsabili di crimini contro l'umanita' e di attentato contro la Costituzione;
4. tornare alla Costituzione: ripristinare la legalita' costituzionale che il governo della disumanita' ha infranto;
5. una persona, un voto: riconoscere il diritto di voto e tutti gli altri diritti sociali, civili e politici a tutte le persone che vivono in Italia, facendo cessare l'effettuale regime di apartheid e di schiavitu' di cui sono vittima milioni di nostri effettivi conterranei;
6. far cessare la strage nel Mediterraneo: riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

3. RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: UN'AVVENTURA DEL ZECCACCIO E MAGNACHIODI

Il Zeccaccio lo chiamavano cosi' perche' da giovane era secco, ed era secco perche' era un morto di fame, prima di entrare nel ramo furti e affini dove mise a profitto il fisico da contorsionista, poi dopo l'incidente s'era imbolsito, afflosciato e ingrassato, pero' lo chiamavano sempre il Zeccaccio, o per sfottere, o perche' i nomi una volta che ti toccano ti toccano e amen. Magnachiodi invece per una sbruffonata da giovane, che s'era magnato un chiodo per scommessa, e dopo l'avevano dovuto operare, e aprire col trinciapollo per tirargli fuori quel pezzo di ferro che oltretutto era pure arrigginito, quell'imbecille.
Erano sempre insieme, giocavano a biliardo per conto loro, stavano tutto il giorno a un tavolino dell'osteria da soli a scolarsi un mezzolitro e una gazzosa, e poi un altro, e poi un altro ancora finche' faceva buio e allora uscivano. Nesuno li aveva mai visti mangiare, si vede che mangiavano di notte. Non parlavano mai, ne' tra loro ne' con nessun altro. Che lavoro facessero nessuno lo sapeva. Al paese si dice cosi' quando invece ce lo sanno tutti.
Uscivano dall'osteria che era buio e "annaveno a ffa' piagne quarcheduno" come diceva la gente.
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Adesso vi racconto come mori' il povero Avvocatone, che poi non era avvocato manco per niente, faceva lo strozzino e prima era stato un pappa dalle parti di Milano, che diceva sempre quanto bene si stava a Milano, e alora perche' non c'era restato? Che pare che a Milano piu' che altro era stato ospite dello stato a Sanvittore. Pero' quando era tornato al paese era vestito tutto elegante e tutto improfumato che la gente gli rideva dietro che oramai ci aveva piu' di sessant'anni e voleva fare il gaga', si faceva pure tingere i capelli per essere piu' ridicolo. Ma appena si capi' quanti baiocchi ci aveva la gente non rideva piu' e lo scappellava, "Avvocato, riverisco", "Caro avvocato, come la va?", "Buongiorno, avvocato, tutto bene? Serve qualcosa?": La gente e' fatta cosi'. Fa proprio schifo.
Appena arrivato al paese si compro' il palazzetto che era stato del podesta' quando c'era il duce, che prima era stato del duca che era imparentato col papa, ma poi il duca era morto perche' in un conflitto a fuoco con i sovversivi i fascisti per sbaglio lo avevano fatto fuori e il palazzetto se l'era preso il podesta' (che poi il conflitto a fuoco coi sovversivi non c'era mai stato, che al paese di sovversivi neanche col microscopio, ed era stato un agguato in piena regola: era che il podesta' era figlio dello stalliere della famiglia del duca e aveva giurato sulla tomba di suo padre che la roba dei padroni sarebbe stata sua, a tutti i costi; e il costo fu la dittatura: c'e' chi sa trovare qualcosa di buono in qualunque cosa). Il podesta', naturalmente, finito il regime era stato sindaco, e quando divento' anziano entro' al Parlamento da senatore, e il posto da sindaco lo prese il figlio, che poi lo ammazzarono, dicono gli stessi amici suoi per via della fregatura che gli aveva dato col piano regolatore, sono cose che capitano. Comunque il senatore ormai abitava a Roma, il sindaco suo figlio al camposanto, il palazzetto era libero e l'Avvocatone se lo compro'. Ed inizio' ad esercitare.
Intendiamoci, anche al paese c'e' la banca, una filialetta piccola piccola ma c'e'. Ma l'Avvocatone i soldi te li dava subito, senza tante storie e senza tante scartoffie. I guiai erano quando gli interessi che avevi gia' pagato superavano ormai il capitale del doppio, del triplo, del quadruplo, e li' capivi che il debito non si sarebbe estinto mai. Cosi' l'Avvocatone, che era uno alla mano, certe volte si faceva pagare in natura - mogli, figlie, questa e quella per me pari sono, madamina il catalogo e' questo - e dopo consumato le meglio fornite le passava a un amico suo di Roma che le metteva in produzione sull'Appia antica e all'Avvocatone tutti i mesi arrivava la percentuale sua; certe volte per benevolenza si accontentava di subentrare nella proprieta' dei beni dei debitori ("Brutta cosa fare debiti", amava dire con sguardo sconsolato ai suoi clienti, che a loro sembrava che ci soffrisse piu' lui di loro e si sentivano in colpa verso il povero Avvocatone che tanto li aveva beneficati); certe volte se proprio non si poteva fare diversamente faceva staccare un dito, o cavare un occhio, o cose cosi' al cattivo pagatore, finche' i parenti e gli amici non cavavano fuori i bigliettoni di saccoccia loro per rimetterlo in carreggiata prima che al mandrino capitasse quello che capitava ai ragni o ai saltapicchi che i ragazzini per gioco gli strappavano una zampa dopo l'altra; ma con tutto l'aiuto di amici e parenti naturalmente il debito non si estingueva mai del tutto, che non si ammazza la gallina dalle uova d'oro, anche se e' guercia o sciancata. Era un uomo d'affari l'Avvocatone.
