[Nonviolenza] Telegrammi. 3029
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 3029
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- Date: Sat, 7 Apr 2018 22:49:53 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3029 dell'8 aprile 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Martin Luther King: Oltre il Vietnam
2. Martin Luther King: Noi vi ameremo ancora
3. Martin Luther King: La scelta della nonviolenza
4. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
5. L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: OLTRE IL VIETNAM
[Riproponendo questo testo, nuovamente ringraziamo l'indimenticabile amico Fulvio Cesare Manara per averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002. Il testo seguente e' quello del discorso tenuto nella chiesa di Riverside, New York, 4 aprile 1967]
Credo che il cammino dalla chiesa battista di Dexter Avenue - la chiesa di Montgomery, nell'Alabama, dove ho cominciato il ministero pastorale -, conduca proprio qui, al santuario dove ci troviamo stasera.
C'e' un nesso molto evidente e quasi elementare fra la guerra in Vietnam e la lotta che io e altri abbiamo intrapreso in America. Qualche anno fa, quella lotta ha visto un momento luminoso: e' sembrato che per i poveri ? neri e bianchi ? ci fosse una promessa concreta di speranza, grazie al programma contro la poverta'. Ci furono esperimenti, speranze, nuove aperture. Poi comincio' a crescere la tensione nel Vietnam, e io ho visto questo programma frantumarsi e svuotarsi, come se fosse l'ozioso balocco politico di una societa' impazzita per la guerra. E ho capito che l'America non avrebbe mai investito i fondi e le energie necessarie a riabilitare i suoi poveri, finche' le avventure come il Vietnam avessero continuato a risucchiare uomini e talenti e denaro come una sorta di pompa aspirante, demoniaca e distruttiva. Percio' mi sono visto sempre piu' costretto a considerare la guerra un nemico dei poveri e in quanto tale ad attaccarla.
Forse e' stato un piu' tragico riconoscimento della realta' quando ho capito che la guerra faceva assai di piu' che devastare le speranze dei poveri in patria. La guerra mandava i loro figli e fratelli e mariti a combattere e a morire in una percentuale straordinariamente superiore alla loro consistenza proporzionale nella popolazione. Stavamo prendendo i giovani neri che la nostra societa' aveva mutilato, e li mandavamo a quindicimila chilometri di distanza, per garantire nel Sudest asiatico liberta' a cui essi stessi non avevano accesso nel Sudovest della Georgia o a Harlem est. E cosi' ci siamo trovati piu' volte di fronte alla crudele ironia di vedere sugli schermi televisivi ragazzi neri e bianchi che uccidono e muoiono insieme, per un paese incapace di farli sedere insieme nei banchi delle stesse scuole. E cosi' li vediamo affiancati e solidali nella brutalita', mentre incendiano le capanne di un povero villaggio, ma ci rendiamo conto che a Chicago difficilmente potrebbero abitare nello stesso isolato. Io non potevo restare in silenzio di fronte a una cosi' crudele manipolazione dei poveri.
Mentre camminavo circondato di giovani arrabbiati, disperati, rifiutati, dicevo loro che i fucili e le bombe molotov non avrebbero risolto i loro problemi. Ho cercato di far sentire loro la mia piu' profonda compassione, insieme sostenendo la convinzione che i mutamenti sociali si producono nel modo piu' significativo attraverso l'azione nonviolenta. Ma loro mi chiedevano, e giustamente: "E il Vietnam, allora?". Mi chiedevano se non era forse vero che il nostro paese impiegava la violenza in dosi massicce per risolvere i problemi, per produrre i cambiamenti desiderati. Le loro domande coglievano nel segno; io sapevo che non avrei mai piu' potuto alzare la voce contro la violenza degli oppressi nei ghetti senz'aver prima parlato chiaro al maggior fornitore di violenza del mondo di oggi: il mio stesso governo.
Per amore di quei ragazzi, per amore di questo governo, per amore delle centinaia di migliaia di esseri umani che tremano sotto la nostra violenza, non posso tacere.
