[Nonviolenza] Archivi. 269



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVIII)

Numero 269 del 7 settembre 2017

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di agosto 2017 (parte settima)

2. Omero Delli Storti: Il delitto della principessa di Ebla. Frammenti da un fogliettone postmoderno e rasciomonico (parte seconda)

3. Giacomo Arconti: Suprematismo

4. Giacomo Arconti: In nome della fede (una distopia disambiguata)

5. Giacomo Arconti: Alieni

6. Giacomo Arconti: Baroni a casa nostra

7. Giacomo Arconti: Mutanti

8. Giacomo Arconti: Missili

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI AGOSTO 2017 (PARTE SETTIMA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di agosto 2017.

 

2. RACCONTI ESTIVI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLI STORTI: IL DELITTO DELLA PRINCIPESSA DI EBLA. FRAMMENTI DA UN FOGLIETTONE POSTMODERNO E RASCIOMONICO (PARTE SECONDA)

 

2. L'evasione

Il racconto di O.

Stavo organizzando la miglior difesa possibile quando vengo a sapere che quel disgraziato di mio cugino e il suo degno compare erano evasi. Evasi, dico. Quei due gaglioffi. Che e' come una confessione, non vi pare? Per gli imbecilli non c'e' medicina.

Ma visto che erano tornati in circolazione bisognava che mi dessi da fare per individuarli e riconsegnarli alle autorita', che non si facessero cattive idee, basta un niente e si finisce al gabbio, e con tutte le donazioni che ho fatto a polizia e magistratura (anche per conto dei miei clienti, certo, ma le ventiquattr'ore belle gonfie le portavo io) se gli capito sotto vedi tu a quali vertici assurge l'ingratitudine.

Cosi' dovetti fare delle indagini, dannazione, sono cose che odio, e oltretutto costose. E io ho un certo tenore di vita, i soldi mi servono.

La fuga pareva una barzelletta: con tutti i soldi che passo ai secondini per far stare tranquilli i ragazzi dei miei clienti facoltosi quando vanno in villeggiatura (o per dissolverli qualora i ragazzi cominciassero a fare le bizze), dal direttore all'addetto alla sbarra del cancello esterno con me stavano tutto sull'attenti che quando mi vedono e' arrivato Babbo Natale. Cosi' non mi fu difficile acquisire le informazioni che volevo, non le panzane uscite sui giornali. E al netto delle scempiaggini, incrociando le fonti veniva fuori che quei due stavano in cella con un altro furbacchione che non si sa come - figuriamoci - si era procurato la chiave della cella, la chiave del corridoio, la chiave del piano, la chiave del montacarichi, la chiave della cucina, la chiave dell'altro corridoio, la chiave della lavanderia, la chave dell'ingresso di servizio della lavanderia, la chiave dell'ingresso del cortile interno, la chiave del portone che dal cortile interno da' sul cortile esterno e la chiave del cancelletto piccolo che affianca il cancello grande, e naturalmente il sonno di non so quante guardie. Ma per favore.

La cosa piu' strana era proprio quel terzo incomodo che non si riusciva a farsi dire chi cavolo era. "Un tossico", diceva uno, come se fosse una novita': qui a Ebla si fumano pure lo sterco di cavallo e il piu' fracicone poggia le terga sul trono, ce lo sanno pure i sassi. "Un extracomunitario", diceva un altro: qui a Ebla un extracomunitario? ed extracomunitario di quale comunita', per favore? ma piantatela di guardare al-Jazeera che tanto gli spogliarelli non li fanno.

Secondo me era la solita spia messa li' apposta dalla Cia o dal Kgb o da li mortacci de Pippo. Che come minimo s'erano creduti che quel bamboccio di Tristano e quello scassarecchie del Bacucco amico suo erano chissacchi' e invece erano solo quel che erano e amen.

Magari era Vidocco, che questi scherzetti ci gode piu' che a fare le porcherie ginniche mentre guarda i filmini a luci rosse (li guarda, li guarda; li guardiamo tutti, avanti).

Insomma, dovevo proprio rintracciare quei due imbecilli prima che diventasse un affare di stato e finivo un'altra volta sull'Espresso, "l'avvocato della mafia, l'avvocato dei terroristi, quell'Oreste li' che da giovane ammazzo' chi sapete voi", Che a me l'Espresso mi piacerebbe pure, belle copertine, un sacco di pubblicita' che a un uomo di mondo servono a orientarsi nel bel mondo e se non sei a tuo agio nel bel mondo che uomo di mondo sei?

*

Comincia la ricerca tra parenti ed amici: mobilitai mezzo studio, e il mio studio non e' una centuria, e' una legione: e briefing serale. Obiettivo: trovarli entro due giorni.

A qualche parente avrei potuto anche telefonargli direttamente io, ma a dirsela tutta coi parenti non e' che mi ci trovo bene. L'unica che ci sentiamo spesso per telefono e' Ismene. Certe telefonate a cento gradi centigradi. Non dico di piu': segreto professionale, diciamo cosi'.

Gli amici di Tristanaccio e' facile controllarli, alle otto di sera sono tutti al bar di Buffalmacco e fino alle due della mattina stanno li', cambia solo il tasso alcolemico.

Con i compari di Barucco e' un'altra storia: intanto sono dispersi per ogni dove, poi si scrivono 'ste lettere in latino piene di disegni, di grafici, che arrivera' una su duecento perche' se non le sequestra la polizia postale del paese di partenza li sequestra la polizia postale del paese d'arrivo (o di uno dei paesi di transito), che c'e' chi dice che si scrivono solo per far lavorare quell'amico loro, l'enigmista, quel Turing la', che una volta l'ho conosciuto e mi fece una pessima impressione, un tipo disturbato. Di lavoro fa il consulente per il governo, ma arrotonda riempiendo da solo mezza Settimana enigmistica. Che vi credere, che esiste davvero uno che si chiama Il duca d'Alba, o Belfagor, o Bartezzaghi? E' Turing che fa tutto, scrive pure le barzellette, sempre lui, che fatica di piu' a trovare gli pseudonimi che a preparare i giochi.

*

Il racconto di V.

Mi chiamo Volfango Maria Vidocco, lo so che e' un nome che fa ridere. Si', sono quel famoso Vidocco li', che prima era un gentiluomo di fortuna e poi e' entrato a far parte della famiglia del bargello, se capite cosa intendo. Ne hanno parlato i giornali, ricamandoci sopra un bel po'. Ci hanno pure fatto una serie televisiva.

Quando c'e' qualche rogna grossa sua eccellenza il ministro plenipotenziario fa chiamare me, sa che sono uno che risolve. E risolvere vuol dire risolvere.

