[Nonviolenza] Archivi. 266



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVIII)

Numero 266 del 4 settembre 2017

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di agosto 2017 (parte quarta)

2. Vladimiro Oglianovi: Rieducare gli educatori (parte quarta)

3. "Per una politica che salvi le vite e riconosca l'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani". Da Viterbo un incontro e un appello

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI AGOSTO 2017 (PARTE QUARTA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di agosto 2017.

 

2. RACCONTI CRUDELI DELL'ESTATE. VLADIMIRO OGLIANOVI: RIEDUCARE GLI EDUCATORI (PARTE QUARTA)

 

La morte del Diavoletto

Si vedeva lontano un chilometro che Ginetto c'era restato male della storia di Mascarpone. E' che erano amici d'infanzia, abitavano nello stesso quartiere, erano andati a scuola insieme e tutto, lo sapete come vanno certe cose. E poi si sentiva in colpa perche', a dirsela cosi' com'e', era pure lui uno dei ganzi della Ghisolabella e da una parte si sentiva in colpa con Mascarpone, da un'altra gli era dispiaciuto che era stato necessario eradicarla, e poi tutto il seguito.

Inoltre era sempre piu' distratto sul lavoro.

*

Una volta la fece grossa sul lavoro, e sul lavoro non la puoi fare grossa.

Sul campanello c'era scritto Girolamo Magnacucchi. Ginetto ebbe un sobbalzo: "Villi, ma sse chiama Girolamo Magnacucchi 'l cliente de stanotte?". "Si', e allora?". "M'ha 'nzegnato, m'ha 'nzegnato a le scole medie". "E allora? Tanto nun s'aricorda e non te riconosce, e se pure te riconosce tanto stanotte pippa". "Nun e' cque', nun e' 'cque'; e' cche lo conoscio io, io". Tacque pochi secondi, poi aggiunse: "E era pure uno bbravo. Uno bbravo. Nu' mme piace, Villi, nu' mme piace". "E allora? Che vvo' fa'?". "Gnente". "Bravo". "Pero' nnu mme piace". "E vvabbe', mmo' pero' in posizione che fra 'n po' sse comincia". Sono cose che non devono capitare, pero' capitano. A noi ci e' capitato quella volta sola.

Tornammo in macchina ad aspettare finche' arrivo'. A piedi. Usammo il vecchio trucco del questurino: "E' il professor Magnacucchi?". "Si'". "Questura. Servizio. Dovremmo effettuare una perquisizione, una pura formalita'". Apri' il portone, salimmo insieme in ascensore, apri' la porta di casa, entrammo e solo allora gli mollai l'uppercut che toglie insieme il fiato e la voglia di fare fesserie. Poi lo mettemmo seduto su una poltrona. E il Diavoletto si avvicino' con la corda come da manuale. Ma con tutto che era senza fiato il sor mae' ciaveva gli occhi sgranati e a un certo punto disse, con un filo di fiato, ma nitidamente: "Pascolatori, Luigi Pascolatori, sei tu, vero?". Il Diavoletto si fermo'. Tutti restammo immobili, di sasso. Bella memoria.

"Si' cche sso' io, professo'". "Ma che ssuccedde, chi sono queste persone". "Succede 'na bbrutta cosa, professo'". "Ma allora, allora, siete mica la banda dell'arancia meccanica". "Non lo dica, non lo dica, professo'". A mme mme vene 'r zangu'a la testa quanno dicheno la banna de l'arancia meccanica, Ninetto ce lo sapeva.

"Mi puoi aiutare, Pascolatori?". "Non credo, professo'". "Neanche pagando?". "Adesso perche' m'offende, professo'?". "Hai ragione, scusa". Stavamo tutti fermi e nessuno diceva niente. Finche' il professore riprese: "Hai poi continuato a studiare?". "No, professo'". "Peccato, eri bravo, ti saresti fatto onore". "Si', professo'". "E adesso che succede?". "Quello che deve succede, professo', e nessuno puo' piu' farci niente". "Non e' cosi', non deve andare per forza cosi', possiamo parlarne, trovare insieme una soluzione vantaggiosa per tutti". "Nun e' come a scola, professo'". "Quindi adesso mi rapinate, devastate tutto e mi uccidete. E' cosi'?". "No, professo', nun e' 'na rapina, e' 'n'esecuzione". "Un'esecuzione?". "Un'esecuzione, professo', non siamo rapinatori, siamo esecutori". "Posso almeno sapere cosa ho fatto per ricevere la vostra visita?". "E lo chiede a noi, professo'? Noi propio nu' lo sapemo, magari lei si', professo'". "Ma io non lo so, non ne ho proprio idea". "Pero' qualche cosa deve ave' fatto, senno' nun ce 'ngaggiaveno, professo'". "Siete killer, dunque". "Esecutori, professo'". "E chi vi ha mandato?". "E che cambia?". "Avro' almeno il diritto di saperlo, no?". "Ma quale diritto? non esistono diritti, professo', nun e' come nei libri, e' il mondo reale e la gente more. Pure le persone che ami, tutti, e nessuno ce po' ffa' gnente, professo'. E' 'na traggedia". "Ascolta, Pascolatori, ascoltatemi tutti: perche' non la fermiamo noi questa tragedia, questa storia di orrori? Perche' non la fermiamo noi, qui, questa notte, adesso. Possiamo farlo. Decidiamo di essere l'umanita' come dovrebbe essere, non come sventuratamente oggi e' ma come potrebbe e quindi dovrebbe essere, la fermiamo noi la tragedia, adesso, qui, ve ne tornate a casa senza far niente, vi regalo - non compro niente, vi faccio un regalo - vi regalo tutto quello che ho' nel portafoglio, e voi tornate a casa, e magari domani il mondo e' gia' un po' meglio, no? L'abbiamo gia' cambiato un po', no?".