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Ora, dovrebbe essere chiaro fino all'incandescenza come nessuno, che abbia in qualche modo a cuore l'integrita' e la vita dell'America di oggi, possa ignorare questa guerra. Se l'anima dell'America restera' del tutto avvelenata, nell'autopsia si potra' leggere anche la parola "Vietnam". L'anima dell'America non si potra' salvare finche' continua a distruggere le piu' radicate speranze degli uomini di tutto il mondo. E cosi', quelli fra noi che sono ancora convinti che l'"America deve esistere" devono incamminarsi sul sentiero della protesta e del dissenso, lavorare per la salvezza della nostra terra.
Come se non bastasse il peso di un simile impegno in nome della vita e della salvezza dell'America, nel 1964 mi e' stato imposto un nuovo fardello di responsabilita'; e non posso dimenticare che il premio Nobel per la pace era anche un incarico, l'incarico di lavorare con piu' impegno che mai per la fratellanza degli uomini. Questa vocazione mi porta a superare i doveri della fedelta' nazionale.
Ma anche in mancanza di questo, dovrei pur sempre vivere con il senso del mio impegno di ministro di Gesu' Cristo. Per me e' talmente evidente il rapporto che lega questo ministero al dovere di costruire la pace, che talvolta mi stupisco che mi si domandi come mai parlo contro la guerra.
Com'e' possibile che i miei interlocutori non sappiano che la Buona Novella si rivolge a tutti gli uomini: ai comunisti e ai capitalisti, ai loro figli e ai nostri, ai neri e ai bianchi, ai rivoluzionari e ai conservatori? Hanno dimenticato che il mio ministero e' istituito in obbedienza a Colui che ha amato i suoi nemici al punto di morire per loro? E allora, che cosa posso dire ai vietcong, o a Castro, o a Mao, in qualita' di ministro fedele di Costui? Posso minacciarli di morte, o non dovro' invece condividere con loro la mia vita?
Infine, mentre cerco di spiegare a voi e a me stesso il percorso che da Montgomery conduce a questo luogo, darei la spiegazione piu' valida se dicessi semplicemente che devo restare fedele alla mia convinzione di condividere con tutti gli uomini la vocazione a essere figlio del Dio vivente. Al di la' del richiamo della razza o della nazione o del credo religioso, vale questa vocazione filiale e fraterna. Proprio perche' credo che il Padre si prende cura in modo particolare dei suoi figli sofferenti e impotenti e reietti, stasera sono venuto a parlare per loro. Credo che in questo consista il privilegio e il fardello che tutti noi, che ci riteniamo vincolati da fedelta' e lealta' piu' vaste e piu' profonde del nazionalismo e tali da oltrepassare e sopravanzare le mete e le posizioni che la nostra nazione fissa per se stessa, dobbiamo aspettarci. Siamo chiamati a parlare per i deboli, per chi non ha voce, per le vittime della nostra nazione, per coloro che essa definisce "il nemico", perche' non esiste documento di mano umana che possa rendere questi esseri umani meno che nostri fratelli.
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La guerra in Vietnam non e' che il sintomo di un malessere assai piu' radicato nello spirito americano, e se ignoreremo queste realta' che ci obbligano a riflettere, nella prossima generazione ci ritroveremo a organizzare altri "comitati del clero e dei laici preoccupati": si preoccuperanno per il Guatemala e il Peru', per la Thailandia e la Cambogia, per il Mozambico e il Sudafrica. Ci tocchera' scendere in corteo per questi nomi e per una dozzina d'altri, andare a infiniti raduni e manifestazioni, se non si verifichera' un cambiamento significativo e radicale nella vita e nella politica americana. E dunque questi pensieri ci portano oltre il Vietnam, ma non oltre la nostra vocazione di figli del Dio vivente.
Nel 1957, un funzionario americano dotato di sensibilita' disse che secondo lui il nostro paese sembrava situato sul versante meno vantaggioso di una rivoluzione mondiale. Negli ultimi dieci anni abbiamo visto affiorare uno schema di repressione che oggi giustifica la presenza di consulenti militari statunitensi in Venezuela. La necessita' di mantenere la stabilita' sociale per favorire i nostri investimenti spiega l'opera controrivoluzionaria compiuta dalle forze americane nel Guatemala; spiega come mai contro i guerriglieri cambogiani si usino elicotteri americani, come mai contro i ribelli in Peru' siano gia' stati usati napalm americano e le truppe dei Berretti Verdi.
