[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 949



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 949 del 18 luglio 2018
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In questo numero:
1. Il dato di fatto
2. Prosegue il digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti
3. Paolo Arena presenta "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood

1. L'ORA. IL DATO DI FATTO

Il dato di fatto e' che nel Mediterraneo continua l'ecatombe.
Il dato di fatto e' che in Libia innumerevoli innocenti sono ridotti in schiavitu' e reclusi in veri e propri lager.
Il dato di fatto e' che il governo italiano sta commettendo il crimine abominevole di negare soccorso ai naufraghi chiudendo i porti italiani alle navi che li traggono in salvo; sta commettendo il crimine abominevole di diffamare, minacciare, aggredire e sabotare i soccorritori che salvano vite umane in mare; sta commettendo il crimine abominevole di operare al fine di impedire agli esseri umani innocenti prigionieri nei lager libici di trovare salvezza fuggendo in Europa; sta commettendo il crimine abominevole di imporre un regime di persecuzioni razziste.
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Non solo il governo italiano e' principale responsabile di questa situazione, ma pressoche' tutti i governi europei e l'Unione Europea nel suo insieme.
Ma il governo italiano, per la posizione geografica del nostro paese, e' quello che di fatto qui e ora decide della vita e della morte di innumerevoli innocenti, e oggi li sta facendo morire. Li sta facendo morire. Morire.
Un governo che non fosse razzista e disumano salverebbe senza esitare le persone che salvare e' possibile, quindi doveroso. Il governo in carica invece le lascia morire.
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Ne consegue che il primo dovere morale ed il primo compito politico che ogni italiano decente deve porsi e' il seguente: impegnarsi per ottenere le dimissioni immediate del governo della disumanita' e che siano processati e condannati i ministri criminali responsabili di mostruosi reati.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. INIZIATIVE. PROSEGUE IL DIGIUNO DI GIUSTIZIA IN SOLIDARIETA' CON I MIGRANTI
[Riceviamo, diffondiamo e aderiamo]

A tutti gli uomini e le donne di buona volonta'
Martedi' 10 luglio 2018 alle ore 12 ci ritroviamo a Roma, in piazza San Pietro, per una giornata di digiuno. Da li' proseguiremo a Montecitorio per testimoniare con il digiuno contro le politiche migratorie di questo governo. E continueremo a digiunare per altri 10 giorni con un presidio davanti a Montecitorio dalle ore 8 alle 14.
Per adesioni al digiuno e partecipazione scrivere a questa email: digiunodigiustizia at hotmail.com
"Avete mai pianto, quando avete visto affondare un barcone di migranti?", cosi' Papa Francesco ci interpellava durante la messa da lui celebrata a Lampedusa per le 33.000 vittime accertate (secondo il giornale inglese "Guardian" che ne ha pubblicato i nomi) perite nel Mediterraneo per le politiche restrittive della "Fortezza Europa".
E' il naufragio dei migranti, dei poveri, dei disperati, ma e' anche il naufragio dell'Europa, e dei suoi ideali di essere la "patria dei diritti umani". La Carta dell'Unione Europea afferma: "La dignita' umana e' inviolabile. Essa deve essere rispettata".
E' un crimine contro l'umanita', un'umanita' impoverita e disperata, perpetrato dall'opulenta Europa che rifiuta chi bussa alla sua porta.
Un rifiuto che e' diventato ancora piu' brutale con lo scorso vertice dell'Unione Europea in cui i capi di governo hanno deciso una politica di non accoglienza. Anche l'Italia decide ora di non accogliere, di chiudere i porti alle navi delle Organizzazioni non governative ed affida invece tale compito alla Guardia Costiera libica, che se salvera' i migranti, li riportera' nell'inferno che e' la Libia. Perfino la Commissione Europea ha detto: "Non riportate i profughi in Libia, li' ci sono condizioni inumane".
Per questo stiamo di nuovo assistendo a continui naufragi. L'Onu parla di oltre mille morti in questi mesi.
Papa Francesco ha fatto sue le parole dell'arcivescovo Ieronymos di Grecia pronunciate nel campo profughi di Lesbo: "Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi, e' in grado di riconoscere immediatamente la bancarotta dell'umanita'".
E' il sangue degli impoveriti, degli ultimi, che interpella tutti noi, in particolare noi cristiani che saremo giudicati su: "Ero straniero... e non mi avete accolto". Noi chiediamo a tutti i credenti di reagire, di gridare il proprio dissenso davanti a queste politiche disumane.
Noi proponiamo un piccolo segno visibile, pubblico: un digiuno a staffetta con un presidio davanti al Parlamento italiano per dire che non possiamo accettare questa politica delle porte chiuse che provoca la morte nel deserto e nel Mediterraneo di migliaia di migranti.
"Il digiuno che voglio - dice il profeta Isaia in nome di Dio - non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?".
padre Alex Zanotelli, a nome dei missionari comboniani
mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta
don Alessandro Santoro, a nome della Comunita' delle Piagge di Firenze
suor Rita Giaretta, Casa Ruth, Caserta
padre Giorgio Ghezzi, religioso sacramentino
"La Comunita' del Sacro Convento aderisce e partecipa nella preghiera" e' quanto riferisce padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi

3. LIBRI. PAOLO ARENA PRESENTA "IL RACCONTO DELL'ANCELLA" DI MARGARET ATWOOD
[Ringraziamo Paolo Arena per questo articolo.
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica, di storia linguistica dell'Italia contemporanea. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it
Margaret Atwood, nata a Ottawa nel 1939, e' una delle piu' note scrittrici contemporanee, militante femminista, ecologista, per i diritti umani di tutti gli esseri umani. "Il racconto dell'ancella", pubblicato nel 1985, e' uno dei suoi libri piu' conosciuti]

Margaret Atwood, Il racconto dell'ancella (tit. or.: The Handmaid's Tale).
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1. La storia
Le memorie di una giovane donna in un futuro non meglio imprecisato in cui l'umanita' e' colpita duramente da guerre ed inquinamento. In una parte degli Stati Uniti ribatezzatasi Galahad si trova uno stato fascista nel quale le poche donne fertili sono costrette a generare figli congiungendosi ai leader politici cui sono assegnate; il figlio verra' poi cresciuto dal Comandante e da sua Moglie e l'ancella sara' destinata ad un'altra casa dove provera' di nuovo a concepire con un altro Leader. La sua posizione e' alla stregua di una proprieta' pubblica assegnata alla casa, come fosse una serva il cui compito pero' sia quello di provvedere alla prosecuzione della specie. Il concepimento avviene durante una cerimonia religiosa mensile ispirata dalla vicenda biblica di Rachele.
La societa' e' rigidamente gerarchizzata, militarizzata e rimodellata in base ad una presunta ispirazione letterale alle Scritture - in un mondo in cui le potenze statuali delle varie zone si sono ritirate in se stesse dopo anni di devastazione bellica che hanno portato alla catastrofe ecologica ed alla quasi completa sterilita' del genere umano.
Galahad e' il nuovo nome di questa America molto simile all'America puritana, l'altra faccia del mito fondativo americano assieme a quella del selvaggio west (e che siano indiani o donne sempre uno sterminio ci sa di mezzo). Galahad si sta risollevando dopo anni di crisi e guerra; inoltre e' circondata dalle Colonie, cioe' territori completamente devastati e radioattivi dove le persone inutili, i dissidenti, gli antisociali vengono inviati ad operare bonifica, consumandosi rapidamente in un ambiente ostile, radioattivo.
Difred (in inglese Offred) come le altre Ancelle generatrici non ha piu' un nome proprio, ma solo quello dell'alto funzionario a cui e' assegnata (Fred, nel periodo in cui si svolge la narrazione): sue "colleghe" sono Diglen, Diwarren eccetera. Difred e le altre sono state requisite durante questo percorso di chiusura della societa' e rieducate al loro nuovo ruolo di Ancelle, mentre tutta la societa' si riformava in senso autoritario, conservatore, isolazionista, rigidamente gerarchizzato in classi di privilegi e funzioni. Ad ispirare il tutto l'interpretazione fondamentalista e distorta della Bibbia che assegna piena dignita' agli uomini ed uno stato subalterno alle donne, predestinate all'obbedienza, alla riproduzione, al servizio. Questo sistema sta effettivamente mettendo ordine in questa America devastata e la rigida divisione sociale del lavoro, la propaganda e ovviamente la paura tengono occupate le persone degli strati inferiori, a cui spettano minori responsabilita' e minori diritti, compreso quello non sempre garantito di avere assegnata una moglie. Ogni strato umano ha le sue donne con una divisa, che ne definisca l'appartenenza al primo sguardo. Le Ancelle hanno veste rossa, cuffia larga con ali che limitano la vista, biancheria funzionale e relativa dotazione invernale. Le Zie sorvegliano le Ancelle e ne sembrano ben liete: con parole appunto da vecchia Zia saggia, oppure con un pungolo elettrico da bestiame, insegnano alle ancelle come comportarsi, quali siano i loro doveri, cosa le aspetta se falliranno o si ribelleranno, cosa sia morale e cosa non lo sia; hanno una divisa che ricorda quelle militari. Le Mogli hanno vesti azzurre e sono responsabili per tutte le questioni femminili della casa; sono quanto di piu' importante ci sia nella domus al di sotto dei maschi; tutte le altre donne, povere, indossano vesti a righe.
