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[Nonviolenza] Telegrammi. n. 2937
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. n. 2937
- From: Giacomo Alessandroni <g.alessandroni at peacelink.it>
- Date: Fri, 5 Jan 2018 00:31:15 +0100
- Sender: g.alessandroni at gmail.com
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2937 del 5 gennaio 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
2. Aldo Capitini: La mia opposizione al fascismo
3. Enrico Peyretti: Un nuovo libro di Jean-Marie Muller
4. Enrico Peyretti presenta "Oggi sono venuti i tedeschi. Vita quotidiana a Roma sotto l'occupazione nazista (10 settembre 1943 - 4 giugno 1944)" di Anna Doria
5. Sara Fumagalli presenta "Dislocazione. Introduzione alla fenomenologia asoggettiva di Jan Patocka" di Alessandra Pantano
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
2. Aldo Capitini: La mia opposizione al fascismo
3. Enrico Peyretti: Un nuovo libro di Jean-Marie Muller
4. Enrico Peyretti presenta "Oggi sono venuti i tedeschi. Vita quotidiana a Roma sotto l'occupazione nazista (10 settembre 1943 - 4 giugno 1944)" di Anna Doria
5. Sara Fumagalli presenta "Dislocazione. Introduzione alla fenomenologia asoggettiva di Jan Patocka" di Alessandra Pantano
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA
Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
2. MAESTRI. ALDO CAPITINI: LA MIA OPPOSIZIONE AL FASCISMO
[Nuovamente riproponiamo il seguente articolo di Aldo Capitini originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960, disponibile anche nel sito www.aldocapitini.it e nel sito www.nonviolenti.org
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Tra le opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' ancora quella a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori, Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); ma notevole ed oggi imprescindibile e' anche la recente antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004, 2007; delle singole opere capitiniane sono state recentemente ripubblicate: Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989, Edizioni dell'asino, Roma 2009; Elementi di un'esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; Colloquio corale, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005; L'atto di educare, Armando Editore, Roma 2010; cfr. inoltre la raccolta di scritti autobiografici Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; La religione dell'educazione, La Meridiana, Molfetta 2008; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007; Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Tra le opere su Aldo Capitini: a) per la bibliografia: Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Bibliografia di scritti su Aldo Capitini, a cura di Laura Zazzerini, Volumnia Editrice, Perugia 2007; Caterina Foppa Pedretti, Bibliografia primaria e secondaria di Aldo Capitini, Vita e Pensiero, Milano 2007; segnaliamo anche che la gia' citata bibliografia essenziale degli scritti di Aldo Capitini pubblicati dal 1926 al 1973, a cura di Aldo Stella, pubblicata in Il messaggio di Aldo Capitini, cit., abbiamo recentemente ripubblicato in "Coi piedi per terra" n. 298 del 20 luglio 2010; b) per la critica e la documentazione: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Mario Martini (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Gian Biagio Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita, Manduria 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; Alarico Mariani Marini, Eligio Resta, Marciare per la pace. Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Plus, Pisa 2007; Maura Caracciolo, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008; Mario Martini, Franca Bolotti (a cura di), Capitini incontra i giovani, Morlacchi, Perugia 2009; Giuseppe Moscati (a cura di), Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni, Levante, Bari 2010; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; e Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006; c) per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato ed i volumi bibliografici segnalati sopra]
[Nuovamente riproponiamo il seguente articolo di Aldo Capitini originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960, disponibile anche nel sito www.aldocapitini.it e nel sito www.nonviolenti.org
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Tra le opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' ancora quella a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori, Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); ma notevole ed oggi imprescindibile e' anche la recente antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004, 2007; delle singole opere capitiniane sono state recentemente ripubblicate: Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989, Edizioni dell'asino, Roma 2009; Elementi di un'esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; Colloquio corale, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005; L'atto di educare, Armando Editore, Roma 2010; cfr. inoltre la raccolta di scritti autobiografici Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; La religione dell'educazione, La Meridiana, Molfetta 2008; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007; Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Tra le opere su Aldo Capitini: a) per la bibliografia: Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Bibliografia di scritti su Aldo Capitini, a cura di Laura Zazzerini, Volumnia Editrice, Perugia 2007; Caterina Foppa Pedretti, Bibliografia primaria e secondaria di Aldo Capitini, Vita e Pensiero, Milano 2007; segnaliamo anche che la gia' citata bibliografia essenziale degli scritti di Aldo Capitini pubblicati dal 1926 al 1973, a cura di Aldo Stella, pubblicata in Il messaggio di Aldo Capitini, cit., abbiamo recentemente ripubblicato in "Coi piedi per terra" n. 298 del 20 luglio 2010; b) per la critica e la documentazione: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Mario Martini (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Gian Biagio Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita, Manduria 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; Alarico Mariani Marini, Eligio Resta, Marciare per la pace. Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Plus, Pisa 2007; Maura Caracciolo, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008; Mario Martini, Franca Bolotti (a cura di), Capitini incontra i giovani, Morlacchi, Perugia 2009; Giuseppe Moscati (a cura di), Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni, Levante, Bari 2010; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; e Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006; c) per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato ed i volumi bibliografici segnalati sopra]
Non e' facile elevarsi su quel patriottismo scolastico che ci coglie proprio nel momento, dai dieci ai quindici anni, in cui cerchiamo un impiego esaltante delle nostre energie, una tensione attiva e appoggiata a miti ed eroi.
Quaranta anni successivi di esperienza in mezzo ad una storia movimentatissima ci hanno ben insegnato due cose: che la devozione alla patria deve essere messa in rapporto e mediata con ideali piu' alti e universali; che la nazione e' una vera societa' solo in quanto risolve i problemi delle moltitudini lavoratrici nei diritti e nei doveri, nel potere, nella cultura, in tutte le liberta' concretamente e responsabilmente utilizzabili.
Quella "patria" che la scuola ci insegno', che era del Foscolo e del Carducci, e diventava del D'Annunzio e del Marinetti, non poteva essere il centro di tutti gli interessi; e percio' potei essere nazionalista tra i dieci e i quindici anni, ma non poi restarlo quando vidi la guerra in rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente e divisa; quando dalla letteratura vociana e di avaguardia salii (da autodidatta e piu' tardi che i coetanei) alla piu' strenua, vigorosa, e anche filologica classicita', vista nei testi latini, greci e biblici, come valori originali; quando portai la riflessione politica, precoce ma intorbidata dall'attivismo nazionalistico, ad apprezzare i diritti della liberta' e l'apertura al socialismo come cose fondamentali, insopprimibili per qualsiasi motivo.
Umanitario e moralista, tutto preso dalla ricostruzione della mia cultura (eseguita tardi ma con consapevolezza) e anche dal dolore fisico, il dopoguerra 1918-'22 mi trovo' del tutto estraneo al fascismo, anche se avevo coetanei che vi erano attivissimi: non sentii affatto l'impulso ad accompagnarmi con loro. Anzi, mi permettevo nella mia indipendenza, di leggere la "Rivoluzione liberale", di offrire lieto il mio letto ad un assessore socialista cercato dagli squadristi, e la mattina della "Marcia su Roma" sentii bene che non dovevo andarci, perche' era contro la liberta'.
Certo, per chi e' stato, purtroppo (e purtroppo dura ancora), educato a quel tal patriottismo scolastico, per chi non ha potuto nell'adolescenza non assorbire del dannunzianesimo e del marinettismo, qualche volta il fascismo poteva sembrare un qualche cosa di energico, di impegnato a far qualche cosa; e comprendo percio' le esitazioni e le cadute di tanti miei coetanei, che hanno come me press'a poco gli anni del secolo.