Riflettendo su queste attivita', le parole del compianto John F. Kennedy tornano a ossessionarci; cinque anni fa Kennedy disse: "Coloro che rendono impossibile la rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la rivoluzione violenta".
Per scelta o per caso, la nostra nazione si e' investita sempre piu' spesso di questo ruolo: il ruolo di coloro che rendono impossibile una rivoluzione pacifica, rifiutandosi di rinunciare ai privilegi e ai piaceri derivanti dagli immensi profitti degli investimenti in tutto il mondo.
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Io sono persuaso che se vogliamo passare al versante positivo della rivoluzione mondiale, come nazione dobbiamo compiere una radicale rivoluzione dei valori. Dobbiamo al piu' presto cominciare a passare da una societa' orientata alle cose a una societa' orientata alle persone. Finche' considereremo le macchine e i computer, le motivazioni del profitto e i diritti di proprieta' piu' importanti delle persone, i tre giganti del razzismo, del materialismo estremo e del militarismo non potranno mai essere sconfitti.
Una vera rivoluzione dei valori ci indurrebbe ben presto a mettere in discussione l'equita' e la giustizia di molte nostre scelte politiche del presente e del passato. Da un lato siamo chiamati a operare come il buon samaritano sul ciglio della strada della vita, ma questo e' soltanto il principio: un giorno dovremo arrivare a capire che bisogna trasformare l'intera strada per Gerico, in modo che gli uomini e le donne non continuino ad essere picchiati e rapinati mentre sono in viaggio sull'autostrada della vita. La vera compassione non si limita a gettare una moneta al mendicante, ma arriva a capire che, se produce mendicanti, un edificio ha bisogno di una ristrutturazione.
Una vera rivoluzione dei valori guarderebbe ben presto con disagio al violento contrasto fra poverta' e ricchezza. Con l'indignazione del giusto, getterebbe lo sguardo oltre i mari, e vedrebbe i singoli capitalisti dell'Occidente investire immense somme di denaro in Asia, in Africa, nell'America del Sud, soltanto per ricavarne profitto, senza curarsi affatto del progresso sociale di questi paesi, e direbbe: "Questo non e' giusto". Guarderebbe alla nostra alleanza con i proprietari terrieri dell'America Latina e direbbe: "Questo non e' giusto". Il senso di arroganza tipico dell'Occidente, che crede di avere tutto da insegnare agli altri, e nulla da imparare da loro, non e' giusto.
Una vera rivoluzione dei valori mettera' mano all'ordinamento mondiale, e della guerra dira': "Questo modo di comporre i dissidi non e' giusto". Bruciare gli esseri umani con il napalm, riempire le nostre case di orfani e di vedove, iniettare germi velenosi di odio nelle vene di popoli che di norma sarebbero pieni di umanita', rimandare a casa uomini che hanno combattuto in campi di battaglia tenebrosi e sanguinosi e tornano menomati nel fisico e turbati nella psiche: tutti questi atti non possono conciliarsi con la saggezza, la giustizia, l'amore. Una nazione che continua, un anno dopo l'altro, a spendere piu' denaro per la difesa militare che per i programmi di elevazione sociale, si avvicina alla morte dello spirito.
L'America, che e' la nazione piu' ricca e potente del mondo, in una rivoluzione dei valori potrebbe certo fare da battistrada. Soltanto un tragico desiderio di morte ci puo' impedire di riordinare la nostra scala di priorita', in modo che il perseguimento della pace abbia la precedenza sul perseguimento della guerra. Niente ci puo' impedire di usare le mani ferite per plasmare uno status quo recalcitrante fino a trasformarlo in fraternita'.