Solo a questo punto intervenni: "Cevi raggione, Diavole', bravo e' bbravo". "Vero", disse Giobbo. Proseguii: "Pero' sor professo' a nnoi ce pagheno pe' ffa' 'sto lavoro, e 'sto lavoro famo. E ttu poi pure recita' la Divina commedia a mmemoria che nun cambia gnente, a la fine finisce com'ha dda fini'". "E se invece uscissimo a riveder le stelle? Se invece ci salvassimo tutti? E' questo il momento, e' questo il punto, e' l'occasione vostra di cambiare vita, di cambiare il mondo, di essere voi il mondo come vorreste che fosse". E Giobbone: "Bravo e' bbravo davero". E io: "Ma il fatto e' che a noi il mondo ci sta bene cosi', professo'. Niente illusioni, niente menzogne. Lo ha letto Giacomo Leopardi? Ecco, noi siamo di quella scuola". "Ma Leopardi e' un combattente, e' un resistente Leopardi, e' un nostro compagno di lotta". "Ve l'avevo detto ch'era comunista", disse Ninetto con una voce stanca, ma stanca, cosi' stanca che pareva la voce della morte. "Io pure so' communista, e allora?", disse Giubbarossa. E io: "Io invece no, so' anarchico-individualista, e allora?". Ma il professore ci provava ancora: "Ma allora, allora siamo tutti compagni, anche voi lottate contro l'orrore del mondo, contro lo sfruttamento, per la liberazione dell'umanita'. Lottate in modo sbagliato, con obiettivi sbagliati, con metodi errati e fin ripugnanti, in una logica meramente, stoltamente individualistica perche' manipolata, subalterna, alienata, ma nella vostra estraneazione a voi stessi esprimete comunque un desiderio di altro, un bisogno soggettivo e sociale di affrancamento". Lo fermai qui: "Nun zemo francobbolli, professo'. E mmo' bbasta che nun ciavemo tutta la notte da perde, volemo torna' a casa prima de ggiorno, ce scusi, sa, so' ll'abbitudini piccolo-borghesi de chi nun ha fatto le scole alte. Leghelo, Diavole', e ficcheje 'mbocca 'no straccio zozzo, che sara' sempre meno zozzo de le zozzonate che ddirebbe pe' sarvasse la pelle 'sto zzozzone". "Pero' bravo e' bbravo", ripete' Gibbetto. "Semo tutto bbravi co' le chiacchiere. Ma ssi era bbravo davero nun era lui quello che fra 'n minuto s'aritrova legato come 'n zalame e tra mezz'ora s'aritrova morto. Tra mezz'ora, sor mae', cche pprima ciae da di' 'ndo nasconni 'r tesoretto de la casa. Ma nno ssubbito, che prima ce piace de cercallo da sole, pe' ttenesse 'n allenamento e ppe' divertisse 'n po', eh professo'?".

Intanto Ginetto lo legava, e stava zitto. Quando ebbe finito disse: "Me dispiace, professo'". Poi cominciammo l'azione ricerca-arraffa-e-distruggi, ma con esiti miseri. Era arrivato il momento della tortura. "Te la senti, Nine'?", dissi. E lui: "Mesa' dde no, Villi, mesa' dde no". In se' non sembrava una cosa grave, ma era una cosa grave. Sotto il profilo professionale, prima di tutto. Perche' il lavoro e' lavoro e quando si lavora si lavora, io la penso cosi'. Se uno vuole fare il sentimentale si compra il disco della Carmen e fa il sentimentale nel salotto di casa sua. E poi sotto il profilo della lealta' alla band (noi non siamo una banda, siamo una band, e chi non capisce la differenza vuol dire che negli anni '60 e '70 viveva sulla luna, viveva). Il fatto in se' e' insignificante, pure io ci sono state serate che ero indisposto, e allora delegavo ad altri quello che di solito avrei fatto io, ma qui non si trattava d'indisposizione, qui era insubordinazione, cedimento, diserzione, vilta' dinanzi al nemico. A me il militarismo mi fa schifo, ma quando sei in azione sei in azione e non ti puoi tirare indietro. Ginetto non se ne accorse di quello che aveva combinato, ma Giobbone si'. Disse: "Ce penzo io, via", ma nello sguardo gli lessi dell'altro, e fu uno sguardo che per un attimo mi si agghiaccio' il sangue, un attimo solo ma mi si agghiaccio': era uno sguardo che diceva: "Lo vedo Villi che hai deciso d'ammazzallo, e lo sai che io nun zo' d'accordo e pero' lo farai lo stesso; pero' se lo fai e' la fine, lo sai che e' la fine de tutto". Questo diceva quello sguardo e per un attimo, un solo attimo, ebbi paura di me stesso, dell'abisso che ero diventato e non ero stato sempre cosi'. La tortura non produsse granche', era proprio 'n pidocchioso 'l sor professore, come ttutti li communisti nu' la conosciono ll'arte de mette da parte.

