[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 965
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- Date: Mon, 6 Aug 2018 06:48:03 +0200
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 965 del 6 agosto 2018
In questo numero:
1. Un'insurrezione nonviolenta per le dimissioni del governo razzista
2. Primo Levi: La bambina di Pompei
3. Alcuni testi del mese di maggio 2018 (parte prima)
4. "Alla scuola di Croce e di Gramsci". Una conversazione a Viterbo in memoria di Alfio Pannega
5. Luciano Bonfrate: Venerdi' del sangue
6. Luciano Bonfrate: Il concertone
7. Omero Delli Storti: L'uomo che porto' il comunismo in Italia
8. Oggi
9. Omero Delli Storti: Altre belve
10. Commemorato Maurice Merleau-Ponty a Viterbo
11. Di cosa dovrebbero parlare i mezzi d'informazione quando parlano di politica
12. Un'opinione espressa in due parole in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx
1. REPETITA IUVANT. UN'INSURREZIONE NONVIOLENTA PER LE DIMISSIONI DEL GOVERNO RAZZISTA
Il governo dell'estrema destra razzista e golpista in appena due mesi ha gia' provocato troppe vittime.
Con l'omissione di soccorso dei naufraghi nel Mediterraneo.
Con l'aggressione e il sabotaggio dei soccorritori volontari che salvano vite umane in mare.
Con la complicita' con la Libia degli schiavisti, dei lager e degli orrori.
Con il disprezzo e la persecuzione delle persone piu' oppresse e piu' bisognose di aiuto.
Con la propaganda e l'istigazione all'odio razzista che ha scatenato squadristi e assassini.
Con la violazione della Costituzione della Repubblica italiana che fa obbligo di riconoscere e difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
Per fermare tanta scellerata violenza occorre innanzitutto costringere il governo delle persecuzioni razziste alle immediate dimissioni.
Per fermare tanta scellerata violenza occorre innanzitutto ottenere che siano finalmente processati e condannati ai sensi delle leggi vigenti i ministri responsabili di propaganda e atti di razzismo, responsabili di crimini contro l'umanita'.
*
Occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze in difesa del diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze in difesa della legalita' che salva le vite.
Occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze in difesa della repubblica democratica, dello stato di diritto, della civilta', dell'umanita'.
*
Denunciamo i ministri razzisti.
Facciamo dimettere il governo della disumanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. MEMENTO. PRIMO LEVI: LA BAMBINA DI POMPEI
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 549]
Poiche' l'angoscia di ciascuno e' la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si e' fatto nero.
Invano, perche' l'aria volta in veleno
E' filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta gia' del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si e' pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Cosi' tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta e' stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull'altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
20 novembre 1978
3. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MAGGIO 2018 (PARTE PRIMA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di maggio 2018.
4. "ALLA SCUOLA DI CROCE E DI GRAMSCI". UNA CONVERSAZIONE A VITERBO IN MEMORIA DI ALFIO PANNEGA
Si e' svolta lunedi' 30 aprile 2018 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani", una conversazione su alcune figure salienti del pensiero e della vita civile italiana del secolo scorso; tema dell'incontro: "Alla scuola di Croce e di Gramsci, maestri di antifascismo e di umanita'".
L'incontro era dedicata alla memoria di Alfio Pannega, di cui ricorreva l'anniversario della scomparsa avvenuta il 30 aprile 2010.
*
Il responsabile della struttura nonviolenta viterbese ha ricordato il poeta viterbese compagno di tante lotte nonviolente, ed ha illustrato le figure, l'azione e le opere di Benedetto Croce e di Antonio Gramsci.
Nel corso dell'incontro sono stati letti e commentati alcuni versi di Alfio Pannega, alcune pagine di Croce, alcuni brani dalle lettere e dai quaderni del carcere di Gramsci.
Le persone partecipanti all'incontro hanno espresso ancora una volta l'impegno comune, nel ricordo dei maestri e compagni scomparsi, a proseguire la lotta contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
*
Il primo dovere e' salvare le vite.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione.
Difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Difendere dall'avvelenamento, dalla devastazione e dalla distruzione quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
*
Una breve notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti. Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione. Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura. La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa. Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, il fascicolo de "La domenica della nonviolenza" n. 420.
5. LUCIANO BONFRATE: VENERDI' DEL SANGUE
I. L'ora del te' e dei cecchini
E' venerdi'? E' l'ora della strage
al confine tra Gaza ed Israele.
La prigione di Gaza e' circondata
dalla prigione di Israele circondata
dalla prigione del Medio Oriente circondata
dagli addetti alla vigilanza globale
dell'ordine imperiale e coloniale
del capitale finanziario e delle atomiche.
E tutto il sud del mondo e' una prigione
vi dominano dittature e fame
chi e' fortunato e' catturato dai negrieri
per essere recato schiavo al nord
al servizio degli indigeni europei
vecchi vampiri briganti dell'istmo
asserviti alle mafie e al consumismo.