I nostri sono tempi rivoluzionari. In tutto il mondo gli uomini si ribellano contro antichi regimi di sfruttamento e di oppressione; dalle piaghe di un mondo fragile nascono regimi nuovi ispirati alla giustizia e all'uguaglianza. I popoli scamiciati e scalzi della terra si stanno sollevando come non mai. Il popolo che era nelle tenebre ha visto una grande luce [Is, 9, 2]. Noi in Occidente dobbiamo sostenere queste rivoluzioni.
E' una triste realta' che a causa dell'amore per le comodita', dell'autocompiacimento, di una paura morbosa del comunismo, della tendenza ad adeguarci all'ingiustizia, le nazioni occidentali, che hanno avuto un ruolo da iniziatori per quanto riguarda gran parte dello spirito rivoluzionario del mondo moderno, oggi siano diventate arcicontrarie alle rivoluzioni. Percio' molti sono stati indotti a credere che soltanto il marxismo possieda spirito rivoluzionario; e, di conseguenza, il comunismo e' la punizione che abbiamo meritato per non essere riusciti a tradurre in realta' la democrazia e a portare fino in fondo le rivoluzioni che avevamo iniziato. Oggi abbiamo una sola speranza: riuscire a riconquistare lo spirito rivoluzionario e uscire in un mondo talvolta ostile dichiarando eterna ostilita' alla poverta', al razzismo, al militarismo. Questo impegno potente ci permettera' di lanciare una audace sfida allo status quo e alle consuetudini ingiuste, e cosi' avvicineremo il giorno in cui "si colmi ogni valle, ogni monte o colle si abbassi, l'erta si cambi in piano e la scabrosita' in liscio suolo" [Is, 40, 4].
Un'autentica rivoluzione dei valori significa in ultima analisi che dobbiamo avere una forma di lealta' ecumenica e non settoriale. Ogni nazione, ormai, deve sviluppare sopra ogni altra cosa una lealta' verso l'umanita', verso l'umanita' nel suo insieme, in modo da riuscire a conservare il meglio delle singole societa'.
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Dobbiamo superare l'indecisione passando all'azione. Dobbiamo trovare nuovi modi per parlare a favore della pace nel Vietnam e della giustizia in tutti i paesi in via di sviluppo, il cui confine comincia alla soglia delle nostre case. Se non agiremo, saremo certo trascinati lungo gli oscuri, lunghi e infamanti corridoi del tempo riservati a quanti possiedono potere ma non compassione, potenza ma non moralita', forza ma non giudizio.
Cominciamo. Rinnoviamo la nostra dedizione alla battaglia per un mondo nuovo, lunga e aspra ma bellissima. Questa e' la vocazione a cui sono chiamati i figli di Dio, e i nostri fratelli aspettano con ansia la nostra risposta. Diremo che siamo troppo svantaggiati in partenza? Diremo che la lotta e' troppo aspra? Il nostro messaggio sara' che le forze della vita americana militano contro la loro possibilita' di diventare uomini in senso pieno, e noi inviamo i sensi del piu' profondo rammarico? Oppure ci sara' un messaggio diverso: di desiderio, di speranza, di solidarieta' con le loro aspirazioni, di impegno verso la loro causa, a qualsiasi costo? Tocca a noi scegliere, e anche se forse preferiremmo che non fosse cosi', dobbiamo scegliere in questo momento cruciale della storia umana.
2. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: NOI VI AMEREMO ANCORA
[Riproponendo questo testo, nuovamente ringraziamo l'indimenticabile amico Fulvio Cesare Manara per averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002. Il testo seguente e' tratto da La forza di amare, Torino, Sei, 1968, 1973 e successive ristampe, pp. 86-88 (la traduzione e' dell'indimenticabile padre Ernesto Balducci)]
Amici miei, abbiamo seguito la cosiddetta via pratica gia' per troppo tempo, ormai, ed essa ci ha condotti inesorabilmente ad una piu' profonda confusione ed al caos. Il tempo risuona del fragore della rovina di comunita' che si abbandonarono all'odio e alla violenza. Per la salvezza della nostra nazione e per la salvezza dell'umanita', noi dobbiamo seguire un'altra via. Questo non significa che noi abbandoniamo i nostri giusti sforzi: con ogni grammo della nostra energia dobbiamo continuare a liberare questa nazione dall'incubo della segregazione; ma, nel far questo, non dobbiamo rinunziare al nostro privilegio ed al nostro dovere di amare. Pur aborrendo la segregazione, dovremo amare i segregazionisti: questo e' l'unica via per creare la comunita' tanto desiderata.