Compito delle ancelle e' anche quello di fare la spesa, muovendosi a coppie organizzate dalle autorita': possono così scambiare qualche parola, ma e' quasi impossibile fidarsi, aprirsi, per paura che l'altra sia una spia.
Tradimento, diffidenza, ipocrisia, invidia: sotto l'apparenza ordinata e' una societa' profondamente divisa e tutt'altro che serena, organizzata dal terrore; si percepisce lo sforzo del sistema per tenere tutto sotto controllo: punizioni corporali, deportazione, pena di morte per i dissidenti, i sacerdoti, gli abortisti, i  fedifraghi, i lussuriosi, i criminali, i drogati, gli omosessuali. Atteggiamento tipicamente autoritario quello di voler porre definitivo arresto a pulsioni umane eterne ed incontenibili, e allora sotterfugi ed autoinganni per soddisfarle. La cerimonia di concepimento e' sostanzialmente uno stupro dell'Ancella, con tanto di Moglie che tiene loro la mano e che partecipa a questa celebrazione degradante della sua inutilita' in quanto donna infertile, messa nelle mani di Dio per ricevere il dono della procreazione, scandalosamente elargito a persone indegne da rieducare, da possedere come bestie.
Difred e' una giovane Ancella assegnata alla casa di quello che si scoprira' essere un alto comandante del regime, forse uno dei suoi pilastri, quasi un padre fondatore. e' integrata nella vita domestica nel peggiore dei modi: il personale di servizio la percepisce come ingiustamente privilegiata, ma contemporaneamente cerca di appropriarsi della sua energia generatrice. La Moglie deve cercare di empatizzare con lei il piu' possibile al fine di godere di una sorta di transfert di maternita', che dovrebbe innescarsi dalla cerimonia del concepimento, per arrivare poi a diventare Madri di un figlio altrui. La Moglie e' anche costretta quindi a vedere il proprio marito congiungersi ad un'altra, anzi ad approvarlo, a contribuire, ad accettare di vedersi riconosciuta colpevole dell'incapacita' di qualificarsi come donna nell'unico modo ammesso: generando la vita; chi non puo' e' inutile ed a meno che non sia moglie di un Comandante e' a rischio deportazione (cioe' "smaltimento").
Il Comandante e' persuaso in maniera ambigua della sua posizione: percepisce l'urgenza per l'umanita' di organizzarsi e sopravvivere - c'e' un paese da guidare, circondato da "ostili" e da pericoli.
Le giornate di Difred sono monotone e scandite, oltre che dalle attivita' domestiche, dal suo discorso interiore che riflette sul mondo attorno a lei e si pone domande, cerca di ricordare il mondo di prima, gli affetti perduti (un compagno disperso, una figlia requisita e riassegnata, l'amica Moira scomparsa, forse morta). La spesa, le poche parole scambiate e soprattutto le varie ritualita' con cui il sistema tiene soggiogate le Ancelle: manipolazione mentale, controllo del tempo e della mobilita', divieto (per tutta la societa') della lettura e del piacere, attivita' di gruppo, continui indottrinamenti morali dei piu' rigidi, controllo dello stato di fertilita'.
Il tuttofare Nick si occupa della casa, la Moglie (forse un ex personaggio dello spettacolo) del giardino. Una cuoca e cameriera completano la dotazione della casa.
Il Comandante quando e' in casa se ne sta nel suo studio a lavorare: dispone di un computer, di libri, di liquori e altri beni del mercato nero - ha accesso, come scopriremo, ad una sorta di club-bordello per alti dirigenti. La Moglie dirige la casa, la dispensa, la disciplina della servitu' o socializza con le altre Mogli.
Difred pensa, si parla, cioe' scrive a qualcuno perche' sappia di questo mondo. Nel suo alloggio ha trovato testimonianze della precedente ancella ("riassegnata" dovrebbe essere la norma, in realta' si e' suicidata - per aver avuto una storia col Comandante che andava oltre alla liceita' della cerimonia riproduttiva). Nel suo alloggio senza serratura, coi vetri infrangibili, senza oggetti pericolosi per se stessa o per gli altri trova anche una scritta tracciata con una punta su un asse di legno. Una scritta che non appena decifrata si insinuera' nella mente di Difred aiutandola a realizzare il suo desiderio di resistere e non farsi calpestare.
La spesa si fa con i "buoni" in negozi dal nome semplice e forniti dell'essenziale, simili alle botteghe di prima del tempo dei centri commerciali, botteghe che un giorno hanno solo una cosa ed un giorno solo un'altra; lei viene dalla casa di un pezzo grosso, quindi si presume i loro rifornimenti siano di classe superiore.
L'atmosfera sta degenerando man mano che il suo non rimanere incinta fa innervosire la Moglie.
Il Comandante invece inizia a manifestare interesse per lei: e' proibito e puo' costare caro persino agli alti funzionari; inoltre non si deve provare alcun piacere fisico durante la cerimonia di concepimento. Una sera il Comandante invita Difred nel suo studio: proibito. Qui iniziano ad avere un rapporto ancora non di tipo sessuale, ma quasi amicale: conversano, giocano a Scarabeo (proibito), bevono Alcool (proibito) - col proseguire delle visite il rapporto si fa piu' intenso, il comandante fa dei doni a Difred (cosmetici, vecchie riviste femminili, le permette di leggere libri) e poi la fa uscire di nascosto per portarla a Jezebel, una sorta di casa di piacere dove i comandanti si intrattengono o conducono trattative di affari, in mezzo a prostitute schiave e con la possibilita' di soddisfare ogni loro desiderio, droghe comprese. Complice di questa relazione il tuttofare Nick, che forse e' una spia, un "Occhio". A Jezebel Difred ritrova Moira che li' fa la prostituta in uno stato di schiavitu' mitigato soltanto dalla possibilita' di stordirsi e non essere inserita nelle routine lavorative di qualche casa. Moira era gia' stata narrata dalle memorie di Difred, ma ora le racconta lei stessa la sua storia dal momento in cui si sono separate. Il suo incontro coi movimenti clandestini, la sua cattura, la sua paura di morire o finire alle colonie o mutilata.
Intanto la Moglie progetta e riesce a portare a termine un piano altrettanto proibito: far unire Difred con Nick per farla rimanere incinta, sospettando la sterilita' del marito e determinata comunque ad avere un figlio (la piu' elevata delle condizioni sociali, tra l'altro). In cambio la Moglie offre a Difred informazioni sulla sua bambina.
Tra Nick e Difred nasce qualcosa di contorto  e clandestino: attrazione, sottomissione, pericolo, necessita'; lui costretto a fare da mezzano tra lei ed il Comandante; lei che dopo anni in uno stato di dissociazione col proprio corpo si riscopre in quanto donna e soggetto desiderante.
Difred assiste anche al parto di un'Ancella (e poi al distacco madre-figlio per la riassegnazione di lei ad un'altra casa), alla sparizione di un'altra, a diverse esecuzioni; ad un'esecuzione partecipa anche: e' compito delle Zie e delle ancelle infatti decidere il destino dei "molestatori" e questo e' sempre funesto, sempre dettato dallo scatenamento delle pulsioni represse.
Difred e' anche venuta a sapere di un movimento clandestino di resistenza, il "Mayday" - misterioso al limite della leggenda; inoltre sembra ci sia una sorta di Ferrovia Sotterranea alla stregua di quella ottocentesca che costituiva una rete di aiuto e messa in salvo degli schiavi neri fuggiaschi.
Le sara' chiesto dal Mayday di reperire informazioni dal suo Comandante, che e' un altissimo funzionario.
Col passare del tempo Difred risveglia una coscienza individuale e femminile, fino a decidersi a non soccombere ed a lottare per liberarsi, per ricongiungersi ai suoi, mettersi al sicuro; si scopre persino disposta a mettersi pericolosamente in gioco, mentre progressivamente si fanno piu' intensi o torbidi i rapporti con Nick (di cui forse e' incinta) e con il Comandante (in un complesso rapporto di autorita', sotterfugio, desiderio, solitudini, voglia di comprendere).
Durante tutto questo racconto Difred oltre che ai propri percorsi mentali, racconta il passato suo e della societa' in cui vive, come siano progredite le restrizioni nei confronti delle donne e come la societa' abbia reagito, fino allo stato attuale.