Ed incistati ovunque i corpi franchi
che uccidono coi droni colle bombe
con i coltelli con le cerbottane
con gli elettrodi applicati ai genitali
con gli autotreni e il costo degli affitti.
E' vero e non e' vero. Il prigioniero
di Gaza da Gaza non puo' uscire
il prigioniero israeliano sa soltanto
che e' circondato da stati e da poteri
che come bere un bicchier d'acqua se potessero
raderebbero al suolo Israele
porterebbero a termine ovunque la Shoah
e nessuno muoverebbe un dito
ed il palestinese che vive in Israele
sa cosa sia l'apartheid
e sa che il mondo sa e non muove foglia
tutti hanno paura di tutti
e quidam de populo giunto
a una certa della paura soglia
uccide
a una certa della paura soglia
perfettamente misurabile e prevista
dai laboratori high tech
dell'ultima start-up di nuova generazione
dell'azienda totale del trionfo della volonta'
uccide.
L'umanita' intera vive nel destierro
del terror panico alle scosse sottoposta
alla merce' di eserciti e schiavisti
che tornano a casa Wendy la sera
che indossano smoking e parlano inglese
l'umanita' intera nelle colonie
nel ghetto
nella stanza della tortura
nell'ora piu' buia
nessuno sa se verra' l'alba o la bomba.
*
II. Mille miliardi di visualizzazioni
A questo tirassegno i militari
si esercitano e vincono orsacchiotti
si ride insieme mentre cade a terra
il folgorato e tutto intorno si sgambetta
pare una vecchia comica ed il pubblico
televisivo distratto da' uno sguardo
e pensa i suoi veri falsi pensieri
i pensieri autorizzati dal gestore:
tutto quel fumo li' di copertoni
non inquina forse l'ambiente?
quelle donne vestite di nero
non puzzano forse di medioevo?
la nostra ragione quotidiana
di morti e feriti e' stata raggiunta?
si stabilira' oggi il nuovo record
del bimbo piu' piccino fatto fuori?
e piu' tardi ci sara' qualche bel film
col giusto mix di ultraviolenza e di eros?
sono tutti fascisti e terroristi
basta che restino a scannarsi a casa loro.
*
III. Natura morta
Sto qui seduto su questa panchinaccia
al cimitero e c'e' un bel venticello
sto qui senza gli occhiali ad occhi aperti
cosi' non vedo piu' la brutta faccia
rimemorante il mondo quanto e' fello
dei morti stramazzati e ricoperti
ma solo il radioso sentiero dei mille colori
dei fiori
e penso qualche pio pensiero.
*
IV. La ripresa
Il soldato che spara al poveraccio
che disperato danza la sua danza
e che forse presente ma non sa
che oggi e' l'ultimo giorno di luce.
Il cavallo che starnutisce forte
rotto dai cocci della bottiglia rotta
da una finestra sogguarda il minotauro
con occhi che sembrano funghi
con occhi di rana che gocciano acqua ragia
e in questa corrida di sabbia e segatura
negli imbuti di precisione
cadono fagotti con dentro carni umane
tutto diventa concime per i network.
Dalle gradinate di questo colosseo
ancora una volta vedi e sai
ancora una volta vedi e sai
dalle gradinate di questo colosseo.
*
V. Dies irae, dies illa
Ma io dico che risorgeranno i morti
ma io dico che si rompera' la storia
verra' il tempo del diritto e della pace
verra' l'ora dell'umanita'.
Ma io dico che non c'e' resurrezione
tutte le vittime restano vittime
dell'ecatombe non si riavvolge il nastro.
*
VI. Qui
Qui le parole non trovo
qui mi paralizza l'orrore
e la vergogna.
Compagne, compagni.
*
VII. Tune, none
Tu devi rifiutarti di sparare
tu devi fare agli altri solo quello
che vorresti fosse fatto a te
tu non dimenticarti mai che siamo
una sola dolente umanita'.
Il primo dovere e' cessare di uccidere
il primo dovere e' recare soccorso
il primo dovere e' salvare le vite.
6. LUCIANO BONFRATE: IL CONCERTONE
I. Il cugino, o forse il nipote del nipote di R.
Fortuna martedi' c'e' il primo maggio
cosi' vado a godermi il concertone
e non ci penso a tutto questo schifo
magari si rimedia un po' di femmina
e si fa qualche affare con la roba
ci ho la maglietta col Che stampato sopra
funziona sempre e quanto a tutto il resto
io dico me ne frego - e me ne frego.
II. Il cugino del cugino, o forse lo zio
Ci fu un tempo in cui pensavamo
che i consigli avrebbero preso il potere
che avremmo abolito lo sfruttamento
che avremmo abolito eserciti e frontiere
spezzato tutte le sbarre e le catene
restituito il suo umano volto
ad ogni essere umano, all'intero
mondo vivente reso il suo respiro.
Per me quel tempo non e' mai finito.
Non e' neppure cominciato, forse.