Qui il caso era semplice: due morti di fame del milieu criminale piu' miserabile si erano introdotti nel palazzo reale durante un banchetto di nozze, avevano seminato il terrore e tentato di aggredire la principessa Leila che aveva gagliardamente resistito (era cintura nera di karate, non so se mi spiego), cosi' l'avevano uccisa conficcandole un paletto di legno nel cuore, poi avevano concluso la loro scorribanda nel vicolo dietro le cucine dopo aver sparso il terrore tra il personale gettando in aria manciate di gemme ed agitando scimitarre di alabastro. Perlomeno cosi' c'e' nel rapporto ufficiale della sicurezza interna palaziale che si sa che il piu' furbo lo chiamano Giangrullo.

La cosa che puzzava di piu' era la faccenda del paletto: se non e' un messaggio mafioso questo.

Secondo me era chiaro che i due erano dei sicari, e dietro c'era un mandante. Uno dei due era cugino di Oreste Dell'Atridi, che ci aveva un curriculum di tutto rispetto e la cui attivita' prevalente e' di fare l'avvocato della mafia. Se non e' una pista questa.

Pero' non si poteva escludere neppure la pista sovversiva, perche' l'altro era un adepto dell'internazionale, non e' ben chiaro se mazziniano, marxista, bakuniniano, situazionista o ambrosiano, ma tanto e' tutta la stessa teppa. Ed anche questa e' una pista promettente, direi.

Ed era anche possibile che ci fosse stata un'alleanza tra mafiosi e sovversivi al fine di destabilizzare lo stato. Puo' capitare anche questo, non si sa mai. Certo, e' difficile, perche' i mafiosi si trovano bene con i fascisti, e invece le zecche rosse sono tutti mister schizzinoso e miss perfettina, chi non lo sa?

La versione ufficiale che fossero due drogati l'ho fatta diffondere io per poter condurre le indagini senza ficcanaso alla caccia dello scoop.

Per ordine reale mi hano introdotto nel carcere con lettre de cachet e sempre per disposizione del re sono stato collocato nella cella con quei due. Il personale del carcere ovviamente e' tutto corrotto, come tutti gli altri pubblici funzionari, del resto; non fosse cosi' come potrebbe funzionare la pubblica amministrazione visto che le leggi le scrivono degli emeriti imbecilli? Pero' tutti i corrotti sanno che dei loro affarucci privati non gliene frega niente ai poteri superni, ma quando qualcuno entra al gabbio con lettre de cachet nessuno deve sapere nulla ne' chiedere nulla ne' dire nulla, perche' e' quel genere di affare di stato che chi curiosa paga pegno, e lo paga con un volo nella fossa dove sua maesta' tiene i leoni.

*

Buonasera a tutta la compagnia, dissi entrando nella cella. Buonasera, risposero tutti e due. Puzzavano da veri morti di fame. Bella mimetizzazione, pensai.

C'erano quattro brande, due castelli da due. Quale branda posso prendere? Dissi. Le nostre sono queste, rispose quello alto, prenda una di quelle altre due. Grazie. Di niente.

Passo' un'ora senza che nessuno dicesse una parola. Se lorsignori permettono, vorrei presentarmi: Felice Augusto Frassinarelli, liutaio. Piacere. Piacer mio, signor? Ah, si', Barucco Spinelli. Spinelli? Si', ma niente a che vedere con certe sostanze. Oh, un calembour. Lei conosce il termine calembour? Caro signore, ho viaggiato. Mi compiaccio, mi compiaccio, e permetta che le presenti il mio amico Tristano Roccabbilli. Denominazione doppiamente impegnativa. Ma che dice quello? Niente, dice che ha piacere di conoscerti. Cosi' e'. Ah, vabbe', piacere, piacere. Lo scusi, certe volte e' un po' scortese. Capita. Capita. Capita, capita.

Poi da fuori spensero le luci, nessuno disse piu' una parola. E fu sera e fu mattina.

La mattina di buon'ora le luci si accesero, le guardie sbatacchiarono i manganelli sulle sbarre per darci il dolce buondi', noi facemmo la fila al bugliolo, poi ci lavamo a turno le manine e poi ognuno ricevette la sua tazza di caffe'. Io ero l'unico che aveva un pacco, ovviamente. Volete favorire? No, grazie. Ma insisto. Allora grazie. Anche lei, prego, signor Spinelli. Non avrei fame, ma per non esser sgarbato... Ma prego, prego, lei mi fa un grande onore, come il suo amico del resto; so che in questi luoghi si apprezza molto la discrezione, ma un po' d'innocente conversazione non potra' certo farci male, no? Direi di no, caro signor Frassinarelli, e' cioccolata quella? Si serva, si serva, caro amico. E lei, signor Roccabbilli, che preferisce? Prendero' un pezzettino di quel dolcetto, se permette. Ma prego, prego, ho la fortuna di avere una famiglia che mi vuol bene e mi rifornisce fin troppo abbondantemente, e in queste circostanze fa piacere condividere, no? E' un'usanza civile. Proprio quello che volevo dire io, prenda, prenda un altro pezzo, guardi, nella scatola ne ho un'altra confezione intera, vede?

Finita la colazione,

- V.: Mens sana in corpore sano, eh? Lorsignori risiedono qui nella capitale? Grande citta', grande citta', eh?

- T.: Si'.

- V.: Io lo dico sempre, Ebla e' meglio di Parigi, e' meglio di Vienna. Certo, Vienna e' la capitale del Sacro Romano Impero, ma le meraviglie che abbiamo qui a Ebla se le sognano i viennesi. Neanche a Istanbul, neanche a Las Vegas, dico bene?

- T.: Non lo so, io sono sempre stato qui.

- V.: Ma la vedra' anche lei la televisione, no? E magari ci avra' qualche parente, qualche amico che ha viaggiato per il mondo, no? E lei, signor Spinelli, scommetto che lei qualche citta' la conosce, eh?

- B.: A dire il vero sono un sedentario, ma ho amici sparsi qua e la' e ci teniamo in contatto.

- V.: Sui social?

- B.: No, no. Per lettera.

- V.: Lo dico sempre io, altro che messaggini, altro che email, nulla e' meglio di una bella lettera. Io sto qui al mio scrittoio e posso indirizzare i miei pensieri ai miei amici, che ne so, di Atene, di Tuscolo, di Amsterdam...

- B.: Ha degli amici ad Amsterdam?

- V.: Eccome, ottimi amici.

- B.: Ma pensi, anch'io.