Ai nostri piu' accaniti oppositori noi diciamo: "Noi faremo fronte alla vostra capacita' di infliggere sofferenze con la nostra capacita' di sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la nostra forza d'animo. Fateci quello che volete, e noi continueremo ad amarvi. Noi non possiamo, in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi ingiuste, perche' la non?cooperazione col male e' un obbligo morale non meno della cooperazione col bene. Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case, nell'ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo ancora. Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra capacita' di soffrire. Un giorno, noi conquisteremo la liberta', ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che alla lunga conquisteremo voi, e la nostra vittoria sara' una duplice vittoria".
L'amore e' il potere piu' duraturo che vi sia al mondo. Questa forza creativa, cosi' splendidamente esemplificata nella vita del nostro Signore Gesu' Cristo, e il piu' potente strumento disponibile nell'umana ricerca della pace e della sicurezza. Napoleone Bonaparte, il grande genio militare, si dice che abbia detto, guardando indietro ai suoi anni di conquista: "Alessandro, Cesare, Carlo Magno ed io abbiamo costruito grandi imperi, ma appoggiati su che cosa? Appoggiati sulla forza. Ma tanti secoli fa Ges' diede inizio ad un impero che fu costruito sull'amore, e anche al giorno d'oggi vi sono milioni di uomini pronti a morire per lui". Chi puo' dubitare della veracita' di queste parole? I grandi capi militari del passato sono scomparsi, i loro imperi sono crollati e ridotti in cenere: ma l'impero di Gesu', costruito solidamente e maestosamente sul fondamento dell'amore, cresce ancora. Comincio' con un piccolo gruppo di uomini devoti che, per ispirazione del loro Signore, furono capaci di scuotere le fondamenta dell'impero romano e di portare il Vangelo in tutto il mondo. Oggi l'immenso regno terreno del Cristo conta piu' di novecento milioni di uomini e si estende ad ogni paese e ad ogni nazione. Oggi noi udiamo di nuovo la promessa della vittoria. "Gesu' regnera' dovunque il sole / Si volge nei suoi viaggi regolari; / Il suo regno si stende da sponda a sponda / Finche' la luna crescera' per non scemare piu'". E un altro coro gioiosamente risponde: "In Cristo non vi e' ne' Est ne' Ovest / In Lui non vi e' ne' Sud ne' Nord, / Ma una grande comunione d'amore / Attraverso l'intero orbe terrestre".
Gesu' ha eternamente ragione. La storia e' piena delle ossa imbiancate dei popoli che rifiutarono di ascoltarlo. Possiamo noi nel ventesimo secolo ascoltare e seguire le sue parole, prima che sia troppo tardi. Possiamo noi solennemente renderci conto che non saremo mai veri figli del nostro Padre celeste finche' non ameremo i nostri nemici e non pregheremo per coloro che ci perseguitano.
3. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA
[Riproponendo questo testo, nuovamente ringraziamo l'indimenticabile amico Fulvio Cesare Manara per averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002. Il testo seguente e' tratto da La forza di amare, Torino, Sei, 1968, 1973 e successive ristampe, pp. 268-274 (la traduzione e' dell'indimenticabile padre Ernesto Balducci)]
Dopo aver letto Rauschenbusch [Cristianesimo e crisi sociale] mi volsi ad uno studio serio delle teorie sociali ed etiche dei grandi filosofi. Durante quel periodo, disperai quasi del potere dell'amore di risolvere i problemi sociali. La filosofia del porgere?l'altra?guancia e dell'amare?i?propri?nemici sono valide, pensavo, solo quando individui sono in conflitto con altri individui; ma quando sono in conflitto gruppi razziali e nazioni, e' necessario un comportamento piu' realistico.