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Il Zeccaccio e Magnachiodi se ne fregavano. Loro ci avevano il lavoro loro, che rendeva bene, anche se non piu' come un tempo. E' che dopo anni il circondario lo avevano battuto tutto in lungo e in largo, e ormai era piu' il tempo per andare e venire dal luogo di lavoro che il tempo che ci voleva per fare il lavoretto. E con la distanza cresceva pure l'ignoranza, perche' un conto e' saperlo gia' quel che ci trovi nell'uovo di pasqua e un conto andare alla cieca in un appartamento che non conosci, in una citta' che non conosci, e magari ti credi di essere entrato nel palazzo del Grancan, e invece dentro c'e' solo la micragna. Per non dire della scocciatura delle telecamere di sorveglianza che ormai erano dappertutto, pure ai cessi pubblici, e cosi' avevano dovuto pure comprarsi le maschere, che era proprio una buffonata, oltre che erano scomode. Cosi' si decisero a integrare il lavoro loro con altri lavoretti, diciamo cosi', su commissione. Glieli trovava Citrullone, che ricettava tutto, "dalle stelle alle stalle" come diceva sempre lui, che gli sembrava la spiritosaggine piu' spiritosa del mondo. La gente e' strana. Sono tutti imbecilli, dico io. Citrullone forniva pure i ferri per questi lavoretti, che a lavoretto finito loro raccoglievano i bossoli, smontavano i ferri e li riconsegnavano a Citrullone, che aspettava di leggere la notizia il giorno dopo sul giornale e se era soddisfatto pagava il pattuito per conto dei suoi clienti, e il pattuito non era granche', ma meglio di niente, ed oltretutto serviva per tenersi in esercizio.
Io lo sapevo che facevano 'sti lavoretti per Citrullone, che e' mio zio e gli tengo la contabilita', quella ufficiale della bottega di calzolaio. Sono ragioniere, e sono impiegato in Provincia, entrato come dattilografo pero' faccio l'usciere perche' non so battere a macchina; m'ha aiutato un altro zio, lo zio Ugolino, prima che i comunisti insieme ai giudici facessero quel casino di "Mani pulite" che hanno rovinato l'Italia, insieme ai sindacati. Che poi a dire il vero in Provincia non e' che ci vado spesso, faccio come tutti, passo due lirette a uno che timbra i cartellini e a fine mese incasso lo stipendiuccio. Che e' una miseria che incremento con qualche lavoretto per lo zio e per altri clienti privati, tutto in nero, perche' di regalare i soldi a quella banda di ladri del governo non gli va a nessuno e nemmeno a me.
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Che successe? Successe che mi piaceva una ragazzotta, a una certa eta' un uomo ha certi bisogni, e poi gli amici si erano gia' tutti sposati e quando sono tutti sposati e tu no la verita' e' che resti solo come un cane, ed io sono una natura riflessiva e quindi solitaria e malinconica, pero' di restare solo come un cane non mi va, per non dire delle esigenze fisiologiche che non e' che per tutta la vita le puoi risolvere con l'autonoma manipolazione, no? Cosi' mi misi a guardarmi intorno e insomma trovai 'sta ragazzotta che faceva proprio al caso mio, di buona famiglia, modesta ma belloccia, in quattro e quattr'otto ci fidanzammo, che al paese ancora usa. Io sono solo che mio padre non l'ho mai conosciuto e mia madre m'ha lasciato alle suore da piccolo ed e' sparita e visto che non m'ha piu' cercato lei non l'ho cercata piu' neppure io. Chi la fa l'aspetti. Pero' mi sono fatto onore, aiutato dai fratelli di mia madre che lei non la nominano mai ma a me mi vogliono bene. Sia lo zio Citrullone, sia quell'altro, lo zio Ugolino, che era il segretario dello scudocrociato e ha fatto tanto del bene al paese, che ha trovato lavoro a un sacco di gente, e in cambio chiedeva solo il primo anno di stipendio, e un aiuto per le elezioni, si sa. Un sant'uomo. E un martire: quando i comunisti e i giudici hanno fatto la rivoluzione hanno preteso di metterlo in galera per il bene che aveva fatto, cosi' lui dovette andare in esilio a Montecarlo e in Sudamerica. Come Mazzini e Garibaldi. Un santo. Ha pure una partecipazione al casino' e a un po' di altre attivita', anche in Italia, e grazie a certi amici del compianto Andreotti, quell'illustre statista, ha conosciuto pure Sindona, il famoso economista perseguitato pure lui dai comunisti. E con quei certi amici pare che faccia buoni affari pure oggi, di import-export. Un sacco di volte mi ha telefonato che se volevo entrare nel giro c'era da diventare miliardari in quattro e quattr'otto, ma a me mi basta quello che ci ho, la sinecura in Provincia e i lavoretti qui in paese, non sono fatto per la vita internazionale e poi non so le lingue perche' da ragazzo m'interessava solo il pallone e la musica italiana. Cosi' al fidanzamento c'erano solo i parenti di lei, che poi erano la nonna, i genitori, quattro fratelli di cui due ammogliati e con prole. Gente simpatica. E il futuro suocero ci ha tenuto a dirlo che portassi i miei saluti a zio Ugolino, che e' un eroe, un sant'uomo e un martire. Io ho ringraziato e ho detto che avrei riferito, come dico sempre anche se poi non lo faccio mai.