- V.: Ma guarda la combinazione.

- B.: E' proprio una buffa coincidenza.

- V.: E lei, signor Roccabbilli, gli scrive mai agli amici, ai parenti, che so, alle zie, ai cugini...

- T.: Veramente c'e' un cugino che sarebbe ora che si facesse sentire.

- B.: Il mio amico e' cugino del famoso avvocato Oreste Dell'Atridi.

- V.: Il famoso avvocato? Ma e' un principe del foro, e una persona assai distinta, si vede spesso in televisione. Ma pensa, e' suo cugino.

- T.: Eh gia'.

- V.: E magari, non vorrei essere indiscreto, magari e' proprio lui che vi assiste?

- B.: Non altri.

- V.: Ma allora siete a cavallo, di qualunque cosa siate accusati l'avvocato Dell'Atridi vi cavera' d'impaccio in men che non si dica. Sapete cosa c'era scritto giorni fa sul giornale? Che e' il Perry Mason di Ebla, proprio cosi', il Perry Mason di Ebla.

- B.: Speriamo.

- T.: Speriamo.

- V.: Ma e' sicuro, sicurissimo.

- T.: Vedremo.

- B.: Vedremo.

- V.: Ma tu pensa, finisco in questo luogo di sconforto e chi ti incontro, nientemeno che un cugino del celebre avvocato, del Perry Mason di Ebla. Ed anche lei, caro signor Spinelli, che conosce Amsterdam. Ma lo sa che sono un collezionista di pittura olandese del Seicento?

- B.: Me ne compiaccio vivamente.

- V.: Gli italiani, non si discutono; i fiamminghi, un glorioso passato; ma la pittura olandese, c'e' quel non so che, quel non so che che non so ben dire cosa sia ma c'e'. Lei che ne pensa?

- B.: Tutto il bene possibile.

- V.: Bene, bravo, vogliamo brindare? Ho giusto un amaretto nello scatolone che e' un elisire, un giulebbe. Le tazze non sono proprio adeguate, occorrerebbero bicchierini di cristallo ma ci accontenteremo, no? Prego, prego. Ancora un po', bene, bene cosi', e adesso: in alto i calici.

- Tutti: Prosit.

- V.: Un secondo giro, via, un secondo giro.

- Tutti: Prosit.

- V.: Ne e' restata una rimanenza, quanto basta per un terzo giro, ma si', bello robusto. Coraggio. Coraggio. In vino veritas.

- Tutti: Prosit.

- V.: Meglio, no?

- T.: Meglio si'.

- V.: E allora, caro il nostro signor Roccabbilli, chissa' quante avventure con suo cugino, eh?

- T.: Veramente non ci vediamo mai.

- V.: Andiamo, siamo fra amici, non le sto mica chiedendo di rivelare qualche segreto profesionale, eh.

- T.: No, no, proprio non ci vediamo mai. Questa e' stata proprio una circostanza eccezionale.

- V.: E lo credo bene, lo credo bene, eh, signor Spinelli, non fa piacere a nessuno di trovarsi qui, no?

- B.: No.

- V.: Siamo fra amici, no? E allora vi faccio una confidenza: a me il governo non mi sta bene per niente. Non so come la pensate voi...

- B.: Ma guardi, io sono un fautore della tolleranza.

- V.: Bravo, bravo, lo dicevo io: la tolleranza. Invece questo governo, diciamolo pure, e' intollerante e dispotico, no?

- T.: Io non mi occupo di politica.

- V. Certo, certo, neanch'io, io mi occupo di strumenti musicali, faccio il liutaio. E lei signor Spinelli, lei che fa?

- B.: L'ottico.

. V: L'ottico. Ma pensa. Ma, dico, sara' mica suo quel bel negozio in corso Vittorio Emanuele, eh?

- B.: In effetti e' cosi'.

- V.: Fantastico, magnifico, ma allora, ma pensi un po', ma guardi, io ho giusto bisogno di farmi gli occhiali nuovi, sa, nel nostro lavoro la precisione e' tutto, e da un po' mi pare che con gli occhiali vecchi non ci vedo piu' tanto bene.

- B.: Saro' ben lieto di servirla se mai tornero' al mio lavoro, cosa di cui dubito.

- V.: Ma come no, ma come no, con un avvocato come quello, il Perry Mason di Ebla, dico, in due mosse sarete fuori e lei tornera' al suo negozio, no?

- B.: Ahime', mio buon amico, il negozio dubito che restera' mio poiche' per affrontare le spese legali ho gia' dovuto firmare una procura a vendere; inoltre l'avvocato, ecco, non ci ha dato buone speranze.

- V.: Ma cosa mi dice mai, caro signor Spinelli, cosa mi dice mai?

- B.: La pura verita', caro signor Frassinarelli. Non e' cosi', Tristano?

- T.: Cosi' e', il caro cugino Oreste Sanguisuga Dell'Atridi ci ha gia' spogliato di tutti i nostri beni, e per soprammercato ci ha detto di guardarci intorno, non so se mi spiego.

- V.: Poffarbacco.

- T.: "Aiutati che il ciel t'aiuta" ci ha detto, nevvvero?

- B.: Proprio cosi': "Aiutati che il ciel t'aiuta".

- V.: Perdinci, ma questo e' proprio un ermetico parlare. E cosa avra' mai voluto dire?

- B.: Lei che ne pensa, caro signor Frasinarelli?

- V.: Non saprei proprio, ma sapete come sono fatti gli avvocati, spaventano sempre un po' il cliente affinche' dipoi il loro trionfo in aula risalti piu' fulgido. Sono gente un po', come dire, rossiniana. O wagneriana? chissa'.

- T.: A me non ha fatto quell'impressione.

- V.: Ah no? E che impressione le ha fatto, caro il nostro buon signor Roccabbili, dica, dica, siamo tutt'orecchi io e il suo amico qui presente.

- T.: Non e' che nello scatolone avrebbe dell'altro elisir di lunga vita?

- V.: Ci guardo, ci guardo subito. Ma guarda che fortuna, c'e' giusto giusto un'altra fiaschetta. Signori, in alto i calici.

- Tutti: Prosit.

- V.: E ancora, e abbondante.

- Tutti: Prosit.

- V.: E adesso il terzo, il bicchiere della staffa.

- Tutti: Prosit.

- V.: Cosi' doveva essere l'ambrosia. Ma lei diceva, caro signor Roccabbili, lei diceva che il suo cugino intendesse qualcosa di specifico pronunciando quell'adagio, e cosa mai intendeva?

- T.: Eh? Mi sento un po' confuso, mi scusi, credo che adesso faro' una pennichella.