Che non sia ancora venuta l'ora nostra
non vuol dire, compagni, che non possa
venire.
E tu preparala adesso quell'ora.
Sii tu gia' ora l'umanita' come dovrebbe
essere.
Delle oppresse e degli oppressi la lotta
e tu organizzala.
Soccorri, accogli, assisti ogni persona
bisognosa di aiuto.
Opponiti a tutte
le guerre e le uccisioni.
Sii tu la nonviolenza in cammino.
7. RACCONTI EPIFANICI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLI STORTI: L'UOMO CHE PORTO' IL COMUNISMO IN ITALIA
Era gia' notte. In un'osteria. Era a Blera? Era a Tuscania? Era a Barbarano o a Monteromano? Chi se lo ricorda piu', sono passati tanti di quegli anni. Ma era notte. Ed era un'osteria, non una cantina, un'osteria.
Io ero il compagno della federazione. Dopo l'attivo della sezione, non ricordo se era per organizzare la festa del tesseramento o se si avvicinavano le elezioni o c'era il congresso del partito, ma doveva essere una riunione importante visto che c'era il compagno della federazione, si andava sempre all'osteria o in cantina, i compagni ci tenevano. Ci tenevano per poter fare quattro chiacchiere col compagno della federazione senza la formalita', le ritualita' che durante la riunione in sezione erano inevitabili. All'osteria invece si parlava alla buona, delle famiglie e del lavoro, di pallone e di ciclismo, del tempo e dei figli, delle questioni politiche controverse su cui il partito era in difficolta', eccetera.
*
Nell'osteria non c'era solo la tavolata dei compagni, ma anche altri avventori. Non molti, era tardi.
Uno di questi, piccolo, nero, quasi accartocciato, se ne stava solo, a testa bassa, in un angolo male illuminato seduto a un tavolino la cui tovaglia incerata recava le tracce di ore ed ore di un solitario disperato trincare e vi trionfava una damigianetta. Solo a guardare in quell'angolo buio si sentiva che la puzza di vino era li' piu' intensa che ovunque. Per quel poco che si vedeva aveva gli occhi cosi' acquosi che sembrava che piangesse. Biascicava suoni inarticolati, scuoteva la testa e gesticolava tutto solo, tutto smorfie e mezze risate che finivano in colpi di tosse e in un soffiare enfisematico.
Dopo una mezz'ora che eravamo li' e che continuava ad ingollare un bicchiere dopo l'altro e a rissare con la sua ombra, si fece di colpo silenzioso e immobile, guardandoci di sottecchi con gli occhi grifagni e il volto scontorto; era impossibile non notarlo: uno dei compagni mi sussurro' che era un ubriacone e un attaccabrighe che dormiva per strada, una volta era stato pastore e calderaio ma a forza di bere aveva perso la moglie e la terra, la casa e il lavoro, campava di furti e di risse e non lo poteva vedere nessuno, era stato in galera e in manicomio.
Continuava a fissarci in tralice, la testa bassa e l'espressione truce, il collo tutto rincagnato nelle spalle, pareva una tartaruga. Poi si alzo' in piedi, ondeggiando, faticando a trovare l'equilibrio. Poi un po' inciampando e un po' strisciando i piedi ci si avvicino' lento, sghembo, noi c'interrompemmo, restammo in silenzio a guardarlo interrogativi.
Lui si fermo', curvo, a un paio di metri dalla nostra tavolata. Sembro' cercare le parole, fece un gesto del braccio come per cominciare a parlare e apri' la bocca ma la voce non usci'. Tento' ancora un paio di volte senza esito.
Poi finalmente riusci' a dire "Scusate", e poi di nuovo "Scusate, eh, scusate". Poi "Ho sentito quello che dicevate e allora, scusate, eh". E poi "Ho sentito e cosi' ho capito che siete, si', che siete, anche voi, si''". E poi aggiunse quasi sottovoce "Compagni". Poi si fece forza e disse: "Mi chiamo Bastiano e sono nato a Abas, il paese dove e' nato il compagno Antonio Gramsci, l'uomo che ha portato il comunismo in Italia".
Lo ripete' due volte, tre, quattro, cinque, e piu' lo ripeteva piu' la voce gli si faceva ferma e il volto gli si illuminava; e sembrava farsi piu' dritto, piu' alto, piu' grande, piu' vivo. E adesso erano vere lacrime che gli scorrevano sul viso.
Lo invitammo a sedersi con noi, fece segno di no sorridendo timido, biascico' che doveva andare via, si scuso' di nuovo, si diresse alla porta zoppicando e barcollando, giunto all'uscio si giro' ancora verso di noi e ci saluto' col pugno chiuso, poi usci' nella notte.
Non l'ho piu' rivisto. Non l'ho piu' dimenticato.
8. OGGI
Non e' un giorno di festa il primo maggio.
Ma di dolore che chiama alla lotta.
Memoria dei volti di tutti gli uccisi
dalla violenza dei poteri dominanti
e promessa a noi stessi di abolire
la fame e la miseria assassine
lo sfruttamento e la rapina
di cui ogni privilegio consiste
e tutte le armi e tutti gli eserciti
che tutti divorano esseri umani.