Se io fui preservato e salvato per opera di quell'evangelismo umanitario-moralistico e indipendente, per cui non ero diventato ne' cattolico (pur essendo teista) ne' fascista, e preferii rinunciare alla politica attiva, a cui pur da ragazzo tendevo, scegliendo un lavoro di studio, di poesia, di filosofia, di ricerca religiosa; tanti altri, anche per il fatto di essere stati in guerra (io ero stato escluso perche' riformato), lungo il binario del patriottismo, del combattentismo, dello squadrismo, videro nel fascismo la realizzazione di tutto.
Queste mie parole sono percio' un invito a diffidare del patriottismo scolastico, che puo' portare a tanto e a giustificare tanti delitti, e un proposito di lavorare per un'educazione ben diversa. Questa e' dunque la prima esperienza che ho vissuto in pieno: ho potuto contrastare al fascismo fin dal principio perche' mi ero venuto liberando (se non perfettamente) dal patriottismo scolastico; esso fu uno degli elementi principalmente responsabili dell'adesione di tanti al fascismo.
*
Ed ora vengo alla seconda esperienza fondamentale. Si capisce che mentre il fascismo si svolgeva, quasi insensibile com'ero alla soddisfazione "patriottica", mi trovavo contrario alla politica estera ed interna. Per l'estero io ero press'a poco un federalista, e mi pareva che un'unione dell'Italia, Francia, Germania (circa centocinquanta milioni di persone) avrebbe costituito una forza viva e civile, anche se l'Inghilterra fosse voluta rimanere per suo conto; ma ci voleva uno spirito comune, che, invece, il nazionalismo fece rovinare. Ebbi sempre un certo rispetto per la Societa' delle Nazioni; e mi pareva che l'Italia avesse avuto molto col Trattato di Versailles, malgrado le strida dei nazionalisti. Approvavo il lavoro di Amendola e degli altri per un patto con gli Jugoslavi, che ci avrebbe risparmiato tante tragedie e tante vergogne.
Per la politica interna la Milizia in mano a Mussolini, il delitto Matteotti, la dittatura e il fastidio, a me lettore e raccoglitore di vari giornali, che dava la lettura di giornali eguali, l'avversione che sentivo per il saccheggio e la distruzione e l'abolizione di tutto cio' che era stata la vita politica di una volta, le Camere del lavoro, le varie sedi dei partiti, le logge massoniche; mi tenevano staccato dal fascismo.
Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov'era piu' quel bel fermento di idee, quella vivacita' di spirito di riforme che avevo vissuto dal '18 al '24? Quanti libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo come preziosa), erano finiti! L'Italia che avrebbe dovuto riformarsi in tutto, era ora affidata ad un governo reazionario e militarista! E io ricordavo il mio entusiasmo per le amministrazioni socialiste: come seguivo quella di Milano, quella di Perugia, mia citta'!
Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro, alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una cosa preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e "diversi", la' impegnati ad amministrare per tutti.
Sicche' ero contrario al regime, e la seconda esperienza fondamentale lo confermo': fu la Conciliazione del febbraio del '29.
Non ero piu' cattolico dall'eta' di tredici anni, ma ero tornato ad un sentimento religioso sul finire della guerra, e lo studio successivo, anche filosofico e storico sulle origini del cristianesimo, di la' dalle leggende e dai dogmi mi aveva concretato un teismo di tipo morale.
Guardando il fascismo, vedevo che lo avevano sostenuto in modo decisivo due forze: la monarchia che aveva portato con se' (piu' o meno) l'esercito e la burocrazia; l'alta cultura (quella parte vittima del patriottismo scolastico) che aveva portato con se' molto della scuola. C'era una terza forza: la Chiesa di Roma. Se essa avesse voluto, avrebbe fatto cadere, dispiegando una ferma non collaborazione, il fascismo in una settimana. Invece aveva dato aiuti continui. Si venne alla Conciliazione tra il governo fascista e il Vaticano.
La religione tradizionale istituzionale cattolica, che aveva educato gli italiani per secoli, non li aveva affatto preparati a capire, dal '19 al '24, quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava in un modo profondo, visibile, perfino con frasi grottesche, con prestazione di favori disgustose, con reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla " scuola liberale " e ai "conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c'e' una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista, e' di aver chiarito per sempre che la religione e' una cosa diversa dall'istituzione romana.
Perche' noi abbiamo avuto da fanciulli un certo imbevimento di idee e di riti cattolici, che sono rimasti la', nel fondo nostro; ed anche se si e' studiato, e si sanno bene le ragioni storiche, filosofiche, sociali, anche religiose, per cui non si puo' essere cattolici, tuttavia ascoltando suonare le campane, vedendo l'edificio chiesa, incontrando il sacerdote, uno potrebbe sempre sentire un certo fascino.
Ebbene, se si pensa che quelle campane, quell'edificio, quell'uomo possono significare una cerimonia, un'espressione di adesione al fascismo, basta questo per insegnare che bisogna controllare le proprie emozioni, non farsi prendere da quei fatti che sono "esteriori" rispetto alla doverosita' e purezza della coscienza.
La Chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il fascismo, realmente le ottenne. Ma per me quello fu un insegnamento intimo che vale piu' di ogni altra cosa. Non aver visto il male che c'era nel fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l'Italia e l'Europa, aver ottenuto da un potere brigantesco sorto uccidendo la liberta', la giustizia, il controllo civico, la correttezza internazionale; non sono errori che ad individui si possono perdonare, come si deve perdonare tutto, ma sono segni precisi di inadeguatezza di un'istituzione, ancora una volta alleata di tiranni.
Fu li', su questa esperienza che l'opposizione al fascismo si fece piu' profonda, e divenne in me religiosa; sia nel senso che cercai piu' radicale forza per l'opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S. Francesco, Gandhi, di la' dall'istituzionalismo tradizionale che tradiva quell'autenticita'; sia nel senso che mi apparve chiarissimo che la liberazione vera dal fascismo stesse in una riforma religiosa, riprendendo e portando al culmine i tentativi che erano stati spenti dall'autoritarismo ecclesiastico congiunto con l'indifferenza generale italiana per tali cose.
Vidi chiaro che tutto era collegato nel negativo, e tutto poteva essere collegato nel positivo. Mi approfondii nella nonviolenza. Imparai il valore della noncollaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perche' rifiutai l'iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli italiani si liberassero dal fascismo noncollaborando, senza odio e strage dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio che li avrebbe purificati di tante scorie, e li avrebbe rinnovati, resi degni d'essere, cosi' si', tra i primi popoli nel nuovo orizzonte del secolo ventesimo.
Divenni vegetariano, perche' vedevo che Mussolini portava gli italiani alla guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si sarebbe sentita maggiore avversione nell'uccidere gli uomini.
*
Nel lavoro di suscitamento e collegamento antifascista, svolto da me dal 1932 al 1942, sta la terza esperienza fondamentale: il ritrovamento del popolo e la saldatura con lui per la lotta contro il fascismo. Figlio di persone del popolo, vissuto in poverta' e in disagi, con parenti tutti operai o contadini, i miei studi (vincendo un posto gratuito universitario nella Scuola normale superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi avevano veramente messo a contatto con la classe lavoratrice nella sua qualita' sociale e politica.
Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il primo maggio sonavano di lontano l'Inno dei lavoratori, di la' dal velo della pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal mio libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli incendi devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell'"Avanti!", ma, preso da altro lavoro, non le avevo studiate.