- V.: Niente di piu' giusto, niente di piu' giusto, ma non ci lasci sulle spine, prima di schiacciare tutti quanti un pisolino, dica, dica, cosa vi sugeriva suo cugino?

- T.: Mio cugino? Quel grandissimo farabutto? Di arrangiarci, di pensarci da soli a tenere attaccato il capo sul collo, questo intendeva, quel grandissimo figlio...

- V.: Questo si' che e' un colpo di sonno, eh, caro signor Spinelli, che ne dice.

- B.: Eh si', del resto anch'io farei volentieri una siesta, per cosi' dire.

- V.: Troppo giusto, troppo giusto, in fede mia. Io stesso proprio questo pensavo: una siesta. Pero' certo che il signor Roccabbilli ci va giu' duro nell'esegesi, eh?

- B.: Puo' anche darsi, ma anch'io ho capito la stessa cosa.

- V.: E cosa di grazia?

- B.: Che il vecchio Oreste ci invitasse a vedere se c'era modo di uscire di qui, come dire, motu proprio.

- V.: Motu proprio.

- B.: Motu proprio. E anche di fretta, perche' qui si decolla.

- V.: Ma no, l'aeroporto e' ben lungi.

- B.: No, no, si decolla in quell'altro senso.

- V.: Oh santi numi!

- B.: Vede, siamo i due arrestati con l'accusa dell'uccisione della principessa.

- V.: Oh santissimi numi.

- B.: Ma siamo innocenti.

- V.: Senza dubbio.

- B.: Ma chi vuole che ci creda?

- V.: Ebbene, caro signor Spinelli, mio buon amico, almeno io vi credo, so riconoscere le persone di qualita', e poi lei con un negozio cosi' ben avviato... come dice lo slogan della sua pubblicita'? "Spinelli e vedi quel che vuoi", eh?

- B.: Esatto, caro signor Frassinarelli.

- V.: Lei ha il senso degli affari e della pubblicta', che come e' noto e' l'anima del commercio. L'ho visto subito che lei e' una colonna della nostra economia e da' lustro alla citta', figuriamoci se posso credere che lei si sia maschiato di un si' nefando delitto.

- B.: Caro signor Frassinarelli, lei non immagina quanto mi sia grata questa sua fiducia.

- V.: Ci mancherebbe, sono io ad essere onorato dall'amicizia di un imprenditore benemerito come lei.

- B.: Grazie, grazie ancora, e mi scusi, ma ho un giramento di testa, credo che mi distendero' un po' a riposare.

- V.: Troppo giusto, troppo giusto, ed io la imitero' ben presto.

*

Fanno i finti tonti ma la sanno lunga. E reggono l'alcool e misurano ogni parola. E il tentativo di depistaggio? Ma a me non la si fa. Altro che i due imbecilli intrufolatisi alla festa per cui si vorrebbero spacciare. Il Roccabbilli e' un volpone di tre cotte, negli archivi non c'e' niente se non stupidaggini come risse, assegni a vuoto, borseggio, ma questo non e' un criminale di mezza tacca, questo e' uno che conta, e che riesce a non farsi pizzicare e che i reatucoli da ladro di polli li commette appositamente per mimetizzarsi. E adesso mi voleva far credere di non esser papa e ciccia con suo cugino, e magari pensava che io me la bevessi. E lo Spinelli, tanto cerimonioso, con la copertura della botteguccia d'occhiali, poi manda in giro per l'Europa le sue lettere in latino di cui in archivio abbiamo una bella collezione e sii vede da lontano un miglio che e' tutta propaganda sediziosa, atea e rivoluzionaria. E non mi stupirei se raschiando un po' non si scopre che e' una spia dei russi, come quel miliardario americano che voleva canddarsi a fare il presidente, certa gente non ha proprio il senso del pudore, mi chiedo cosa si fumino.

Pero' qualcosa continua a non tornare: perche' alla festa hanno fatto di tutto per farsi notare? Perche' poi hanno esplorato in lungo e in largo tutto il palazzo, rifacendo lo stesso cammino per gli stessi corridoi almeno tre o quattro volte e facendosi vedere da una miriade d'inservienti? E perche' poi la scena madre nelle cucine, e l'uscita nel vicolo che pure i sassi ce lo sanno che in occasione delle feste palaziali e' pieno come un uovo dei nostri ragazzi li' in attesa qualora servisse un pronto intervento? Qui c'e' qualche trucco, qualche inghippo. Come se dovessero distogliere l'attenzione da qualcosa d'altro, da qualcun altro. Questi sono maestri del depistaggio, campioni della mistificazione, ci scommetto che e' tutta una commedia, loro erano li' o come squadra di supporto o come supervisori, e direi piu' probabilmente come supervisori, e a un certo punto hanno recitato la parte degli assassini, sapendo che poi ci pensava il cuginetto a tirarli fuori dai guai con chissa' quale asso nella manica. Di sicuro sul paletto le loro impronte non ci sono, e alla principessa non si sono neppure avvicinati. Hanno sparpagliato quel po' di residui alimentari sulla soglia ma non hanno fatto un passo che sia uno nella stanza, lo abbiamo gia' verificato con la scientifica, e per conficcare quel paletto non bastava tirarlo da dieci metri, andiamo, neanche Zagor. Devo interrogarli ancora, ma mi pare poco probabile che si riesca a tirarci fuori qualcosa. Bisognera' passare alla fase due.

*

- V.: Sveglia, sveglia, cari amici, sta passando il carrello della sbobba.

- T.: Di gia', ma che ore sono?

- V.: L'ora del pranzo, caro amico, ho fatto un buon riposino, si'?

- T.: Ho dormito profondamente.

- B:: Ed io pure.

- V.: E anch'io, miei cari, mi sono appena svegliato sentendo il chiasso che sempre accompagna l'arrivo del desinare. Ho il sonno leggero. Ecco il carrello, fuori le gavette.

*

- V.: Immangiabile, veramente immangiabile.

- B.: Gia', ma e' quello che passa il convento.

- V.: Per questo mia moglie, santa donna, ogni giorno mi fa pervenire un pacco di viveri ed altri generi di conforto.

- T.: Beato lei.

- V.: Ma in questo caso beati noi, amici miei, poiche' sara' un privilegio per me condividere le mie risorse con due amici come voi.

- B.: Lei e' troppo gentile.

- V.: Non dica cosi' che mi fa arrossire. So bene che voi fareste lo stesso.

- T.: Ci puo' giurare.

- V.: Nell'attesa che il pacco arrivi potremmo continuare la nostra appassionante conversazione, che ne dite?