Finira' in maniera ambigua: in una situazione di pericolo per Difred che pero' forse e' l'inizio di qualcosa di nuovo: la salvezza, la lotta, la possibilita' di ritrovare i suoi - o forse e' un'ultima illusione prima del patibolo.
Al di fuori della narrazione "diaristica", comunque fin qui assolutamente mimetizzata, c'e' una sorta di coda-saggio in cui una societa' del futuro analizza questo testo ed il suo contesto come se fossero passati, dubbi, ancora da definire interamente, discussi e discutibili - dando l'idea che in qualche modo il mondo sia cambiato ancora o forse no - senza definire specifici giudizi morali di questa societa' futura su quella che l'ha generata.
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2. Lo stile, la forma, il genere
Scritto come fosse una memoria - pensata ma contemporaneamente redatta anche se non sappiamo come - il romanzo e' fatto di un linguaggio regolare, comprensibile, coerente col discorso interiore della protagonista e di quella che supponiamo fosse la sua vita (comunque una sorta di operatrice culturale, come si evince dal racconto di un lavoro di digitalizzazione di libri). e' anche avvertibile chiaramente come nel proseguire della narrazione ci sia una sorta di riappropriazione linguistica della donna, ed un recupero della familiarita' con la parola scritta e letta, in un mondo in cui sono attivita' proibite - viene infatti da una frase scritta in un traballante latino dalla precedente ancella l'incoraggiamento a non lasciarsi definitivamente sottomettere, colto da Difred che coltiva un discorso interiore che - come si conviene - oltre ad essere introspettivo e quindi politico e' anche letterario. In questo l'opera ricorda altre scritture emergenziali di testimonianze di momenti drammatici dell'umanita' - pur senza farne il verso -  e questo non e' certo un fattore di originalita', sia che si parli di memorialistica reale sia di espedienti letterari fin troppo noti anche nella letteratura di genere. Ma funziona e funziona il modo in cui e' fatto. e' un discorso lento che corrisponde ad una narrazione in cui non ci sono fatti-culmine cui tutta l'opera miri - un momento di lotta, un nemico ben identificabile liberandosi del quale inizi lo scioglimento che porti alla conclusione.
I processi mentali di Difred sono lenti, ampi, con la giusta quantita' di dettagli come di qualcuno che stia imparando di nuovo a vedere il mondo dopo un periodo di cecita'. Cio' che sappiamo e' dosato interamente dalle conoscenze della protagonista e questo ci permette di conoscere il mondo quanto lei - mantenendo quindi un giusto livello di timore dell'ignoto, di dubbio riguardo il futuro, di sospetto - di cortese invito della scrittrice ad immedesimarci col narratore per quanto possibile, e condividerne il percorso di rinascita. Ovviamente vale per un pubblico che sia suscettibile degli stessi sentimenti dell'autrice o della protagonista - dobbiamo sentirci smossi da quanto raccontato ed in questo il libro si inserisce da protagonista nella letteratura distopica a fianco degli altri capolavori: non ne e' possibile una lettura contraria al messaggio consegnato, non ne e' possibile una lettura del "hanno fatto anche cose buone" anche se a volte, nell'interiorizzazione che Difred e le altre fanno dell'indottrinamento del regime sembra davvero che ci siano degli aspetti positivi in questa societa'. Effetto voluto sicuramente: dobbiamo forse renderci conto che nessuna liberta' e' sacrificabile in nome della sopravvivenza di uno stato che senza le donne e gli uomini di cui e' fatto, cittadini liberi che lo scelgono, non ha ragione di esistere. Forse era superfluo dirlo, ma ci sono casi (quasi extra-letterari tanto la loro fattura e' approssimativa) di opere che noi oggi leggiamo per motivi di studio ed anche di un certo sadico spasso, ammesso che si possa ridere della stupidita' fascista: e' il caso ad esempio dei cosiddetti "Diari di Turner", che pur demenziali se letti da persone "normali" sono davvero stati scritti come manifesto politico, testo di addestramento e sicuramente anche opera che si insediasse in una letteratura che molti (guarda caso illetterati) trovano troppo di "sinistra" - qualunque cosa questa affermazione voglia dire - affermazione che ho veramente sentito durante una conversazione da bar; ma oggi che i baristi e i bottegai sono al governo, libri del genere potrebbero diventare parodie che si auto-avverano.
e' quindi la forma piu' adeguata a questo genere di opera: con il narratore parzialmente all'oscuro del mondo interno anche noi possiamo viverne gli stati emotivi, sapendo che in qualche modo essendo sopravvissuta l'opera deve essere anche sopravvissuta un'umanita' intenzionata a leggerla. e' un io che ti chiama a schierarti e questo oggi potrebbe essere se non pericoloso almeno inefficace, ma all'epoca poteva considerarsi ancora una buona tecnica. Ma di questo intendo parlare dopo, quando vorrei ragionare su una o piu' domande che potremmo porci con questa lettura.
Per quanto riguarda il genere, gli appassionati di etichette devono decidersi di nuovo se usare la stigmatizzata "fiction scientifica" o adottare la recente "alternative history" che oggi in un modo o nell'altro spopola soprattutto nella letteratura giovanile, dove certe tenui distopie travestono neanche tanto bene il dogma giovanilista e pseudolibertario hollywoodiano del mondo ai giovani, del basta con le regole, del prendiamoci quello che e' nostro, basta con la noia, basta coi compiti a casa ed altre deprecabili baldanze prefasciste che in Italia conosciamo bene - in epoca di rottamazioni e di pulsioni anti-intellettualistiche. "Il racconto dell'ancella" non e' cosi' e manifesta il suo non volerlo essere, ma e' "storia alternativa" certo - come ogni opera scritta anzi fatta,  quindi qualcosa che e'-e-non-e' un atto di imitazione della realta', che non e' la realta' ma e' reale - alternativa nel senso che "non e' la nostra", anche se poi non c'e' un "nostra", e la nostra storia potrebbe essere quella alternativa alla loro. Ogni storia e' una storia alternativa ma e' anche la storia. E allora che senso hanno le definizioni? Qualunque e' storia alternativa, perche' racconta una serie di vicende che non sono realmente accadute a persone che non sono realmente esistite, se non nel senso restrittivo di esistenza che potrebbero dare certi commentatori che scrivono e parlano piu' di quanto leggano; sarebbe alternativa anche se parlasse di cose successe e di persone esistite. E l'orrido realismo della fiction americana ha ormai abusato di ogni patto rendendone impossibile la prosecuzione e costringendoci sempre piu' a sentire e sempre meno a capire - puntellando la resistenza della quarta parete e facendone gabbia, dove pero' quelli dentro siamo noi: illuderci, evadere, compensare con le vite alternative la vita alienata - anime rimosse dai corpi e poi ri-somministrate dopo che ne siano state eliminate eventuali pulsioni eversive.
Ed e' anche Distopia, parola da usare poco oggi per i suddetti motivi: ma lo e' in un senso morale e politico oltre che letterario. Se "alternative history" racconta cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente da come sono andate, "distopia" racconta come vanno le cose quando sono andate come non avrebbero dovuto - e' necessariamente negativa per una questione etimologica, anche se spesso fonda la propria narrazione negli aventi passati per dare punti di riferimento ai lettori; sempre che non si ambienti in pseudomondi dichiarati altri rispetto al pianeta Terra e alla realta' umana - ma lo scrittore di fantascienza i trucchi li conosce tutti: prendi un pianeta, fallo simile al nostro, dagli un abitante simile agli esseri umani con una simile storia ed un simile funzionamento, mettici qualche effetto speciale fantastico tipo due lune, pesci coi baffi e cose simili ed hai fatto il fantastico; ma certo vederselo ambientato proprio nel "nostro mondo" - cioe' in una copia letteraria del nostro mondo in cui semplicemente sia andata diversamente in uno di quei momenti in cui i sentieri della storia si biforcano - e' sicuramente efficace quando a farlo e' un'autrice che non scade mai nel kitsch, ma nemmeno del didascalismo o nel pamphlettismo. Il termine Distopia ha senso solo se definiamo il nostro luogo come quello per eccellenza e tutti gli altri delle variazioni fittizie. Dick avrebbe avuto da ridire probabilmente: per lui potremmo anche essere noi quelli letti da qualcuno, scritti bene certo e con l'illusione di essere veri - ma in fondo personaggi - personaggi di libri che si scrivono reciprocamente, come in "La svastica sul sole".
Lo scrittore di storia alternativa e' come uno scienziato ed il suo metodo e' simile: pone dei fatti dati, si prefigge l'obiettivo della sua ricerca e poi sperimenta aggiungendo componenti letterari all'esperimento monitorando i progressi e correggendo gli errori. Per questo "Complotto contro l'America" di Philip Roth - e non e' certo un romanzo di genere, se non del genere "romanzi di Roth" - e' un capolavoro ed anche uno strumento di studio.