E tutto marciava per il verso giusto quando Caligola, che era il fratello piu' piccolo di Nicoletta mia, un giorno mi piomba dentro casa tutto esagitato che pareva che l'aveva pizzicato la tarantola. Io di carattere sono uno pacioso, non mi piace la gente che strilla, che piagne, che trema e s'agita tutta; pero' era il fratello della mia amata e mi toccava starlo a sentire, si sa come vanno 'ste cose. C'e' voluta mezz'ora per riuscire a capire quello che diceva, tanto era confuso e farfugliava. Era successo questo: che quegli imbecilli degli imbecilli del padre e della madre di Nicoletta (e di Caligola e di quegli altri imbecilli degli imbecilli dei fratelli suoi) si erano indebitati con l'Avvocatone. E che l'Avvocatone gia' s'era preso la casa che prima era loro e adesso ci stavano in affitto, e la terra, e l'oro di famiglia, e tutto quello che ci aveva un valore e adesso voleva pure la Nicoletta. La Nicoletta? dissi io. La Nicoletta, disse lui. E allora che si fa? dico io. E che ne so, dice lui. Ci devo pensare io? dissi io. E lui: Eh. E aggiunse: Magari se dici una paroletta allo zio. E usci' da casa mia. Pareva sollevato, la carogna.
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E nessuno mi aveva detto niente.
Ora, io sono un uomo di mondo, ho studiato, sono ragioniere. Per una cosa del genere non potevo certo disturbare lo zio Ugolino, che magari lo diceva agli amici che mandavano un gruppo di fuoco in paese e ci scappava la strage. No, serviva discrezione. Tempestivita' e discrezione. Quindi lo zio Citrullone, che ce lo sapevano tutti che risolveva questi problemi in modo discreto ed efficiente. E infatti "Non c'e' problema", disse lo zio. E poi: "Quanto ci hai da parte per le spese vive?". "Non lo so quali sono le tariffe", dissi. "E' uno solo, robetta, tremila euro ed e' cosa fatta", disse lui. "Va bene", dissi io. "Pagamento anticipato", disse lui. Cosi' il giorno dopo gli portai i soldi. E lui diede incarico al Zeccaccio e a Magnachiodi.
A dire la verita' al Zeccaccio e a Magnachiodi non gli pareva vero di mandare al creatore l'Avvocatone. Cosi' quando lo zio glielo disse e gli diede i pezzi la sera stessa si presentarono al palazzetto, senza neppure le maschere, e tanto bussarono che quasi buttavano giu' il portone, finche' la signora Maddalena, la governante (che era la serva, la cuoca, la giardiniera e la donna di fatica tuttofare dell'Avvocatone, che lui la chiamava governante perche' era piu' fine), venne ad aprire e li introdusse nello studio dell'Avvocatone che era in giacca da camera come poi scrissero i giornali, che scrissero pure che si becco' la prima palla un mezzo alla fronte, la seconda e la terza nel cuore, due colpi quasi sovrapposti, e poi altri tre nel basso ventre a sfracellargli le parti intime, infine gli sfondarono la faccia a calci. La governante fu costretta ad assistere, poi dovette accompagnare gli ignoti criminali stanza per stanza alla ricerca di tutti i contanti, le gioie e i beni mobili di dimensioni portatili, poi fu assassinata con un colpo alla tempia mentre era in ginocchio che pregava col rosario in mano cosicche' dovrebbe essere volata in paradiso di botto, come disse poi il prete al funerale. Dove fosse volato l'Avvocatone quando fece la messa pure per lui il prete non lo disse, ma tanto lo sapevano tutti.
Gli uccisori non furono mai trovati. Ma un mese dopo preciso, il sindaco indisse un giorno di festa cittadina in onore di Santa Rosalia che invece quel giorno il santo era un altro, e il Zeccaccio e Magnachiodi furono portati in trionfo per tutto il paese.

4. RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: CRISTALLO

Lo chiamavano Cristallo perche' ci aveva 'st'abitudine che ci avevano in parecchi al paese di smadonnare a tutto spiano, ma lui era una specie di primus inter pares perche' ne inventava certe che neanche a Dante Alighieri gli sarebbero venute in mente, e dico Dante Alighieri, mica Littettoni o Bobbisolo.
La seconda specialita' era come ballava, e ragazzi altroche' se ballava, e sarebbe stato il mejo ballerino del paese se non ci fosse stato Tonimanero che sarei io. Che Tonimanero non e' il mio nome vero, l'ho preso da un film. E a me a ballare non mi batte nessuno. E canto pure nelle sagre di paese di tutti i paesi qui vicino. Ci ho il repertorio che qui la gente ci va in visibilio: Littettoni, Claudiovilla, Bobbisolo, il Molleggiato. E mentre canto ballo pure. E m'accompagna mio cugino con la fisarmonica, che e' un musicista di prima classe, che gliel'ho inventato io il nome d'arte: Eccelzio. So il latino io, servivo messa prima di ammazzare il prete che poi mi diedero lo sconto di pena perche' dissi che mi diceva le zozzerie che mica era vero ma mica volevo passare in galera il fiore degli anni, la gioventu' ha i suoi diritti.
Cristallo invece non cantava, ballava e basta. E bestemmiava dalla mattina alla sera, meno la notte perche' sul lavoro e' silenzioso come un orologio svizzero e io lo so meglio di tutti perche' lavoriamo insieme.