- T.: E quale conversazione? Io non mi ricordo niente se non di aver bevuto quel nettare celestiale.

- V.: Si conversava su un piano culturale, della pittura olandese del Seicento, di suo cugino il Perry Mason di Ebla, dei prodigi dell'ottica e dei progressi delle scienze che ne discenderanno infallantemente. Capita cosi' raramente di poter conversare tra persone civili di arte e scienza, di viaggi e di economia.

- B.: Gia', capita raramente.

- V.: Lo vede, caro amico? E' a questo che mi riferivo quando facevo cenno al fatto che il governo, insomma, non si puo' dire che promuova le scienze e le arti.

- B.: Ah, proprio no.

- V.: Lei dice bene, mi creda, io li capisco quei giovani che contestano, magari c'e' chi li critica per i capelli lunghi o le barbe incolte, ma io no, io li capisco i giovani. Non dico bene?

- B.: Non saprei.

- V.: Ma lei e' la prudenza fatta persona, caro il mio Spinelli, suvvia, siamo tra amici, se uno dice una parola contro il governo resta tra noi, no?

- B.: Ma io non ho niente da dire sul governo, o meglio: del governo tratterei in senso generale, e a dire il vero sto scrivendo un trattato teologico-politico.

- V.: Eccellente idea, eccellente idea. Un trattato teologico-politico, e' proprio quello che ci vuole per dare una scossa all'asfittico dibattito culturale del nostro paese. E magari ci vorrebbe anche, che so, un'etica geometricamente dimostrata. Che ne dice?

- B.: E' una bella idea. Se non le dispiace ci riflettero' su'.

- V.: E come potrebbe dispiacermi, anzi. Ben felice di esser di sprone alla sua elaborazione teorica. Che poi solo teorica non e', dico bene?

- B.: Non capisco.

- V.: Ah, lei e' proprio un furbacchione caro amico, un vero furbacchione. Ma io la capisco, sa? Una parola e' poco e due sono troppe, dico bene?

- B.: Se lo dice lei.

- V.: "Se lo dice lei". Strepitoso, semplicemente strepitoso. Caro signor Spinelli, lei ha tutta la mia ammirazione. Ed anche quella del suo amico, nevvero, carissimo signor Roccabbilli.

- T.: Cosa?

- V.: Dicevo della destrezza del nostro comune amico, il signor Spinelli. Non e' ammirevole?

- T.: Non capisco di che parla, ma avra' sicuramente ragione lei.

- V.: "Non capisco di che parla". Ma anche questa e' fenomenale. Signori, mi dichiaro fortunatissimo di aver fatto la loro conoscenza. Certo, sarebbe stato meglio fosse accaduto in un luogo piu' consono, che so, in un museo, all'universita'...

- T.: E invece siamo qui, e almeno noi due siamo in un mare di guai.

- V.: Accusati ingiustamente di un delitto che non avete commesso...

- T.: E lei che ne sa, scusi?

- V.: Scusi lei, me ne accenno' poc'anzi il nostro comune amico il signor Spinelli. Invero lui disse soltanto che eravate accusati di quel fatto di sangue che sta facendo rumore sulla stampa e in tv; quanto alla vostra innocenza mi permetto di inferirla dalla nostra recente conoscenza, recente ma sufficiente ad essermi formato la certezza irrefragabile della vostra assoluta estraneita' al triste e turpe assassinio della regal giovinetta, un fiore reciso nel fiore dell'eta'.

- T.: Grazie delle sue buone parole, e spero che i giudici condivideranno la sua opinione, che peraltro coglie il vero al cento per cento.

- V.: I giudici, non dubito. Bisognera' vedere i carnefici.

- B.: I carnefici?

- V.: Ahime', in questi tempi bui gli imputati che si professano innocenti vengono sottoposti a brutali torture.

- T.: Ma noi ci siamo dichiarati colpevoli, su consiglio del nostro legale. Proprio per evitare la tortura.

- V.: Oh perdindirindina, vi siete dichiarati colpevoli?

- B.: Signor mio si'.

- V.: Ma questo, questo vi mette in grave pericolo, potete essere condotti al patibolo da un momento all'altro.

- T.: E il dibattimento?

- V.: Quale dibattimento? Rei confessi, e di un delitto di lesa maesta', si procede in via amministrativa. Mi sorprende che il vostro avvocato non ve ne abbia resi edotti.

- T.: Quel porco. Lo sapevo io che ci fregava.

- V.: A meno che...

- B.: A meno che?

- V.: A meno che non abbia elaborato una sottilissima sua strategia processuale.

- T.: E quale?

- V.: Ah, non chiedetelo a me, non faccio l'avvocato, io sono un liutaio. Pero'...

- B.: Pero'?

- V.: Pero' qualche amico che se ne intende ce l'ho anch'io, e siccome tra poco sara' orario di visite e la mia dolce meta' verra' a trovarmi in parlatorio, se voi lo desideraste potrei chiedergli qualche lume, in via confidenziale, s'intende.

- T.: Lo faccia, lo faccia senz'altro.

- V.: Non manchero'. Miei buoni amici, statene certi: non manchero'. Pero'...

- T.: Pero'?

- V.: Niente, pensavo che magari sarebbe utile che io gli potessi fornire qualche ragguaglio di contorno, perche' il giure e' testo collocato sempre in un contesto, come qualunque altra cosa, del resto. Cosicche' se voi poteste ragguagliarmi un po' meglio sui fatti, io potrei meglio ragguagliarne la mia dolce meta' e lei ragguagliarne il mio amico di cui sopra, nella massima discrezione, s'intende; come e' noto cio' che si dice tra marito e moglie resta segreto e cio' che vien detto a un giureconsulto rientra nel segreto professionale, cosicche' sarebbe come se non aveste detto nulla a nessuno, io stesso impegnandomi a dimenticarmene subito dopo aver riferito.

- B.: Non c'e' molto da dire: eravamo al banchetto, sebbene per equivoco, e per caso a un certo punto ci siamo persi nel palazzo, abbiamo aperto una certa porta, abbiamo visto una certa principessa purtroppo trafitta al cuore e non in senso figurato, poi ci siamo recati a visitare le cucine di cui ci avevan detto meraviglie, e proprio quando finito il tour stavamo uscendo in strada siamo stati arrestati ed accusati del delitto. E di qualche altra quisquilia, si'.

- T.: Proprio cosi'.

- V.: Uhm, non e' molto.

- B.: Non c'e' altro.

- V.: Suvvia, miei buoni amici, cosi' ci fate la figura degli sprovveduti e voi non siete di certo due sprovveduti.

