[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 908
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- Date: Thu, 31 May 2018 13:46:21 +0200
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 908 del 31 maggio 2018
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In questo numero:
1. Enrico Peyretti ricorda Giuliano Martignetti
2. Paisa'. Quasi una lettera aperta ai compaesani in letargo affinche' si sveglino prima che sia troppo tardi
3. Giacomo Leopardi: La ginestra o il fiore del deserto
1. LUTTI. ENRICO PEYRETTI RICORDA GIULIANO MARTIGNETTI
[Riceviamo questa triste notizia e ci uniamo al cordoglio]
Ho appena saputo da Beppe Marasso che e' morto stanotte Giuliano Martignetti.
E' morto nel momento storico in cui i suoi ideali di federalismo pacifico sono piu' in difficolta'.
E' andato oltre, nel tempo alto e profondo, della compresenza di tutti gli esseri e di tutte le vite, dove pensiamo che continui ad agire nella comunione di tutte le realta' e di tutti gli spiriti di vita, anche impegnando noi suoi amici, a lui affezionati e grati, a raccogliere ora il suo testimone e il suo insegnamento.
2. L'ORA. PAISA'. QUASI UNA LETTERA APERTA AI COMPAESANI IN LETARGO AFFINCHE' SI SVEGLINO PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
Come in quel racconto di Edgar Allan Poe, e' sotto gli occhi di tutti cio' che nessuno vede; o meglio: tutti sanno una cosa e tutti fingono di ignorarla: e la cosa che tutti sanno e' che l'estrema destra razzista e golpista se riuscisse ad andare al governo imporrebbe un regime di persecuzioni razziste.
Un regime di persecuzioni razziste.
Ma non se ne trova notizia sui mezzi d'informazione d'ogni ordine e grado, come se fosse cosa da nulla, quisquilia, bazzecola. Un regime di persecuzioni razziste.
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Tante donne e tanti uomini innocenti subiranno atroci sofferenze.
Tante donne e tanti uomini innocenti subiranno la morte per omissione di soccorso o perche' riconsegnati prigionieri all'orrore cui erano sfuggiti riuscendo ad arrivare in Italia.
Tante donne e tanti uomini innocenti ridotti in schiavitu', internati in campi di concentramento, deportati, torturati, uccisi. Un regime di persecuzioni razziste.
Chi non lo vede e' cieco. Chi non lo vede non vuol vederlo. Tutti lo sappiamo. Un regime di persecuzioni razziste.
Di questo, di questo dovrebbero parlare tutti i mezzi d'informazione.
Su questo, su questo le istituzioni repubblicane dovrebbero esprimersi ed intervenire.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Se al Mussolini della marcia su Roma non fosse stato affidato il governo, quanti milioni di morti sarebbero stati evitati.
Se nel '33 Hindenburg non avesse affidato il governo a Hitler, quanti milioni di morti sarebbero stati evitati.
Stiamo parlando al Presidente della Repubblica? Stiamo parlando a tutte le persone che vivono in Italia e non vogliono essere complici dell'estrema destra razzista e golpista che con le menzogne e i deliri, con la frode e le minacce, con l'inganno e la violenza, cerca di impossessarsi del governo del paese per imporre un regime di persecuzioni razziste.