Adesso vi spiego perche' ho dovuto ammazzare pure lui, che mi stava pure simpatico e veramente eravamo amici amici. E' che c'era un motivo se bestemmiava sempre, e si chiamava Rosina. Si chiamano sempre Rosina, non lo so perche'. E' che Rosina ci aveva gusto a ballare con Cristallo, che con me non ci poteva ballare perche' io stavo sul palco che cantavo, facevo pure qualche passo, si', ma da solo, che lo spazio sul palco era poco perche' c'era pure Eccelzio con la fisarmonica che gia' e' parecchio ingombrante, e allora lei ballava con Cristallo. E Cristallo che fa? S'impecia. Che io glielo avro' detto cento volte, mille volte, "Crista' nun te 'mpecia' che so' solo guai", mille volte gliel'avro' detto, che ero pure un esempio vivente, infatti a me che mi era toccato fare? Avevo dovuto ammazzare la moglie, che si chiamava Rosina pure lei. Non la moglie mia, che non sono mica fesso a sposarmi, no, la moglie di Faustone Brecciolino, che lo chiamavano Brecciolino perche' ci aveva tutta la faccia sfregiata. Che mi era toccato ammazzarla perche' voleva dire tutto a Faustone, tutto di lei e di me. Le donne sono proprio stupide. Che magari se lo diceva prima a Brecciolino l'ammazzava lui. Invece l'ha detto prima a me e l'ho dovuta ammazzare io. Pero' poi ho nascosto bene il cadavere e la cosa e' finita li'. Pero' a Cristallo glielo avevo detto. Che tanto gia' se l'immaginava, tutti al paese se l'immaginavano, cosi' poi m'era toccato di fare fuori pure quel bietolone di Brecciolino, a scopo di profilassi, prima che mettesse in atto qualche cattivo pensiero. Rosina si chiamava. E Rosina si chiamava pure la sciorna che quel fesso adesso ci s'era impeciato. Ora il punto, il busillis, e' che la Rosina di Cristallo gli piaceva ballare con Cristallo ma a letto ci andava con Eccelzio (e pure con me, ma con me a pagamento, con Eccelzio invece gratis, almeno e' quello che diceva lui, sara'). E a Cristallo la cosa non gli andava giu'. "Balla con me e va a letto con lui, porco qui e porco la', porco su e porco giu'". Finche' la cosa arrivo' alle orecchie di Eccelzio che un giorno mi chiama, e' mio cugino, e mi fa: "Scortico', e nun va bbene, nun va bbene pe' gnente". "Che ade' che nun va bbene". "Che Cristallaccio 'nzurta la Rosina". "E cce lo so pur'io, ma ch'ho dda fa'?". "O lo fae tu o lo fo io". "Aho', ma io co' Ccristallo ce lavoro, ce lo sae". "O lo fae tu o lo fo io".
Li' per li' restai indeciso, perche' al paese di gente che suona la fisarmonica non ce ne sono altri, e poi era pure mio cugino; pero' con Cristallone ero affiatato, lavoravamo bene. Insomma, ero indeciso. Cosi' l'ho fatti secchi tutti e due. Perche', voi che avreste fatto?
E poi m'e' dispiaciuto. Perche' come facevo a immaginarmelo che Cristallaccio aveva fatto testamento e m'aveva nominato erede universale? Non aveva detto mai gnente. Che ne potevo sape'? E mmo' me dispiace, me dispiace, si'.
Oltretutto devo trovare un nuovo socio, addestrarlo, eccetera. Per le feste paesane invece adesso m'accompagnano batteria e chitarra, e nel repertorio ci ho messo pure i Pu e i Dicchedicche. Certo, il palco e' toccato farlo piu' grosso.

5. APPROSSIMANDOSI L'ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI ALFIO PANNEGA

Si avvicina il 21 settembre, anniversario della nascita di Alfio Pannega; e quanti hanno avuto la fortuna di essergli amici e compagni di lotte lo ricordano ancora con l'affetto di sempre e la nostalgia che ogni anno si fa piu' struggente.
Perche' il ricordo di Alfio se da una parte si offusca nei dettagli che svaniscono o che l'incessante lavorio (e rovello, e travaglio) della memoria rimodella e semplifica, dall'altro si fa piu' nitido nella visione globale e, verrebbe da dire, nell'interpretazione figurale - riprendendo il concetto che Auerbach cosi' sapientemente illustro' con riferimento all'opera dantesca - della sua persona, della sua azione, della sua testimonianza che nell'accrescersi della distanza temporale si chiarifica vieppiu', e ci convoca ancora e ancor piu' ai nostri doveri, ai doveri di tutti gli esseri umani compresi del compito ineludibile di agire per il bene comune dell'umanita'.
Per molti, che lo conobbero solo superficialmente, Alfio fu e resta soltanto una sorta di epitome incarnata di una viterbesita' fatta di tratti arguti, di vita agra e grama di fatiche e sofferenze, ma anche di prorompente vitalita' ed amore per questa terra e la sua gente, la sua storia, le sue tradizioni autentiche e quelle mitiche o mitizzate. E questo certamente Alfio fu, ma fu anche molto di piu'. Ed e' quel di piu' che ancora una volta qui si vorrebbe rievocare.
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L'uomo generoso che condivideva senza esitazioni e senza rimpianti i suoi scarsi beni con ogni persona che gli chiedesse soccorso ed ospitalita'.
L'uomo che aveva fatto tutti i lavori piu' faticosi e meno apprezzati, e che ne aveva tratto la coscienza del diritto di ogni essere umano alla dignita' ed alla solidarieta'.
L'uomo che aveva vissuto in una grotta, prima con la madre amatissima e poi da solo, e che aveva subito torti ed ingiustizie, ed emarginazione e fin angherie, ma che gli stenti e le sofferenze di cui aveva fatto amara esperienza non avevano peggiorato, ne' avvilito, ne' corrotto; al contrario: non solo non era stato corroso dalla frustrazione e dalla rabbia, ma anzi quelle dolorose sue vicenda seppe interpretarle come uno straordinario esperimento di verita' per dirla con Gandhi; come una esperienza che lo ricongiungeva a tutte le vittime di tutte le oppressioni; come un vissuto prima subito e poi rivendicato che rendeva ancora piu' forte il suo appello nitido e incandescente alla lotta di tutte le oppresse e di tutti gli oppressi per la liberazione comune dell'umanita' intera da ogni privazione e da ogni oppressione.