Accertai veramente la profondita' e l'ampiezza del mondo socialista nel periodo fascista, quando le possibilita' di trovare documentazioni e libri (lo sappiano i giovani di ora, che se vogliono possono andare da un libraio e acquistare cio' che cercano) erano di tanto diminuite, ma c'era, insieme, il modo di ritrovare i vecchi socialisti e comunisti, che erano rimasti saldi nella loro fede, veramente "fede" "sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi", malgrado le botte, gli sfregi, la poverta', le prigioni, le derisioni degli ideali e dei loro rappresentanti uccisi ("con Matteotti faremo i salsicciotti") e sebbene vedessero che le persone "dotte" erano per Mussolini e il regime.
Ritrovare queste persone, unirsi con loro di la' dalle differenze su un punto o l'altro dell'ideologia, festeggiare insieme il primo maggio magari in una soffitta o in un magazzino di legname, andare insieme in campagna una domenica (che per il popolo e' sempre qualche cosa di bello), e talvolta anche in prigione: nella lotta contro il fascismo si formo' questa unione, che non fu soltanto di persone e di aiuto reciproco, ma fu studio, approfondimento, constatazione degli interessi comuni dei lavoratori e degli intellettuali contro i padroni del denaro e del potere: si apriva cosi l'orizzonte del mondo, l'incontro di Occidente e Oriente in nome di una civilta' nuova, non piu' individualistica ne' totalitaria.
*
Questo io debbo al fascismo, ma in quanto ebbi, direi la Grazia, o interni scrupoli o ideali che mi portarono all'opposizione. Opponendomi al fascismo, non per cose di superficie o di persone o di barzellette, ma pensando seriamente nelle sue ragioni, nella sua sostanza, nel suo esperimento e impegno, non solo me ne purificavo completamente per cio' che potesse essercene in me, ma accertavo le direzioni di un lavoro positivo e di una persuasione interiore che dovevo continuare a svolgere anche dopo.
Il fascismo aveva unito in un insieme tutto cio' contro cui dovevo lottare per profonda convinzione, e non per caso, per un un male che mi avesse fatto, per un'avversione o invidia verso persone, o perche' avessi trovato in casa o presso maestri autorevoli un impulso antifascista. Nulla di questo ebbi, ed anche percio' ad un'attiva opposizione con propaganda non passai che lentamente e dopo circa un decennio.
Posso assicurare i giovani di oggi che il mio rifiuto fu dopo aver sentito le premesse del fascismo proprio nell'animo adolescente, e dopo averle consumate; sicche' i fascisti mi apparvero dei ritardatari. Ero arrivato al punto in cui non potevo accettare:
1, il nazionalismo che esasperava un riferimento nazionale e guerriero a tutti i valori, proprio quando ero convinto che la guerra avrebbe indebolito l'Europa, e che la nazione dovesse trovare precisi nessi con le altre;
2, l'imperialismo colonialistico, che, oltre a portare l'Italia fuori dalla sua influenza in Europa, nei Balcani e a freno della Germania, era un metodo arretrato, per la fine del colonialismo nel mondo;
3, il centralismo assolutistico e burocratico con quel far discendere tutto dall'alto (per giunta corrotto), mentre io ero decentralista, regionalista, per l'educazione democratica di tutti all'amministrazione e al controllo;
4, il totalitarismo, con la soppressione di ogni apporto di idee e di correnti diverse, si' che quando parlavo ai giovanissimi della vecchia possibilita' di scegliersi a vent'anni un partito, che aveva sue sedi e sua stampa, sembrava che parlassi di un sogno, di un regno felice sconosciuto;
5, il prepotere poliziesco, per cui uno doveva sempre temere parlando ad alta voce, conversando con ignoti, scrivendo una lettera, facendo un telefonata;
6, quel gusto dannunziano e quell'esaltazione della violenza, del manganello come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, delle bombe a mano, e, infine, l'orribile persecuzione contro gli ebrei;
7, quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale conservatorismo, difesa dei proprietari, di cio' che era vecchio e perfino anteriore alla rivoluzione francese;
8, quell'alleanza con il conservatorismo della chiesa, della parrocchia, delle gerarchie ecclesiastiche, prendendo della religione i riti e il lato reazionario, affratellandosi con i gesuiti, perseguitando gli ex-sacerdoti;
9, quel corporativismo con una insostenibile parita' tra capitale e lavoro che si risolveva in una prigione per moltitudini lavoratrici alla merce' dei padroni in gambali ed orbace;
10, quel rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione, quella fascista, e il traviamento degli adolescenti, mentre ero convinto che della libera produzione e circolazione delle varie forme di cultura una societa' nazionale ha bisogno come del pane;
11, quell'ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e delle Isole;
12, l'onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la grossolanita', la mutevolezza, l'egotismo, l'iniziativa brigantesca, la leggerezza nell'affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piu' possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perche' lo splendore stia nei valori puri della liberta', della giustizia, dell'onesta', della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.
*
Percio' il fascismo, nel problema dell'Italia di educarsi a popolo onesto, libero, competente, corretto, collaborante, mi parve un potenziamento del peggio e del fondo della nostra storia infelice, una malattia latente nell'organismo e venuta fuori, l'ostacolo che doveva, per il bene comune, essere rimosso, non in un modo semplicemente materiale, ma prendendo precisa e attiva coscienza delle ragioni per cui era sbagliato, e trasformando in questo lavoro se' e persuadendo gli altri italiani.
Quaranta anni successivi di esperienza in mezzo ad una storia movimentatissima ci hanno ben insegnato due cose: che la devozione alla patria deve essere messa in rapporto e mediata con ideali piu' alti e universali; che la nazione e' una vera societa' solo in quanto risolve i problemi delle moltitudini lavoratrici nei diritti e nei doveri, nel potere, nella cultura, in tutte le liberta' concretamente e responsabilmente utilizzabili.
Quella "patria" che la scuola ci insegno', che era del Foscolo e del Carducci, e diventava del D'Annunzio e del Marinetti, non poteva essere il centro di tutti gli interessi; e percio' potei essere nazionalista tra i dieci e i quindici anni, ma non poi restarlo quando vidi la guerra in rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente e divisa; quando dalla letteratura vociana e di avaguardia salii (da autodidatta e piu' tardi che i coetanei) alla piu' strenua, vigorosa, e anche filologica classicita', vista nei testi latini, greci e biblici, come valori originali; quando portai la riflessione politica, precoce ma intorbidata dall'attivismo nazionalistico, ad apprezzare i diritti della liberta' e l'apertura al socialismo come cose fondamentali, insopprimibili per qualsiasi motivo.
Umanitario e moralista, tutto preso dalla ricostruzione della mia cultura (eseguita tardi ma con consapevolezza) e anche dal dolore fisico, il dopoguerra 1918-'22 mi trovo' del tutto estraneo al fascismo, anche se avevo coetanei che vi erano attivissimi: non sentii affatto l'impulso ad accompagnarmi con loro. Anzi, mi permettevo nella mia indipendenza, di leggere la "Rivoluzione liberale", di offrire lieto il mio letto ad un assessore socialista cercato dagli squadristi, e la mattina della "Marcia su Roma" sentii bene che non dovevo andarci, perche' era contro la liberta'.
Certo, per chi e' stato, purtroppo (e purtroppo dura ancora), educato a quel tal patriottismo scolastico, per chi non ha potuto nell'adolescenza non assorbire del dannunzianesimo e del marinettismo, qualche volta il fascismo poteva sembrare un qualche cosa di energico, di impegnato a far qualche cosa; e comprendo percio' le esitazioni e le cadute di tanti miei coetanei, che hanno come me press'a poco gli anni del secolo.