Cosa sarebbe successo se Mussolini avesse fatto arrivare i treni in ritardo? Lo scrittore torna alla stazione, sposta gli orologi e lascia il suo mondo-formicaio svilupparsi in tal senso; e poi condivide i risultati. Provateci e non abbiate paura di usare una fantasia sfrenata nei dettagli, ma coerenza e moralita' nei passi salienti: cosa sarebbe successo se John Kennedy avesse ricevuto dagli alieni un casco antiproiettile? Trucchetto dello scrittore di fantascienza per sbalordirvi con un dettaglio insignificante - dato che si sarebbe tranquillamente potuto dire "se Kennedy avesse starnutito spostando la testa in avanti" ma dove sarebbe il divertimento? E dove il cospargimento di miele lucreziano che addolcisce il rimedio amaro?
Il grande scrittore di fantascienza e' erede del filosofo epicureo romano: fa sbrilluccicare di carta stagnola gli omini verdi, ma poi ti da' la sua medicina; perche' la buona fantascienza non e' fatta solo di effetti speciali e battutine. Come quando Vonnegut dopo aver cazzeggiato un po' va a capo e dice: "sentite questa" e il gioco si fa serio.
"Il racconto dell'ancella" quindi e' un romanzo distopico, di storia alternativa, di "speculative fiction", di "science fiction", ma e' inopportuno incollare tutte queste etichette perche' poi non si vede cosa c'e' sotto; e' il modo progressivo, sperimentale in cui procede il racconto che lo definisce: un racconto, uno dei tanti, di una persona delle tante, in un mondo dei tanti, in una realta' delle tante dentro e fuori la letteratura. Eppure riesce a consegnare egregiamente i suoi messaggi, qualunque essi siano e soprattutto a raccontare la storia, senza imposizioni, senza lezioncine.
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3. Se non ora domani: contesti
Sto ancora ponendo le premesse per una domanda che vorrei pormi alla fine di questo scritto, e per farlo occorre ragionare su quali siano i contenuti che intravedo nell'opera al di la' delle questioni letterarie (ottime, ribadisco - non e' un opuscolo o un instant-book - e' un romanzo molto ben fatto, gia' fuori dal genere).
e' evidente che la questione della donna sia centrale nell'opera, eppure non e' mai espresso in maniera manifesta un proposito didascalico di basso livello, ma piu' che altro un invito a condividere certi pensieri passando dalla pelle della protagonista. Nel mondo narrato dall'opera la donna e' esplicitamente sottomessa all'uomo sulla base di certe interpretazioni delle sacre scritture fin troppo popolari nel corso della storia e portate alle estreme conseguenze, ma c'e' qualcosa di piu' nel libro - e nonostante all'inizio non lo avessi pensato, il tutto va oltre una visione tardo-novecentesca che si percepisce nel libro e che molti reputerebbero obsoleta per analizzare per traslazione la contemporaneita' di questo terzo millennio iniziato ormai da un bel po' (cio' che ne fa appunto un classico: la capacita' di rapportarsi in maniera viva e reattiva ad ogni epoca in cui viene fruito). A dire il vero gran parte degli strumenti novecenteschi (e quindi ottocenteschi anche, seppure post-olocausto) usati cum grano salis sono ancora eccellenti, per lo meno per quanto io ne sappia e naturalmente se non ci fermiamo ai livelli del mainstream e del chiacchiericcio degno di chi si informa sull'internet - quegli strumenti novecenteschi scritti sui libri, senza commenti in tempo reale, senza pollici in su, faccine. E neanche le condizioni di vita sono poi cosi' diverse sotto certi aspetti, pur avendo molte cose cambiato nome e datosi una riverniciata; ma oppressori ed oppressi ci sono ancora; se mai comincia a scarseggiare chi li individui o chi voglia fare qualcosa - e soprattutto e' quasi sparito chi non lo ritenga giusto.
Da parecchio scrittori ed intellettuali percepiscono il sistema americano come fortemente teocratico oltre che tecnocratico - questo spiega la tolleranza verso tutte le religioni ma la diffidenza  verso l'ateismo, spiega l'esasperazione contrattualista che si fa giuramento/voto che l'americano fa sulla bibbia, sulla bandiera e sulla pistola, spiega l'ulteriore degenerare di questo sistema in una fede quasi cieca nella misurabilita' umana: i test attitudinali a cui sono sottoposti gli studenti americani fin dalla piu' tenera eta', i risultati dei quali li perseguiteranno per decenni influendo sulla possibilita' di realizzarsi, accedere a studi prestigiosi, a lavori ben remunerati; la ricerca nei geni delle cause dei grandi mali che affliggono quella societa' (e le nostre che ormai ne sono copia, grazie ai media della societa' dello spettacolo): obesita', violenza, tossicodipendenze, refrattarieta' al lavoro e altre devianze: tutto ha una predisposizione genetica che non somiglia piu' nemmeno lontanamente alla predestinazione protestante, che era tutto tranne un invito a lasciarsi andare; e' piu' una pseudoscienza che si basa su fondamenti scientifici reali, ma letti in maniera strumentale; come le teorie della razza, come la frenologia, come il mesmerismo, come le letture che del cosiddetto darwinismo fanno certi amministratori delegati per convincersi di essere in certe posizioni perche' sanno comandare - mentre invece lo sono perche' sanno obbedire, cosi' bene che non hanno nemmeno bisogno di intermediari per essere servi del sistema - obbediscono al loro fascista interiore, lo stesso che noi cerchiamo di combattere.
Quindi questo dio misterioso che ha inciso nei nostri geni la nostra fortuna o la nostra disgrazia e' in pensione da tempo, avendo gia' deciso tutto: noi non resta che scoprirlo e se ci va fare qualcosa nel frattempo, fin dove possiamo spingerci ce lo diranno i geni.
Ed e' per questo che nel romanzo (ancor di piu' nella serie tv che ne e' stata tratta, ma di questo parleremo dopo) si sottintende la donna come entita' volta esclusivamente al proprio destino biologico: la riproduzione. Certo mentre aspetta il lieto evento puo' occuparsi della casa e servire il suo uomo, ma non e' importante: importante e' che se ne freni la congenita tendenza al vizio e che si educhi con parole semplici e botte come si fa con l'ultimo degli animali - e si capisce da come si sottintenda che nel mondo del romanzo per un'Ancella potrebbe essere sufficiente essere biologicamente in vita, potrebbe svolgere il suo destino biologico anche trasformata in una incubatrice umana: mutilata, immobilizzata, privata delle facolta' mentali: un grembo vivente che oggi potremmo immaginarci creato in laboratorio in qualche altro romanzo di fantascienza, una sorta di ventre artificiale - omettendo i dettagli su come dovrebbe essere fecondato poi. Ed infatti la riproduzione nel romanzo e' il piu' possibile desessualizzata - pur non cedendo alla blasfema possibilita' di inseminazioni artificiali di massa, ben peggiori dell'atto sessuale che tutto sommato puo' essere compiuto evitando di esibire troppo l'inevitabile piacere maschile e continuando ad ignorare quello femminile come gli uomini hanno sempre fatto: il dio ha detto di congiungerci, cara, e non importa che tu lo voglia o no; d'altra parte ti aspetta un parto grandemente doloroso per scontare quella storia della mela.
D'altra parte "quando sento i suoi passi avvicinarsi alla mia stanza chiudo gli occhi, apro le gambe e penso all'Inghilterra" si dice detto dalla regina Vittoria, a proposito di stato & morale.
e' difficile definire la posizione della donna in questo romanzo: nel senso che e' ovviamente  tenuta in stato di schiavitu', ma sono interessanti i processi mentali della protagonista e delle altre donne e soprattutto sono interessanti gli accenni al descrivere come questa soppressione dei diritti sia avvenuta; interessante seguire il processo di sottomissione ed il modo in cui molte di esse, si intuisce, hanno introiettato questa subalternita' - fenomeno noto delle dottrine fanatiche di cui spesso i primi devoti sostenitori sono quelli gia' in cima alla lista degli eliminandi - come oggi in Italia. In questo traspaiono con discrezione i migliori studi delle discipline novecentesche sulla nascita dei totalitarismi, sulle questioni di genere, sul potere, sul dominio, sulla politica.
Nell'opera le donne hanno subito un'oppressione strisciante mascherata da opera moralizzatrice all'inizio, una sorta di messa in sicurezza delle donne in una societa' pericolosa e discriminatoria, solo che questo e' avvenuto sottomettendole alla protezione/autorita' dei maschi: private del lavoro, del diritto a possedere denaro (riassegnato, se il caso, al loro marito), impedite alla libera mobilita' e ad ogni attivita' autonoma, infine annullata la loro sovranita' sul proprio stesso corpo. Allusioni sottili a quel dibattito che e' ancora attuale e che oppone schematicamente la liberta' di spogliarsi nude su una rivista all'obbligo di indossare il velo (e velo e' infatti il vestito dell'Ancella e delle altre donne - rosso nel caso delle ancelle, come scarlatta la lettera infame hawthorniana, a dire senza sottintesi l'identita' sancita da certe dottrine tra donna e peccatrice, tra femminilita' e peccato).