*

Un'altra volta fu pure peggio.

Saranno passate nemmeno du' settimane dall'eradicazione del Magnacucchi, e dovvamo occuparci della professoressa Ofelia Del Vecchio, che pure 'l nome ciaveva da profesoressa.

Se dovessi fare una statistica direi che gli articoli che abbiamo trattato erano piu' donne che uomini, pero' noi diciamo sempre "il sor mae", "'l professore", e mai "la sora maestra", "la sora professa". Perche'? Nnu'  lo so, ppero' penzo che sia 'na spece de pudore, de cavalleria, ce pare che eradica' le femmine e' ppiu' bbrutto. E ppero' l'eradicamo uguale.

Noi abbiamo una regola: niente violenze sessuali. Non siamo dei maiali. Le violenze sessuali le fanno solo i fascisti, e per i fascisti c'e' la cura del sor Pilade, punto. Neppure la parolacce si dicono quando si lavora se il cliente e' donna. La prima cosa siamo stati subito tutti d'accordo, ma sulle parolacce c'e' stata una discussione, e ogni tanto si ricomincia. Ci sono due scuole di pensiero: la mia, che e' per semplificare a fini pragmatici, e quindi niente parolacce e fine. L'altra scola de penziero (che poi sarebbe il Giobbone) sostiene invece che usare il turpiloquio coi maschi e non con le femmine e' una forma di maschilismo pure questa. Ma io dico che esse cafoni e' esse cafoni e noi cafoni nun zemo. Il fatto e' che si potrebbe continuare a discutere all'infinito ma nnue quanno se lavora se lavora e nun cemo tempo da perda.

Mentre Ginetto la legava e io jo facevo 'l predicozzo solito la sora Ofelia je se scioje la lingua e nun ze fermava ppiu' da cchiacchiera' che me tocco' smette de predicaje: "Mi mancano due anni alla pensione". "Vorra' ddi' che l'Inps risparmia qualche cosetta". "Ho sempre svolto il mio lavoro col massimo scrupolo". "E cchi nne dubbita? Pure noi famo lo stesso. So' bboni tutti". "Ci dev'essere un equivoco". "C'e' sempre 'n equivoco, nun s'e' aggiornata su l'epistemologgia contemporanea, eh?". "Non mi sono mai sposata". "E cque' cche c'entra?". "Ho dedicato tutta me stessa alla scuola". "Bello sbajo, signo', bbello sbajo". "Ma non avete un cuore?". "Signo', avete mae visto 'n corpo vivo senza core?". "Avrete pure amato una donna". E io stavo per dare la mia stoccata (che peraltro quella sera nun ero in vena e me n'accorgevo che ffino a lli' ero stato fiacco) e fu a questo punto che Ginetto scoppio' a piangere. Restammo tutti a bocca aperta, pure la sora professora che almeno s'azzitto'.

Aveva la faccia contorta dal dolore, nun pareva ppiu' Ginettaccio nostro, e tra le lacrime diceva "Ghisole', Ghisole', e' tutta colpa mia, managgiamme', e' tutta colpa mia". E non e' che lo disse una volta e via, nun la finiva ppiu'. Al punto che dopo 'n par de minuti Giobbone lo dovette pija e portallo ma 'n antra stanza, fallo mette a ssede lli' dda solo e faje pija' 'n tranquillante. Io guardai la sora professora con espressione severa: "Lo vede ch'ha ffatto? Je pare 'na cosa bbella?". "Mi creda, non volevo". "Non voleva, non voleva, pero' l'ha ffatto ed ecco i bei risultati". "Non potevo sapere che il vostro amico stesse male". "Nun stava male finche' nun ze' stata tu a fallo sta' mmale, mannaggia a la paletta". "Guardi che non e' cosi', se le mie parole sono state al causa occasionale del suo turbamento la causa sostanziale era gia' dentro di lui e forse sarebbe opportuno che". Non la lascia fini'. C'era 'n soprammobbile, 'na statuetta della Venere del Botticelli, bianca, di finto avorio, di quelle che vendono insieme a un piedistallo che simula una colonna orientaleggiante, so' ssicuro che l'avete viste pure voi, so' in tutti i salotti kitsch, cioe' in tutti i salotti de' pezzenti. Ce ll'ho pur'io a casa mia. Allora ho preso 'sta Venere e je l'ho rrotta sula testa. Se so' rrotte tutt'e ddue, ma col mozzicone de Venere che mm'era restato in mano, la base e cinquecentimetri de cianche ho continuato a daje ggiu' finche' nun e' arrivato Giobbazzo e mm'ha staccato e mm'ha ffatto mette a sseda pure a mme, e mentre io respiravo m'ha detto: "Bella mossa si', e 'mmo cchi cce lo dice 'ndo sta la cassaforte e come s'apre?". Io li' per li' non avevo fiato, ma mezzo minuto dopo, che Giobbone ormai non era piu' li' perche' s'era messo da solo a perquisire l'alloggio, je volli risponne lo stesso: "Ecchissenefrega, Giobbo', chissenefrega". Ninetto ne l'altra stanza continuava a piagne, ma piano piano, e aveva smesso de di' spropositi. Nu' lo so ccome, ha dda ave' ffatto tutto Giobbone, dopo 'n po' me ritrovai su la machina che guidavo. Nel sedile dietro Ginetto piagneva ancora. Giobbone non disse piu' una parola. Fu un viaggio lungo. Per fortua dalo stereo si levava la voce celestiale di Patti Smith, la grande sacerdetessa del rock, senza quella voce quella notte il cielo si sarebe rovesciato sulla terra e il mondo intero sarebbe stato distrutto per sempre, ma c'era quella voce, quella musica, quella magica pesenza che teneva viva la fiamma dell'umanita', la luce della bellezza, la speranza e la resistenza contro ogni male. Qui non s'arrenne nessuno, finche' c'e' 'sta voce che canta, la voce de Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock.