Sapeva tradurre la coscienza di sfruttato in analisi della societa' e della storia, e in appello alla lotta contro tutte le ingiustizie, in programma di liberazione dell'umanita' intera, in riaffermazione degli immortali principii dell'89: liberta', uguaglianza, fraternita'.
Ugualmente, le amarezza della vita non lo avevano piagato, non gli avevano strappato la gioia di vivere, non ne avevano mutilato l'anima fiera e generosa: era un uomo che non conosceva il risentimento e il rancore. Ai torti subiti e alle ingiustizie tutte sapeva rispondere con la riflessione morale e la lotta politica per i diritti di tutti, con la solidarieta' con tutte le vittime, con la fraternita' con tutte le oppresse e tutti gli oppressi, con l'umanita' cosi' com'e' e come dovrebbe essere. Fu sempre un coraggioso e invitto difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani, un difensore di tutti gli esseri viventi, un difensore di quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera. Fu sempre un esempio della virtu' della misericordia che si fa pratica concreta di condivisione ed insurrezione nonviolenta contro ogni violenza, contro ogni ingiustizia, contro ogni menzogna, contro ogni vilta'. Fu sempre un amico della nonviolenza, che e' la resistenza antifascista che continua sempre e non si arrende mai.
Un tratto che forse solo gli amici piu' intimi gli conoscevano e che gli era piu' proprio, connaturato, consustanziale, era il riserbo, la discrezione, la delicatezza, l'attenzione weiliana per il mondo e per l'altra persona; certo, vi era anche l'Alfio dalla battuta fulminante, dall'eloquio popolano robusto e fin ruspante; ma nel conversare tra amici rivelava una nobilta' d'animo ed una finezza di tratto e di gusto, una gentilezza e una prossimita' che nel ricordo ancora mi commuove.
Era un militante comunista libertario. E' difficile spiegarlo a chi oggi trangugia e prende per verita' le idiozie vomitate dalla televisione, ma la storia dei comunisti in Italia non e' quel coacervo di grigiore, ipocrisia, demenza e complicita' di cui favoleggiano gli eterni aedi di tutti i poteri dominanti; e' stata un'altra cosa. Nelle classi oppresse e' stata un'esperienza di umanita' luminosa e aggettante verso quella che Ernst Bloch chiama la patria ancora da venire, quel regno della liberta' in cui ogni essere umano sara' un aiuto per ogni altro essere umano. Che poi ci si chiamasse comunisti o socialisti o anarchici o libertari, che si fosse iscritti al partito o al sindacato o che si volesse rivendicare la condizione di "cani sciolti" o di militanti in piccole e minime organizzazioni di lotta, o che si fosse soltanto coscienti di essere sfruttati e vessati e quindi parte dell'umanita' sofferente il cui grido lacerava i cieli e chiamava ad insorgere, fu e resta un sentire comune e un condiviso agire che umanizzava e riscattava il mondo, e che ancora oggi apre la via nella morta giungla e nei vertiginosi labirinti in cui i poteri dominanti riducono le persone a merce e consumo, a scarti e rovine, a statue di sale e belve.
La difesa intransigente dei diritti umani di tutti gli esseri umani: questo e' stato ed e' ancora la lotta delle classi oppresse, la resistenza delle persone denegate, il sollevarsi dei popoli violentati e fin animalizzati (e' la formula icastica di Frantz Fanon, psichiatra e combattente contro il colonialismo); il sentimento di solidarieta' con tutte le vittime dell'oppressione, la condivisione del dolore e delle speranza (la lotta di Rosa Luxemburg contro la guerra e contro l'incipiente totalitarismo perche' "la liberta' e' sempre la liberta' di chi la pensa diversamente da noi", il "principio speranza" di Bloch e di Moltmann, il pugnace "principio disperazione" di Guenther Anders, il principio responsabilita' di Jonas, la vita activa e il miracolo della nascita e l'opposizione al totalitarismo di Hannah Arendt, la critica di tutte le istituzioni totali e di tutte le ideologie e le forme di organizzazione e le prassi repressive e disumananti condotta dalla scuola di Francoforte, l'analisi e la proposta di Virginia Woolf nelle Tre ghinee - questo capolavoro del pensiero politico contemporaneo); la fraternita' e sororita' intimamente sentite e vissute in ogni fibra del proprio essere, ed insieme il movimento esistenziale, personale, sociale e storico, concreto e coerente, contestuale e complesso, lacerato ed infinitamente aperto, di riconoscimento e di comunione con l'umanita' intera. La "forza dell'amore" di Martin Luther King, e il "rispetto per la vita" di cui ci parlava il dottor Schweitzer.
Alfio estendeva questo rispetto e questa solidarieta' non solo a tutti gli esseri umani, ma anche agli animali - innanzitutto agli amati cani di cui si circondava e che accudiva amorevolmente -, ma anche alle piante, alla citta' e alla terra, alle persone passate, presenti e venture, alla storia e al futuro.
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E questo anelito di liberazione, questo concreto impegno di lotta per la dignita' di tutti e di ciascuno, era il cuore del suo amore per la cultura.