Eppure si intuiscono anche eventuali argomenti della propaganda del regime: nessuna donna viene "aggredita", nessuna e' costretta a spogliarsi o vendere il proprio corpo per vivere, nessuna patisce per trovare il proprio posto nel mondo - argomenti buoni solo in superficie ed in realta' falsi. Il tutto mentre nei campus universitari dell'America reale se sei bianco e ricco e maschio hai il diritto di stupro sulla studentessa ubriaca ("pena da ridurre, perche' il ragazzo e' una futura stella dello sport e la sua vita uscirebbe rovinata da una punizione troppo severa" abbiamo letto sui giornali un paio di anni fa), ma in Italia in ogni ufficio, in ogni officina, in ogni bottega di parrucchiere, in ogni supermercato fioccano i "se l'e' cercato lei" - anche in questi giorni in Italia e' sparita come aggravante delle aggressioni sessuali l'eventuale stato di incoscienza o stordimento della vittima.
In realta' c'e' di piu' in questo romanzo, o meglio: quanto detto e' solo la conseguenza di qualcosa che secondo me e' sottinteso e puo' essere letto non solo con le tanto detestate chiavi novecentesche.
Il contesto della societa' in cui nasce l'opera e' ben noto. Primi anni ottanta: onda lunga della crisi degli anni settanta - il decennio del "me" -, America e Unione Sovietica in stallo per l'eccessiva corsa agli armamenti; crisi energetica, economica e sociale nel cosiddetto mondo sviluppato, capitalismo finanziario aggressivo che sfocia nella neo-aristocrazia dello yuppismo; aggressione massiccia da parte del sistema-media: intrattenimento audiovisivo di facile accesso, edonismo sfrenato, fiducia nelle meraviglie tecnologiche (inizia l'epoca del personal computer, della robotica); epoca reagan-tatcheriana che ha  fatto pagare a molti la rinascita di pochi; ma alla radio ci sono i Queen, si canta contro la fame nel mondo, tutti sognano ancora Hollywood e Wall Street, la guerra fredda ormai e' argomento da commedia hollywoodiana e i russi non spaventano piu' nessuno, anche perche' Kubrick ci ha insegnato qualche anno fa ad amare la Bomba, chiunque la tiri; le donne poi hanno diritto di parola dopo l'ultimo ventennio, ma e' ancora meglio che restino in copertina, sul monitor, in cucina, a fare le maestre (cioe' in fondo madri surrogate).
Il mondo descritto dalla Atwood e' il mondo che arriva all'esplosione di questo sistema dei blocchi contrapposti, del consumo sfrenato, del disinteresse per l'ambiente, del mercato del piacere - dell'odio e della divisione.
La ricerca di un ordine autoritario forte potrebbe essere qualcosa che ad un certo punto le persone si ritrovino a (credere di) desiderare e Galahad, l'America del romanzo, e' l'ipotesi su alcune delle conseguenze di questo desiderio - (c'e' anche da noi oggi, d'altra parte, una paradossale ed ignorante smania movimentista liberal-giustizialista del "tutti liberi, tutti al proprio posto e chi sbaglia paga" - c'e' anche tra chi si dice di sinistra). La naturalezza con cui gli uomini sembrano approvare quanto succeda alle loro mogli, alle loro madri, amiche, sorelle - si accenna appena alla possibilita' che qualche uomo sia contrario a quanto sia successo - e' solo l'invito, credo, della Atwood al lettore maschio a guardare in faccia il fascista che ha dentro, a chiedersi chi lava la biancheria, chi cura la casa, chi si assume la responsabilita' del benessere altrui rinunciando (essendo privata) del proprio. Quello che racconta la Atwood sta gia' accadendo in ogni cucina, in ogni camera da letto, in ogni ufficio: non solo negli anni ottanta, ma anche oggi - essendosi travestito da altro nel corso degli anni, ed avendo ovviamente infettato anche il secondo mondo, questa realta' parallela fatta di memorie digitali, identita' in rete e nuovi spazi in cui la nostra vita si e' sdoppiata. Il mondo e' ancora diviso in Comandanti e Ancelle: e ogni giorno in Italia finisce male per almeno una di loro che ha osato reclamare a se' la propria vita, manifestare la propria intelligenza, farsi la propria liberta'. Ma l'estremizzazione fatta nel romanzo (tutt'altro che astrusa, se si pensa al passato, o a certe aree del mondo - ma come esempio bastino l'America puritana e l'Italia del delitto d'onore) dice anche qualcosa che il femminismo ha capito prima di altri sistemi di pensiero: il rapporto tra i sessi, il consumo, lo sfruttamento, l'annientamento del pianeta, la guerra, i diritti di tutti gli esseri umani sono la stessa battaglia, sono nomi diversi delle cose di una sola umanita'.
e' per questo che ci sta Jezebel, il mega bordello-spaccio dove i personaggi influenti dell'opera possono andare a dare sfogo alle loro pulsioni, e' per questo che si intuisce che le persone cerchino ogni sotterfugio per continuare a "peccare" nonostante il pericolo di morte; e questa forse e' l'unica visione "vetero" del libro, a cui forse ancora molti intellettuali credevano soprattutto sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale. La paura era ancora in una societa' dei divieti e poco se ne provava per una dei permessi. La (fanta)scienza politica non aveva ancora capito (e non lo ha ancora espresso forse in maniera soddisfacente, proprio oggi che ce n'e' bisogno ) ma si capisce, soprattutto nel mondo ricco occidentale che la paura fosse di un sistema fascista, reazionario, chiuso - un sistema in cui i figli non si chiedano cosa i padri gli abbiano taciuto; quello che non si coglieva era se questo fosse un ritorno all'antico o il progresso verso un ulteriore stato di degrado - e la Atwood ci azzecca a descrivere questa America che e' ancora il capitalismo, e' ancora una superpotenza militare, e' ancora la leader del mondo sviluppato e non lo e' nonostante quanto sia successo: lo e' grazie a quanto e' successo: il sistema dell'oppressione, in quella visione del mondo, deve diventare Galahad come prossimo stadio di sviluppo - altro che medioevo prossimo venturo - nessun passato e' stato quello che sembra essere Galahad: una Salem permanente, un'inquisizione permanente - una nuova Santa Benedizione ad una riconquista del mondo con conseguente riaccumulo di capitale; capitale vitale in questo caso: la meta' del mondo/uomo conquista, sottomette, colonizza l'altra meta'/donna e si appropria del suo capitale generatore di vita monopolizzandolo. Dopotutto nella realta' reale e' anche per questo che le ammazziamo no? Perche' ci fa impazzire il fatto che ci venga negato il potere generatore della vita. Non ci va giu' che ci sia negato solo questo. Come nell'Eden in cui potevamo fare ed avere tutto ma solo quella mela/femmina maledetta rovinava la perfezione della nostra felicita'.
Per rappresentare questa societa' fittizia ed il suo legame con la nostra, Atwood ha scelto di scrivere una societa' che in diversi aspetti ricorda quella romana piu' o meno storica e/o di fantasia: per la militarizzazione innanzitutto, ma soprattutto dal punto dell'organizzazione della Famiglia intesa come cellula della societa' residente nella Domus, a capo della quale c'e' il Pater/Comandante che domina come un proprietario sia i parenti che la servitu' (i famigli, appunto) e supervisiona e dispone di ogni aspetto - il Pater quindi e' l'unico "individuo" della domus - l'unico a partecipare alla politica, ad esempio. Non e' eccessivamente marcato come tratteggio, ma credo evidente. Come ben nota per noi e' la fascinazione per la romanita' che qualunque regime con aspirazioni imperiali ha avuto ed abbia. Questi Romani che oggi in Italia certi ancora definiscono "noi" come se fossimo lo stesso popolo con le stesse aspirazioni, le stesse caratteristiche, gli stessi "meriti". Una cosa e' certa: Galahad della Roma antica mi sembra cerchi un ordine leggendario che Roma non ha mai avuto in realta', così come un patriottismo, una potenza militare, una sensazione di superiorita', un livello di benessere, un'entusiastica accettazione delle gerarchie - fatti da rivistina, da gioco da tavolo, da film parodia del peplum. Roma e Galahad: societa' gerarchizzate, schiaviste, pronte ad imporsi con la forza delle armi, un popolo letteralmente di soldati nella prima parte della sua storia; uomini interamente mobilitati e donne in casa - la stessa cosa che molti oggi si augurano scimmiottando comportamenti che neanche hanno capito.