Non e' un giorno di festa il primo maggio.
Ma di dolore che chiama alla lotta.
Queste convinzioni noi teniamo ferme:
che ogni essere umano sia un essere umano
e quindi che abbia diritto alla vita
alla dignita' alla solidarieta'
alla condivisione del bene e dei beni.
Che quest'unico mondo vivente di cui siamo parte
ed e' l'unica casa comune dell'umanita' tutta
dobbiamo esserne rispettosi custodi
la sua vita e la vita di ogni vita
ha un intrinseco immenso valore
non e' macchina ne' merce.
Sia la massima della nostra condotta
di agire verso le altre persone
come vorremmo esse agissero verso di noi.
Sia la massima della nostra condotta
che ognuno si senta responsabile di tutto.
Sia la massima della nostra condotta
che da ciascuno sia dato secondo
le sue capacita' ed a ciascuno
secondo i suoi bisogni.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare
l'umanita'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi
unitevi nella lotta per la liberazione comune.
9. OMERO DELLI STORTI: ALTRE BELVE
I.
Il tempo non ha tempo di fermarsi
a bere un caffe', a fare quattro chiacchiere
deve correre a fare il suo lavoro
quale lavoro poi non si capisce.
Talvolta lo incontri in un vicolo buio
ti chiedi che mai ci faccia la'
ma svicoli subito, fai finta
di non riconoscerlo
non si sa mai.
Il tempo certe volte ti sembra
piu' vecchio di te e certe volte
un ragazzino con la smorfia da teppista
che balena come una lama.
Ti guarda con uno sguardo strano
ti ricordi di aver sentito dire
che si e' iscritto alla Gioventu' hitleriana.
Tu cerchi di starne alla larga
ma dove che vai lo incontri
il tempo col mitra nel sacco.
*
II.
Ma queste cose che scrivi
per chi le scrivi, e perche'?
Vi e' qualche bellezza? Non credo.
Vi e' qualche pieta'? Non direi.
Ma allora perche' poi lo fai?
A chi vuoi far perdere tempo?
E che ti ha mai fatto di male?
Potessi saperlo e potessi
fare qualcosa di meglio.
*
III.
Ogni belva si guarda intorno e dice
son tutte belve, devo stare attento.
*
IV.
Pensare pensieri brevissimi
trovare per caso un tesoro
come una cicca per strada.
*
V.
Tu non arrenderti al male
tu non arrenderti al sonno
spegni le voci nel cuore
affila il coltello e preparati.
Tu non scordare perche'
ti trovi qui dentro l'armadio
ti trovi nel sottomarino
vestito di rami e di buio.
Tu non sperare respiro
tu non sentire ragione
non fabbricare parole
non scorticare le scarpe.
Qeste parole non sono nulla
io che le dico non esisto
sei solo e lo sei sempre stato
qualcuno ti ha derubato
non io, che io non esisto.
10. COMMEMORATO MAURICE MERLEAU-PONTY A VITERBO
La mattina di giovedi' 3 maggio 2018 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" si e' svolto un incontro di commemorazione di Maurice Merleau-Ponty nella ricorrenza dell'anniversario della scomparsa.
Maurice Merleau-Ponty (Rochefort-sur-Mer, 14 marzo 1908 - Parigi, 3 maggio 1961), e' stato un illustre filosofo, un resistente antifascista, uno strenuo difensore dei diritti umani. Nel corso dell'incontro sono stati letti e commentati alcuni brani dalle sue opere principali.
Le persone partecipanti all'incontro, nel ricordo e alla scuola di Maurice Merleau-Ponty, hanno espresso ancora una volta una corale persuasa opposizione alla guerra e a tutte le uccisioni, al razzismo e a tutte le persecuzioni, al maschilismo e a tute le oppressioni; ed hanno formulato ancora una volta la richiesta che l'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari; che l'Italia riconosca a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro; che l'Italia riconosca il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
*
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Difendere la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Difendere il mondo vivente casa comune dell'umanita'.
Scegliere la nonviolenza.
11. DI COSA DOVREBBERO PARLARE I MEZZI D'INFORMAZIONE QUANDO PARLANO DI POLITICA
Di salvare le vite delle persone che oggi vengono uccise.
Di abolire le guerre e tutte le uccisioni.
Di soccorrere ogni persona nel bisogno e in pericolo.
Dell'urgente necessita' della nonviolenza.
*
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Riconoscere che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Proteggere da ogni aggressione quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
*
Alle forze politiche democratiche occorre chiedere ancora una volta: di opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni; di opporsi al razzismo e a tutte le persecuzioni; di opporsi al maschilismo e a tutte le oppressioni; di difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani; di difendere la biosfera; di rispettare ed inverare la Costituzione della Repubblica Italiana; di rispettare ed inverare la Dichiarazione universale dei diritti umani; di fare della nonviolenza il fulcro della politica. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Subito una politica di disarmo che salva le vite.