Fin dall'eta' piu' verde possedeva e padroneggiava la cultura scolastica di chi era stato in collegio, con la fame di sapere del povero che nella cultura vede la via e la sostanza dell'emancipazione, del riconoscimento di dignita', della giustizia e della liberta'; ed era una cultura certo rigidamente definita entro i confini tipici di un tempo in cui un libro che avesse meno di settant'anni era ipso facto sospetto di eccessiva modernita'; ma era altresi' di alto livello ed indelebilmente impressa nel ricordo: Dante e i poemi cavallereschi soprattutto, e poi gli altri classici della poesia italiana che allora si mandavano a memoria, Manzoni e Leopardi, i risorgimentali come Berchet e Fusinato, Giusti e Mercantini, e poi Carducci e Pascoli, naturalmente.
Ma quella cultura l'aveva poi ulteriormente coltivata nel corso dell'intera sua vita, e fecondata nel contatto vivo con l'esperienza della poesia a braccio e della cultura artigiana e operaia, e soprattutto contadina: ricca di doni sapienziali, morali e scientifici, di saperi botanici e zootecnici, di scienza della terra e della vita, ma anche della filosofia come milizia di cui parlavano gli stoici antichi, ed anche di conservazione nella memoria di un patrimonio di conoscenze classiche e di tecniche letterarie finissime.
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E da militante comunista libertario Alfio Pannega e' stato vivacemente presente in tutte le lotte a Viterbo e nell'Alto Lazio condotte per la pace e i diritti umani, di solidarieta' internazionale con i popoli oppressi, contro l'emarginazione e le istituzioni totali, in difesa della natura e contro un modello di sviluppo onnidivoratore ed onnidistruttivo, contro il razzismo e contro il maschilismo.
In un atteggiamento mai arcigno ed accigliato, ma sempre aperto alla gioia e alla festa, nell'amore per la vita, nell'accudimento e nell'empatia per e con il mondo vivente tutto; coltivando e praticando, per intima convinzione e come esito della sua propria esistenziale ricerca e meditazione e pratica, le virtu' che il movimento di liberazione delle donne ci ha insegnato a riconoscere come decisive per la difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutte e tutti, per la salvezza comune dell'umanita' e della biosfera.
L'amore per la conoscenza e la pratica della condivisione, l'ascolto dell'altra persona e la lotta in difesa del bene comune, quell'"esser uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa" di un distico di Saba, era tutt'uno col suo antifascismo, con la sua nonviolenza.
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Aveva conosciuto e contrastato la barbarie fascista e poi la violenza vampiresca, alienante e desertificatrice del neocapitalismo, nella persistenza e nelle trasformazioni del potere che offende e dissangua: dal blocco agrario prima, ai rampanti saccheggiatori del blocco edilizio poi, dal notabilato al clientelismo, dal familismo amorale fino al regime della corruzione e della penetrazione dei poteri criminali, alla governamentalita' ed alla biopolitica di cui parlava Foucault nei suoi corsi.
E' deceduto prima dell'attuale estremo imbarbarimento, ma la sua testimonianza, la sua lezione, il suo lascito morale e civile ancora illuminano la nostra lotta contro il razzismo, contro la violenza, contro i poteri che "hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace" (come si legge in quel luogo di Tacito).
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Resta ancora da ricordare la fase forse piu' bella e preziosa della sua vita: gli anni dell'esperienza del Centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di cui fu decisiva anima dal primo giorno di quell'estate del '93 fino all'ultima ora della sua vita nella primavera del 2010, sul finire di aprile, che e' veramente "il piu' crudele dei mesi".
E resta da ricordare la lotta per il diritto di tutte e tutti alla casa, che fu l'ultima sua grande iniziativa, l'ultima campagna di lotta e di solidarieta' in cui mise ancora una volta tutto se stesso, ancora una volta gettando il cuore oltre l'ostacolo, ancora una volta l'Ulisse del XXVI della prima cantica dantesca. Nel corso di quella lotta mori'.
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Gli anni passano, e chi scrive queste righe ha l'impressione che occorrerebbe fare molto di piu' per tramandarne la testimonianza.
Ed e' un impegno che si deve richiedere ad esempio agli studiosi locali di storia patria: in questi ultimi tempi preziose ricerche ha condotto Vincenzo Ceniti, cui va anche la nostra gratitudine.
Ed ovviamente Antonello Ricci, che la testimonianza di Alfio raccolse pochi mesi prima che fosse troppo tardi e restitui' in un volume che e' finora unico, e che forse potrebbe svolgere adesso una nuova ricerca raccogliendo e studiando le voci di chi Alfio conobbe e che potrebbe recare testimonianze preziose, preziose per la citta', preziose per l'umanita'; una ricerca sul modello di quelle di Nuto Revelli, per intenderci.
E naturalmente Pietro Benedetti che tiene vivo il ricordo di Alfio con uno spettacolo teatrale in cui lo impersona con virtu' mimetica tale che per i piu' giovani che non lo hanno conosciuto Alfio rivive in lui ed attraverso lui ancora dona il suo esempio ed effonde la sua capacita' educativa come autentica prassi di liberazione.
Ma tante altre persone che gli furono amiche potrebbero dare ancora ulteriori preziose testimonianze: da Mauro Galeotti, gia' benemerito per i molti libri di documentazione su Viterbo in cui dispiega un infinito amore per la citta' e i suoi abitanti; a tanti militanti politici della sinistra che con Alfio ebbero una sincera, autentica amicizia (e penso ad esempio ad Ugo Sposetti); ma anche, e direi forse soprattutto, le persone che piu' intensamente hanno preso parte all'esperienza del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul", che hanno vissuto con lui giorno per giorno, condividendo quotidianamente esperienze e riflessioni dal 1993 al 2010. E penso in primo luogo a Luciano, ad Antonietta, ad altre persone cui chi scrive queste righe e' legato da un affetto profondo e dalla condivisione di indimenticabili esperienze di lotta e di vita.