E naturalmente e' fortissima la somiglianza, dicevamo, con certa America del passato, quella cosiddetta puritana: fondamentalismo religioso, retorica del lavoro ed un intero apparato etico-politico secondo me ampiamente alluso nel romanzo, messo in discussione proprio per mostrare la continuita' di quel mondo con l'America contemporanea - cercando anche di smontare certi miti passatisti del "quando era tutto piu' semplice", che sono gli stessi che incubano alcuni dei peggiori sentimenti oggi di nuovo in voga laggiu': dal complottismo al revisionismo passando per le follie survivaliste, il militarismo, tutto e' chiazzato di questo tecnofatalismo superstizioso che malamente traveste un sistema in realta' fatto e bisognoso di violenza e paura. Penso ai volti del quadro "American Gothic" di Grant Wood, qualunque interpretazione se ne dia, e penso che oggi l'America bianca sia ancora quello o cosi' abbia ancora deciso di lasciarsi dipingere.
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4. I fast-food dell'avvenire: cultura e mistica di Galahad
Se oggi con una generalizzazione mainstream possiamo dire che l'America e' il mondo (perche' ci sentiamo piu' simili ai personaggi di una serie televisiva che ai nostri nonni campagnoli) come siamo diventati nel romanzo della Atwood? Che fine ha fatto il mondo "vero" degli anni Ottanta?
Da un certo punto di vista sembra che sia stato completamente obliterato dalla societa' di Galahad - ed e' per questo che la confondiamo con uno stadio regressivo dell'umanita'. Ma in realta' come dicevo Galahad mi sembra la conseguenza causale oltre che cronologica del nostro "vero mondo". Faccio un esempio: non si sono estinte le pop-star internazionali e la musica rock in quanto troppo liberal e viziose e nemiche del sistema; non esistono piu' in quanto, strumenti del sistema, sono stati ritirati dopo aver esaurito e compiuto con successo la loro missione; sono rientrati in un sistema di potere che le ha generate ed adoperate: incanalare le energie delle persone per esaurirle dopo averne spremuto profitto, persino con metodi apparentemente conflittuali e trucchetti di bassa lega: finche' le persone cantano (in una sala concerti dove hanno pagato per entrare) che vogliono fare la pace nel mondo non la stanno facendo; oggi in Italia un popolare cantante alternativo ordina dal palco: "Devi fare cio' che ti fa stare bene" - ed i suoi alternativi fan/apologeti obbediscono - neanche immaginando piu' che qualcuno non possa; ed ecco perche' dopo un finto smarrimento iniziale nell'epoca della musica telematica - serviva a fare scena - a nessuno e' piu' interessato che si scarichi e ascolti la musica gratuitamente in rete: perche' il prezzo che paghiamo per quella spazzatura e' dentro di essa gia', e' nei tre minuti di cervello che ci sottrae - nel consenso, nell'accettare che una pop-star miliardaria si appropri dei nostri ideali, nella manipolazione del nostro tempo.
Ecco quindi dove stanno: la forza d'elite della societa' dello spettacolo dopo aver precipitato l'umanita' un gradino piu' in basso verso lo sfruttamento ed il degrado si gode una meritata e finalmente silenziosa pensione; la moglie del Comandante, Serena Joy, e' un ex personaggio dello spettacolo; oggi, almeno nel mondo occidentale, questi personaggi surreali a meta' tra imprenditoria e buffoneria spopolano, fanno i presidenti o persino gli ideologi.
L'apparente permissivismo, l'edonismo degli anni ottanta hanno svolto il proprio lavoro. Guardiamo oggi la cosiddetta era dell'informazione: si sono aperte le cataratte-dati e tutto e' reperibile, tutto e' a portata di mano in un'abbuffata di informazione (arte, conoscenza, intrattenimento) a portata di chiunque abbia qualche euro: non importa a nessuno, la insozziamo  producendone di qualita' deprecabile; un contadino di un secolo fa non aveva per comprarsi i libri di scuola; quando i libri (mai cosi' abbondanti e disponibili come oggi) saranno proibiti non se ne accorgera' piu' nessuno; molto di piu': il sistema ha superato il bisogno di proibire i libri, mettendo la cultura sulla stessa tavola (cioe' il mercato) dei sollazzi piu' triviali che sono come il cibo del fast-food: economico, reperibile, progettato per ucciderci lentamente e darci dipendenza, cosi' grasso e salato che dopo di esso la nostra lingua non percepira' nessun altro sapore (succede gia' in America, dove quella alimentare e' epidemia, dove i ragazzi cresciuti a bibite dicono che l'acqua "non li disseta"). Oggi dove le persone che ti conoscono come lettore e studioso ti consigliano di guardare dei video informativi (definizione generosissima) sull'internet, perche' a loro sembra davvero di studiare studiare - per loro non c'e' gia' problema che qualcuno decida cosa debbano o non debbano sapere (ma sull'internet "posso scegliere di vedere quello che voglio!" ti dicono; a meta' tra il naif e lo stupido).
Questo mondo di Galahad quindi (non capisco se per via di una natura intrinsecamente novecentesca dell'opera o per altri motivi) e' il mondo che verra' non per via regressiva: la societa' degli anni ottanta ne e' l'incubatore.
La cosa che trovo strana nell'opera e' come l'autrice abbia gestito il lasso di tempo trascorso dalla "fine" della "vecchia societa'". Di fronte ad una storia del genere uno si aspetterebbe un'ambientazione temporale sfalsata di un po' di tempo, fino a qualche generazione: "Fahrenheit 451", "1984", "il Tallone di Ferro" e altri. Ne "Il racconto dell'ancella" invece le persone hanno vissuto il mondo precedente, hanno comprato riviste di moda, avuto rapporti occasionali, votato alle presidenziali, goduto di diritti ampi - come e' possibile che in loro sia spenta la voglia di lottare per riacquistare il precedente stile di vita? Fossero passate generazioni, si fosse trattato di persone nate e cresciute sotto il regime si capirebbe una sottomissione che e' semplicemente quella all'unico stato di cose che si conosca direttamente. E' stato il sistema a renderlo possibile: dividendo, assegnando ruoli, togliendo diritti, promettendo sicurezza contro nemici inesistenti, annientando silenziosamente ogni idea non conforme e finendo di schiacciare stavolta con clamore ogni pensiero dissidente, probabilmente fomentando ancora di piu' un maschilismo estremo pronto addirittura a militarizzarsi per stabilire definitivamente i ruoli.
Un giorno si prende una societa', si annienta l'individuo, si stabilisce arbitrariamente chi sia il dominatore e chi sia il sottomesso (facile indovinare dove si ponga chi decide: la risposta ovvia e' "dalla parte dei dominatori", quella divertente e' "dalla parte di osservatori esterni"): come negli esperimenti stanfordiani, come in un gioco di bambini.
Certo (effetto soprattutto della serie televisiva tratta dal romanzo) immaginare queste strade che normalmente sarebbero invase di auto e piene di rumori deserte, pulite, silenziose e' una tentazione che solletica qualcosa in tutte le persone, ma forse e' proprio qui un altro trucco, un invito a metterci alla prova: la societa' delle aiuole, dei giardini curati, delle strade pulite non ha a che fare  forse quella smania civica che spopola sui quotidiani online locali a cui indignati cittadini mandano lettere indignate e piene di (neanche tanto) sottintesi razzisti? Sono "loro" che sporcano, perche' non sanno comportarsi. "Loro" chi? Loro, non noi.
La societa' di Galahad e' la stessa societa' reazionaria auspicata da opere ripugnanti (fino ad essere sublimi, se si ha lo stomaco forte) come l'inquietante "i Diari di Turner" di McDonald: accoglie ingenuamente l'idea che si possano risolvere i problemi annientando chi li crea - come se fossero sempre gli altri - come se riducendo progressivamente le possibilita' di azione e le persone agenti si crei finalmente una societa' ordinata - come se l'ordine poi fosse un valore - e come poi se fosse possibile selezionare una gamma di umani infallibili e perfetti; ah un momento si puo' secondo qualcuno, qualcuno che prende percentuali elettorali a due cifre nell'Europa cosiddetta democratica del ventunesimo secolo.
Quindi Galahad e' cristiana, attenta a valori come l'onesta' e la purezza, nemica del crimine: l'America puritana che ha incubato questa societa' odierna che e' gia' assoluta, in cui chi vale vale ed ha diritto di essere piu' uguale degli altri, sia che si tratti di un imprenditore, un politico, una popstar: cibo diverso, cure mediche diverse, diritti diversi. L'America e' gia' Galahad - anzi peggio: perche' nel mondo dell'America puritana tutti potevano prendersi un pezzo di terra e farsi un orto, un pollaio; oggi no: oggi tutti schiavi del monitor, dello stipendio, del supermercato, del distributore di benzina; ecco da cosa si capisce che cio' che aspetta gli abitanti della realta' reale del nordamerica (Atwood e' canadese) degli anni ottanta non e' una regressione ma un passaggio ad uno stadio successivo: non c'e' il recupero di cio' che sapevamo fare e cio' che eravamo.