Subito una politica di accoglienza e solidarieta' che salva le vite.
Subito il riconoscimento del diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese: il principio "una persona, un voto" e' il fondamento della democrazia.
12. UN'OPINIONE ESPRESSA IN DUE PAROLE IN OCCASIONE DEL BICENTENARIO DELLA NASCITA DI KARL MARX
Ricorre il 5 maggio 2018 il bicentenario della nascita di Karl Marx, che fu all'incirca coetaneo di Mazzini e di Bakunin, di Garibaldi e di Darwin, di Dickens e Flaubert, di Tolstoj e Dostoevskij.
Visse perseguitato, in esilio e in poverta', la maggior parte della sua vita, e tutta la dedico' allo studio della societa' e alla lotta contro l'ingiustizia, per la liberazione dell'umanita' da ogni oppressione.
Scrisse col sodale di tutta una vita, Friedrich Engels, il migliore degli amici, il programma politico forse piu' letto nella storia dell'umanita', quel Manifesto del partito comunista che come l'Apologia di Socrate e il Discorso della Montagna ha nutrito la speranza e la lotta di liberazione d'innumerevoli esseri umani.
Uomo del XIX secolo, un tempo ormai assai lontano da noi - tanto veloci ed incommensurabili sono stati i mutamenti da allora -, la sua voce ancora ci parla e ci aiuta a capire noi stessi e il mondo, il nostro dolore e i nostri doveri, come quelle dei tragici greci, di Lucrezio, di Dante, di Cervantes, di Shakespeare, di Leopardi, di Virginia Woolf, di Simone Weil e di Hannah Arendt. Tutto l'essenziale del pensiero e dell'azione di chi si e' battuto per la verita' e la giustizia, di chi ha operato per il bene dell'umanita', e' ancora vivo e vivificante, a condizione che tu sappia rileggerlo ed interpretarlo, sentirlo ed agirlo criticamente e concretamente, con la mente, il cuore, il braccio.
*
Chi ha letto Marx, e non la delirante dogmatica inchiodatagli addosso da chi volle farne un grottesco feticcio assetato di sangue, e lo ha letto sapendo inserire quei testi nel contesto loro, quella vita nel suo tempo, quell'azione nel movimento di cui fu e volle essere parte, ne ha appreso alcune cose che non puoi piu' dimenticare.
Che come te le altre persone esistono e soffrono, e nessuna persona e' un'isola, e nessuna azione o omissione e' indifferente; che la tua dignita' e liberta' e' legata alla dignita' e liberta' altrui; che dal discernere il bene dal male deve scaturire l'azione buona; che oltre il livello meramente biologico la nostra vita si da' sempre situata nella cultura e nella societa', nella trama delle relazioni tra gli esseri umani, le complesse strutture da loro create, il mondo vivente di cui siamo parte; che esiste un'alternativa allo sfruttamento, alla violenza, alla distruzione dell'umanita' e della natura, e questa alternativa e' la solidarieta' tra le persone oppresse che contro ogni menzogna e contro ogni oppressione si sollevano e costruiscono ad un tempo la condivisa comprensione del mondo, la condivisa responsabilita' per il bene comune, la giustizia e la misericordia; che un modo di produzione e riproduzione sociale che deruba e schiavizza ed aliena gli esseri umani e avvelena e devasta e distrugge il mondo vivente non puo' che portare l'umanita' alla catastrofe; che chi prende coscienza di questa situazione ha il dovere di lottare affinche' si realizzi quell'alternativa che ad ogni essere umano riconosce il diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'; ha il dovere di lottare per difendere dalla distruzione quest'unico mondo vivente di cui siamo parte, abitanti e custodi.
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L'economia, che nell'etimo e' la legge della casa comune, deve inverarsi nell'ecologia, che nell'etimo e' la conoscenza e il discorso e quindi l'azione per il bene della casa comune e dei suoi abitanti tutti.
Lo smascheramento della strutturale iniquita' e tendenziale catastroficita' della macchina predatoria e divoratrice del capitale astratto in danno degli esseri umani e della natura, e la rivendicazione del primato dell'umanita' e della biosfera di contro alla onnidistruttiva massimizzazione del profitto del meccanismo rapinatore, deve inverarsi nell'impegno comune affinche' il bene ed i beni siano messi in comune, affinche' da ogni persona sia dato alle altre in ragione delle sue capacita', e ad ogni persona sia dato dalle altre in ragione dei suoi bisogni.
Il lavoro, perno della produzione e riproduzione sociale, chiave della relazione tra umanita' e natura, deve cessare di essere patimento e schiavitu', e divenire condivisa esperienza di verita', di responsabilita', di liberta'. Nella libera e generosa assunzione del proprio dovere per il bene comune, anche il lavoro piu' umile e faticoso, se effettivamente necessario e condiviso da tutti, diviene pratica di umanizzazione.
Chiamiamo nonviolenza questa comprensione dell'unita' del genere umano e del mondo vivente.