All'indomani della scomparsa di Alfio ebbi a formulare la proposta della costituzione di un "Archivio Alfio Pannega", che raccogliesse materiali e testimonianze di e su di lui. E' un impegno ancora da adempiere, anzi, ancora da iniziare: e sono passati gia' nove anni.
Oltre il libro curato da Antonello Ricci ci sono le fotografie di Mario Onofri, che anch'egli ci ha lasciato - ancor giovane - alcuni anni fa; e le fotografie di Francesco Galli, di Massimo Vollaro, di tanti altri ancora. E registrazioni audio e video sparse fra tanti amici di cui sarebbe opportuno fare copie e raccoglierle in un unico luogo. Ed alcune altre testimonianze: un prezioso articolo di Paolo Arena, alcune elaborazioni grafiche di Giselle Dian che alcuni anni fa tradusse in immagini alcune poesie di Alfio, volantini ed altri documenti che forse Arianna Marullo ha conservato... e non elenco altri nomi tra i molti che mi si affollano in mente poiche' certo ne dimenticherei comunque qualcuno.
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Sono passati ormai nove anni dalla scomparsa di Alfio, e tra soli sei anni sara' il centenario della nascita.
Sarebbe una buona cosa, una buona cosa per Viterbo, e non solo, se in occasione del decennale della scomparsa prima, e del centenario della nascita poi, la ricerca documentaria e storiografica sulla sua figura e la sua esperienza fosse impegno comune e pubblico della citta'.
E forse il Comune, l'Universita', il Consorzio Biblioteche e gli altri istituti di civica rappresentanza e di cultura presenti potrebbero cominciare fin d'ora a promuovere e sostenere un impegno in tal senso; cosi' come, indipendentemente o congiuntamente, gli amici e i compagni di Alfio che non lo hanno dimenticato.
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Ma non posso concludere questo breve ricordo di un vecchio amico e compagno di lotte, senza ripetere una volta ancora che se Alfio fosse vivo oggi, ci chiamerebbe sulle barricate contro il razzismo e il fascismo che torna, in difesa delle sorelle e dei fratelli perseguitati, abbandonati nei lager libici, naufraghi in mare, abbandonati tra gli artigli delle mafie schiaviste la' e qui.
Se Alfio fosse qui, ci convocherebbe a scendere in piazza ancora una volta in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Se Alfio fosse qui, sarebbe con noi - ci sia concesso di ripeterlo ancora una volta con le stesse parole che da giorni e giorni ripetiamo - a rivendicare la necessita' e l'urgenza di un adeguato e corale impegno nonviolento dell'intero popolo italiano affinche', dopo la caduta del governo razzista e golpista che lungo un anno ha commesso scellerati crimini contro l'umanita', si torni ora alla legalita' costituzionale e al rispetto dei diritti umani, e si realizzino al piu' presto alcuni obiettivi irrinunciabili:
1. tornare alla legalita' che salva le vite: abrogare immediatamente tutte le misure razziste e persecutorie imposte dal governo razzista teste' caduto (ma anche le altre imposte dai governi precedenti che hanno aperto la strada all'inabissamento nella brutalita' di quest'ultimo anno);
2. tornare al primo dovere di ogni essere umano e di ogni umano istituto: ripristinare l'adempimento del dovere di soccorrere chi e' in pericolo;
3. distinguere il bene dal male: che siano processati nei tribunali della Repubblica i responsabili di crimini contro l'umanita' e di attentato contro la Costituzione;
4. tornare alla Costituzione: ripristinare la legalita' costituzionale che il governo della disumanita' ha infranto;
5. una persona, un voto: riconoscere il diritto di voto e tutti gli altri diritti sociali, civili e politici a tutte le persone che vivono in Italia, facendo cessare l'effettuale regime di apartheid e di schiavitu' di cui sono vittima milioni di nostri effettivi conterranei;
6. far cessare la strage nel Mediterraneo: riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
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Una breve notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti. Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione. Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura. La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa. Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213.

6. RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: BILLIBONZE SE NE FREGA

Quando l'ho conosciuto, eravamo tutti e due ospiti dello stato, ci aveva sulla schiena da spalla a spalla la scritta "Billibonze se ne frega" e la faceva vedere a tutti, e tutti lo sapevano che quello che ci aveva quella scritta faceva quel mestiere ed era meglio stargli alla larga.
Quale mestiere? Andiamo, che ce lo sapete. Non ci siete stati pure voi qualche volta negli alberghi gratuiti che la patria offre ai suoi figli piu' irascibili? Ce lo sanno tutti in tutte le galere che Billibonze fa il giustiziere: uno lo paga bene e lui fa fuori quello che gli dicono di far fuori, tanto di ergastoli ne ha gia' una mezza dozzina. E com'e' come non e' riesce sempre o a finire lui nel gabbio dove c'e' il pollo da tirargli il collo o e' il pollo da tirargli il collo che finisce nel gabbio dove sta gia' lui che aspetta come aspetta il ragno in mezzo alla sua sottile e trasparente architettura.
Cosi' se ti capita di essere trasferito nell'hotel che ospita Billibonze cominci a chiederti se hai fatto qualche sgarro a qualcuno, e lo stesso se sai che ieri Billibonze e' diventato un nuovo coinquilino del condominio tuo.
Io veramente ero cosi' incosciente che non mi preoccupai per niente quando Billibonze fu messo nella cella mia. C'era una branda libera. E non mi preoccupai nemmeno quando mi fece leggere la famosa scritta. Certo che ce lo sapevo chi era Billibonze, ma io sgarbi non ne avevo fatti a nessuno, a parte quelli che non potevano certo tornare dall'aldila' a raccontarlo. Cosi' non mi preoccupai. E diventammo amici, se cosi' si puo' dire.