Se io fui preservato e salvato per opera di quell'evangelismo umanitario-moralistico e indipendente, per cui non ero diventato ne' cattolico (pur essendo teista) ne' fascista, e preferii rinunciare alla politica attiva, a cui pur da ragazzo tendevo, scegliendo un lavoro di studio, di poesia, di filosofia, di ricerca religiosa; tanti altri, anche per il fatto di essere stati in guerra (io ero stato escluso perche' riformato), lungo il binario del patriottismo, del combattentismo, dello squadrismo, videro nel fascismo la realizzazione di tutto.
Queste mie parole sono percio' un invito a diffidare del patriottismo scolastico, che puo' portare a tanto e a giustificare tanti delitti, e un proposito di lavorare per un'educazione ben diversa. Questa e' dunque la prima esperienza che ho vissuto in pieno: ho potuto contrastare al fascismo fin dal principio perche' mi ero venuto liberando (se non perfettamente) dal patriottismo scolastico; esso fu uno degli elementi principalmente responsabili dell'adesione di tanti al fascismo.
*
Ed ora vengo alla seconda esperienza fondamentale. Si capisce che mentre il fascismo si svolgeva, quasi insensibile com'ero alla soddisfazione "patriottica", mi trovavo contrario alla politica estera ed interna. Per l'estero io ero press'a poco un federalista, e mi pareva che un'unione dell'Italia, Francia, Germania (circa centocinquanta milioni di persone) avrebbe costituito una forza viva e civile, anche se l'Inghilterra fosse voluta rimanere per suo conto; ma ci voleva uno spirito comune, che, invece, il nazionalismo fece rovinare. Ebbi sempre un certo rispetto per la Societa' delle Nazioni; e mi pareva che l'Italia avesse avuto molto col Trattato di Versailles, malgrado le strida dei nazionalisti. Approvavo il lavoro di Amendola e degli altri per un patto con gli Jugoslavi, che ci avrebbe risparmiato tante tragedie e tante vergogne.
Per la politica interna la Milizia in mano a Mussolini, il delitto Matteotti, la dittatura e il fastidio, a me lettore e raccoglitore di vari giornali, che dava la lettura di giornali eguali, l'avversione che sentivo per il saccheggio e la distruzione e l'abolizione di tutto cio' che era stata la vita politica di una volta, le Camere del lavoro, le varie sedi dei partiti, le logge massoniche; mi tenevano staccato dal fascismo.
Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov'era piu' quel bel fermento di idee, quella vivacita' di spirito di riforme che avevo vissuto dal '18 al '24? Quanti libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo come preziosa), erano finiti! L'Italia che avrebbe dovuto riformarsi in tutto, era ora affidata ad un governo reazionario e militarista! E io ricordavo il mio entusiasmo per le amministrazioni socialiste: come seguivo quella di Milano, quella di Perugia, mia citta'!
Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro, alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una cosa preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e "diversi", la' impegnati ad amministrare per tutti.
Sicche' ero contrario al regime, e la seconda esperienza fondamentale lo confermo': fu la Conciliazione del febbraio del '29.
Non ero piu' cattolico dall'eta' di tredici anni, ma ero tornato ad un sentimento religioso sul finire della guerra, e lo studio successivo, anche filosofico e storico sulle origini del cristianesimo, di la' dalle leggende e dai dogmi mi aveva concretato un teismo di tipo morale.
Guardando il fascismo, vedevo che lo avevano sostenuto in modo decisivo due forze: la monarchia che aveva portato con se' (piu' o meno) l'esercito e la burocrazia; l'alta cultura (quella parte vittima del patriottismo scolastico) che aveva portato con se' molto della scuola. C'era una terza forza: la Chiesa di Roma. Se essa avesse voluto, avrebbe fatto cadere, dispiegando una ferma non collaborazione, il fascismo in una settimana. Invece aveva dato aiuti continui. Si venne alla Conciliazione tra il governo fascista e il Vaticano.
La religione tradizionale istituzionale cattolica, che aveva educato gli italiani per secoli, non li aveva affatto preparati a capire, dal '19 al '24, quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava in un modo profondo, visibile, perfino con frasi grottesche, con prestazione di favori disgustose, con reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla " scuola liberale " e ai "conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c'e' una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista, e' di aver chiarito per sempre che la religione e' una cosa diversa dall'istituzione romana.
Perche' noi abbiamo avuto da fanciulli un certo imbevimento di idee e di riti cattolici, che sono rimasti la', nel fondo nostro; ed anche se si e' studiato, e si sanno bene le ragioni storiche, filosofiche, sociali, anche religiose, per cui non si puo' essere cattolici, tuttavia ascoltando suonare le campane, vedendo l'edificio chiesa, incontrando il sacerdote, uno potrebbe sempre sentire un certo fascino.
Ebbene, se si pensa che quelle campane, quell'edificio, quell'uomo possono significare una cerimonia, un'espressione di adesione al fascismo, basta questo per insegnare che bisogna controllare le proprie emozioni, non farsi prendere da quei fatti che sono "esteriori" rispetto alla doverosita' e purezza della coscienza.
La Chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il fascismo, realmente le ottenne. Ma per me quello fu un insegnamento intimo che vale piu' di ogni altra cosa. Non aver visto il male che c'era nel fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l'Italia e l'Europa, aver ottenuto da un potere brigantesco sorto uccidendo la liberta', la giustizia, il controllo civico, la correttezza internazionale; non sono errori che ad individui si possono perdonare, come si deve perdonare tutto, ma sono segni precisi di inadeguatezza di un'istituzione, ancora una volta alleata di tiranni.
Fu li', su questa esperienza che l'opposizione al fascismo si fece piu' profonda, e divenne in me religiosa; sia nel senso che cercai piu' radicale forza per l'opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S. Francesco, Gandhi, di la' dall'istituzionalismo tradizionale che tradiva quell'autenticita'; sia nel senso che mi apparve chiarissimo che la liberazione vera dal fascismo stesse in una riforma religiosa, riprendendo e portando al culmine i tentativi che erano stati spenti dall'autoritarismo ecclesiastico congiunto con l'indifferenza generale italiana per tali cose.
Vidi chiaro che tutto era collegato nel negativo, e tutto poteva essere collegato nel positivo. Mi approfondii nella nonviolenza. Imparai il valore della noncollaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perche' rifiutai l'iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli italiani si liberassero dal fascismo noncollaborando, senza odio e strage dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio che li avrebbe purificati di tante scorie, e li avrebbe rinnovati, resi degni d'essere, cosi' si', tra i primi popoli nel nuovo orizzonte del secolo ventesimo.
Divenni vegetariano, perche' vedevo che Mussolini portava gli italiani alla guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si sarebbe sentita maggiore avversione nell'uccidere gli uomini.
*
Nel lavoro di suscitamento e collegamento antifascista, svolto da me dal 1932 al 1942, sta la terza esperienza fondamentale: il ritrovamento del popolo e la saldatura con lui per la lotta contro il fascismo. Figlio di persone del popolo, vissuto in poverta' e in disagi, con parenti tutti operai o contadini, i miei studi (vincendo un posto gratuito universitario nella Scuola normale superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi avevano veramente messo a contatto con la classe lavoratrice nella sua qualita' sociale e politica.
Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il primo maggio sonavano di lontano l'Inno dei lavoratori, di la' dal velo della pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal mio libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli incendi devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell'"Avanti!", ma, preso da altro lavoro, non le avevo studiate.