*

Il giorno dopo dopo un sonno ristoratore, il sonno dei giusti, che si prolungo' fino al pomeriggio inoltrato, ripensai aquelo che era successo. Non avevo perso il controllo, avevo solo dato un'accellerata alla storia. Io non sono il tipo che perde il controllo, anche quando faccio il bruto non e' che divento un bruto, so quello che faccio, svolgo un ruolo. Ma lo devo riconosce che quello ch'aveva combinato Ginetto nun m'era piaciuto pe' gnente. Pe' gnente m'era piaciuto. E bisognava penza' qualche ccosa.

Voi che avreste pensato? Esatto. Quello che ho pensato io.

*

Una sera ci feci una chiacchierata a quattr'occhi e mi convinsi che ormai era incurabile.

Fu un discorso lungo.

Quella sera il Giobbone non c'era perche' ciaveva un parente malato de cancro che stava a mmori' a l'ospedale e je faceva le notti. Si ddovessi mori' dde cancro me piacerebbe pure ma mme si ce fosse uno come Giobbone a famme le notti. Pero' la verita' e' che mme sparerei un colpo prima. Nun me piaciono l'ospedali, so' ttutti fascisti, su dde me nun permetto a nessuno de metteme le mano addosso. Figuramose da sta' 'mpiggiama e su 'n letto davanti a esse che sso' tutti vestiti, 'mpiedi, co le scarpe e co la divisa da torturatori nazzisti. Dottori, 'nfermiere e ttutto, prima che mme s'avvicinano je do' 'na sventajata de kalashnikov. Io la vedo ccosi'. De gustibus. (Io dico sempre solo de gustibus, perche' la so in du' verzioni: de gustibus aut bene aut nihil e de gustibus non disputandum est, e siccome nun riesco a decideme quale me piace di ppiu', dico sempre solo de gustibus e le'. E' un trucchetto, ma la perzona d'ingegno se vede pure da 'sti trucchetti, dico io).

Allora quella sera eravamo solo io e Ginettaccio. Io manco ciavevo voja de chiacchiera', penzavo agioca' a bijardo e basta. A gorizziana.