Chiamiamo nonviolenza questa personale e collettiva assunzione di responsabilita'.
Chiamiamo nonviolenza la lotta che ad ogni violenza si oppone.
Chiamiamo nonviolenza questa scelta di universale solidarieta'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno concreto e coerente per la liberazione dell'umanita'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nell'impegno in difesa di quest'unico mondo vivente.
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Allego in calce a queste poche righe due brevi testi di Franco Fortini che sono per me parte integrante della trama di ragionamenti e di scelte che qui per cenni e di scorcio ho cercato ancora una volta di riassumere.
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Allegato primo. Franco Fortini: Marxismo
[Da Franco Fortini, Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 145-149. Era primieramente apparso sul "Corriere della sera" del 29 marzo 1983]
Quelli che hanno la mia eta' Marx l'hanno letto alla luce delle nostre guerre. Hanno sempre sentito chiamare marxista chi le potenze delle armi, del profitto o del potere avevano voluto ridurre al silenzio. "E tu come li chiami i popoli oppressi o uccisi in nome di Marx?", mi si chiedera' ora; forse supponendo che non abbia trovato il tempo, finora, di chiedermelo. Rispondo che sono dalla mia parte. Li conto insieme a quelli che dal Diciassette, quando sono nato, sono nemici dei miei nemici, a Madrid come a Shanghai, a Leningrado come a Roma, a Hanoi, a Santiago, a Beirut... I cacciatori di "bestie marxiste" (cosi' si esprimono) devono sempre aver avuto difficolta' ad apprezzare le differenze teoriche fra marxiano, marxista, socialista, comunista, bolscevico e cosi' via.
Mi spieghero' meglio, per loro beneficio. C'e' una foto russa, del tempo della guerra civile: un plotone di morti di fame, in panni ridicoli, cappellucci alla Charlot in testa, scarpe slabbrate; e a spall'arm i fucili dello zar. Questo e' marxismo. C'e' un'altra foto, Varsavia 1956, un giovane magro, impermeabile addosso, sta dicendo nel microfono, a una sterminata folla operaia che il giorno dopo l'Armata rossa, come a Budapest, puo' volerli morti o deportati. Anche questo e' marxismo. Con chi queste cose dice di non capirle, di marxismo e' meglio non parlare neanche.
Un certo numero di italiani miei coetanei sparve anzitempo dalla faccia della terra, combattendo borghesi e fascisti. Grazie a loro se le forze dell'ordine volessero perquisirmi, potrei mostrare che sul miei scaffali invecchiano le opere di Marx, di Lenin e di Mao, senza temere, ancora, di venire trascinato alla tortura e alla fossa com'e' accaduto e ogni giorno accade a poche ore di aereo da casa nostra. Dieci o quindici anni fa poco e' mancato che la civica arena o il catino di San Siro non accogliessero, come lo stadio di Santiago del Cile, le "bestie marxiste". So chi mi avrebbe aiutato, in quel caso: non sarebbero stati davvero quelli che mi conoscono perche' hanno letto i miei libri. E ora approfitto di queste righe per salutare Alaide Foppa, mia collega di letteratura italiana a Citta' di Messico. La conobbi anni fa. In questi giorni ho saputo chi l'ha ammazzata, in Guatemala. Anche questo e' marxismo.
Cominciai nel 1940 col Manifesto, per consiglio di Giacomo Noventa e Giampiero Carocci; senza alcun entusiasmo. Capii poi qualcosa da Trockij e Sorel. Durante la guerra vissi in fanteria un buon corso di marxismo pratico. A Zurigo, nell'inverno 1943-44, non so quanti libri lessi, riassunsi e annotai, che parlavano di socialismo e di materialismo storico. Si faceva fuoco di ogni frasca, allora. Un opuscolo in francese, ricordo, mi fu molto utile; l'aveva scritto un tale che firmava con lo pseudonimo, seppi poi, di Saragat. L'apprendistato comprendeva testi anche troppo disparati: Malraux e Rosselli, Victor Serge e Silone, Mondolfo e Eluard...
A guerra finita vennero letture meno selvagge: le opere storiche (Le lotte di classe in Francia, Il diciotto brumaio, La guerra civile in Francia), parte della Sacra famiglia, i primi capitoli, splendidi di genio e forza sintetica, della Ideologia tedesca, i due volumi del primo libro del Capitale, e a partire dal 1949 quei Manoscitti economico-filosofici del 1844 oggi tanto derisi e che mai hanno cessato di stupirmi per la loro capacita' di guidarci da Hegel fino ai giorni che ancora ci aspettano; e di dirci parole di incredibile attualita'. E altro ancora.
Dopo vent'anni di diatribe storico-filologiche sul primo e il secondo Marx; dopo Lukacs e Sartre, Bloch e Sohn-Rethel, Adorno e Althusser, Mao e gli amici torinesi di "Quaderni rossi", a quelle pagine non ho piu' sentito il bisogno di tornare se non nei termini di cui parla Brecht in una poesia intitolata, appunto, "Il pensiero nelle opere dei classici":
Non si cura
che tu gia' lo conosca; gli basta
che tu l'abbia dimenticato...
senza l'insegnamento
di chi ieri ancora non sapeva
perderebbe presto la sua forza rapido decadendo.