Adesso che e' morto, e che e' morto male, che tutti l'avevano sempre saputo che sarebbe morto male, credo di poterlo dire che eravamo diventati amici. Ci piaceva stare zitti a tutti e due, e questo era tutto.
Ammazzare la gente in carcere no e' cosi' facile come sembra. Ormai si sono fatti furbi tutti quanti. Chi puo' si fa i guardaspalle, e chi non puo' si affilia. Pero' se pagano, se pagano bene, tutto si puo' fare. E Billibonze sapeva fare. Con un cuscino, con una scheggetta di vetro grossa quanto un'unghia ch forse era veramente solo un pezzo d'unghia, e pure di meno, con una manciata di terra ficcata a forza nella bocca mentre ti tiene il naso turato. E a calci, soprattutto, a calci dove fanno piu' male, dove rompono quello che non si riaggiusta. Sapeva fare, era il mestiere suo. Che ci faceva coi soldi nessuno lo sapeva. Forse finivano a qualche parente, che lui campava di niente, non aveva interessi, non so neppure se pensasse qualche cosa, di solito in cella stava seduto sulla branda, si dondolava avanti e indietro e non diceva niente.
Finche' successe quello che prima o poi succede. Che pagarono qualcuno per fare fuori pure lui. Apposta lo misero nella cella mia. E una notte Billibonze non respirava piu', che ci aveva un chiodo lungo venti centimetri nero e lustro grosso come una lancia piantato in testa e uno piantato nel cuore. Un lavoro ben fatto. Chi era stato non si seppe mai. Eravamo in cinque in quella cella, nessuno vide niente.
Poi mi cambiarono di carcere, e la prima cosa mi feci fare un tatuaggio sulla schiena, da spalla a spalla, con la scritta "Billibonze se ne frega". A lavoro finito, che ci volle un pomeriggio nella cella che eravamo solo noi due, il tatuatore fini' pure di respirare.
Le leggende non muoiono.

7. RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: MO' TE LO DICO IO

Mo' te lo dico io com'e' che vanno le cose, sor zebbedeo de li zebbedei, mo' te lo dico io.
E che ti credi, eh? Che siccome le ho patite di tutti i colori, allora sono diventato un bestiolo mansueto che ogni fesso che passa gli da' una frustata e io squittisco "Grazie, signore"?
E che ti credi, che perche' mi hanno chiuso in gabbia e m'hanno fatto quello che m'hanno fatto, e poi m'hanno caricato sul barcone, sul vagone-bestiame, sul furgone coi vetri oscurati, adesso sarei diventato un agnellino, un agnellino beee' beee', un agnellino senza gli attributi, eh?
E invece no. Ho imparato. Me lo avete insegnato voi, me l'hanno insegnato gli amici tuoi. E io mi applico, io imparo, io mi rimbocco le maniche, io divento come voi.
E adesso tocca a me torturarti, sor zebbedeo de li zebbedei.

8. AMLETO FENEDISCI: NOI REICCHIANI

Non ne avevi mai sentito parlare? Ma allora sei proprio un selvaggio, un burino, un panzone tutto ciccia e niente cervello. Non t'aggiorni. Vienna e Berlino e Zurigo non ti dicono niente? Bravo, sono due capitali e mezza, ma di che? No, no, di che, non della Prussia e dell'Impero e dei lanzichenecchi che poi si sono incattiviti e sono diventati banchieri, che ce lo sanno pure i selci come te. Di che? Te lo dico io: de la siganalisi. La siganalisi, si'. Che e' la scienza delle ragioni di tutto quello che fai che tu non lo sai perche' lo fai e la siganalisi lo sa. Lo vedi che non sai niente? Lo vedi?
E questo era il punto primo, la siganalisi. E poi c'e' il punto due, ovverosia punto secondo. La siganalisi non c'e' una sola, ma diverse. Come il vangelo, no? Che dovrebbe essere uno e invece sono quattro. Si', quattro sono. Cosi' la siganalisi. E le differenze si chiamano scuole. Scuole, scuole, come le scuole di quando andavamo a scuola. Te lo ricordi?
Ed eccoci al punto terzo ed ultimo: noi che ci vedi qui davanti siamo della scuola reicchiani. No recchioni, reicchiani, e' un'altra cosa. E ci abbiamo l'energia orgonica, che viene dall'universo. Come i superpoteri, solo che e' un superpotere solo che da solo vale piu' di tutti gli altri messi assieme, e chi ce l'ha fa l'amore sempre e non si stanca mai. Ti piacerebbe essere reicchiano pure a te, eh? E che non ce lo so? Vorrebbero essere tutti reicchiani, ma se fossero tutti reicchiani, noi a chi torturiamo? Perche' l'energia orgonica si accumula in certe scatole, ma per tirarla fuori dall'universo non e' una cosa semplice, e allora come si fa? Si strilla e si mena. E piu' meni e piu' quello che meni strilla, e piu' energia orgonica si accumula nelle scatole, che poi tu attacchi un filo e ti ricarichi. Come il viagra, come i telefonini, ma dura di piu'.
E qui si capisce dov'e' il problema: che serve la materia prima: perche' a mena' semo boni tutti, ma quello che conta e' quello che strilla, che deve strilla' co' tutti i sentimenti. E la gente strilla bene solo se soffre tanto. Ecco perche' te menamo col filo spinato. Hai capito mo'? E' una cosa scientifica. Che noi non e' che semo chissacche', sado-masochisti, marxisti-leninisti, nonnincarrozza, fresconi al bagno o belle mascherine, no: noi semo reicchiani.
E mo' abbasta co' le chiacchiere e vedemo de comincia' a accumula' 'st'energia orgonica ne le scatole, via.

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 350 del 7 novembre 2019
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