"Villi, ce ll'hai presente People have the power?". "Certo che ce ll'ho presente": "Embe', nun e' vvero". "Come sarebbe a ddi' cche nun e' vvero? T'ho ddetto che cce ll'ho presente e cce ll'ho presente". "Nun e' vvero che la ggente cia' 'l potere". "Ma mmo' cque' cche c'entra Gine?". "C'entra". "A mme mme pare che nun c'entra". "E mma mme mme pare de si', Villi, me pare de si', possibbile che nun me capisci?". "Si nun te spieghi". "Come te ll'ho dda di', la dovevo difenne io la Ghisoletta, la dovevo da difenne". "E mmo' cche c'entra la Ghisoletta?". "Je volevo pure bbene, e 'nvece l'ho fatta 'mmazza". "Mica l'hae amazzata tu, aho'". "E 'nvece si'. Evo da di' dde no quann'era 'l momento da di' dde no, e 'nvece nun l'ho ddetto, e dd'allora nun ce dormo ppiu', nun campo ppiu', Villi, e' ffinito tutto". "Ma ttu hae perso la bbrocca, fijo mio. In primo luogo nun je ll'hae tirato tu l' collo a la gallina. E que' sse chiama principio de realta'. In secondo luogo non si delibero' senza ragione. In terzo luogo madama lingualunga aveva gia' ffatto mori' ddu' cristiane che esse si' che nun eveno fatto gnente, ma propio gnente de male, c'eveno solo la colpa d'avecce ll'orecchie si ade' 'na colpa, e  quell'altra colparella de esse annate a lletto co' la moje de 'n amico che io dico che sso' ccose che nun ze fanno, ma mesa' che ttu la penzi ma 'n antro modo si nun me sbajo". "Nun e' vero, Villi, que' e' come la racconti tu, che le cose le racconti sempre come te pare, te le soni e te le canti e nessuno cia' mmae 'l coraggio de dittelo". "De dimme che?". "Che tte la soni e tte la canti". "E cche coraggio sarebbe?". "Sarebbe che tutti cianno paura de te, tutti. Meno io e Giobbone, tutti". "Si cianno paura fanno bbene. Ma magari fosse vero. 'Nvece tu stai a sogna', Gine'. Te pare che 'l sor Pilade cia' paura". "None, 'l sor Pilade none". "E Scamoscione te pare che cia' paura?". "Me pare de no ma nun ze po' sape', potrebbe pure aveccela". "E ffarebe bene pure lue". Gineto taceva, io proseguii: "E Unaformi te pare che ccia' paura". "Seconno me ssi'". "Magara fosse. Pero' mo' famme capi', che volevi da di' che mme la sono e mme la canto?". "Che tanto fae sempre come te pare, Villi, e le cose le racconti sempre come te convene a tte". "Enno', mme pare che avemo sempre deciso tutte 'nzieme". "Sempre sempre no, ma ppure le volte ch'emo deciso 'nzieme, emo deciso 'nzieme formalmente, ma sostanzialmente evi ggia' ddeciso tutto tu da solo". "Famme n'esempio, uno solo". "La Ghisola: tu nun l'hae mai potuta veda e lei ce lo sapeva. Mo' era vero che je piaceva da racconta' che 'r zu marito je portava 'na vagonata de sordi, ma vole' ddi' che si nu' lo diceva lei nu' lo sapeva nessuno che lavoro famo, que' e' 'na bbucia grossa come na' casa". "Enno', bello mio, enno' Diavole', no. Nummero uno, io a la Ghisola l'ho ssempre rispettata e nu'mme so' mae scordato ch'era sposata e sposata co' 'l poro Mascagnazzo, casomai eravate voiartri che ciannavate a lletto a nun rispetta ne' essa ne' esso. Nummero due, siccome nun e' vvero che nun la potevo veda nun e' vvero manco che lei ce lo sapeva. Come poteva sapello si nun era vero? Ammenoche', ammenoche' quarcuno nun me calunniasse, sarae mica stato tu, eh, Diavole'? Ma ttanto nun me ne frega gnente. Nummero tre, nun e' cche raccontava solo che 'l marito je portava li sordi a vagonate, raccontava pure che llavoro faceva e 'nzieme a cchi, e cque' cchiude la questione, bello mio". "Lo vegghi ch'e' ccome dico io? Te la soni e te la canti". "Ancora 'ntigni?". "'Ntigno, 'ntigno. Perche' cce lo sai pure tu che al paese ce lo sanno tutti che llavoro famo, e all'inizio chi la metteva 'n giro la voce? All'inizio eravamo noi che la metteveme 'n giro pe' 'ncrementa' 'l mercato, poi doppo, ma doppo, quando Unaformi' Uanforiu' ha rilevato il management, allora avemo cominciato a ffa' i misteriosi, ma tanto ce lo sapeveno ggia' tutti oramai. Ce so' li regazzini che ce fanno ll'album de' ritaji de' ggiornali de' lavoretti nostri, nun ce lo sae?". "E cque' cche c'entra? Il punto e' che la ggente del paese pero', a comincia' dal comandante de' Carabbigneri doppo che je feci di' dar zinnaco de riguardasse la salute sua e dde la su moje e de le su' fije, se stanno zzitte, zzitte se stanno, zzitte e mmosca. Perche' cce lo sanno che nnoi famo 'l bene del paese, famo gira' ll'economia, eppoi esercitiamo privatamente la giustizia punendo degli infami torturatori di bambini che altrimenti l'avrebbero fatta franca, nun te lo scorda'". "No, nun e' cque' 'l punto: 'l punto ade' cche la Ghisola nun aveva fatto gnente, quel ch'aveva detto quelli che je l'ha ddetto gia' cce lo sapeveno, altro che storie". "Enno', Gine', enno': po' esse che lo sapeveno e po' esse de no. Ma essa ha tradito, e chi tradisce ha dda 'nna' 'ncontro al su' destino. Dura lex, sed lex". "Ma falla finita de parla' tturco, parla come magni 'na vorta tanto. Tu nu' la potevi veda, allora hae manovrato pe' potella ammazza', e ssei stato pure bbravo, perche' poi e' vvero che sse' bbravo, bravo a ddi' e bravo a ffa', e nun te l'ho mae negato, mae". "Grazie". "Prego. Pero' la Ghisola nun doveva mori'. E ssi e' mmorta e' colpa mia, che nun l'ho salvata, e bastava che ddicevo no quella volta e 'nvece nun l'ho detto. Me strapperei 'l core pe' dallo da magna' a li cani". "E famola finita co' 'ste pose da melodramma, Gine'. Emo deciso la cosa ggiusta, emo fatto la cosa ggiusta. Eppoi ar dunque tu manco c'eri, e allora mo' cche vvoi?". "Che vojo, 'n vojo gnente, perche' l'unica cosa che vorrei sarebbe che essa vivesse ancora e 'nvece e' morta". "E pace all'animaccia sua". "E poi e' mmorto pure Mascarpone, che pur'esso sarebbe ancora vivo si nun j'avessimo ammazzato la Ghisola. Come fo a nun penzacce?". "Ah Gi', ttu penzi troppo. E distraete, no? Mo' nun me vorrai di' che mmorta la Ghisola so' ffinite le femmine? Havoja quante ce ne so', svejete, Gine'". "Tu propio nun ce la fae a ccapi', eh? Hae studiato tanto ma 'ncora nun te ll'ha detto gnuno che 'na cosa e' dasse 'na strofinata e 'n antra cosa e' ll'amore". "L'amore! Nientedimeno!". "C'e' poco da fa' lo spiritoso". "Amore e morte, Eros e Thanatos! Perdindidirindina!". "Falla finita, Villi, che mme le stae a ffa' ggira'". "Enno, Diavole', mme le stae a ffa' ggira' ttu co' ttutte 'ste scemenze". "Nun zo' scemenze, e' cche ttu lo sae che see? See 'n maschilista, ma ccosi' maschilista che manco te n'accorge de quanto se' maschilista. E mme fa spece che uno 'nteliggente come tte, che' 'nteliggente se' 'nteliggente e nessuno te po' di' gnente, embe', nun te se' mae accorto che pure le donne so' esseri umani, che cianno li stessi diritti tui e mii, che e' ora da falla finita a trattalle come schiave. La Ghisola era mejo de te e dde me mess'inzieme era, e io l'ho ffatta mori', mannaggiamme'".