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E ripetiamolo ancora una volta, ancora una volta, cio' che tutti sappiamo e che nessuno sembra voler ascoltare: ripetiamolo ancora una volta, ancora una volta, l'elenco delle criminali intenzioni esplicitamente e da anni - e ancora in queste ultime ore - piu' e piu' volte dichiarate dai caporioni dell'estrema destra razzista e golpista:
a) perseguitare le donne e gli uomini giunti in Italia perche' costretti ad abbandonare i loro paesi per sfuggire alla fame e alla guerra, alle dittature e ai disastri ambientali, donne e uomini cui l'estrema destra razzista e golpista minaccia la privazione di inalienabili diritti, la detenzione in campi di concentramento e la deportazione nelle grinfie dei loro aguzzini;
b) perseguitare le donne e gli uomini rom e sinti, cui l'estrema destra razzista e golpista minaccia la distruzione degli alloggi e dei beni, minaccia misure lesive dei fondamentali diritti umani;
c) perseguitare le donne e gli uomini musulmani, cui l'estrema destra razzista e golpista minaccia imposizioni degradanti e trattamenti discriminatori lesivi della loro dignita' di esseri umani;
d) perseguitare le donne e gli uomini che in quanto operatori umanitari si adoperano per salvare le vite, e che nella propaganda dell'estrema destra razzista e golpista vengono assurdamente pressoche' assimilati ai trafficanti mafiosi e schiavisti;
e) violare fondamentali articoli della Costituzione che difendono i diritti umani di tutti gli esseri umani, in merito ai quali nella sua propaganda l'estrema destra razzista e golpista ha ripetutamente espresso disprezzo e intenzione di farne strame;
f) favoreggiare o addirittura obbligare a commettere il reato di omissione di soccorso, reato di cui nella sua propaganda l'estrema destra razzista e golpista ha ripetutamente fatto l'apologia.
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Tante, troppe persone sono distratte dagli aspetti farseschi e grotteschi del continuo recitare e vomitare oscenita' e deliri dei caporioni dell'estrema destra razzista e golpista, e non vedono cio' che si prepara.
Un celebre incipit del filosofo di Treviri rileva che quando la storia si ripete, la prima volta e' in forma di tragedia e la seconda in farsa. Ma oggi assistiamo a una farsa che prepara una tragedia. Una tragedia che occorre impedire. Ma per impedirla e' necessario che si sveglino tutte le persone che col loro letargo favoreggiano la tragedia che si prepara.
E' lecito immaginare che anche nella Germania di Weimar uno come Hitler suscitasse il riso, la nausea e il disprezzo dei piu': il tentato putsch organizzato in una birreria di Monaco, il libro di lugubri deliri scritto in galera, lo stile oratorio da crisi epilettica, il reclutamento del teppismo e l'adorazione della violenza e della morte sub specie di osceno rito sacrificale alle telluriche divinita' teutoniche assetate di sangue, la grottesca imitazione del mascelluto dittatore italiano suo ispiratore gia' tanto grottesco di suo. Sullo sfondo di una crisi sociale tremenda, era certo un laido e buffonesco spettacolo dai tratti aristofaneschi. Si e' visto come e' andata a finire.
L'estrema destra razzista e golpista italiana oggi, e da anni, usa la medesima retorica, la medesima propaganda del "Volkischer Beobachter", de "La difesa della razza"; e prepara nuove persecuzioni razziste.
Nuove persecuzioni razziste prepara.
Chi dorme si svegli.
Chi dorme si svegli, prima che sia troppo tardi.
Peppe Sini, paesano
Viterbo, 31 maggio 2018
3. MAESTRI. GIACOMO LEOPARDI: LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce
Giovanni, III, 19
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor ne' fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna de' mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiar di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur citta' famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
E' il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potra' dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e puo' con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra se. Non io
Con tal vergogna scendero' sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avro' quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'eta' propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Liberta' vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civilta', che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Cosi' ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci die'. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fe' palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama se ne' stima
Ricco d'or ne' gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma se di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io gia', ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicita', quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge si', che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura e' quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir, ne' gli odii e l'ire
Fraterne, ancor piu' gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma da' la colpa a quella
Che veramente e' rea, che de' mortali
Madre e' di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome e' il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra se confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede cosi', qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul piu' vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Cosi' fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probita' del volgo
Cosi' star suole in piede
Quale star puo' quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e sulla mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo voto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo e' nulla,
Sconosciuto e' del tutto; e quando miro
Quegli ancor piu' senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o cosi' paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiu', di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente eta', che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pieta' prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui la' nel tardo autunno
Maturita' senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; cosi' d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli,
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar la' su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e citta' nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo pie' quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom piu' stima o cura
Che alla formica: e se piu' rara in quello
Che nell'altra e' la strage,
Non avvien cio' d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcar poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta piu' mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando piu' volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pieta' rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Cosi', dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per si' lungo cammino,
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternita' s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Gia' noto, stendera' l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Ne' sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma piu' saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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