Allora, venni in contatto con la vita e con l'insegnamento del Mahatma Gandhi. Leggendo le sue opere, rimasi profondamente affascinato dalle sue campagne di resistenza nonviolenta. Tutto il concetto gandhiano di satyagraha (satya e' verita' che equivale ad amore e agraha e' forza; satyagraha, percio', significa verita'?forza, o amore?forza) era profondamente significativo per me. Via via che scavavo a fondo nella filosofia di Gandhi, il mio scetticismo riguardo al potere dell'amore diminuiva gradualmente, ed io arrivai a vedere per la prima volta che la dottrina cristiana dell'amore, operante attraverso il metodo gandhiano della nonviolenza, e' una delle armi piu' potenti a disposizione di un popolo oppresso nella sua lotta per la liberta'. A quel tempo, comunque, io acquistai solo una comprensione intellettuale ed una stima di quella posizione, e non avevo alcuna ferma decisione di organizzarla in una situazione socialmente effettiva.
Quando, nel 1954, mi recai a Montgomery, Alabama, come pastore, non avevo la minima idea che piu' tardi mi sarei trovato coinvolto in una crisi in cui la resistenza nonviolenta avrebbe potuto essere applicabile. Dopo che ebbi vissuto in quella comunita' per circa un anno, ebbe inizio il boicottaggio degli autobus. I neri di Montgomery, esasperati dalle umilianti esperienze che avevano costantemente subito negli autobus, espressero con una massiccia azione di noncooperazione la loro decisione di essere liberi: giunsero ad accorgersi che, in fin dei conti, era piu' onorevole camminare dignitosamente per le strade che farsi trasportare in autobus in quella forma umiliante. All'inizio della protesta, essi si rivolsero a me perche' servissi loro da portavoce. Accettando tale responsabilita', il mio pensiero, consciamente o inconsciamente, veniva riportato al Discorso della Montagna e al metodo gandhiano della resistenza nonviolenta: questo principio divenne la luce che guidava il nostro movimento: Cristo forniva lo spirito e i motivi, Gandhi forniva il metodo.
L'esperienza di Montgomery servi' a chiarire il mio pensiero riguardo alla questione della nonviolenza piu' di tutti i libri che avevo letti. Via via che i giorni si susseguivano, mi convincevo sempre piu' del potere della nonviolenza. La nonviolenza divenne piu' che un metodo a cui io davo il mio assenso intellettuale: divenne dedizione ad una forma di vita. Molte questioni che non avevo chiarito intellettualmente riguardo alla nonviolenza venivano ora risolte entro la sfera dell'azione pratica.
Il privilegio che ebbi di fare un viaggio in India lascio' una grande impronta su di me personalmente, perche' era corroborante vedere di prima mano gli impressionanti risultati di una lotta nonviolenta per la conquista dell'indipendenza. La messe di odio e di risentimento che ordinariamente segue una campagna violenta non si riscontrava da nessuna parte in India, e un'amicizia reciproca, basata sulla completa uguaglianza, esisteva tra indiani e inglesi entro il Commonwealth.
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Non vorrei dare l'impressione che la nonviolenza possa compiere miracoli da oggi a domani: gli uomini non si lasciano facilmente smuovere dai loro binari mentali o liberare dai loro sentimenti irrazionali, frutto di pregiudizi. Quando i non privilegiati chiedono liberta', i privilegiati dapprima reagiscono con risentimento e resistenza: anche quando le richieste sono presentate in termini nonviolenti, la risposta iniziale e' sostanzialmente la stessa. Io sono sicuro che molti dei nostri fratelli bianchi a Montgomery e attraverso il Sud sono ancora pieni di risentimento contro i dirigenti neri, anche se questi hanno cercato di seguire una via di amore e di nonviolenza. Ma l'azione nonviolenta ha un'influenza sui cuori e sulle anime di coloro che sono impegnati in essa: da' loro un nuovo rispetto di se stessi; suscita risorse di forza e di coraggio che essi non sapevano di possedere; infine, scuote a tal punto la coscienza dell'oppositore che la riconciliazione diviene una realta'.