Piu' chiaro di cosi: Ginetto era svalvolato, e l'unica cosa da fa' era da provvede prima che facesse qualche sproposito.

Io lo dico sempre: 'ste teorie moderne che le donne so' ugguali a ll'omini e' rrobba da communisti che ppe' essi so' ugguali tutti, tutto uguale, tutto all'ammasso, la cioccolata e' uguale a quella cosa che cia' lo stesso colore. 'Mbe', se la magnassero loro quela cosa che cia' lo stesso colore. Ma sse 'nvece de mettese le fette de salame sull'occhi guardamo a la realta' effettuale, nel gran libro della natura, lo vedemo subbito che la diseguaglianza e' la legge der monno: l'alberi nun cammineno e i cani si', per questo i cani pisceno sull'alberi e ll'alberi hanno d'abbozza'. 'L pesce grosso magna 'l pesce piccolo, e nnoi se magnamo tutt'e ddue. 'L ricco se magna 'l povero, e' brutto, ce lo so, ma e' la natura. 'L marito mena la moje, sara' poco cristiano, ma e' il funzionamento naturale della famiglia. Fanno tutti ll'ecologiste, poi quanno la natura te 'nzegna quarche ccosa tutte se ggireno da 'n antra parte. Io invece nun me ce ggiro da 'n antra parte. Quale ugguajanza? Ve pare uggaule com'e' ffatto ll'omo e com'e' ffatta la donna? Chi resta 'ncinta nove mese? Chi partorira' con dolore? Chi riproduce l'umanita' che invece da dumil'anni meriterebbe solo che d'estinguese? Io so' 'na perzona moderna, eh, ma ccerte cose tocca dillo che sso' state sbajate: il pater familias ce vole, l'imperatore, Roma caput mundi.

E 'l Diavoletto doveva mori'.

*

Pure la sera dopo eravamo al bar solo io e lui e io gli dissi: "'Nnamo a ffa' du' passi che t'ho da di' 'na cosa". "E dimmela qui, no?". "Si tte dico da fa' du' passi vole di' che qui nun te la pozzo di', no?". "Ma a mme nnu mme va da cammina', sto cosi' bbene a sseda qui". "Manco a mme mme va da respira', pero' respiro lo stesso senno' moro. Arzete e 'nnamo". S'alzo'.

Ci dirigemmo fuori del paese, era buio pesto, faceva pure freddo. E lui disse: "Almeno pijamo la machina, che ffa ffreddo". "Ma ffalla finita, te fa bene cammina'". "E perche' me farebbe bene?". "Come perche'? Pe' la circolazione, il tono muscolare, l'efficienza fisica, ma che nun te n'accorgi quanto te se' 'mbolsito?". "E che vorrebbe di' 'mborsito?". "Vorrebbe di' che ccosi' nun va bene, Gine', nun va bbene pe' gnente". "'Nvece si cammino ariva' bbene?". "Pe' ccomincia'". "Vabbe', mo' ho camminato, se po' rientra'?". "Ma allora sto a parla' col muro". "Che muro?". "Visto che tu nun me stae a senti', vole di' che sto a parla' col muro". "Ma quale muro". Era irrecuperabile, lo vedevo.

"Ma almeno se po' sape' che mm'hae da di'?". "E 'mmo' te lo dico". "E allora dimmelo e famola finita". "E che prescia ciai?". "Come che prescia cio'? Ma cche tte se' fumato stasera, Ciampico'?". "Lo sae che nun m'hae da chiama' Ciampico'". "Perche', e' vietato?". "Perche' quanno lavoramo mm'hae da chiama' Villi, ce lo sai". "E adesso mica stamo a lavora', Ciampico'". "Chi lo sa". "Come, chi lo sa?". "Chi lo sa. Che vole di' chi lo sa? Vole di' chi lo sa". "Io mica te capiscio stasera, mo' mme ggiro e vo' al bar, si veni veni, senno' ssaluti e baci". Ma continuo' a camminarmi a fianco.

"Chi lo sa quanno se lavora e quanno nun ze lavora? Me lo chiedo sempre", dissi io. "Tu penzi troppo, Robbe', tu penzi troppo e tte fa mmale. Damme retta, io ce lo so, pur'io penzo troppo e me fa mmale, me fa mmale, Campico'". "Hae da di' Villi". "Ma nu' stamo a lavora' adesso". "Nun ze sa mmae". "Pero' nnu' stamo a llavora' adesso". "Po esse de no e po' esse de si'". "Tu penzi troppo e te fa mmale". "Po' esse". E continuammo a camminare, ciascuno immerso nei propri pensieri, ed erano pensieri brutti.