Non stiamo commemorando la nostra giovinezza. Anche se fondamentale, quel pensiero non e' se non un passaggio dell'ininterrotto processo che porta da luce a oscurita' poi ad altra luce, e dal credere di sapere al sapere di credere. Se ne compone (come quella di chiunque) la nostra esistenza. O per la gioia dei piu' sciocchi dovremmo ripetere qual che ci sembra di aver detto sempre e cioe' di non aver creduto mai che il pensiero di Marx potesse fungere da chiave interpretativa del mondo piu' o meglio di quanto lo faccia, ad esempio, la poesia dell'Alighieri? Una educazione alla storia ci faceva almeno intravvedere quel che era stato detto e fatto ben prima e sarebbe stato detto e patito molto dopo di noi.
Quando, per l'Italia, almeno dal 1900, data del libro di Croce, ci viene ogni qualche anno ripetuto che quella di Marx e' filosofia superata, non ho difficolta' ad ammetterlo; sebbene subito dopo domandi che cosa significa superare la filosofia di Platone o di Kant. Quando ci viene spiegato che la teoria marxiana del valore o quella sulla caduta tendenziale del saggio di profitto sono manifestamente errate, non ho difficolta' ad ammetterlo; anche perche' mai l'ho impiegata per capire come vadano le cose di questo mondo. Quando mi si dimostra che l'idea, certo marxiana, di un passaggio dalla preistoria umana alla storia mediante la fine della proprieta' privata, dello Stato e del lavoro alienato, si fonda su di una antropologia fallace e senz'altro smentita dai "socialismi reali", apertamente lo riconosco; anche perche' ho sempre attribuita la figura d'un progresso illimitato all'errore che afferma la indefinita perfettibilita' dell'uomo, un errore illuministico-borghese che Marx ebbe a ereditare.
Ma quando mi si dice che la teoria delle ideologie e' falsa, che la lotta delle classi e' una favola e che il socialismo e' una utopia senza neanche l'utilita' pragmatica delle utopie, chiedo allora un supplemento di istruttoria. Primo, perche' il pensiero epistemologico contemporaneo, dalla critica psicanalitica del soggetto fino alla semiologia, conferma la fine d'ogni immediata coerenza fra parola, coscienza e realta', come fra mondo e concezioni del mondo; secondo, perche' a tutt'oggi e' difficile negare - e lo si sapeva ben prima di Marx - l'esistenza di ininterrotti conflitti di interessi fra gruppi umani per il possesso dei mezzi di produzione e la ripartizione del prodotto sociale; conflitti determinati dai modi del produrre e determinanti l'assetto, o lo sconvolgimento, dell'intera societa'. Per quanto e' del terzo ed ultimo punto, convengo volentieri che esso rinvia ad una persuasione indimostrabile.
La volonta' di eguaglianza e giustizia pertiene alla politica solo grazie alla mediazione dell'etica e della religione. Marx non ne ha data nessuna ragione migliore. Indipendentemente da ogni mito perfezionista, credo si debba continuare a volere (un volere che implica lotta) una sempre piu' sapiente gestione delle conoscenze e delle esistenze. Il "sogno di una cosa" e' la realizzata capacita' dei singoli e delle collettivita' di operare sul rapporto fra necessita' e liberta', fra destino e scelta, fra tempo e attimo.
Il movimento socialista e comunista si e' fondato per cent'anni su quel che si chiamava l'insegnamento di Marx. Ne era parte maggiore l'idea che il passaggio al comunismo dovesse essere conseguenza dello sviluppo delle forze produttive, della industrializzazione e della crescita della classe operaia; e compiersi con una pianificazione centralizzata. In questi nodi di verita' e di errore si e' legato il "socialismo reale". Oggi gli esiti del passato ci impediscono di guardare al futuro. Sono esiti tragici non solo per cadute politiche, economiche o culturali ne' solo per costi umani; ma perche', anche al di fuori dei paesi comunisti, il "marxismo reale" ha accettato il quadro mentale del suo antagonista: primato della tecnologia, etica della efficienza, sfruttamento dei piu' deboli. Sembrano falliti tutti i tentativi per uscire da questa logica: massimo quello cinese. Eppure, Bloch dice, non e' stata data nessuna prova che quella uscita sia impossibile. L'eredita' marxiana e' divisa: una meta' e' ancora nostra, l'altra e' dei nemici del socialismo e comunismo, sotto ogni bandiera, anche rossa.