Il nostro fascista interiore ci tenta: questo sistema promette la fine dei conflitti, delle separazioni, del chiasso, del caos; ma la vita animata e' queste cose, e' questa caotica armonia che non si puo' spegnere a meno di non spegnere tutto.
Oltre ad attingere ad una lettura estremista e distorta delle Sacre Scritture cristiane, il romanzo usa il nome Galahad per indicare la nuova America, ma non da' - per fortuna - molte spiegazioni. Galahad e' un personaggio della fase tarda del ciclo arturiano, figlio illegittimo di Lancillotto ed Elaine de Corbenic, quindi del piu' valoroso dei cavalieri. Galahad diverra' esso cavaliere. e' uno dei pochi predestinati a vedere il Graal.
Cavalieri senza macchia e senza paura, rapporti extraconiugali giustificati dalla predestinazione, sacro calice inteso come grembo materno, una combriccola di maschietti violenti che vanno tutto il giorno in giro a fare le loro "quest" mentre al castello le mogli lavano, stirano e sfornano marmocchi paffuti. E' cosi' adeguato che l'autrice abbia scelto questo nome cosi' allusivo che la nostra proposta e' solo una delle possibili: certo e' plausibile che un paese come quello dell'America futura (e presente) possa scegliere di rappresentarsi in un mito del genere - ridicolo come il recupero della romanita' dei fascisti e il pastone di miti vari del nazionalsocialismo (intrappolato tra le sue aspirazioni nordiche in un paese cristiano, ma sporcato di misticismi assortiti, esoterismo, orientalismo eccetera); trovo che rappresenti bene il frullatore del mercato che rende tutto omogeneo e grigio come vomito di gatto, come il gelato nella coppa che si scioglie e si mescola; questo e' il bello ed il brutto della cultura americana dopotutto: tutto vale tutto; e se divido tutto per se' stesso fa uno, quindi uno vale uno - cioe' niente ha altro valore che quello monetario, medium in grado di far comunicare tra di loro dimensioni assolutamente diverse.
Il prossimo riferimento che dico mi piacerebbe fosse stato voluto dall'autrice, perche' vorrebbe dire proprio incontrarsi con un amica nei pressi di un'idea per quanto pazza possa sembrare - sicuramente non e' cosi' ma spero non le dispiaccia se mi faccio un giro partendo dalla sua idea: Kid Galahad e' un celeberrimo personaggio della cultura pop americana, interpretato da Elvis Presley in un film ("Kid Galahad", in Italia "Pugno proibito") - remake di un film con un altro grande mito americano, Edward G. Robinson (e Bogart, tra l'altro). Un film piu' o meno tipico di riscatto personale tramite lo sport. Forse per noi italiani significa poco, ma nella cultura della tv accesa di notte, delle repliche infinite, della messianica iconicita' del Re del Rock, tutti conoscono Kid Galahad - tutti associano a quella parola il faccione pre-warholiano di Elvis. Farei un esempio adeguato alla cultura pop italiana se non mi venissero in mente solo i nomi di personaggi piu' che esecrabili. Fate voi. Pensando pero' a quanto detto prima sul ruolo della cultura pop del "passato" nel nuovo mondo e' un ragionamento che fila, uno di quelli possibili. E se non di identita', tra spettacolo e potere la relazione e' quanto meno di contiguita' - oltre che strumentale: oggi che personaggi marginali al mondo dello spettacolo scivolano nella politica senza che nessuno si stupisca (e facendo sembrare il precursore Reagan un politico di pregio); non piu' attori ed autori (cioe', comunque le energie intellettuali dello spettacolo) ma i cosiddetti pulitori delle stalle del circo: quelli dentro lo spettacolo ma assolutamente ai margini, eppure desiderosi di rimanervi, rientrarvi: partecipanti di telequiz, di reality-show, di pubblicita' e barzellette. Elvis: un nome cosi' forte, un'icona cosi' invasiva che e' sopravvissuta a guerre nucleari, crisi ambientali e persino epidemie puritane: il banco vince sempre.
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5. Questioni transmediali: dal libro alla serie televisiva. Un'opinione apocalittica
Dal romanzo della Atwood e' stata tratta una apprezzata serie televisiva ancora in corso di trasmissione.
Senza voler qui dirimere la questione riguardante il ruolo che hanno le serie televisive da quando hanno fatto breccia anche nell'orizzonte di interesse della critica ("sono il nuovo romanzo di massa!" oppure "sono quello che Eco diceva dei fumetti!" eccetera) devo dire che sulle prime l'ho apprezzata. Anzi: e' stata la serie che ha innescato il desiderio di rileggere il libro e scriverne.
La fattura e' molto buona: attori (ottimi Elizabeth Moss e Joseph Fiennes, molto efficaci alcuni degli altri), scrittura, e soprattutto quella strana alchimia produttiva che rende buona una serie televisiva e che spesso e' in mano a personaggi come il cosiddetto "showrunner"; scelta delle musiche (spesso adattamenti distopici di famosi pezzi pop, espediente gia' utilizzato dal cinema e soprattutto dai videogames), delle location; impostazione del look e dell'umore generali.
Per restituire l'aspetto diaristico dell'opera la parte visiva si concentra in prolungati ed intensi primi piani sul viso dell'attrice Moss che interpreta efficacemente Difred e che sostiene con l'espressivita' del viso l'intenso lavorio introspettivo del personaggio, accompagnato spesso dalla sua voce fuori campo.
Anche la societa' e' rappresentata apparentemente senza sconti: il regime oppressivo, la violenza , il sistema di dominio, la paura, la diffidenza. Alcune scene forti ma senza compiacimento, altre intense ed accompagnate da una notevole cura del dettaglio scenico e psicologico.
E' abbastanza chiaro chi siano i buoni e chi i cattivi.
Certo suona tutto un po' retorico e didascalico, poco plausibile e soprattutto si percepisce chiaramente la differenza tra i due media. Un prodotto audiovisivo, per quanto di ispirata eccellenza, non ha mai risvegliato nessuna coscienza; un libro si'. Ma oggi chi li legge i libri? Dobbiamo davvero sperare che siano le serie televisive a fare il loro lavoro? Parte della critica si direbbe arresa, parte arroccata in cio' che sembra piu' passatismo che vera critica dell'attuale: "ok, diciamo che le serie-tv sono il nuovo romanzo polare, e diventiamo critici o autori di serie-tv".
Certo anche un romanzo e' un prodotto di consumo, che sta sul mercato, che deve essere fruito dal pubblico generando un utile - soprattutto un romanzo "di genere" scritto da uno scrittore "di professione". Ma il libro a stampa ha centinaia di anni di storia a fargli da garanzia, ha migliaia di esempi di coscienze risvegliate, vite salvate, solitudini alleviate, informazioni consegnate con profitto; c'e' un argomento infallibile a favore dell'importanza del libro: oggi il sistema fa di tutto per non farcelo leggere; trasporlo in film o serie, annegarlo in un mare di spazzatura, farlo diventare un filmato di "Youtube"; la rete e' inoltre molto frequentata da persone che si definiscono lettori, fermo restando che essi mentre sono in rete non stanno leggendo - tuttalpiu' stanno fotografando i loro libri. Inoltre: quanto ci appare triste questa umanita' ridotta a farsi istruire, a farsi consolare, a farsi dirigere da un prodotto audiovisivo telematico o da una coda-commenti?
La serie televisiva e' il prodotto di un ente sofisticato e molto ben munito di fondi e mezzi, spesso contiguo alla grande economia finanziaria, invischiato con la speculazione e lo sfruttamento, con la pubblicizzazione dei prodotti e degli stili di vita: non si capisce nemmeno bene chi sia l'autore di una serie tv (piu' che di un film che in genere si associa al regista, nelle serie praticamente anonimo salvo rari casi di celebrita'); la serie televisiva di buona qualita' e' poi e' la piu' infame poiche' e' la foglia di fico della societa' dello spettacolo: essa "ha fatto anche cose buone" (le buone serie televisive sono i treni in orario della societa' dello spettacolo).
Ma tanto abbiamo "visto la serie/il film": ci sentiamo come se avessimo letto il libro.