Dopo un po' lui disse: "Ma insomma che me volevi di'?". E io: "Que', tte volevo di': ah Gine', va tutto bene?". "Bene, bene". "Sicuro?". "Sicuro, sicuro". "Me pare de no". "Si', si'". "E 'nvece no: nun va tutto bene quanno uno ripete sempre le stesse cose du' volte". "Aho', io stasera nun te capiscio, nun te capiscio propio stasera Ciampico'". "Lo vedi?". "Lo vedi che?". "Che nun capisci, Diavole'". "Ma era que' che mme dovevi di', che nun te capiscio?". "No che nun me capisci, che nun capisci; e' 'n'antra cosa, Diavole'". "Me sa cche ttu stae male, Ciampico'". "Po' esse, ma nun e' que' la questione vera". "E quale ade' la questione vera?". "E' che stae male tu, Gine', e nun capisci. Nun capisci manco perche' stae cqui, che sse lo capivi nun stemme cqui". "Ciai raggione ciai, nun te capiscio". E continuammo a camminare.

"Me voi di' quarche cosa?", dissi. E lui: "Io a te? Penzavo tu a mme". "Oramai". "Oramai che?". "Oramai nun vale ppiu' la pena". "La pena de che?". "La pena de che? Come la pena de che? La pena de morte, che te piji 'n colpo". "Aho', e mica c'e' bisogno de 'ncazzasse". "Ciai raggione", dissi, "Ciai raggione, scuseme". Ormai tutto era detto, tutto era fatto, qualche passo ancora e consummatum est.

*

Un passo dopo l'altro ci eravamo allontanati quanto basta dal paese, ed eravamo arrivati guarda un po' proprio nel punto giusto (sotto il cartellone della pubblicita' dell'uomo che non deve chiedere mai) dove a fianco della strada c'e' una scarpata e che un corpo inerte per legge di gravita' ci ruzzola giusto giusto fino al punto dove avevo scavato la buca la notte prima che poi l'avevo coperta con un po' di frasche e avevo lasciato la pala li' vicino.

Rallentai il passo, tirai fuori il ferro e la testa di Nino era giusto giusto la lunghezza del braccio mio piu' la canna del ferro e ritrassi l'indice e fu tutto. Casco' giu' come una pera cotta e con una spintarella piccola piccola lo feci arrivare sulla scarpata e comincio' a scivolare giu', pero' scivolava piano cosi' mi tocco' tirarlo per un piede e pesava come una cassa da morto e lasciava una strisciata e nella strisciata una strisciata piu' piccola, rossa. Ci volle un po' ma tanto non passava nessuno e ormai eravamo sotto il livello della strada che se pure passava una macchina non ci vedevano lo stesso. Pero' fu una sudata. Scostai le frasche, lo adagiai nella buca e lo ricoprii della terra smossa il giorno prima e poi ci rimisi le frasche sopra. Poi con la pala diedi una riassestata dove aveva lasciato la striscia, non fu un lavoro di fino perche' era buio, ero stanco, e poi ero anche di cattivo umore, ed ero pure triste perche' avevo appena perso un amico di tanti anni e di tante avventure e un uomo ha pure un cuore, non siamo macchine. E a proposito di macchine, la mia l'avevo lasciata parcheggiata quella sera fuori del paese, proprio li' vicino, all'imbocco della strada del lupo, che la chiamavano la strada del lupo perche' raccontavano che una volta li' c'era un lupo che magnava i cristiani e poi si era scoperto che non era un lupo ma un cristiano che la notte che c'era la luna piena si trasformava in lupo (non e' che proprio diventava lupo, solo che ammazzava i cristiani e poi li mozzicava pure). Vecchie leggende, antiche superstizioni, che pero' fanno parte del folklore e meritano rispetto, no? Io sono per preservare la cultura popolare, anche se lo so che e' un cascame della cultura alta, pero' all'inizio la cultura alta era pure la cultura popolare, no? Per i greci Omero e la tragedia non erano come per noi, erano come per noi i cartoni animati e Elvis. E ditemi se questo non dice gia' tutto, ditemi.

In macchina ci avevo il pacco di sei bottiglie d'acqua, il sapone, l'asciugamani e il cambio dei vestiti. I vestiti zozzi e l'asciugamani finirono in un sacco della spazzatura. Poi partii, ma non in direzione del paese, nella direzione opposta: mi fermai dopo una decina di chilometri e buttai la pala in mezzo a una fratta dopo averla lavata e strofinata bene bene. Dopo un'altra decina di chilometri presi una strada bianca, che poi sarebbe la strada del serpe che non porta da nessuna parte e la chiamano la strada del serpe da quando una vipera ha ammazzato con un pizzico solo il povero Checco de Peppe che di notte, ubriaco come una cucuzza, era finito li' chissa' come, o forse ce lo avevano portato. Pero' non e' sicuro che sia morto per il morso della vipera, perche' era stato pure massacrato di botte e siccome di massacrare di botte un morto non ci ha senso, lo dovevano avere massacrato prima, pero' si disse che era morto pizzicato dalla vipera e quella divento' la strada del serpe e da allora al paese si dice "Sta' bbono che senno' te porto a la strada del serpe" e uno smette di fare lo scemo. Entrai nella strada del serpe, fermai la macchina un paio di minuti dopo, tirai giu' il sacco di babbo natale, un cerino e la plastica gia' bruciava, e allora spruzzai tutta la bottiglietta di un litro e mezzo di alcool che tanto a me non mi era servita, spruzzai piano piano mirando all'asciugamano, ai calzoni, alla camicia, ai pedalini. Le fiamme erano basse, piu' azzurre che rosse, ci volle un po' di tempo ma fu un lavoretto fatto bene. Restava solo la baiaffa. Che pero' era un valore, e ci ero affezionato. Finito il focherello diedi una smossa ai resti per essere sicuro che non restava niente di integro, e allora e solo allora tornai a casa. Smontai il ferro, lo pulii, e come faccio sempre misi i pezzi un po' qua e un po' la' in mezzo ad altra ferraglia che tengo per casa apposta per mimetizzarcelo. Ho un garage con uno scaffale con un centinaio di scatole, scatolette e barattoli pieni di chiodi, di viti, di giunti, d'interruttori, di fili elettrici, di pezzi di ricambio di ogni sorta di attrezzi casalinghi, e un set di cacciaviti, chiavi inglesi, tenaglie, lime, e trapani, sparapunti, seghe elettriche eccetera che e' da solo tutta una parete e manca solo il bazooka. Sono pure abbonato a una rivista di hobbistica e a una di lavori domestici e le leggo pure e mi tengo aggiornato. E al ferramenta si credono che mi piace fare tutti 'sti lavoretti che invece non me ne frega niente e tengo tutto 'st'ambaradan solo per disperderci i pezzi della sorellina che fa i buchi. Ci ho pure il fucile da caccia e l'attrezzatura per farmi da me le cartucce, tutto regolare, eh. Ma a caccia non ci sono andato mai, mi ripugna ammazzare gli animali, che alla fine sono esseri viventi come noi e hanno lo stesso dritto a vivere e non ci hanno colpa della cattiveria nostra. La carne la mangio, pero' idealmente sono vegetariano. Tutti siamo idealmente qualcosa anche se magari facciamo il contrario, e' la natura dell'animo umano. Mi fanno ridere i predicatori, i riformatori, i benefattori: leggessero Dostoevskij e la facessero finita.