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Piu' recentemente, sono giunto a riconoscere la necessita' del metodo della nonviolenza nelle relazioni internazionali. Pur non essendo convinto della sua efficacia nei conflitti tra nazioni, io pensavo che, pur non potendo mai essere un bene positivo, la guerra potrebbe servirci come bene negativo, prevenendo la diffusione e la crescita di una forza malvagia: la guerra, per quanto orribile potrebbe essere preferibile all'arrendersi ad un sistema totalitario. Ora, pero', io vedo che la distruttivita' potenziale delle armi moderne elimina totalmente la possibilita' che la guerra rappresenti mai piu' un bene negativo. Se ammettiamo che l'umanita' ha il diritto di sopravvivere, allora dobbiamo trovare un'alternativa alla guerra ed alla distruzione. Nella nostra epoca di veicoli spaziali e di missili balistici telecomandati, la scelta e' tra la nonviolenza e la nonesistenza.
Io non sono un pacifista dottrinario, ma ho cercato di abbracciare un pacifismo realistico, che considera la posizione pacifista come il male minore nelle circostanze attuali. Io non proclamo di essere libero dal dilemma morale che il cristiano non pacifista deve affrontare, ma sono convinto che la Chiesa non puo' rimanere in silenzio mentre il genere umano e' di fronte alla minaccia dell'annientamento nucleare. Se e' fedele alla sua missione, la Chiesa deve chiedere la fine della gara degli armamenti.
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Alcune mie personali sofferenze di questi ultimi anni sono pure servite a formare il mio pensiero. Esito sempre a menzionare tali esperienze, per timore di suscitare una falsa impressione: una persona che continuamente richiama l'attenzione sulle sue prove e sofferenze, corre il rischio di acquistare un complesso di martire e di dare agli altri l'impressione di cercare consapevolmente simpatia. E' possibile che uno sia egocentrico nel sacrificio di se'. Percio' sono sempre riluttante a citare i miei sacrifici personali. Mi sento, pero', in certo modo giustificato di menzionarli in questo saggio, a motivo dell'influenza che essi hanno avuto sul mio pensiero.
A causa del mio impegno nella lotta per la liberta' della mia gente, in questi ultimi anni ho conosciuto ben pochi giorni tranquilli. Sono stato rinchiuso nelle prigioni dell'Alabama e della Georgia dodici volte; due volte la mia casa e' stata colpita dalle bombe. Raramente passa un giorno che la mia famiglia ed io non riceviamo minacce di morte; io sono stato vittima di un'aggressione quasi fatale: in senso molto reale, dunque, sono stato percosso dalle tempeste della persecuzione. Devo ammettere di aver pensato, a volte, che non potevo piu' sopportare un cosi' pesante fardello, e di essere stato tentato di ritirarmi ad una vita piu' tranquilla e serena. Ma, ogni volta che mi si e' presentata una tale tentazione, qualcosa veniva a rafforzare e a sorreggere la mia decisione. Ormai ho imparato che la soma del Maestro e' leggera precisamente quando noi prendiamo su di noi il suo giogo.
Le prove personali mi hanno anche insegnato il valore di una immeritata sofferenza. Quando le mie sofferenze aumentarono, io mi resi subito conto che vi erano due maniere in cui potevo rispondere alla mia situazione: o reagire con risentimento, o cercare di trasformare la sofferenza in una forza costruttiva. Decisi di seguire la seconda maniera. Riconoscendo la necessita' della sofferenza, avevo cercato di fame una virtu': foss'anche solo per salvarmi dall'amarezza, avevo cercato di vedere le mie prove personali come un'occasione per trasfigurare me stesso e per salvare il popolo implicato nella tragica situazione che ora prevale. Ho vissuto questi ultimi anni con la convinzione che la sofferenza immeritata e' redentiva. Vi sono alcuni che ancora considerano la croce come un ostacolo, altri la considerano follia, ma io sono convinto, piu' di quanto lo sia mai stato prima, che essa e' la potenza di Dio per la salvezza sociale e individuale. Cosi', come l'apostolo Paolo, io posso dire, umilmente ma con fierezza: "Io porto nel mio corpo i segni del Signore Gesu'".