Tralascio le differenze tra i due prodotti e le soluzioni praticate nel travaso mediale: per altro tutte molto efficaci anche se ancora non so dove porteranno, dato che la storia del romanzo si e' esaurita nella prima stagione (altra differenza: la necessita' di allungare la durata inventando parti di storia; parte per la difficolta' di restituire certi racconti col nuovo medium, parte per aumentare la durata della vendibilita' del prodotto e ovviamente per adeguarsi all'inefficienza cognitiva del pubblico di massa - in certi casi dell'opera originale resta solo il titolo, come spesso accade per opere tratte da P.K. Dick). Il romanzo, anche il romanzo-mondo impegnativo ed appagante, ha comunque una finitezza che poi e' la meta del viaggio sia per lo scrittore che per il lettore: definire un mondo intero e dominarlo; nella serie tv non si sa quasi mai quando arrivera' la fine poiche' quasi sempre non dipende dagli autori ma dai finanziatori e se va bene ce ne ritroviamo un'altra stagione da guardare il prossimo anno - perche' un libro finisce in un tempo ragionevole, ma ci sono serie che esistono per piu' di un decennio; quindi personaggi che resuscitano, improvvisi cambi di protagonisti eccetera.
Tutto questo per dire la solita ovvieta' e cioe' che per quanto buono un prodotto possa essere, se viaggia su un medium del degrado e del dominio ne e' contaminato perdendo naturalmente di efficacia (forse solo ad un occhio critico, chissa'; ma non credo: in quanto apocalittico, anzi, percepisco una minaccia ancor piu' strisciante nel prodotto audiovisivo di qualita' poiche' lo ritengo altrettanto pericoloso dell'intrattenimento spacca-cervello, e anzi di piu', in grado di portare dall'altra parte delle barricate gli spettatori poco consapevoli, cioe' - sempre da apocalittico - tutti gli spettatori, poiche' mi verrebbe da dire che nessun individuo consapevole si accosterebbe nemmeno ad una serie tv). Lo sforzo finanziario e politico per produrre una serie televisiva di diffusione e successo planetari e' possibile solo ad una delle due parti dello schieramento oppressori/oppressi.
Dico questo perche' certe volte si prova un eccessivo ed impulsivo entusiasmo per certi prodotti prima di razionalizzare quale sia la loro provenienza; ovviamente quello che importa e' l'uso che se ne fa (come delle armi, direbbe qualcuno) e quindi ben venga che anche una sola persona si sia sentita ispirata e stimolata all'approfondimento dopo aver visto una serie televisiva. Per questo penso sia stato comunque un bene aver visto delle ragazze vestite come i personaggi di questa serie partecipare alla manifestazione "Non una di meno" a Roma lo scorso novembre (cosi' come d'altra parte mi e' piaciuto lo striscione delle "Brigate Laura Palmer" - sperando pero' che queste contaminazioni servano solo da innesco, o non sia un nuovo attacco del sistema); ma e' anche importante che qualcuno lo dica chi le fa queste serie, perche' poi quando andiamo a prendercela con le banche e con la finanza ce lo ricordiamo che questo spettacolo ce lo hanno offerto comunque loro.
Questo per dire: godiamoci un prodotto di intrattenimento che puo' darci piacere estetico e anche qualche idea e spunto di riflessione, ma ricordiamoci chi lo ha fatto e quale e' il conto da pagare.
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6. Le domande
Senza giri di parole: in un mondo in cui la stessa sopravvivenza dell'umanita' e' messa in pericolo dal degrado ambientale e dalla sterilita' di massa troviamo lecito che "lo stato" si appropri di una risorsa fondamentale come la capacita' riproduttiva femminile per "cause di forza maggiore" e che per farlo ri-modelli tutta la societa' di tutte le persone e le sottometta piu' di quanto pattuito da un contratto individuo-stato di tipo piu' tradizionale? (a parte il fatto che poco ci sembra piu' tradizionale di un totalitarismo).
Se invece di "capacita' riproduttiva femminile" ci fosse "produzione di energia" o "controllo delle riserve alimentari" la risposta ci sembrerebbe piu' facile: storceremmo la bocca ma penseremmo che in tempo di crisi... d'altra parte lo abbiamo letto diverse volte sui libri di storia a scuola.
Ma non lo pensiamo anche di una situazione limite come quella descritta dal romanzo? Se l'umanita' fosse in una cosi grave crisi chi deciderebbe? Chi metterebbe in atto le decisioni prese? Quali i criteri?  Bisognerebbe davvero alienare porzioni cosi' grandi di diritti ad un'entita' decidente per delega assoluta? A questo punto molti di noi si troverebbero d'accordo se non ad obbedire, quanto meno ad ascoltare l'autorevole parere della scienza, di "coloro che sanno" - con tutti i rischi che ne derivano soprattutto al giorno d'oggi quando molti parlano, pochi sanno e meno ancora sanno di non sapere.
Se oggi andando di moda, oltre che a dirlo, ripetere l'altrui dire che "la scienza non e' democratica", si verificasse una situazione come quella descritta dal romanzo si riallaccerebbe il filo rosso che unisce illuminismo e totalitarismo e certi "scienziati" si darebbero grandi pacche sulle spalle per aver avuto la grande idea di non spegnere del tutto i forni.
Questo interrogativo non e' astratto, non e' incomprensibile e insuperabile dalle persone ma anzi e' il piu' importante ed attuale che ci sia: oggi le scelte che riguardano il mondo sono scelte di tutti, tutti devono poter sapere, decidere e agire, sia che si tratti dell'acqua, della terra, di far buchi nelle montagne, di bruciare altri combustibili fossili, di curiosare nelle piccolezze dell'atomo (per fare armi) ed oltre. Oggi non c'e' una figura culturale e politica che faccia da mediatore tra le questioni complesse del sapere e la necessita' che tutti possano comprenderle, oggi in questa Italia mai cosi' anti-intellettuale - il divulgatore anzi e' guardato spesso come un paria nel suo campo di studi: oggi queste classi si chiudono a riccio sui propri privilegi, sui propri libri pubblicati, sui propri seguaci nell'internet ed intanto fuori dalla loro finestra la gente muore. Il bravo romanziere come la Atwood ha (anche) questo ruolo: porre questioni su cui le persone desiderino sapere di piu' per poter avere una parte in causa nei processi decisionali. Compito di chi sa e' informarle in maniera comprensibile, senza dire che gli altri non possono capirlo perche' non sono infusi della stessa scienza.  Una maniera democratica - colpevolmente relegata nell'ambito ormai del tutto marginale della letteratura, che non interessa piu' a nessuno, che non e' piu' influente - una maniera certo piu' faticosa e meno invitante rispetto alle profferte che il sistema ci fa di lasciare che a decidere per tutti sia un solo capo/scienziato che ha studiato per tutti e pensa e parla per tutti (neanche tanto strano poi la gente invece voti chi fa della non istruzione e non cultura un vanto): sono rimasti in pochi a pensare che la propria candela non diminuisca l'intensita' della fiamma se usata per accenderne un'altra.
La retorica di certa letteratura (e certo cinema) prevedrebbe che l'eroe ad un certo punto decida che e' preferibile l'estinzione della razza umana alla vita in un mondo privo di liberta': ma sarebbe sempre lui l'unico libero di pensarlo e deciderlo per tutti - e nel cinema spesso "liberta'" e' uguale a "stile di vita americano basato sul mercato di tutto" - lo stesso principio su cui per decenni si e' basata la strategia di mutua distruzione durante la guerra fredda: se non e' possibile che vinca il nostro sistema distruggeremo tutti. Ma esiste questa diffusa credenza che in tempi emergenziali sia opportuno abrogare gran parte dei diritti e dei poteri decisionali (quasi fossero lussi da godere in tempo di pace) e lasciare che pochi sapienti si assumano le responsabilita' - e' qualcosa certo radicato nell'antichita' classica, che oggi tutti citano ma nessuno studia. Pericoloso poi unire questo pensiero con la convinzione le persone dotate di istruzione siano necessariamente adeguate a guidare una societa' - forse una societa' macchinica basata sull'efficienza e sulla produttivita', non certo una basata sulla felicita' e sulla pienezza esperienziale della vita; tuttalpiu' sono indicate per farla funzionare nel modo che pero' tutti abbiamo deciso.
E quindi ripeto la domanda come la ripeterebbe una rivistina, cioe' con una trappola: in un mondo in cui l'umanita' corre il rischio di estinguersi per la diffusa sterilita', cosa faremmo delle donne fertili, lasciando la cosiddetta scienza a parlare al posto nostro e soprattutto loro? C'e' la trappola naturalmente ve ne siete accorti: da come e' posta la domanda queste donne non sono affatto coinvolte nel processo decisionale.
Oggi il mondo e' pieno di persone pronte a schierarsi dalla parte di questa scienza che ha sempre ragione e e' indiscutibile ai profani, tutti pronti a schierarsi con il sistema, con le regole; non si sbaglia, non si pensa, si seguono le istruzioni: le regole hanno sempre ragione. Sono pochi invece quelli disposti a sedersi dalla parte del torto.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
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Numero 949 del 18 luglio 2018
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