*

Al Giobbetto, quando ci vedemmo di nuovo, e saranno passate almeno due settimane e quel suo parente era morto, preferii non dirgli niente, sia perche' non mi pareva necessario, sia per non aumentare i conflitti, sia anche perche' se uno e' previdente e' previdente.

Non dovetti dirgli niente neppure dopo, lui non chiese niente. La prima sera mi guardo' un po' strano, ma non apri' bocca. Neppure io.

Quando andammo di nuovo al lavoro ed eravamo in due pareva che non fosse successo niente, e invece era successo tutto. Lungo il viaggio nella notte profonda tutto era solitudine e dolore, solo una cosa era vera, era bella, ti strizzava le lacrime dagli occhi da quanto era vera ed era bella, e bastava da sola a riscattare tutto l'orrore del mondo: la voce limpida, lunare, tempestosa, luminosa, salvifica di Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock.

(segue)

 

3. "PER UNA POLITICA CHE SALVI LE VITE E RICONOSCA L'EGUAGLIANZA DI DIRITTI DI TUTTI GLI ESSERI UMANI". DA VITERBO UN INCONTRO E UN APPELLO

 

Si e' svolto nel pomeriggio di martedi' 8 agosto 2017 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione e di testimonianza "per una politica che salvi le vite e riconosca l'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani".

Le persone partecipanti all'incontro hanno condiviso il seguente appello.

*

In Italia una farneticante e oscena propaganda razzista e schiavista, bellicosa e neocolonialista, sta cercando di imporre una politica dei lager e delle cannoniere, una politica che ritiene normale che la Libia debba essere un immenso lager per migranti, una politica che ritiene normali i campi di concentramento e le deportazioni, una politica che ritiene normali le guerre e le dittature di regimi cui il nostro paese fornisce illegalmente armi, una politica che punisce chi salva le vite, una politica effettualmente complice dei poteri criminali schiavisti, una politica del "mors tua, vita mea".

Questo dilagante orrore va denunciato e contrastato.

La legge a fondamento del nostro ordinamento giuridico democratico, la Costituzione della Repubblica Italiana, riconosce l'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani, riconosce il diritto d'asilo, ripudia la guerra; ne consegue che la politica che i razzista stanno cercando di imporre nel nostro paese non e' neppure una politica, e' solo un crimine, un crimine contro l'umanita', un crimine contro la nostra stessa repubblica democratica.

Il governo receda da provvedimenti iniqui e folli, torni alla legalita' costituzionale, si decida finalmente a contrastare il razzismo anziche' essergli subalterno.

In Parlamento i legislatori fedeli alla Costituzione repubblicana, alla democrazia, al popolo italiano, si facciano sentire ed isolino e sconfiggano i razzisti.

Il popolo italiano faccia sentire la sua voce in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani.

Due provvedimenti indichiamo urgenti.

Il primo provvedimento: riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. E' l'unico modo per annientare le mafie dei trafficanti schiavisti; ed e' l'unico modo per avviare una politica internazionale di autentica responsabilita' e concreta solidarieta', per iniziare ad affermare realmente almeno in qualche parte del mondo, e progressivamente ovunque, il rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani, a cominciare dal diritto fondamentale: il diritto alla vita, che e' inerente ad ogni essere umano. Salvare le vite - tutte le vite - e' il primo dovere.

Il secondo provvedimento: riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese. Il fondamento della democrazia e' il principio "una persona, un voto". Vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all'Italia ingenti benefici ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano.

Occorre la politica dell'umanita'.

Salvare le vite.

Occorre inverare la democrazia.

Una persona, un voto.

Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

Pace, disarmo, smilitarizzazione.

Vi e' una sola umanita'.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVIII)

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Numero 266 del 4 settembre 2017

 

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