Accertai veramente la profondita' e l'ampiezza del mondo socialista nel periodo fascista, quando le possibilita' di trovare documentazioni e libri (lo sappiano i giovani di ora, che se vogliono possono andare da un libraio e acquistare cio' che cercano) erano di tanto diminuite, ma c'era, insieme, il modo di ritrovare i vecchi socialisti e comunisti, che erano rimasti saldi nella loro fede, veramente "fede" "sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi", malgrado le botte, gli sfregi, la poverta', le prigioni, le derisioni degli ideali e dei loro rappresentanti uccisi ("con Matteotti faremo i salsicciotti") e sebbene vedessero che le persone "dotte" erano per Mussolini e il regime.
Ritrovare queste persone, unirsi con loro di la' dalle differenze su un punto o l'altro dell'ideologia, festeggiare insieme il primo maggio magari in una soffitta o in un magazzino di legname, andare insieme in campagna una domenica (che per il popolo e' sempre qualche cosa di bello), e talvolta anche in prigione: nella lotta contro il fascismo si formo' questa unione, che non fu soltanto di persone e di aiuto reciproco, ma fu studio, approfondimento, constatazione degli interessi comuni dei lavoratori e degli intellettuali contro i padroni del denaro e del potere: si apriva cosi l'orizzonte del mondo, l'incontro di Occidente e Oriente in nome di una civilta' nuova, non piu' individualistica ne' totalitaria.
*
Questo io debbo al fascismo, ma in quanto ebbi, direi la Grazia, o interni scrupoli o ideali che mi portarono all'opposizione. Opponendomi al fascismo, non per cose di superficie o di persone o di barzellette, ma pensando seriamente nelle sue ragioni, nella sua sostanza, nel suo esperimento e impegno, non solo me ne purificavo completamente per cio' che potesse essercene in me, ma accertavo le direzioni di un lavoro positivo e di una persuasione interiore che dovevo continuare a svolgere anche dopo.
Il fascismo aveva unito in un insieme tutto cio' contro cui dovevo lottare per profonda convinzione, e non per caso, per un un male che mi avesse fatto, per un'avversione o invidia verso persone, o perche' avessi trovato in casa o presso maestri autorevoli un impulso antifascista. Nulla di questo ebbi, ed anche percio' ad un'attiva opposizione con propaganda non passai che lentamente e dopo circa un decennio.
Posso assicurare i giovani di oggi che il mio rifiuto fu dopo aver sentito le premesse del fascismo proprio nell'animo adolescente, e dopo averle consumate; sicche' i fascisti mi apparvero dei ritardatari. Ero arrivato al punto in cui non potevo accettare:
1, il nazionalismo che esasperava un riferimento nazionale e guerriero a tutti i valori, proprio quando ero convinto che la guerra avrebbe indebolito l'Europa, e che la nazione dovesse trovare precisi nessi con le altre;
2, l'imperialismo colonialistico, che, oltre a portare l'Italia fuori dalla sua influenza in Europa, nei Balcani e a freno della Germania, era un metodo arretrato, per la fine del colonialismo nel mondo;
3, il centralismo assolutistico e burocratico con quel far discendere tutto dall'alto (per giunta corrotto), mentre io ero decentralista, regionalista, per l'educazione democratica di tutti all'amministrazione e al controllo;
4, il totalitarismo, con la soppressione di ogni apporto di idee e di correnti diverse, si' che quando parlavo ai giovanissimi della vecchia possibilita' di scegliersi a vent'anni un partito, che aveva sue sedi e sua stampa, sembrava che parlassi di un sogno, di un regno felice sconosciuto;
5, il prepotere poliziesco, per cui uno doveva sempre temere parlando ad alta voce, conversando con ignoti, scrivendo una lettera, facendo un telefonata;
6, quel gusto dannunziano e quell'esaltazione della violenza, del manganello come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, delle bombe a mano, e, infine, l'orribile persecuzione contro gli ebrei;
7, quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale conservatorismo, difesa dei proprietari, di cio' che era vecchio e perfino anteriore alla rivoluzione francese;
8, quell'alleanza con il conservatorismo della chiesa, della parrocchia, delle gerarchie ecclesiastiche, prendendo della religione i riti e il lato reazionario, affratellandosi con i gesuiti, perseguitando gli ex-sacerdoti;
9, quel corporativismo con una insostenibile parita' tra capitale e lavoro che si risolveva in una prigione per moltitudini lavoratrici alla merce' dei padroni in gambali ed orbace;
10, quel rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione, quella fascista, e il traviamento degli adolescenti, mentre ero convinto che della libera produzione e circolazione delle varie forme di cultura una societa' nazionale ha bisogno come del pane;
11, quell'ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e delle Isole;
12, l'onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la grossolanita', la mutevolezza, l'egotismo, l'iniziativa brigantesca, la leggerezza nell'affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piu' possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perche' lo splendore stia nei valori puri della liberta', della giustizia, dell'onesta', della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.
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Percio' il fascismo, nel problema dell'Italia di educarsi a popolo onesto, libero, competente, corretto, collaborante, mi parve un potenziamento del peggio e del fondo della nostra storia infelice, una malattia latente nell'organismo e venuta fuori, l'ostacolo che doveva, per il bene comune, essere rimosso, non in un modo semplicemente materiale, ma prendendo precisa e attiva coscienza delle ragioni per cui era sbagliato, e trasformando in questo lavoro se' e persuadendo gli altri italiani.
3. LIBRI. ENRICO PEYRETTI: UN NUOVO LIBRO DI JEAN-MARIE MULLER
[Ringraziamo Enrico Peyretti per questa segnalazione]
[Ringraziamo Enrico Peyretti per questa segnalazione]
Ho ricevuto oggi, da Jean-Marie Muller, filosofo della nonviolenza, il suo nuovo libro, "La violence juste n'existe pas", Les editions du Relie', Paris 2017, pp. 161, euro 15,00 (http://www.editions-du-relie.com ).
Traduco e riassumo la quarta di copertina: Muller ha partecipato a Roma ai lavori preparatori (11-13 aprile 2016) del Consiglio pontificio Giustizia e Pace per l'enciclica che il papa vuole pubblicare per fare prevalere un vangelo della nonviolenza. Nel documento finale i partecipanti mettono in discussione la dottrina della guerra giusta e affermano il carattere centrale della nonviolenza attiva nella visione e nel messaggio di Gesu'. L'autore analizza questo ritorno alle origini evangeliche decisivo per l'avvenire stesso della Chiesa e dimostra, con esempi storici di ieri e di oggi (Buddha, Tolstoj, Gandhi, Martin Luther King, Mandela...), quanto e' pertinente questo principio. Nel momento in cui la parola "benevolenza" ha una nuova risonanza, ecco un tema di bruciante attualita', che pone buone domande.
Segnalo anche il suo libro principale, da me tradotto, "Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace", Prefazione di Roberto Mancini, Pisa University Press, 2004, pp. 335, euro 15,00, Segnalo anche "Desarmer les dieux" e "Dictionnaire de la non-violence"
Traduco e riassumo la quarta di copertina: Muller ha partecipato a Roma ai lavori preparatori (11-13 aprile 2016) del Consiglio pontificio Giustizia e Pace per l'enciclica che il papa vuole pubblicare per fare prevalere un vangelo della nonviolenza. Nel documento finale i partecipanti mettono in discussione la dottrina della guerra giusta e affermano il carattere centrale della nonviolenza attiva nella visione e nel messaggio di Gesu'. L'autore analizza questo ritorno alle origini evangeliche decisivo per l'avvenire stesso della Chiesa e dimostra, con esempi storici di ieri e di oggi (Buddha, Tolstoj, Gandhi, Martin Luther King, Mandela...), quanto e' pertinente questo principio. Nel momento in cui la parola "benevolenza" ha una nuova risonanza, ecco un tema di bruciante attualita', che pone buone domande.