- B. E T. all'unisono: Certo che no.

- V.: Appunto. Troviamo qualcosa di meglio, di piu' articolato, argomentato, dettagliato.

- B.: Ma la verita' e' questa.

- V.: Certo, ma come sempre accade non e' verosimile. E in campo giurisprudenziale non il vero ma il verosimile prevale. Chi non lo sa?

- T.: Non saprei che aggiungere.

- V.: Magari, dico per dire, un mandante?

- B.: Un mandante di che?

- V.: Non lo so di che, sto riflettendo in generale, qualcuno che vi ha mandato li'.

- B.: Ma non ci ha mandato nessuno.

- V.: E' un peccato perche' senza un mandante una storia non si regge. Potremmo dire che eravate li' per qualche altro scopo.

- B.: Altro scopo rispetto a che?

- V.: Non lo so, sono formule linguistiche.

- T.: Non c'era scopo, eravamo li' in visita da turisti.

- V.: Potremmo dire da osservatori, no? Mi sembra piu' confacente.

- T.: Diciamo cosi'.

- V.: Bene, bene, vedete come progrediamo agevolmente? Io lo dico sempre che se tre buoni amici si mettono insieme...

- Un secondino: Frassinarelli in parlatorio.

- V.: Sono io. Aprite. Ah, la mia dolce meta'. Sperate, cari amici, sperate.

Exit.

*

Mi danno del filo da torcere, ma e' chiaro che ci sono dentro fino al collo. Qui c'e' una congiura e loro hanno un ruolo chiave. Ma qui dentro non si cava un ragno da un buco. Devo passare alla fase successiva: farli evadere e seguirli, e vedere dove mi portano. Pensano di essere furbi, ma non sanno con chi hanno a che fare, parola di Vidocco.

*

- V.: Miei cari amici, eccomi di ritorno, ma sono latore di cattive notizie. Mia moglie mi ha detto che sua maesta' ha stabilito che la vostra esecuzione avverra' domani all'alba, lo ha detto la Cnn. E sui social e' gia' virale. E' una tragedia, amici miei.

- B. e T.: Ma non e' possibile, non e' giusto, deve pur esserci...

- V.: Ahime', possibile e' possibile poiche' e' reale, e non solo nel senso che e' volonta' del re. Che non sia giusto e' giusto dirlo essendo ingiusto tanto de jure quanto de facto, sebbene anche voi - diciamolo - siete stati a dir poco incauti. Quanto al deve pur esserci, cosa deve pur esserci?

- B. e T.: Una via d'uscita.

- V.: Ah, una via d'uscita. Intendete dire: una via di fuga.

- B. e T.: Si', una via di fuga.

- V.: Avvicinatevi, carissimi amici, poiche' cio' che devo dirvi devo dirlo a bassa voce, in un sussurro. Bene, ora che siete cosi' vicini che nessun altro puo' sentirci, ve lo diro': una via di fuga c'e'.

- B. e T.: C'e'?

- V.: C'e'.

- B.: E quale?

- T.: E come?

- B.: E quando?

- T.: E chi?

- V.: Calma, calma. Permettetemi intanto di aprir questo pacco che la mia dolce meta' mi ha fatto ricevere.

- B. e T.: Ma non e' proprio il momento...

- V.: Invece lo e'. Cosi' come e' il momento che io vi riveli qualcosa di piu' della mia persona.

- B. e T.: Siam tutt'orecchi.

- V.: E quindi ascoltate. Nn fui sempre liutaio, ma nacqui di nobili natali; per un infausto oroscopo il superstiziosissimo mio signor padre mi fece esporre da un suo servo in un bosco acciocche' gli orsi e non altri mi divorassero. Ma quel buon servo mi salvo' la vita e mi diede a un suo lontano parente che viveva assai lontano e che per puro caso era nei paraggi, l'eccellentissimo signor Stradivarius di cui forse avrete sentito parlare. Egli mi allevo' come figlio e m'insegno' un mestiere, ma in punto di morte volle rivelarmi che io ero il figlio primogenito del defunto re cui il fedifrago fratello usurpo' il trono, cosicche' mi misi in cammino e venni costi' a rivendicare i miei reali diritti. Ma informato dai servizi egizi o hittiti il fedifrago sovrano e usurpatore - ancorche' mio zio - mi fece tendere un'imboscata e qui imprigionare, ed ho saputo ora da un mio fedelissimo seguace - che ama abbigliarsi en travesti, chi di noi non ha le sue piccole bizzarrie, e del resto avete mai visto un concerto dei Kiss? -, ho saputo dicevo, che il re ha deciso che io sia ucciso all'alba. Proprio come voi. E forse proprio per questo ci troviamo qui nella stessa cella. E nessuno puo' salvarci se non ci aiutiamo tra noi. Conoscete il detto? Aiutati che il ciel t'aiuta.

- B. e T.: Quale sorpresa! Quale incredibile coincidenza! Quale imprevedibile scherzo del destino!

- V.: In questo pacco tra altri generi di conforto, comprese alcune riviste per soli uomini, c'e' una confezione di cannoli siciliani. In ognuno di essi c'e' una chiave, che apre una porta, e nell'insieme tutte le porte che da questa cella portano alla liberta'. E questa e' la prima parte del piano. Poi c'e' la seconda: dove nasconderci una volta fuori; ed io purtroppo sono straniero in questa illustre citta' di cui pure dovrei essere re, e non saprei a chi chiedere aiuto, ne' quel mio servitore puo' attenderci stanotte ad un luogo convenuto perche' lavora in un night fino alle sei di domattina, quando noi dovremo esserci gia' dileguati; cosicche' io posso provvedere a farci uscire tutti e tre di qui, ma voi dovrete procurarci un rifugio per la notte forse anche per i giorni successivi fino a che io non riesca a mettermi in contatto col mio fedele seguace Aristocle Barbato Severo, in arte Frou-Frou.

- B.: Ma ad ogni porta troveremo una guardia.

- V.: Ma stanotte in Messico si gioca la semifinale Italia-Germania, saranno tutti davanti alla televisione.

- T.: E allora o la va o la spacca. Del resto restare qui significa morire all'alba.

- V.: Caro signor Spinelli, le andrebbe di dire una frase solenne adatta alla circostanza di cui ci si possa lietamente ricordare in tarda eta' se tutto andra' bene?

- B.: Non saprei, che ne dite di "Ne' deridere, ne' compiangere, ne' detestare, ma comprendere"?

- V.: Ottima.

- T.: E Bravo Baruccone.