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Gli angosciosi momenti che ho passati durante questi ultimi anni mi hanno anche portato piu' vicino a Dio. Piu' che mai prima, sono convinto della realta' di un Dio personale. Certo, ho sempre creduto nella personalita' di Dio: ma, in passato, l'idea di un Dio personale era poco piu' di una categoria metafisica che io trovavo teologicamente e filosoficamente soddisfacente; ora, essa e' una realta' vivente che e' stata convalidata dall'esperienza della vita quotidiana. Negli ultimi anni, Dio e' stato profondamente reale per me. In mezzo ai pericoli esterni, ho sentito una calma interiore; in mezzo a giorni desolati e a notti di terrore, ho udito una voce interiore che diceva: "Ecco, io saro' con te". Quando le catene della paura e i ceppi della frustrazione avevano quasi ridotto all'impotenza i miei sforzi, ho sentito la potenza di Dio che trasformava il travaglio della disperazione nell'allegria della speranza. Io sono convinto che l'universo e' sotto il controllo di un'intenzione amorosa e che nella lotta per la giustizia l'uomo ha alleati cosmici. Dietro le dure apparenze del mondo, vi e' un potere benigno. Dire che questo Dio e' personale non significa renderlo un oggetto finito accanto ad altri oggetti o attribuirgli le limitazioni della personalita' umana: significa prendere quello che vi e' di piu' alto e di piu' nobile nella nostra coscienza e affermarne la perfetta esistenza in lui. E' certamente vero che la personalita' umana e' limitata, ma la personalita' in quanto tale non implica necessariamente delle limitazioni: essa significa semplicemente autocoscienza e autodirezione. Cosi', nel piu' vero senso della parola, Dio e' un Dio vivente. In lui sono sentimento e volonta', responsivi alle piu' profonde emozioni del cuore umano: questo Dio evoca la preghiera e insieme vi risponde.
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L'ultima decade e' stata quanto mai eccitante. A dispetto delle tensioni e incertezze di questo periodo, qualcosa di profondamente significativo si sta facendo strada. I vecchi sistemi di sfruttamento e di oppressione stanno scomparendo; nuovi sistemi di giustizia e di uguaglianza stanno nascendo. Realmente, questo e' un gran tempo per vivere. Percio', io non sono ancora scoraggiato riguardo al futuro. D'accordo che il facile ottimismo di ieri e' impossibile; d'accordo che ci troviamo di fronte ad un a crisi mondiale che cosi' spesso ci lascia eretti in mezzo al crescente mormorio dell'agitato mare della vita. Ma ogni crisi ha al tempo stesso i suoi rischi e le sue possibilita': puo' significare salvezza o condanna. In un mondo buio e confuso, il Regno di Dio puo' ancora regnare nel cuore degli uomini.
4. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA
Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
5. REPETITA IUVANT. L'ITALIA SOTTOSCRIVA E RATIFICHI IL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI
L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017.
Salvare le vite e' il primo dovere.
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Ludwig Wittgenstein, Pagine scelte e commentate, Rcs, Milano 2017, pp. 208, euro 6,90. A cura di Luigi Perissinotto.
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Riletture
- Aldo Palazzeschi, L'incendiario, Edizioni futuriste di "Poesia", Milano 1910, Mondadori, Milano 2001, pp. LXX + 122.
- Aldo Palazzeschi, Il Codice di Perela'. Romanzo futurista. Edizioni futuriste di "Poesia", Milano 1911, Mondadori, Milano 2001, 2012, pp. LXXXII + 222.
- Aldo Palazzeschi, Perela' uomo di fumo, Vallecchi, Firenze 1954, pp. IV + 306. Terza edizione rivista de Il codice di Perela'.
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Riedizioni
- Primo Levi, Conversazioni e interviste 1963-1987, Einaudi, Torino 1997, Rcs, Milano 2018, pp. XX + 316, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3029 dell'8 aprile 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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