Segnalo anche il suo libro principale, da me tradotto, "Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace", Prefazione di Roberto Mancini, Pisa University Press, 2004, pp. 335, euro 15,00, Segnalo anche "Desarmer les dieux" e "Dictionnaire de la non-violence"
4. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "OGGI SONO VENUTI I TEDESCHI. VITA QUOTIDIANA A ROMA SOTTO L'OCCUPAZIONE NAZISTA (10 SETTEMBRE 1943 - 4 GIUGNO 1944)" DI ANNA DORIA
[Ringraziamo Enrico Peyretti per questa segnalazione]
[Ringraziamo Enrico Peyretti per questa segnalazione]
Anna Doria, Oggi sono venuti i tedeschi. Vita quotidiana a Roma sotto l'occupazione nazista (10 settembre 1943 - 4 giugno 1944), Gangemi editore, Roma 2017, pp. 143, euro 22.
*
Nella letteratura storica sulle forme popolari nonviolente di resistenza alla violenza militare (1), si aggiunge ora questo volume di Anna Doria (collaboratrice del Gruppo Didattico del Museo della Liberazione di Roma di via Tasso; autrice di storia e narrativa per la scuola media). Nei nove mesi della occupazione nazista della citta', un piccolo gruppo di donne cattoliche spagnole della Istituzione Teresiana, con casa in via Gaeta 8 (presso stazione Termini), tiene un diario delle loro esperienze di soccorso e rifugio per ricercati, per le famiglie di resistenti, per ebrei, per senza casa e sfollati, per militari e carabinieri disobbedienti agli ordini dei tedeschi, documentando la loro partecipazione alle ansie e alla solidarieta' popolare di tanti romani. Il volume riproduce il diario in castigliano, tradotto e commentato dall'Autrice, ed e' illustrato da foto e documenti del tempo, come la cruda ingiunzione delle SS agli ebrei romani il 16 ottobre 1943.
La fame, il freddo, la paura, le bombe, le file per il pane, sono i temi di questa cronaca. Le teresiane, nuove ed estranee alla situazione italiana e romana, vivono una solidarieta' progressivamente piu' impegnata e offrono rifugio sempre piu' coraggioso ad ogni tipo di persone bisognose. Davano riparo anche, quando il vento cambiava, alla famiglia di un funzionario del governo fascista. Sullo sfondo del loro racconto compare la popolazione romana, dalla battaglia di Porta San Paolo, alla citta' occupata e bombardata, affamata, terrorizzata dai rastrellamenti e dalla vendetta delle Fosse Ardeatine, che vede tra le vittime anche persone in relazione con le protagoniste del diario.
Le teresiane sono in rapporto col mondo cattolico, col Vaticano, ma gli aiuti possibili sono limitati. Esse vivono tutte le vicende con spirito religioso e umanitario. In un primo momento il Vicariato (la rappresentanza del papa, che e' Pio XII, come vescovo di Roma) vieta ufficialmente di dare rifugio ad ebrei, ma in pratica ammette questa pratica in parrocchie e case religiose, cio' che fanno anche le teresiane. Una testimone ebrea racconta che sua madre la partori' in un convento di suore vicino a via dei Frentani. Nella scarsita' di documentazione scritta, che ovviamente era allora pericolosa, si calcola che gli ebrei nascosti a Roma da istituzioni religiose siano stati 4.500. Nella casa di via Gaeta risultano essere stati 34. La ricompensa per la denuncia di un ebreo era di 5.000 lire, quando lo stipendio medio di un impiegato era di 800 lire.
Di tutto cio' era informato mons. Montini, il quale era sostituto alla segreteria di stato, e dirigeva l'ufficio affari ordinari. Sotto Pio XII, per la vacanza del posto di Segretario di stato, Montini aveva una posizione di primo piano nella direzione della politica vaticana.
Un altro appoggio delle teresiane spagnole era l'ambasciata di Spagna, paese neutrale, che ripara con targa diplomatica la casa di via Gaeta da ispezioni tedesche.
Da notare il fatto, gia' citato dallo storico Robert Katz, che dirigenti maggiori dell'ambasciata tedesca presso il Vaticano tentarono di far arrivare ai capi della comunita' ebraica avvertimenti sul pericolo che correvano.
Il diario registra anche i giorni della liberazione di Roma, con l'esultanza popolare e anche le ultime violenze naziste, ma le teresiane vedono con distacco i liberatori come nuovi dominatori. Un vero merito dell'Autrice Anna Doria e' l'avere ricuperato questo vivo documento e di averlo fornito con cura alla storia della difesa civile dalla violenza bellica.
*
Note
1. Vedi in generale Difesa senza guerra, Bibliografia storica delle lotte nonviolente, in www.peacelink.it l'edizione 2014, e in http://enricopeyretti.blogspot.it/ l'edizione 2017 (parte II, par. 3).
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Nella letteratura storica sulle forme popolari nonviolente di resistenza alla violenza militare (1), si aggiunge ora questo volume di Anna Doria (collaboratrice del Gruppo Didattico del Museo della Liberazione di Roma di via Tasso; autrice di storia e narrativa per la scuola media). Nei nove mesi della occupazione nazista della citta', un piccolo gruppo di donne cattoliche spagnole della Istituzione Teresiana, con casa in via Gaeta 8 (presso stazione Termini), tiene un diario delle loro esperienze di soccorso e rifugio per ricercati, per le famiglie di resistenti, per ebrei, per senza casa e sfollati, per militari e carabinieri disobbedienti agli ordini dei tedeschi, documentando la loro partecipazione alle ansie e alla solidarieta' popolare di tanti romani. Il volume riproduce il diario in castigliano, tradotto e commentato dall'Autrice, ed e' illustrato da foto e documenti del tempo, come la cruda ingiunzione delle SS agli ebrei romani il 16 ottobre 1943.
La fame, il freddo, la paura, le bombe, le file per il pane, sono i temi di questa cronaca. Le teresiane, nuove ed estranee alla situazione italiana e romana, vivono una solidarieta' progressivamente piu' impegnata e offrono rifugio sempre piu' coraggioso ad ogni tipo di persone bisognose. Davano riparo anche, quando il vento cambiava, alla famiglia di un funzionario del governo fascista. Sullo sfondo del loro racconto compare la popolazione romana, dalla battaglia di Porta San Paolo, alla citta' occupata e bombardata, affamata, terrorizzata dai rastrellamenti e dalla vendetta delle Fosse Ardeatine, che vede tra le vittime anche persone in relazione con le protagoniste del diario.
Le teresiane sono in rapporto col mondo cattolico, col Vaticano, ma gli aiuti possibili sono limitati. Esse vivono tutte le vicende con spirito religioso e umanitario. In un primo momento il Vicariato (la rappresentanza del papa, che e' Pio XII, come vescovo di Roma) vieta ufficialmente di dare rifugio ad ebrei, ma in pratica ammette questa pratica in parrocchie e case religiose, cio' che fanno anche le teresiane. Una testimone ebrea racconta che sua madre la partori' in un convento di suore vicino a via dei Frentani. Nella scarsita' di documentazione scritta, che ovviamente era allora pericolosa, si calcola che gli ebrei nascosti a Roma da istituzioni religiose siano stati 4.500. Nella casa di via Gaeta risultano essere stati 34. La ricompensa per la denuncia di un ebreo era di 5.000 lire, quando lo stipendio medio di un impiegato era di 800 lire.
Di tutto cio' era informato mons. Montini, il quale era sostituto alla segreteria di stato, e dirigeva l'ufficio affari ordinari. Sotto Pio XII, per la vacanza del posto di Segretario di stato, Montini aveva una posizione di primo piano nella direzione della politica vaticana.