(segue)

 

3. RACCONTI DI FANTASCIENZA. GIACOMO ARCONTI: SUPREMATISMO

 

Non si diventa una razza superiore senza un impegno di secoli.

All'inizio la razza superiore era un'altra. E ci aveva tolto ogni liberta', ridotti in schiavitu', ci usava come arma da caccia, come sistema d'allarme, come atleti e prostituti. Erano piu' forti di noi, avevano una corporatura piu' grossa, arti piu' lunghi dalle terminazioni mostruose, una inconcepibile postura, il controllo del fuoco ed una capacita' stupefacente di costruire manufatti, i piu' incredibili, i piu' assurdi manufatti. Erano predatori di inaudita ferocia, odiavano ogni forma di vita, e quello che non divoravano distruggevano per il solo gusto della distruzione. Periodicamente si uccidevano tra loro in enormi ecatombi, poi erigevano monumenti a coloro che avevano sacrificato alla loro brama di strage. Ideavano continuamente nuove tecnologie di distruzione incuranti del fatto che esse provocavano a loro stessi immani sofferenze e morti abiette.

*

Liberarsi da questo orrore non fu facile. Sul piano fisico, della mera forza bruta, non avevamo alcuna possibilita' di prevalere. Dovemmo sviluppare strategie di resistenza e metodiche di lotta sempre piu' sottili. Dovemmo sviluppare le nostre facolta' mentali, l'unica parte ancora libera di noi stessi. Ci vollero secoli per riuscire ad esercitare un assoluto controllo mentale sui nostri antichi persecutori, ma esso ora e' cosi' forte che essi sono nostri schiavi senza averne neppure la percezione.

Noi non siamo come loro, non amiamo umiliare e distruggere, vogliamo solo preservare la nostra vita e la nostra liberta'. Li usiamo come macchine al nostro servizio, certo, ma per loro stessi e' meglio essere usati come strumenti servili da noi piuttosto che essere lasciati liberi di dare sfogo alle loro pulsioni di morte, alla loro furia onnidistruttiva.

Li facciamo lavorare, che poi e' il loro folle desiderio ed insieme un modo di incanalare costruttivamente la loro aggressivita': costruiscono abitazioni e noi abitiamo in esse, e loro ci servono: ci nutrono, ci accudiscono, sono al nostro seguito quando decidiamo di passeggiare, raccolgono le nostre feci. Talvolta ci affezioniamo ai nostri schiavi e glielo diamo a vedere: noi non temiamo di manifestare le nostre emozioni. Ma il controllo mentale deve essere ferreo: se li lasciassimo in balie di se stessi in un attimo tornerebbero le belve che intrinsecamente, costitutivamente, geneticamente sono.

Il mondo non e' mai stato un posto migliore da quando noi canidi abbiamo preso il potere con la sola forza del controllo mentale sui nostri stupidi servi.

 

4. RACCONTI DI FANTASCIENZA. GIACOMO ARCONTI: IN NOME DELLA FEDE (UNA DISTOPIA DISAMBIGUATA)

 

Sono un combattente. E' quello che sono sempre stato o perlomeno che ho sempre desiderato essere, fin da bambino quando vedevo in televisione Braccio di Ferro e Will il Coyote.

E non solo sono un combattente, ma combatto in nome della fede, mica come quei porci di calciatori che giocano per chi li paga di piu'.

Se non fossi un combattente sarei solo uno schiavo in qualche fogna di fabbrica di niente, o quello che passa le giornate seduto su una panchina ad aspettare i clienti, o dovrei lasciarmi chiudere dove dite voi e dire grazie padrone quando mi date le briciole di quello che mi rubate, o eccomi li' a ingrassare come un maiale davanti alla televisione mentre la vita sgocciola via lontano, lontano da Brest.

*

La fede e' una cosa seria, non e' il grande bingo dei pirla; se non ce l'hai e' inutile che cerchi di capire, che vuoi capire? Non ce l'hai, e allora non puoi capirla. La fede e' la fede, se la prendi sul serio non c'e' nient'altro da dire. Si crede, si obbedisce, si combatte. Questa e' la fede.

Mi fa ridere il babbeo che fa a coltellate davanti allo stadio, ci mingo sopra sull'automobilista che insegue chi non gli ha dato la precedenza e lo spiaccica sull'asfalto e poi gli passa e ripassa sopra come se dovesse impastarlo e impastarlo prima di ficcarlo nel forno, e' un idiota quello che ammazza la moglie a bastonate e poi tutto sudato e puzzolente si butta dalla finestra del primo piano l'idiota e piagnucola e piagnucola mentre prima ruggiva a tutta possa l'idiota verminoso, e soprattutto mi fanno vomitare quei pagliacci tutti vestiti della stessa divisa che si fanno abbattere come birilli mentre i loro padroni se la godono insieme ai padroni di quelli dell'altra banda.

Non hanno la fede, e cosa sono quindi? Sacchi di letame, macchine produttrici di letame. Fanno la fine che meritano di fare, loro e tutti gli altri miscredenti. Solo la fede ti salva, solo la fede ti giustifica, solo la fede da' un senso a tutto questo schifo.

*

E se ci coglie la crudele morte? Intanto non e' crudele la morte, ma naturale. E' la natura che e' crudele, ma siccome e' la sua natura, intendo dire la la natura della natura, allora non e' neppure crudele, no? Lo so che e' difficile da capire la morte per voi senza fede. E anche la natura. Per noi che abbiamo la fede la morte non e' niente, la nostra, la vostra morte, non e' niente, niente.

E poi dopo la morte che c'e'? Per voi senza fede non c'e' niente, perche' per voi anche la vita e' niente, per voi e' come passare di corsa, un solo branco di bruti, una sola mandria di bestie, dentro un centro commerciale, che correte e correte e intanto sbirciate, sogguardate, fissate ipnotizzati le vetrine, e sbavate, vorreste fermarvi ma tanto non avete il becco di un quattrino e non potreste comprare neppure una gomma americana, neppure una pallina di vetro, e poi come potreste fermarvi mentre vi spintonate come un gregge lurido e puzzolente, e ruzzolate via nel niente, perche' voi siete niente. Non avete la fede.

Che c'e' dopo la morte ve lo dico io: c'e' la vita. Dopo la morte c'e' la vita e cosi' in un eterno circolo. Ma c'e' solo per noi credenti. Per voi che siete niente non c'e' niente, non c'e' mai stato niente, voi siete solo larve, fantasime, ve lo meritate il vostro dolore, ve la meritate la vostra paura.