Quanto alla mente geniale morta cent'anni fa, e' anche grazie ad essa che e' stato ridimensionato il ruolo delle grandi personalita' e dei loro sepolcri. Pero' ho visitato con commozione a Parigi il Muro dei Federati, a Nanchino la Terrazza della Pioggia di Fiori o dei Centomila Fucilati; mi fosse possibile, andrei a onorare i morti dei Gulag: sono tutti di una medesima parte, tuttavia parte; non ipocrita bacio tra vittime e carnefici. Marx ci ha infatti insegnato a capire una volta per sempre quale opera implacabile gli ignoti, gli infiniti vinti vincitori, compiano entro le societa' che preferirebbero ignorarli ed entro di noi; quali cunicoli scavino, quali fornelli di mina preparino anche in coloro che li odiano per aver voluto qualcosa che interi popoli oppressi continuano, morti e vivi, a volere. Tutta la storia umana, ci dice, deve essere ancora adempiuta, interpretata, "salvata". E o lo sara' o non ci sara' piu' - sappiamo che e' possibile - nessuna storia. O ti interpreti, ti oltrepassi, ti "salvi" o non sarai esistito mai.
L'amico di Federico Engels non e' stato davvero il primo a dircelo. L'ultimo si'. E meglio ancora ogni giorno lo dice, oscuro a se stesso, "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" (Ideologia tedesca, 1845-46, I, a). Anche questo e' marxismo.
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Allegato secondo. Franco Fortini: Comunismo
[Da Franco Fortini, Extrema ratio, Garzanti, Milano 1990, pp. 99-101; era stato pubblicato per la prima volta nell'inserto settimanale satirico "Cuore" del quotidiano "L'Unita'" del 16 gennaio 1989. Dopo la pubblicazione in Extrema ratio, questo testo e' stato ristampato anche nell'opuscolo Una voce: comunismo, Edizioni del Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990; in Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991; in Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003]
"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una societa' basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e consumo, in alternativa a societa' basate su forme di proprieta' privata ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine e' l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia Garzanti).
Il combattimento per il comunismo e' gia' il comunismo. E' la possibilita' (quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalita' - pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale, e' e sara' il raggiungimento di un luogo piu' alto, visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualita' di ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi e' condizione perche' ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di se' quanto piu' lacerante e reale, il conflitto e' fra classi di individui dotati di diseguali gradi e facolta' di gestione della propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-liberta' di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro "liberta'" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana, come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di liberta', cioe' di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria. Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilita' e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarieta' e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-liberta' della produzione e dei consumi. Ne' gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilita' e amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
Il comunismo in cammino (un altro non esiste) e' dunque un percorso che passa anche attraverso errori e violenze, tanto piu' avvertiti come intollerabili quanto piu' chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come oggi avviene, per un fine che non e' mai la loro vita. Usati, ma sempre meno, come mezzi per un fine, un fine che sempre piu' dovra' coincidere con loro stessi. Ma chi dalla lotta sia costretto ad usare altri uomini come mezzi (e anche chi accetti volontariamente di venir usato cosi') mai potra' concedersi buona coscienza o scarico di responsabilita' sulle spalle della necessita' o della storia.
Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si riconosce e ai quali, come a se stesso, indirizza la propria azione; e non solo nemico di quanti riconosce, di quel fine, nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e misura, anche dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perche' non dara' requie ne' a se' medesimo ne' a loro, per strappare essi e se stesso agli inganni della dimenticanza, delle apparenze e del sempreuguale.
Dovra' evitare l'errore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia che l'uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. Questo errore, con le piu' varie manipolazioni, ha gia' prodotto, e puo' produrre, dei sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini in cui ci riconosciamo. Ereditato dall'Illuminismo e dallo scientismo, depositato dalla cultura faustiana della borghesia vittoriosa dell'Ottocento, quell'errore ottimistico fu presente anche in Marx e in Lenin e oggi trionfa nella maschera tecnocratica del capitale. Quando si parla di un al di la' dell'uomo, e' dunque necessario intendere un al di la' dell'uomo presente, non un al di la' della specie. Comunismo e' rifiutare anche ogni sorta di mutanti per preservare la capacita' di riconoscersi nei passati e nei venturi.
Il comunismo in cammino adempie l'unita' tendenziale tanto di eguaglianza, fraternita' e condivisione quanto quella di sapere scientifico e di sapienza etico-religiosa. La gestione individuale, di gruppo e internazionale, dell'esistenza (con i suoi insuperabili nessi di liberta' e necessita', di certezza e rischio) implica la conoscenza delle frontiere della specie umana e quindi della sua infermita' radicale (anche nel senso leopardiano). Quella umana e' una specie che si definisce dalla capacita' (o dalla speranza) di conoscere e dirigere se stessa e di avere pieta' di se'. In essa, identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle non ancora nate e' un atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi; ed e' allegoria e figura di coloro che saranno.
Il comunismo e' il processo materiale che vuol rendere sensibile e intellettuale la materialita' delle cose dette spirituali. Fino al punto di sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini fecero e furono sotto la sovranita' del tempo; e interpretarvi le tracce del passaggio della specie umana sopra una terra che non lascera' traccia.
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 965 del 6 agosto 2018
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