Un altro appoggio delle teresiane spagnole era l'ambasciata di Spagna, paese neutrale, che ripara con targa diplomatica la casa di via Gaeta da ispezioni tedesche.
Da notare il fatto, gia' citato dallo storico Robert Katz, che dirigenti maggiori dell'ambasciata tedesca presso il Vaticano tentarono di far arrivare ai capi della comunita' ebraica avvertimenti sul pericolo che correvano.
Il diario registra anche i giorni della liberazione di Roma, con l'esultanza popolare e anche le ultime violenze naziste, ma le teresiane vedono con distacco i liberatori come nuovi dominatori. Un vero merito dell'Autrice Anna Doria e' l'avere ricuperato questo vivo documento e di averlo fornito con cura alla storia della difesa civile dalla violenza bellica.
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Note
1. Vedi in generale Difesa senza guerra, Bibliografia storica delle lotte nonviolente, in www.peacelink.it l'edizione 2014, e in http://enricopeyretti.
5. LIBRI. SARA FUMAGALLI PRESENTA "DISLOCAZIONE. INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA ASOGGETTIVA DI JAN PATOCKA" DI ALESANDRA PANTANO
[Dal sito wwww.recensionifilosofiche.info riprendiamo il seguente articolo]
[Dal sito wwww.recensionifilosofiche.
Alessandra Pantano, Dislocazione. Introduzione alla fenomenologia asoggettiva di Jan Patocka, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 243, euro 18.
*
Nel suo denso testo Alessandra Pantano si propone di andare al cuore della fenomenologia asoggettiva di Jan Patocka prendendone in considerazione le riflessioni dalla fine degli anni Cinquanta in poi. Il rapporto tra l'apparire e la soggettività e' il filo conduttore dell'intera opera del filosofo ceco al quale l'autrice si richiama scandendo il suo lavoro in sei capitoli tematici.
Punto di partenza della proposta teoretica di Patocka e' la ripresa critica del concetto di epoche' husserliano.
Nell'intento di liberare l'accesso alla fenomenicita', Patocka si sofferma sul momento negativo della sospensione del giudizio: precisamente sul "fatto che l'epoche' non e' una negazione dell'esistenza del mondo" (p. 37). A questo proposito e' interessante la parola che la Pantano richiama per chiarire l'esperienza negativa del fenomeno: "aletheia, la quale implica una fondamentale negazione: cio' che non si nasconde, cio' che si disvela" (p. 44).
Attraverso l'apertura all'apparire in quanto tale si e' condotti direttamente al mondo. Momento centrale in Patocka e' il concetto di movimento che si da' in congiunzione con il mondo. "Pensare il movimento del mondo significa pensare l'unita' delle differenze, un'unita' che senza sostrato si da' solo insieme alle determinazioni, le quali, per un verso, in quanto singolari la negano, ma dall'altro l'affermano" (p. 96).
Si uniscono allora le due dimensioni dell'Erscheinung che tanto avevano diviso Husserl e Heidegger: cio' che appare e cio' che fa apparire. E si uniscono grazie al movimento, leitmotiv della fenomenologia estatica di Patocka per mezzo della quale si passa dall'ontologia alla cosmologia. Una cosmologia che non e' priva di conflitti, come mostra l'autrice rievocando parole come "fluttuazione", "esplosione", "esplicitazione", usate dal filosofo per esprimere il movimento dell'apparire. Queste "lotte" all'interno dell'unita' apparente sono dovute all'eccedenza del fenomeno che non e' costituito ne' formato dal soggetto.
Si intuisce gia' da queste prime considerazioni come per cogliere la fenomenicita' per Patocka sia necessario un radicale cambio di prospettiva: il soggetto deve essere spodestato dal centro attorno al quale si ordina il mondo per andare ad abitare nel mondo, a "stare nella differenza, impercettibile allo sguardo ingenuo, tra cio' che appare e cio' che fa apparire" (p. 104).
A questo punto, la Pantano si chiede: "Come pensare il senso d'essere di un soggetto che, pur partecipando all'apparire del mondo poiche' a lui il mondo appare, e' allo stesso tempo un fenomeno che presuppone l'apparire del mondo?" (p. 125). La questione va a toccare il cuore pulsante del pensiero fenomenologico di Patocka: il movimento, il divenire. Non vi e' infatti alcun soggetto prima di cio' che appare: "la soggettivita' e' allora anch'essa movimento" (p. 131).
In un'ideale linea del tempo si potrebbe affermare che il concetto di movimento patockiano - e quindi anche, come si e' visto, quello di soggetto - occupa la dimensione presente: tra il non essere piu' - passato - e il non essere ancora - futuro.
In tale dynamis costitutiva assume grande rilievo la corporeita'. La nozione di "corpo proprio" husserliana viene ripresa da Patocka ed inserita nel contesto ambiguo dell'esistenza. Cio' che balza agli occhi, rimarca la Pantano, e' la contraddizione di essere "verso" e contemporaneamente "nel" mondo: come puo' l'esistenza dirigersi, per usare altri termini, verso qualcosa in cui e' gia'? (p. 141). Dalla dicotomia non si uscira' in quanto il movimento corporeo dell'esistenza e' teleologico: designa un soggetto la cui costituzione non e' mai finita.
Il quinto capitolo del libro si apre con una citazione da Papiers phenomenologiques di Patocka che evoca la composizione polifonica come metafora dei movimenti dell'esistenza umana. Scelta che vuole richiamare quella unita' delle differenze che emerge costantemente nella riflessione del filosofo. Ancor piu' tematica appare sicuramente nel contesto dei tre movimenti (radicamento, prolungamento, apertura) che determinano l'esistenza. Essi si richiamano l'un l'altro a tal punto che la Pantano ricorre alla figura della circolarita' per tracciarne i confini: "[...] se da un lato il movimento di apertura presuppone come sua condizione i primi due movimenti, dall'altro lato esso e' a sua volta il presupposto di quei movimenti, in quanto condizione del loro riconoscimento come movimenti" (p. 180). Ognuno di essi ha pero' una precisa funzione (costituzione, oggettivazione, possibilita') e dimensione temporale (presente, passato, futuro) all'interno dell'esistenza.
Dopo aver esaminato il percorso teoretico della fenomenologia asoggettiva l'autrice si chiede a proposito della dimensione etico-politica del pensiero: "[...] e' ancora possibile che il rapporto dell'esistenza con la manifestazione diventi un progetto di vita?" (p. 190).
Se a rispondere e' Jan Patocka con la sua grande testimonianza storica e personale di fondatore di Charta 77 e la sua costante partecipazione al movimento dei diritti dell'uomo contro il regime non c'e' dubbio: la fenomenologia dinamica costituisce il suo progetto di vita.
Il senso etico, definito dalla Pantano come cura dell'anima, "consiste nella capacita' di vivere decentrati, senza assumere una posizione centrale e sostanziale all'interno del mondo; solo con tale dislocazione e' possibile fare spazio affinche' altro possa apparire" (p. 204).
A conclusione di recensione giova riportare per intero le parole dell'autrice sul contributo della ricerca fenomenologica di Patocka, augurandosi che si possano sempre piu' incrementare in futuro gli studi su un pensiero cosi' profondamente vissuto: "La dislocazione e' allora una forma di conflitto che, aprendosi, apre gli occhi all'esistenza umana, la quale comprende che la vita e' altro rispetto alla sopravvivenza, all'accettazione, alla rassegnazione. La dislocazione e' una nuova collocazione" (p. 221).