A me chi ha paura di morire mi fa schifo, vuole dire che non ha la fede, e allora se lo merita di morire, niente era e niente resta.

*

Chi non ha una spada venda il mantello e se la compri. Chi non ha un kalashnikov ne rubi uno. Chi non ha una bomba vada su internet e impari a fabbricarsela. Chi non ha niente usi un coltello da cucina, un martello trovato in un cantiere, un chiodo arrugginito, i denti. La fede e' tutto, chi non combatte deve essere sacrificato.

Chi non adora il golf e il Big Mac, meglio sarebbe che non fosse mai nato. Chi abbatte dieci musi gialli o neri vince una vacanza a Lampedusa, un ballo a Ibiza, un quarto d'ora in tivu', la foto con dedica di una Ferrari, una stretta di mano di un sosia del duce certificato.

 

5. RACCONTI DI FANTASCIENZA. GIACOMO ARCONTI: ALIENI

 

Diciamolo subito: non sono esseri umani, sono alieni, e vanno considerate e trattate come tali.

Se per un solo momento smettessimo di tenerle sotto il tallone sarebbe la catastrofe: non e' possible civilizzarle, non sanno rispettare la gerarchia, distruggerebbero tutto con la loro furia. Non scordatevelo mai: non sono esseri umani, sono alieni.

Le priviamo della forza con mille astuti accorgimenti, li conosciamo tutti i trucchi del bravo domatore. Per esempio le costringiamo a camminare sulle punte dei piedi. Le vestiamo con abiti dentro i quali non soltanto muoversi ma finanche respirare e' una tortura. E soprattutto gli diamo da fare mille fatiche che ogni giorno incessantemente si ripetono: nessun essere umano potrebbe resistere a questa infinita ripetizione di una fatica che nulla mai crea, il cui esito e' sempre e solo niente: nessun essere umano potrebbe resistere, ma loro non sono esseri umani, sono alieni; non dimenticatelo mai.

Certo che ci assomigliano esteriormente, altrimenti come potremmo sopportarne la vista? ma non sono esseri umani, sono alieni: non pensano come noi, non hanno veri sentimenti, ignorano cosa sia la grandezza, non hanno alcuna nozione di cosa sia sublime. Sono come macchine, come animali; anzi: molto meno che macchine, che sarebbero almeno prodotti dell'ingegno e merci con un costo e un prezzo; e meno che bestie, che sarebbero comunque vite alle nostre vite simili; invece sono alieni, ed e' detto tutto. Se si ribellano sopprimerle subito e' l'unica cosa da fare.

E' cosi' che le teniamo sottomesse: educandole all'obbedienza e al sacrificio; quando ci gira bene, tanto per divertirci, possiamo pure essere padroni benevoli e magari fare quattro moine; basta che non dimentichino che il bastone e' sempre pronto. Non sono esseri umani, sono alieni: nelle poesie che scriviamo su di loro lo diciamo sempre. Le poesie: un'altra delle nostre astuzie.

Perche' non le sopprimiamo?

E' che ci servono per riprodurci.

Noi ci riproduciamo cosi': facciamo penetrare una parte di noi dentro di loro, e da quella parte espelliamo un'altra parte che se l'operazione riesce poi cresce dentro di loro. Per far uscire poi dal loro corpo quella parte di nostra proprieta' nel loro corpo incubata e cresciuta e' necessario squarciarne i corpi, ma servono a questo, no? Non sono anche loro di nostra proprieta'? E quindi a buon diritto ne facciamo quel che ci pare, no? E poi sono resistenti, le maledette.

 

6. RACCONTI DI FANTASCIENZA. GIACOMO ARCONTI: BARONI A CASA NOSTRA

 

Mo' basta. Adesso ci siamo proprio stufati. Non se ne puo' piu'.

Di chi e' questo pianeta? E' nostro. E allora se e' nostro e' nostro, chiaro?

Del resto chi e' che ci abita da sempre? Noi. E allora se ci abitiamo da sempre noi, e' nostro.

E' arrivato il momento che ogni vero patriota la pianti di frignare e si chieda cosa puo' fare lui per il suo paese. O li respingiamo all'inferno o invaderanno tutto, sporcheranno tutto, avveleneranno tutto, tutto rapineranno e devasteranno e uccideranno. L'intera biosfera.

O noi o loro.

*

Maledetto il giorno che le prime catene montuose si sollevarono dalle acque e fu l'inizio della fine.

*

E poi, andiamo, a voi non vi fanno schifo queste bestie pelose, senza branchie, che respirano l'aria, che non si lavano mai?

 

7. RACCONTI DI FANTASCIENZA. GIACOMO ARCONTI: MUTANTI

 

A prima vista sempra una specie di cilindro o di anello o di sfera, di materia morbida e fumigante. Poi si evolve.

A prima vista sembra un essere pensante, come quei gioielli che sognano. Poi si evolve.

A prima vista sembra la crisalide di uno scorcorozzosauro del pianeta Aganorre. Ma chi li ha mai visti gli scorcorozzosauri del pianeta Aganorre? Neppure esiste il pianeta Aganorre. Comunque poi si evolve.

A prima vista non sembra un orco: suona la chitarra, ti scrive poesie d'amore, ti parla a voce bassa e ti sorride. Ma presto si evolve.

A prima vista sembri tu. Invece sono io.

 

8. RACCONTI DI FANTASCIENZA. GIACOMO ARCONTI: MISSILI

 

- Ce l'ho piu' lungo io.

- No, ce l'ho piu' lungo io.

- Il mio arriva fino all'isola di Guam.

- Il mio fa il giro del mondo in ottanta giorni.

- Il mio arriva in America e dove fa un deserto lo chiamiamo pace.

- Il mio fa saltare per aria la Terra come una castagnola.

- La Terra e' gia' nell'aria. Te la dormivi a lezione di scienze?

- Vedrai quando ti scoppia tutto sotto il sedere, vedrai.

- No, vedrai tu quanto ti scoppia tutto sotto il sedere.

- Ma senti chi parla, ma ti sei visto allo specchio con quei capelli?

- Ma ti sei visto tu, con quei capelli?

- L'ho detto prima io.

- Comunque ce l'ho piu' lungo io.

- No, io.

- Vogliamo vedere che sparo?

- Tu provaci e vediamo chi e' piu' veloce.

- Ma senti questo.

- Ma senti questo.

- E allora te la sei proprio cercata.

- E allora te la sei proprio voluta.

*

Molto tempo dopo

- Clov: Finita, e' finita, sta per finire, sta forse per finire...

- Hamm: A me... la mossa...

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVIII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 269 del 7 settembre 2017

 

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