*
Nel suo denso testo Alessandra Pantano si propone di andare al cuore della fenomenologia asoggettiva di Jan Patocka prendendone in considerazione le riflessioni dalla fine degli anni Cinquanta in poi. Il rapporto tra l'apparire e la soggettività e' il filo conduttore dell'intera opera del filosofo ceco al quale l'autrice si richiama scandendo il suo lavoro in sei capitoli tematici.
Punto di partenza della proposta teoretica di Patocka e' la ripresa critica del concetto di epoche' husserliano.
Nell'intento di liberare l'accesso alla fenomenicita', Patocka si sofferma sul momento negativo della sospensione del giudizio: precisamente sul "fatto che l'epoche' non e' una negazione dell'esistenza del mondo" (p. 37). A questo proposito e' interessante la parola che la Pantano richiama per chiarire l'esperienza negativa del fenomeno: "aletheia, la quale implica una fondamentale negazione: cio' che non si nasconde, cio' che si disvela" (p. 44).
Attraverso l'apertura all'apparire in quanto tale si e' condotti direttamente al mondo. Momento centrale in Patocka e' il concetto di movimento che si da' in congiunzione con il mondo. "Pensare il movimento del mondo significa pensare l'unita' delle differenze, un'unita' che senza sostrato si da' solo insieme alle determinazioni, le quali, per un verso, in quanto singolari la negano, ma dall'altro l'affermano" (p. 96).
Si uniscono allora le due dimensioni dell'Erscheinung che tanto avevano diviso Husserl e Heidegger: cio' che appare e cio' che fa apparire. E si uniscono grazie al movimento, leitmotiv della fenomenologia estatica di Patocka per mezzo della quale si passa dall'ontologia alla cosmologia. Una cosmologia che non e' priva di conflitti, come mostra l'autrice rievocando parole come "fluttuazione", "esplosione", "esplicitazione", usate dal filosofo per esprimere il movimento dell'apparire. Queste "lotte" all'interno dell'unita' apparente sono dovute all'eccedenza del fenomeno che non e' costituito ne' formato dal soggetto.
Si intuisce gia' da queste prime considerazioni come per cogliere la fenomenicita' per Patocka sia necessario un radicale cambio di prospettiva: il soggetto deve essere spodestato dal centro attorno al quale si ordina il mondo per andare ad abitare nel mondo, a "stare nella differenza, impercettibile allo sguardo ingenuo, tra cio' che appare e cio' che fa apparire" (p. 104).
A questo punto, la Pantano si chiede: "Come pensare il senso d'essere di un soggetto che, pur partecipando all'apparire del mondo poiche' a lui il mondo appare, e' allo stesso tempo un fenomeno che presuppone l'apparire del mondo?" (p. 125). La questione va a toccare il cuore pulsante del pensiero fenomenologico di Patocka: il movimento, il divenire. Non vi e' infatti alcun soggetto prima di cio' che appare: "la soggettivita' e' allora anch'essa movimento" (p. 131).
In un'ideale linea del tempo si potrebbe affermare che il concetto di movimento patockiano - e quindi anche, come si e' visto, quello di soggetto - occupa la dimensione presente: tra il non essere piu' - passato - e il non essere ancora - futuro.
In tale dynamis costitutiva assume grande rilievo la corporeita'. La nozione di "corpo proprio" husserliana viene ripresa da Patocka ed inserita nel contesto ambiguo dell'esistenza. Cio' che balza agli occhi, rimarca la Pantano, e' la contraddizione di essere "verso" e contemporaneamente "nel" mondo: come puo' l'esistenza dirigersi, per usare altri termini, verso qualcosa in cui e' gia'? (p. 141). Dalla dicotomia non si uscira' in quanto il movimento corporeo dell'esistenza e' teleologico: designa un soggetto la cui costituzione non e' mai finita.
Il quinto capitolo del libro si apre con una citazione da Papiers phenomenologiques di Patocka che evoca la composizione polifonica come metafora dei movimenti dell'esistenza umana. Scelta che vuole richiamare quella unita' delle differenze che emerge costantemente nella riflessione del filosofo. Ancor piu' tematica appare sicuramente nel contesto dei tre movimenti (radicamento, prolungamento, apertura) che determinano l'esistenza. Essi si richiamano l'un l'altro a tal punto che la Pantano ricorre alla figura della circolarita' per tracciarne i confini: "[...] se da un lato il movimento di apertura presuppone come sua condizione i primi due movimenti, dall'altro lato esso e' a sua volta il presupposto di quei movimenti, in quanto condizione del loro riconoscimento come movimenti" (p. 180). Ognuno di essi ha pero' una precisa funzione (costituzione, oggettivazione, possibilita') e dimensione temporale (presente, passato, futuro) all'interno dell'esistenza.
Dopo aver esaminato il percorso teoretico della fenomenologia asoggettiva l'autrice si chiede a proposito della dimensione etico-politica del pensiero: "[...] e' ancora possibile che il rapporto dell'esistenza con la manifestazione diventi un progetto di vita?" (p. 190).
Se a rispondere e' Jan Patocka con la sua grande testimonianza storica e personale di fondatore di Charta 77 e la sua costante partecipazione al movimento dei diritti dell'uomo contro il regime non c'e' dubbio: la fenomenologia dinamica costituisce il suo progetto di vita.
Il senso etico, definito dalla Pantano come cura dell'anima, "consiste nella capacita' di vivere decentrati, senza assumere una posizione centrale e sostanziale all'interno del mondo; solo con tale dislocazione e' possibile fare spazio affinche' altro possa apparire" (p. 204).
A conclusione di recensione giova riportare per intero le parole dell'autrice sul contributo della ricerca fenomenologica di Patocka, augurandosi che si possano sempre piu' incrementare in futuro gli studi su un pensiero cosi' profondamente vissuto: "La dislocazione e' allora una forma di conflitto che, aprendosi, apre gli occhi all'esistenza umana, la quale comprende che la vita e' altro rispetto alla sopravvivenza, all'accettazione, alla rassegnazione. La dislocazione e' una nuova collocazione" (p. 221).
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Dino Carpanetto, Shakespeare, Centauria, Milano 2017, pp. 160, euro 4,90.
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Riletture
- Gabriele Baldini, Manualetto shakespeariano, Einaudi, Torino 1964, 1992, pp. 584 (+ 8 pp. di repertorio iconografico).
- Harold Bloom, Shakespeare. L'invenzione dell'uomo, Rcs Libri, Milano 2001, 2003, pp. 580.
- Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Feltrinelli, Milano 1964, 2002, pp. XXVI + 254.
- Giorgio Melchiori, L'uomo e il potere. Indagine sulle strutture profonde dei Sonetti di Shakespeare, Einaudi, Torino 1973, 1987, pp. XII + 242.
- John Middleton Murry, Shakespeare, Einaudi, Torino 1953, 1977, pp. 444.
- Dino Carpanetto, Shakespeare, Centauria, Milano 2017, pp. 160, euro 4,90.
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Riletture
- Gabriele Baldini, Manualetto shakespeariano, Einaudi, Torino 1964, 1992, pp. 584 (+ 8 pp. di repertorio iconografico).
- Harold Bloom, Shakespeare. L'invenzione dell'uomo, Rcs Libri, Milano 2001, 2003, pp. 580.
- Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Feltrinelli, Milano 1964, 2002, pp. XXVI + 254.
- Giorgio Melchiori, L'uomo e il potere. Indagine sulle strutture profonde dei Sonetti di Shakespeare, Einaudi, Torino 1973, 1987, pp. XII + 242.
- John Middleton Murry, Shakespeare, Einaudi, Torino 1953, 1977, pp. 444.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2937 del 5 gennaio 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 2937 del 5 gennaio 2018
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